Scorrerie dei pirati turchi sulle coste gallipoline




Tommaso Leopizzi



L'imminente celebrazione del quinto centenario dei Martiri di Otranto, uccisi dal Sultano Maometto Il nell'agosto del 1480, ci invita a proporre alcuni aspetti secondari ma ugualmente importanti del dramma che il Salento ha vissuto per lunghi secoli ad opera dei Turchi.
Per avere un quadro quasi completo del doloroso fenomeno delle invasioni turche in Terra d'Otranto basta confrontare l'ottimo studio di Salvatore Panareo pubblicato su "Rinascenza Salentina" (anno I, n.1, gennaio-febbraio 1933, pagg. 2-13 e n. 5 settembre-ottobre 1933, pagg. 234-25 1).
Nel suddetto lavoro sono riportate anche le imprese di poca importanza che hanno compiuto i Turchi e loro affini nel Salento, ma non ci sembra che si faccia mai cenno a incursioni piratesche operate ai danni di Gallipoli e del suo immediato circondario.
Raccogliendo le briciole di notizie delle cronache locali e utilizzando documenti ancora inediti ma certamente noti agli studiosi, pensiamo di contribuire col presente articolo a far meglio comprendere il vasto fenomeno turco nella nostra regione e le continue angherie cui venivano sottoposte le genti salentine.
E' bene intanto precisare che per i Salentini il termine Turchi voleva significare tanto i figli della Sublime Porta o della Mezza Luna, quanto i pirati barbareschi provenienti da Algeri, Tunisi, Tripoli e perfino dalla stessa Puglia. Bisogna tuttavia distinguere la pirateria politica condotta dall'Armata Ottomana guidata da valenti generali come Ariadeno Barbarossa ed esauritasi nel sec. XVI e quella messa in opera da volgari delinquenti che si trascinò sino ai principi dell'Ottocento.
L'attività minacciosa degli Ottomani non destò vere preoccupazioni all'Occidente cristiano fino alla caduta di Costantinopoli avvenuta il 29 maggio del 1453. Un anno dopo la Repubblica Veneta, che fino a quel momento era stata regina incontrastata dei commerci con l'Oriente, per motivi di opportunità politica stipulò una pace vergognosa con Maometto 11. Solo l'Ungheria, minacciata direttamente dall'avanzata turca, tentò di opporsi con la formazione di un esercito che raccoglieva anche volontari europei animati dalla volontà di difendere l'intero mondo cristiano dall'incombente pericolo islamico.
Gli eserciti cristiani, condotti dal Capitano Generale Giovanni Hunyadi e incoraggiati dal travolgente predicatore francescano Giovanni da Capistrano, riportarono presso Belgrado il 21-22 luglio 1456 una splendida vittoria sulla soverchiante armata turca.
Il 29 agosto del 1526 a loro volta gli Ungheresi vennero sconfitti nella sanguinosa battaglia di Mohacs dal sultano Solimano II, ma il 7 ottobre 1571 le forze occidentali cristiane con un'altra grande vittoria fiaccarono la tracotanza dei Turchi nella battaglia navale di Lepanto.
Le tragedie più gravi che colpirono le città e le popolazioni del basso Salento si verificarono nell'estate del 1480 e nella primavera del 1484.
Il primo assalto fu condotto dai Turchi, sobillati dai Veneziani e Fiorentini in odio al re d'Aragona, e si concluse con la distruzione quasi totale della città di Otranto. Lucio Cardami, cronista gallipolino del tempo, così sintetizza l'avvenimento:

"1480: A di 11 augusti foi preso Otranto dalli Turchi, et ferono macello grande de omne uno che se trovava alla defencione della Cettate et ci morio Francesco Ciurlo et Messer Juanni Antoni delli Falcuni Capitanio delli suldati. Quilli entrati alla Cettate andaro uccidendo omne uno, che se trovavano nnanti, e ponera omne cosa ad sacco, et ad foco, entraro nella Ecclesia grande, et vi trovaro lo Archiepiscopo Stefano Pendinello de Nerito, multi sacerdoti, vomini et tutte le donne, tutti ammazzaro excepto le donne, le quali fora da quilli cani dessonerate. Dio benedetto perdoni alli Florentini et alli Vinigiani, ché issi sono causa de tanti mali per avere facto venire li Turchi in danno dello Segnore Re, et de tutto lo Reame".

