§ APPUNTI PER UNA STORIA E UNA LETTERATURA

Uomini e vicende di Magna Grecia




Tonino Caputo, Gianfranco Langatta
Collaborazione di Albert Rehinardt e Nora Visconti



Il nome di Megàle Ellàs (Magna Grecia) era forse già in uso presso gli storici del IV secolo. Sembra che, in principio, la denominazione fosse limitata alla zona centrale della costa jonica, con le città di Locri, Crotone, Sibari e Siri, e che, in seguito, sia stata estesa a nord fino a Taranto, e a sud fino a Reggio; ancora posteriormente questa denominazione abbracciava le coste del Tirreno, per raggiungere Cuma. Pochissimi sono gli autori che comprendono nella Magna Grecia anche la Sicilia greca: in genere, quasi tutti separano le due aree e riducono la denominazione alla sola zona continentale.
Più complesso è chiarire come sia sorta questa denominazione e che cosa volesse realmente indicare nel confronto con la Grecia propriamente detta: non certo una maggiore estensione della superficie, e tanto meno un riconoscimento di una superiorità politica; forse furono l'opulenza e la ricchezza rapidamente acquisite dalle poleis di Magna Grecia a generare il concetto di Megàle Ellàs, o, forse ancora, fu la fioritura delle correnti filosofiche nate in Magna Grecia con una scuola Eleatica, soprattutto con Pitagora. Eppure, è dagli stessi storici greci che ci è giunto il nome di italioti, che indica i cittadini di origine greca della Magna Grecia.
la colonizzazione ellenica ebbe inizio nell'VIII secolo a.C., continuò nel VII e nel VI, e riprese nel V con la fondazione di Turio. Oltre alla fondazione di città ad opera di Greci provenienti direttamente dalla madrepatria e dalle colonie greche dell'Asia Minore, le varie comunità così create fondarono a loro volta altre città, loro colonie, nella stessa Magna Grecia. Le ragioni che spinsero i Greci alla colonizzazione furono molteplici e simili alle ragioni che spinsero altri popoli alle migrazioni e alla conquista di regioni lontane dalle terre d'origine: densità di popolazione in patria, necessità di sbocchi commerciali alla produzione, rivolgimenti politici, ansia di avventure e di scoperta. Fra l'altro, in Grecia quelle ragioni erano giustificate dalla volontà misteriosa dell'oracolo, che non di rado indicava anche il luogo da colonizzare.
Esiste una cronologia tradizionale che fissa le date approssimative di fondazione delle singole città, ma la critica storica confuta e spesso smentisce le fonti. Per la città di Cuma, ad esempio, la tradizione - riferita da Eusebio nella sua Cronaca - fissa nel 1051 a. C. la data di fondazione e la descrive come la più antica polis di Magna Grecia. Ebbene, questa data è respinta dagli storici moderni, che la posticipano di almeno tre secoli. Oggi si tende a ritenere che per l'ordine cronologico di fondazione delle città di Magna Grecia si debbano mettere in primo luogo le città poste sulle rive dello Jonio, poi alcune città della Sicilia orientale e dello Stretto di Messina, infine quelle della Magna Grecia fondate direttamente da coloni greci sulle rive del Tirreno. Allo stesso modo, le circostanze reali in cui avvennero le fondazioni sono avvolte in un velo di miti leggendari.
Innanzitutto, le fondazioni si distinsero in pubbliche e private. Le prime sono quelle avvenute per decisione della città-madre, del suo popolo e del suoi legislatori: sono il derivato di situazioni sociali, politiche, economiche particolari che inducono i cittadini a cercare una soluzione di sfogo nella creazione di una colonia. Le seconde sono, invece, quelle derivate da iniziative di singoli cittadini, i quali, per lo più per ragioni politiche, sono indotti ad abbandonare la terra natia. In non pochi casi, un capo-spedizione (ecista) veniva nominato per condurre l'impresa. Le figure degli ecisti emergono da un alone di miti religiosi e fantastici, e spesso sopravvivono come simbolo della città e oggetto di culto. Abbiamo così, ad esempio, per Taranto, la figura di Falanto, mitica nel suo insieme, ma forse con qualche corrispondenza storica; per Sibari ènominato Is di Elide; per Crotone, il gobbo Miscello; inoltre, si tramandano discendenti dal pantheon religioso o dai miti omerici, come Ercole, Ulisse, Enea, Oresta, Diomede, Filottete, Epeo, ecc. Per gli omerici, si tratta ovviamente degli eroi ridisegnati nei viaggi di ritorno (nostoi) dalla guerra di Troia. I protagonisti delle fondazioni sono presenti nelle arti figurative e, in particolare, nelle monetazioni.
