§ UN INTERESSANTE SAGGIO DI PALASCIANO SUL DEMANIO ARMENTIZIO DEL TAVOLIERE

Le lunghe vie erbose del Sud




Franco Compasso



Le lunghe vie erbose erano i "tratturi", le antichissime piste, larghe 111 metri, che congiungevano le zone di pascolo estivo degli Abruzzi e del Molise con quelle del pascolo invernale del Tavoliere di Puglia. Ai tratturi e ai pastori della Puglia di ieri, Italo Palasciano, - giornalista e saggista, attento ed acuto osservatore della realtà sociale. E dell'economia agricola di Puglia, studioso delle lotte contadine nel Sud - ha dedicato la sua attenzione in un corposo ed interessante studio ("Le lunghe vie erbose") che inaugura la nuova collana "saggi" del dinamico e coraggioso giovane editore Lorenzo Capone di Lecce. A Capone la cultura meridionale deve molto, perchè in pochi anni di attività la nuova casa editrice leccese ha saputo affrontare tematiche ed aspetti della realtà del Sud che la cultura "ufficiale" legata, agli interessi di cassetta dei grandi gruppi editoriali del Nord, aveva semplicemente ignorato. Si deve dare atto a Lorenzo Capone di aver svolto, fin dall'inizio dell'attività editoriale, una qualificata azione a favore della Puglia e del Mezzogiorno con la collana "itinerari meridionali" (dedicata completamente alla ristampa di vecchi ed introvabili diari dei "grandi viaggiatori" dell'ottocento che scoprirono le terre di Puglia e le regioni meridionali): testi che offrono l'occasione di riscoprire la Puglia ed il suo tipico patrimonio di cultura, storia, archeologia, di civiltà antiche e recenti. L'editore Capone ha acquisito di recente un nuovo, grande merito con la pubblicazione della rivista quadrimestrale "Studi storici meridionali", diretta da Tommaso Pedio e che si avvale - fino a questo momento - della qualifica collaborazione di storici come Giuseppe Coniglio, Mauro Spagnoletti, Nicola Cilento e Alfonso Scirocco. Di questa rivista, dei suoi contenuti culturali, della sua impareggiabile azione volta alla diffusione degli studi storici nel Mezzogiorno, è opportuno riparlarne perchè il discorso avviato da Capone ci sembra interessante ed essenziale per fare della rivista un punto di riferimento e di raccordo tra la storia e l'economia di Puglia e del Mezzogiorno, nel quadro di una cultura "unitaria" delle regioni meridionali che fino ad oggi è stato troppo debole ed evanescente, e non mancato di costituire una pesante remora alla strategia politica per uno sviluppo "unitario" del Mezzogiorno.
La non breve riflessione sull'impegno culturale e sulla linea editoriale di Lorenzo Capone era necessaria per inquadrare il discorso sul recente saggio di Palasciano nella corretta cornice di una strategia culturale che intende privilegiare non il passato come fredda memoria di ciò che fu, ma come "memoria" che si fa storia e che coinvolge, nella complessa realtà di oggi, esigenze civili di una società che deve conservare il patrimonio culturale ed ambientale che appartiene a tutti, e le cui "radici" non possono essere distrutte per disinteresse, per ignoranza, per arroganza di potere. E' in questa chiave di lettura che ci siamo avvicinati al saggio di Palasciano: ed esso ci fornisce uno "spaccato" autentico di vita vissuta, una pagina vera, viva, della "civiltà contadina" che ha salde radici nella società pugliese e in tutto il mezzogiorno "interno". Palasciano descrive una realtà dura: la stagione della transumanza lungo le vie erbose del Sud, senza cedere alle edulcorazioni dei miti virgiliani sulla bellezza della natura e senza alcuna indulgenza verso i pregiudizi contro la "civiltà contadina". In fondo, con il suo saggio Palasciano ha inteso proporre una verifica storico-sociale (e, quindi, in primo luogo una riflessione culturale) di un fenomeno tipico del mezzogiorno contadino; un fenomeno di vaste dimensioni sociali, civili ed economiche che, sotto il nome di transumanza - la periodica ed alternativa trasmigrazione del bestiame, in prevalenza ovino, tra regioni con notevoli contrasti climatici, ma complementari tra loro dal punto di vista del paesaggio agrario - ha segnato per secoli rapporti economici, scambi di beni, integrazione di costumi e dialetti, utilizzazione stagionale dei latifondi e dei terreni gravati da uso civico . Una operazione di nostalgia, un revival del passato? No: niente di tutto questo