Il secondo episodio riguarda l'assedio, questa volta portato direttamente dai Veneziani, alla città di Gallipoli e la spoliazione dei paesi limitrofi. li medesimo cronista, che partecipò di persona alla difesa della città, annota:

"1484: A dì 19 Mai li Vinigiani de novo se misero a vulire entrare nella Cettate, ma la defencione nostra era grande, et lo sparare era continuo. Lo Segnore Domenico Malipiero, lo quali comanda che de chiù bande s'avesse salito alla Cettate, et le riuscio di pigliarela. Et li Vinigiani faciro tante occisioni et rubarie che era na compassione vedire tanta crudelitate.
- In la fine de Mai lo Generali mandao li soldati et andaro et scurrero omne territorio facendo danni et rubarie; pilliaro Racolo, Fellito, Alliste, Paravita, Sopersano, Cesarano, et audri lochi, et pe tutto facero multo danno.
- Dopoi Nerito pilliara Cupertino, Velia, Liberano e fecero scorrerie pe fino la Cettate de Lezze".

Ma anche dopo queste aggressioni organizzate ai danni delle città di Terra d'Otranto e inserite nella politica internazionale del tempo, di tanto in tanto sulle nostre coste facevano la loro comparsa navi nemiche con bande di avventurieri turchi e barbareschi che seminavano ugualmente lutto e sgomento nella popolazione. Nel gennaio del 1562 infatti due navi giunsero in prossimità di Gallipoli e, sorprese da una violenta burrasca, si rifugiarono nel porto di S. Giovanni di Ugento. A tale notizia le autorità gallipoline inviarono un agguerrito distaccamento di uomini che attaccarono duramente i Turchi. Un documento raccolto nel Registro dei Privilegi di Gallipoli (ff. 169-170, A.S.L.) ci riferisce alcuni particolari dell'impresa mettendo in evidenza la compattezza e la sollecitudine delle nostre genti:

"La città et homini della fedelissima città di Gallipoli alcune volte fanno imboscate in loro feudo dove a loro pare meglio comodità per poterli pigliare et avere vittoria, et atterrire detti nemici, et non fando tal diligentia detti infedeli pigliarebeno tanto ardire che insino alle porte di detta città li venerebino a depredare, et poi scorrerebeno tutto il dicto convicino, et alcune volte alle uscite che hanno fatto, hanno potuto pigliare alcuni turchi, come accascò li giorni a dietro, che essendono dentro il predetto porto di S. Giovanni due fuste, et non possendo per il mal tempo uscire andorno là circa quattrocento archibuscieri di dieta città col dui lor pezzi de artigliarie et assediorno le dette fuste, dove si gittorno più turchi in mare per persi, et si non fusse stato, che il mal tempo la matina al giorno cessò, et se ne usciro, le averebino prese, ma ne presiro dui, et li altri forno presi dal concurso del contorno ... ".