E' bene tener presente che vicende storiche della Magna Grecia dell'VIII, del VII e anche del VI secolo (in parte) rientrano in un'epoca quasi protostorica, nella quale il succedersi degli avvenimenti, anche di quelli storicamente accertati, è conosciuto attraverso fonti spesso contrastanti; anche nelle interpretazioni moderne di quelle fonti, gli studiosi hanno espresso spesso opinioni diverse. Ciò comporta esposizioni imprecise e sommarie. Così, potremo dire che la fondazione di Cuma, Reggio, Crotone, Sibari, Metaponto e Taranto sono da collocarsi nel corso delI'VIII secolo, mentre quelle di Caulonia, Locri e Siri rientrano nel VII, e quelle di Ipponio, Lao, Medma, Paestum (Posidonia), Pixus (Busento), Dicearchia (Puteoli), Terina, Velia, Metauro e Neapolis nel VI; ma già per il V secolo le notizie pervenute ci permettono di fissare con maggior precisione le fondazioni di Eraclea, Turio e Sibari sul Traente, collocandole dopo la metà di quel secolo. Occorre aggiungere che, almeno per alcune poleis di Magna Grecia, la prima fondazione fu precaria, sicché in seguito le città furono riedificate. Ciò vale per Metaponto, Napoli e altri centri costieri. Così come è necessario precisare che molte città sorsero su preesistenti abitati indigeni: nel qual caso, più che di fondazione è necessario parlare di colonizzazione.
Le correnti migratorie si distinguono a seconda delle aree di Grecia e d'Asia Minore da cui provenivano. In molti casi, però, i gruppi di colonizzatori erano di provenienza mista; in altri, in tempi successivi si sovrapponevano genti di origini differenti. A Neapolis, ad esempio, alla primitiva colonizzazione calcidese-cumana si sovrappose quella dei Rhodii, e infine quella degli Ateniesi. Schematicamente, si possono così riassumere le principali correnti migratorie:
- i Dorici, o Spartani: Taranto, Eraclea;
- gli Achei, della provincia di Acaia: Sibari, Crotone, Metaponto;
- i Calcidesi, insieme con gli Eretri provenienti dall'isola di Eubea: Reggio, Cuma, Neapolis;
- i Locresi: Locri Epizefiri;
- i Focesi provenienti da Alalia (in Corsica): Velia (Elea);
- i Samii: Dicearchia;
- I Colofoni: Siri;
- gli Ateniesi, ultimi arrivati, insieme a Panelleni: Turio e Neapolis (colonizzazione);
- I Samii, i Rhodii, i Tessali e altre genti si innestarono in misura minore alle colonizzazioni principali.
Non avvenne mai che le relazioni fra colonie e città-madri fossero di sudditanza o avessero stretti legami politici. Le colonie greche furono, fin dall'inizio, città-stato perfettamente indipendenti, che con la madrepatria mantennero rapporti solo per parentela etnica, per sentimenti religiosi e anche per interessi commerciali. Ciò differenzia il concetto di colonia del mondo greco da quello del mondo contemporaneo. Solo per le sub-colonie delle metropoli di Magna Grecia - ossia per Laos, Posidonia e Scidro rispetto a Sibari; Ipponio, Medma e Metauro rispetto a Locri; Eraclea rispetto a Taranto; Temesa e Terina rispetto a Crotone, ecc. - si può parlare di protettorato in senso moderno; ma anche questa condizione fu assai limitata nel tempo e negli effetti, tant'è che presto queste città rivendicarono una particolare autonomia, e in alcuni casi ebbero rivalità con le città-madri.

I confini di Magna Grecia sono ordinariamente fissati da Cuma a Taranto, sulle coste di Tirreno e Jonio. Ma non è da ritenersi strettamente circoscritto entro questi limiti geografici il fenomeno della colonizzazione greca in terra italica. Infatti, si ha notizia di altre postazioni greche più a nord di Cuma e nell'Apulia, e anche a settentrione di questa, lungo la costa adriatica. Tutte queste aree colonizzate non ebbero vita lunga, né una storia ben definita. Ben presto, furono sommerse dalle popolazioni indigene, dagli Etruschi e dai Sanniti a nord di Cuma, dagli Japigi-Messapi e dai Dauni in Apulia, dai Bruzii e Lucani in Calabria. Prima della colonizzazione, i territori meridionali della penisola erano abitati da popolazioni di vari ceppi etnici, non tutte di provenienza ben stabilita. A nord, nella Campania, erano gli Ausoni, od Opici, o Aurunci (che per taluni sono popolazioni diverse); più a sud, gli Enotri, poi gli ltali, i Siculi, i Coni e i Messapi-Japigi. Spesso si trattava di popolazioni di alta civiltà: avevano un'organizzazione commerciale notevole, erano riunite in città, alcune delle quali costituirono il nucleo d'origine per le poleis greche. Queste genti avevano già subìto influenze dei Fenici e forse dei Cretesi attraverso relazioni commerciali marittime. Gli stessi Greci, prima della colonizzazione, avevano intrattenuto con esse buoni rapporti commerciali. Non sappiamo come gli indigeni li accolsero al loro arrivo. Probabilmente, prevalsero le armi della dialettica, dell'astuzia e delle lusinghe; non è escluso che, in talune circostanze, i Greci migratori abbiano fatto ricorso alla dialettica delle armi, costringendo i nativi a ritirarsi all'interno.