si ricava dalla lettura delle pagine del saggio. Chi conosce bene Palasciano ed ha avuto modo di apprezzare il suo impegno civile e la sua tenace e forte passione per la storia del movimento contadino In Puglia (egli, tra l'altro, è autore di uno "studio" sulle raccoglitrici di olive nella regione pugliese e di un saggio su Giuseppe Di Vittorio) non gli può muovere questa accusa. Proprio in questo saggio (ed in particolare nel quarto capitolo), Italo Palasciano dimostra che non ha e non sente alcuna nostalgia per il passato: "perchè la nostalgia - avverte nella sua incisiva prefazione al libro Giovanni Papapietro - è sentimento da conservatore". E noi conveniamo con questo giudizio di Papapietro, perchè siamo profondamente convinti che delle condizioni dei "pastoricchi", dei "butteri", dei "casari" non vi sia più nulla da conservare oggi; vi deve essere semmai il dovere di riflettere, come ci invita a fare Palasciano con il suo saggio, sul dramma di migliaia di famiglie di pastori. Al di là delle oleografiche descrizioni del passato, è tempo oggi che ognuno sappia, nella società dei consumi, che la "civiltà contadina" non è stata una stagione di felicità per il popolo meridionale: miserie, lutto, malattie, paure, acuti bisogni hanno accompagnato l'esistenza dei nostri fratelli meridionali costretti a vivere, come viveva il "popolo" della transumanza, sei mesi all'anno lontano dalle proprie famiglie e a contatto quotidiano con i peggiori azzardi della vita. Ancora oggi sui volti rugosi dei contadini del Sud vi è traccia dell'antica malaria, dei patimenti subiti, dell'ansia di riscatto civile e di giustizia sociale che accompagna da secoli la vicenda umana delle popolazioni meridionali. Questi sentimenti e queste ansie sente Italo Palasciano e le fa proprie quando, nel capitolo "Pastore nella fanciullezza bracciante in giovinezza", raccoglie la lunga e toccante testimonianza umana di Peppino Papa, già sindaco di Lucera e consigliere regionale in Puglia, che all'età di 11 anni visse l'esperienza della transumanza seguendo il padre "pastore-massaro" che trasferiva ogni anno d'estate le sue greggi dal Tavoliere al Sub-appennino nei pressi di Montesambuco nell'agro di Motta Montecorvino. Quì restava fino ai primi di ottobre, quando incominciavano le prime piogge autunnali, per tornarsene, come si diceva allora, "alla Puglia". In queste pagine rivive la vita quotidiana e minuta degli uomini della transumanza, i loro affanni, la loro repressa nostalgia per i familiari lontani, i lunghi cammini sotto la pioggia, le notti passate all'addiaccio. Essi erano partiti dalle loro case per farvi ritorno dopo sei mesi; il bagaglio che si portavano appresso, come ci ricorda Peppino Papa, era molto leggero: "un grande ombrello, una coperta di lana, un corno dove si conservava un pò di olio d'oliva., un sacchetto di sale grosso, qualche sgabello a tre gambe per sedersi mentre le pecore pascolavano". "C'è da dubitare - osserva ironicamente Palasciano - che si trattasse di una vita così bucolicamente piacevole".
Non lo era affatto. La tradizione orale (documenti ed atti relativi a lettere suppliche, mappe sono conservati nei sotterranei del palazzo. della Dogana a Foggia a cura dell'Archivio di Stato: e sono una preziosa miniera di ricordi e testimonianze dirette della lunga vicenda della transumanza) narra delle febbri malariche, delle tre qualità di pane destinate agli uomini della transumanza a seconda della loro gerarchia, le poste giornaliere dove avveniva la mungitura delle pecore, il profumo che emanava dalla lavorazione del latte per farne formaggio pecorino. Tutto questo è ricordato per comprendere appieno i pesanti lavori cui sottostava il mondo contadini, ed in particolare gli uomini della transumanza.
Ma quanti erano questi "uomini della transumanza"? Si è calcolato che per un complesso di due o tre milioni di pecore transumanti erano necessari 20 e 39 mila addetti; e si è pure calcolato che per ogni mille pecore si ritenevano necessari dai 7 ai 10 pastori, mentre ogni impresa di 12-20 mila capi impegnava non meno di 150-200 persone. Era, dunque, un esercito sterminato di contadini e braccianti meridionali quello che accompagnava la lenta marcia "a mazza battuta" dei greggi per le "lunghe vie erobose" del Sud. I bellissimi versi del D'Annunzio de "I Pastori":