Una delle ultime incursioni dei Turchi sulla costa gallipolina avvenne nella primavera del 1686 ed è documentata dal manoscritto "Libro del Castello e delle Torri di Gallipoli" conservato nella Biblioteca-Museo della stessa città.
Il sovrano Carlo II era stato informato dai funzionari di Zante, Corfù e Ragusa che i Turchi stavano ultimando i preparativi per salpare alla volta del Salento con 13 fuste (galere sottili e veloci) da Dulcigno e da Castelnovo.
E re, rivolgendosi a tutti i Governatori Regi e Baronali, ai Sindaci delle città, Terre e luoghi della Provincia di Terra d'Otranto, ordina di prendere le misure necessarie per fronteggiare il temuto arrivo dei pirati.
Raccomanda di guardarsi dagli stratagemmi usati da questi corsari del mare. Costoro infatti, dopo aver ancorato le loro galere in luoghi nascosti, raggiungevano i casali che intendevano assaltare vestiti alla francese e parlando la lingua italiana, si presentavano come pellegrini bisognosi di aiuto e una volta entrati nell'abitato facevano razzia di viveri e preziosi, abusavano delle donne e portavano con sè gli uomini validi. Nell'ordine sovrano si davano precise disposizioni per prevenire attacchi di sorpresa; ogni Comune, oltre a chiudere le porte della città dall'Ave Maria al sorgere del sole, doveva sistemare notte e giorno due sentinelle fuori le mura in ogni capistrada e collocare altre sentinelle sulla torre campanaria o luogo più alto dell'abitato. Contemporaneamente si faceva obbligo alle medesime Università di addestrare dei drappelli di persone atte alle armi le quali dovevano immediatamente entrare in azione al minimo avvistamento o tentativo di sbarco da parte di navi nemiche.
Inoltre si esortavano gli amministratori comunali a fornirsi in tempo della necessaria quantità di armi. A questo proposito il medesimo documento gallipolino riferisce l'esatta consegna delle varie munizioni da guerra provenienti da Taranto e distribuite dietro pagamento ai diversi paesi o casali del circondario posti a sud-est di Gallipoli e cointeressati alla difesa della regione.

Seclì ricevette un moschetto, tre archibugi, due picche, dodici rotoli di polvere da sparo, diciotto rotoli di palle di piombo e otto rotoli di miccia;
Parabita ricevette 2 moschetti, 4 archibugi, 2 picche, 16 rotoli di polvere, 32 rotoli di palle di piombo e 16 rotoli di miccia;
Matino ricevette 4 moschetti, 5 archibugi, 20 rotoli di polvere, 13 rotoli di miccia;
Taviano 2 moschetti, 3 archibugi, una picca, 12 rotoli di polvere, 21 rotoli di palle, 7 rotoli di miccia;
Casarano, 4 moschetti, 5 archibugi, 3 picche, 16 rotoli di polvere, 30 rotoli di palle e 22 rotoli di miccia;
Taurisano, 2 moschetti, 3 archibugi, 10 rotoli di polvere, 20 rotoli di palle e 7 rotoli di miccia;
Ugento, 5 moschetti, 5 archibugi, 2 picche, 18 rotoli di polvere, 30 rotoli di palle e 11 rotoli di miccia;
Felline; 2 moschetti, 3 archibugi, una picca, 9 rotoli di polvere, 15 rotoli di palle e 5 rotoli di miccia;
Alliste, un moschetto, 2 archibugi, una picca, 4 rotoli di polvere e tre rotoli di miccia;
Racale, un moschetto, 2 picche, 12 rotoli di polvere, 7 rotoli di miccia;
Melissano, un moschetto, un archibugio, 3 rotoli di polvere, 2 rotoli di miccia;
Neviano, un archibugio, una picca, 2 rotoli di polvere, tre rotoli di palle, 7 rotoli di miccia;
Ruffano, 4 archibugi, 4 picche, 12 rotoli di polvere, 23 rotoli di palle, 13 rotoli di miccia.