Certo è che, in un secondo tempo, i Messapi-Japigi d'Apulia opposero una resistenza accanita ed efficace, sicché Taranto non poté allargare che molto modestamente il suo dominio nell'entroterra. Unica, vera colonia tarantina fu Callipolis. Per il resto, Tarantini e Siracusani, sotto Dionisio, riuscirono a stabilire qua e là solo alcune fattorie a base commerciale, più che colonie vere e proprie. Sembra che anche a Locri i Greci abbiano incontrato difficoltà, ma le notizie al riguardo sono incerte e confuse. In ogni modo, questi contrasti non ebbero conseguenze generali nei tempi storici, e in complesso si può dire che l'espansione colonizzatrice dei Greci si svolse dappertutto in modo pacifico e che solo nel V secolo ebbe inizio la reazione italica, dapprima con i Sanniti, poi con i Lucani e con i Bruzii.
Il fiorire del commercio tra Grecia e popolazioni settentrionali della penisola (Etruschi, Latini, Sanniti, Liburni, ecc.) si svolgeva tramite le colonie, soprattutto per mezzo delle metropoli della costa jonica. Le navi cariche di merci erano costrette a transitare per lo Stretto di Messina, ove la navigazione era difficoltosa, insidiata dai pirati Tirreni e soggetta alla volontà di Reggio e Zancle (Messina). Per questo, le metropoli di Magna Grecia ritennero conveniente attraversare l'Appennino e fondare, sulle rive tirreniche, le loro colonie, in parte utilizzando antiche città indigene. Sorsero così Ipponio, Lao, Pesto, Metauro, Medma, Scidro, Terina, e via dicendo. Le vie carovaniere lungo le quali si svolsero queste correnti commerciali utilizzarono le valli e i pianori più agevoli, evitando le impervie zone montane, e si valsero delle strozzature (istmi) che caratterizzano la configurazione geografica della penisola calabra. Nacquero le "vie istmiche", come quella percorsa dal commercio sibaritico che, a nord della Sila, univa la fertile piana di Sibari con il Golfo di Sant'Eufemia, con le sub-colonie di Lao e di Scidro, e che attraversava il Passo di Campotenese, per Lao, percorreva la valle dell'Esaro, e scendeva, per Belvedere Marittimo, verso Scidro; o come quella, più breve, che univa Locri con la sub-colonia di Metauro, nel Golfo dì Gioia, e poi con Medma e Ipponio.
I limiti geografici della Magna Grecia propriamente detta, dunque, sono compresi tra Cuma e Taranto. All'interno, una determinazione esatta dei gradi di espansione è estremamente difficile, perché variabile nei tempi e nei luoghi, e contrastata dagli autoctoni. In sintesi, sì può dire che l'effettivo territorio della Magna Grecia era limitato alle coste, alle piane e alle valli aperte. Questo stato di cose non esclude che in altre parti della penisola siano approdati i Greci, e che vi abbiano stabilito colonie e stazioni commerciali. Soprattutto l'Apulia fu terreno di penetrazione greca, e fin dai tempi più remoti: le leggende sulla fondazione delle principali poleis della Daunia, della Peucezia e della Japigia hanno chiari riferimenti con la mitologia greca, e certamente attivi scambi commerciali e di cultura si ebbero fin dall'età cretese-micenea. In ogni caso, una tesi sostiene che, per l'intera regione e per le singole città, non sì trattò di colonizzazione vera e propria, ma di un "regime misto" che addirittura non fece considerare l'Apulia come facente parte della Magna Grecia. Anche le colonizzazioni dei Dionisii, padre e figlio, furono soprattutto creazioni a scopo commerciale e strategico, e non giunsero mai ad avere un'importanza politica autonoma.