E vanno per tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
sulle vestigie degli antichi padri

danno un significato storico allavicenda della transumanza e mettono in rilievo la funzione dei "tratturi", queste lunghe, interminabili vie erbose che conducevano verso i pascoli sconfinati per oltre 300 mila ettari. "Chi ideò il percorso dei tratturi - è ancora Peppino Papa che parla - dovette studiarne ogni particolare necessità; aree di sosta a distanza regolare, vicinanza di torrenti o canali d'acqua per dissetare persone ed animali". Alla luce di queste considerazioni si capisce bene perchè il fenomeno della transumanza - e quindi dei - la conseguente utilizzazione del Tavoliere a vantaggio dell'economia pastorizia dell'Abruzzo - sia stato, anche nel passato più o meno recente, il terreno di scontro tra economisti e politici. Così già nel '700 gli economisti avevano prestato interesse ed attenzione ai due settori primari dell'economia pugliese: l'agricoltura e la pastorizia. Certo, in quei tempi non si poteva mettere in discussione la naturale vocazione delle terre del Tavoliere alla pastorizia: Giuseppe Maria Galanti, alla fine del '700, contestava la decisione dell'Aragonese di destinare in modo coatto e definitivo le terre pugliesi alla pastorizia e alla transumanza, con l'istituzione della "Dogana della mena delle pecore".
La considerazione di fondo della teoria del Galanti, in opposizione agli editti di Alfonso d'Aragona, trapiantati in Puglia dalla Spagna, era che "consta dalla storia che i popoli barbari sono pastori, e che si cammina verso la civilizzazione in ragione che diventano agricoli". La polemica tra gli economisti che ritenevano necessario il mantenimento del regime della pastorizia e coloro che propugnavano la utilizzazione delle terre di pianure per destinazione agricole, fu molto viva e vivace per tutto il settecento. Un economista leccese, Giuseppe Palmieri, fu tra i più accessi oppositori del regime della "Dogana" considerato un vincolo al progresso dell'agricoltura. "Tutte le opposizioni contro l'abolizione della Dogana - scrisse il Palmieri (che fu tra gli economisti del suo tempo il primo propugnatore del credito agrario) - nascono dall'interesse privato, il quale ora sotto la maschera dello zelo per l'interesse fiscale, o per la prosperità della pastorizia, e finalmente sotto la più rispettabile della giustizia, cerca di nascondersi per sorprendere ed ingannare".
Lo scontro tra gli economisti si trasferirà sul terreno politico-parlamenare. E non a caso, Paiasciano ricorda il precedente storico dell'intervento del ministro Angelo Majorana nella seduta del 14 dicembre 1905 quando già allora il rappresentante del governo nazionale richiamava l'urgenza di dare una soluzione adeguata al problema dei tratturi che permettesse "di utilizzare quelle proprietà in modo più conforme alle attuali necessità della pubblica economia". Solo a distanza di 75 anni si è tornato a discutere della utilizzazione economica e produttiva dei "tratturi" e questa discussione è passata dalle aule del Parlamento nazionale a quelle meno austere dei consigli regionali. Ciò è stato possibile in seguito al trasferimento dallo Stato alle Regioni delle competenze amministrative in materia di usi civici, sulla base del D.P.R. n. 61611977.
Le regioni meridionali interessate alla liquidazione degli usi civici e alla successiva utilizzazione produttiva dei "tratturi" sono cinque: Puglia, Basilicata, Campania, Molise ed Abruzzo. La Regione Puglia ha approvato la prima legge regionale che disciplina la utilizzazione e l'assegnazione dei "tratturi" nella seduta del 21-4-1980.
In un commento a questa legge, il dott. Waldemaro Morgese (segretario della Commissione permanente "agricoltura e foreste" del Consiglio Regionale pugliese) osserva giustamente che "nella legge si poteva fare di più e di meglio" soprattutto in tema di concessione, liquidazione e pagamento degli incentivi finanziari.
L'importante, a questo punto, sottolineare che l'annosa questione dei "tratturi" pugliesi è avviata ad una soluzione, nel senso che la destinazione di questi terreni demaniali deve essere indirizzata ad una stabile funzione economica e sociale, ed in alcuni casi anche culturale. Nel Molise, infatti, il Ministro per i beni culturali ed ambientali ha sottoposto nel 1976 a regime di tutela ambientale tutta la rete tratturale della regione.
I "tratturi" pugliesi, lunghi migliaia di Km rappresentano un demanio di circa 21 mila ettari che dovranno essere destinati ad una piena utilizzazione agricola e produttiva. Basti pensare che il solo "tratturo del Re" (che da Foggia porta all'Aquila) è lungo ben 243 Km per avere la dimensione esatta dell'imponenza del fenomeno della transumanza che nei secoli scorsi toccò, con la maggiore intensità delle migrazioni, le terre tra l'Abruzzo e il Tavoliere, con fortissime diramazioni nella pianura del salento e nell'area metapontina. La transumanza non fu un fenomeno circoscritto alle cinque regioni meridionali: essa aveva il suo centro nella Spagna, con una organizzazione giuridica ed amministrativa che, con gli editti del 1447 e del 1470 di Alfonso I fu trasferita in Puglia. Quest'ordinamento imposto alla Puglia dalla dominazione aragonese ricalcava in parte quello della "meseta" spagnola, che durò dal 1272 al 1836. Ora, la legge sui "tratturi" costituisce una risposta necessaria (anche se tardiva) alle esigenze e ai problemi, sollevati nel corso dei secoli dagli uomini dalla transumanza. Il loro buon diritto di utilizzare per finalità sociali, economiche e produttive, l'esteso demanio armentizio non è più messo in discussione. Ciò è anche il segno della storia che cammina, della società che si apre ai nuovi fermenti della vita civile.


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