Nonostante gli accorgimenti predisposti sia dalle autorità militari sia dagli amministratori, in quello stesso anno 1681 i Turchi sbarcarono in due località situate una a tramontana e l'altra a scirocco di Gallipoli: la prima era denominata Pietra Cavallo e si trovava a un miglio di distanza da Torre Sapea, la seconda Cala delli Foggi vicino al posto detto Sugliana distante due miglia da Torre di S. Giovanni della Pedata..
Poiché le suddette località si trovavano nelle immediate vicinanze di Gallipoli, i funzionari regi accusarono di mancata vigilanza le autorità locali che respinsero ogni addebito. Ai gallipolini era fatto obbligo di ispezionare con "cavalieri ordinari et straordinari" la spiaggia fino a Torre Sapea per la parte di tramontana e fino a Torre di S. Giovanni della Pedata per quella di scirocco. Essendo però lo sbarco indisturbato dei Turchi verificatosi in tratti di costa oltre le suddette torri e quindi fuori della competenza diretta della città, secondo i gallipolini andavano ripresi ed eventualmente puniti i paesi circostanti. Infatti, in base ad ordini sovrani precedenti, erano obbligate a inviare a proprie spese li cavallari nella zona di mare che va da S. Giovanni della Pedata alla Torre del Cotriero o Pizzo le seguenti Università: "Parabita, Taviano, Melessano, la prima sette, la seconda otto e la terza nove miglia distanti da Gallipoli; Matino, nove miglia distante e Casarano, dodici miglia distante da Gallipoli".
Per la parte di tramontana invece dalla Torre Sapea alla Torre dell'Artolito erano obbligate di vigilare: "Neviano, Seclì, Aradeo che sono distanti da Gallipoli nove miglia; Solito, Sogliano, Corigliano, Cutrofiano e S. Pietro in Galatina che son distanti da Gallipoli quindici miglia, oltre Galatone e Nardò che stan distanti nove miglia da Gallipoli".
Per un'antica consuetudine Gallipoli aveva il diritto di pretendere, specie nel momento del bisogno, l'aiuto dei paesi vicini anche solo indirettamente minacciati da eventuali sbarchi di pirati.
Infatti, dopo la disastrosa occupazione della città ad opera dei Veneziani nel 1484, Gallipoli chiese ed ottenne dal re Ferrante prima e poi dal re Federico il seguente privilegio:

"Item essa Università di Gallipoli et uomini supplicano alla Maestà prefata che accadendo alcuna volta che si abbia nuova l'Armata, che fosse fatto o che si facesse tanto de infedeli (Turchi) quanto dei cristiani (Veneziani), per la quale in detta città se potesse dubitare la invasione, come altra volta è seguito, lo Gubernatore o Capitanio di dicta città possa in tali cause comandare alli luoghi convicini che debbano mandare tanti fanti quanti necesserà al bisogno, et segnanter, ad Nerito, Galatuni, Seclì, Aradeo, Parabita, Matino, Casarano, Casaranello, Taurisano, Taviano, Racle, Felleno et Alliste, li quali fanti debean venire in detta città e stare all'ordinazione di detto Capitanio o Gubernatore, senza alcun pagamento" (Libro Rosso di Gallipoli, f. 81 t.)

La richiesta di aiuto ai paesi che occupavano il tratto di fertile pianura intorno a Gallipoli non si deve considerare un sopruso. Se la minaccia era estesa a tutte le popolazioni della zona, tutte le Università interessate dovevano partecipare alla difesa della costa. In quei frangenti non era proprio il caso di scaricarsi reciprocamente i compiti e le responsabilità:

"Si aggiunga che il feudo di Gallipoli viene quasi tutto habitato da forastieri di quasi tutta la Provincia, e la maggior parte dei luoghi convicini; come si vidde nell'occorrente del sbarco de Turchi che pochissimi furono di Gallipoli li fatti schiavi, onde oltre l'obbligo di guardare se stessi contro il comune nemico concorre la convenienza alli luoghi convicini che guardano li cittadini loro stessi che habitano nel feudo di Gallipoli dove non portano verun peso".

In base al suddetto documento si deve concludere che il danno provocato dai Turchi in quella circostanza fu abbastanza serio e grave, per cui gli amministratori dei paesi vicini a Gallipoli in futuro non lesinarono spese e preoccupazioni per garantire la sicurezza e l'incolumità degli abitanti.
I pirati del mare, fossero Turchi, barbari dell'Africa o volgari avventurieri perfino indigeni, si avvicinarono ancora per lungo tempo alle coste del basso Salento depredando le campagne specialmente nella stagione del raccolto; tuttavia non ci sembra che Gallipoli e il suo circondario abbiano più sofferto a causa dei Turchi.
Le nostre popolazioni non dovettero più ripetere il grido di terrore che segnalava l'invasione turca e che ancora oggi, modulato con gusto, si ascolta volentieri nelle calde serate dell'estate salentina:

"All'armi, all'armi, la campana sona, Li Turchi sù sbarcati alla marina!".

Forse perché Gallipoli e i paesi dell'interno avevano predisposto un intelligente ed efficace sistema di avvistamento e di difesa nei confronti del nemico che proveniva dal mare, per cui a quest'ultimo non rimase che orientarsi verso zone meno protette.


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