La regione di Cuma è isolata dal resto della Magna Grecia, in quanto i Greci, a nord di Posidonia (Paestum) e fino al Golfo di Napoli, non fissarono colonie importanti, e se anche qualche traccia o ricordo tradizionale di stabilimenti greci si trovano, ad esempio, nella Penisola Sorrentina, (Tempio di Athena a Punta Campanella), tuttavia nessuna località ebbe importanza politica e storica nell'ambito della Magna Grecia. I limiti della regione cumana non sono ben delineati dai corsi dei fiumi, come per lo più avviene per i territori di altre città. l'area si può considerare compresa fra il Lago di Patria e il Vesuvio. Vi sono comprese le città di Cuma, Dicearchia (Pozzuoli) e Neapolis (Palepoli o Partenope), i laghi Averno e Miseno, i Campi Flegrei. Nella stessa regione sono anche da comprendere le isole adiacenti, specialmente Pitaecusa (Ischia), che fu la prima sede dei Calcidesi, fondatori di Cuma.
Segue, verso sud, una regione nella quale prevaleva il dominio etrusco. Essa comprende la base del Vesuvio, con Ercolano, Pompei e Stabia, la Penisola Sorrentina con le città di Equae (Vico Equense) e Surrentum, il cui Capo Ateneo (Punta Campanella) è l'estremo limite del cratere, com'era chiamato il Golfo di Napoli; dal Capo Ateneo ha inizio il Sinus Posidoniate (Golfo di Salerno), con le città di Salernum, Eburi e Marcina (Vietri), fino al fiume Silaro. Sotto il dominio etrusco era anche tutto l'interno della Campania, con le città di Volturnum (Capua), Noia e Abella.
Col fiume Silaro (Sele), ha inizio il territorio greco di Posidonia (Paestum), col tempio di Hera Argiva (Heraion) presso la foce del fiume, e, qualche chilometro più a sud, la città stessa che ci ha lasciato grandiose vestigio, fra le più belle di Magna Grecia.
Come confine meridionale del territorio posidoniate si considera il fiume Solofrone, oltre il quale ha inizio il Cilento, regione montuosa compresa fra i Golfi di Salerno e di Policastro. La Punta Licosa e l'isoletta omonima separano il sinus Posidoniense da quello Veliense, e ricordano la sirena Leucosia. In fondo al Veliense, presso la foce del fiume Alete (oggi Alente), era la città di Velia o Elea, di cui ancora oggi restano rovine interessanti e suggestive. Il territorio di Velia rappresenta quasi un'isola indipendente, mentre l'intero litorale del Sele, fino al fiume Lao, e oltre, fino al Savuto, era sotto l'influenza di Sibari. Capo Palinuro separa il Veliense dal sinus di Lao, oggi Golfo di Policastro; Palinuro e la vicina Molpe erano località di origine greca, probabilmente sibaritica. La prima ricorda il nocchiero di Ulisse che, secondo la tradizione, trovò qui morte e sepoltura in un tumulo; Molpe, invece, ricorda l'omonima sirena, un'altra delle tante suicide per la delusione sofferta per l'indifferenza di Ulisse.
Proseguendo verso sud, alla foce del fiume Busento, nei pressi dell'odierna Policastro, era la città di Pixus, che i Romani ribattezzarono col nome di Buxentum. In fondo al Golfo di Policastro oggi è Sapri, ove alcuni ritengono fosse la fortezza di Scidro, colonia sibaritica; altri, però, indicano come più probabile che tale località sia da porsi molto più a sud. la cittadina di Blanda era invece tra la fiumara di Castrocucco e la Fiumarella, sulla strada per Tortora. Alla foce del Lao, era la città omonima, colonia di Sibari; proseguendo per le rovine medievali di Cirella Vecchia, era la cittadella di Cerillae, forse anch'essa colonia di Sibari, considerato confine settentrionale del Bruzio. Più a sud, fino al fiume Savuto (antico Sabato), non si trovano località di origine greca, ad eccezione di Amantea, che forse corrisponde all'antica Clampezia. Col Savuto ha inizio il territorio d'influenza crotoniate, con le città di Temesa e Terina. Tra il Savuto e la Piana di Sant'Eufemia, l'antico sinus Lametius, contornato dalla grande piana alluvionale attraversata da un'intricata rete di torrenti e fiumastri, tra i quali il fiume Amato o Lamato (antico Lametus). Con questo, e col fiume Angitola, a sud, ha inizio la zona d'influenza locrese, con le città di Ipponio (Vibo Valentia), Medma (Rosarno) e Metauro o Matauro (Gioia Tauro). La Statale 18 tocca le tre località discostandosi dal mare, ma tutto il promontorio Taurianum, con Capo Vaticano, compreso fra i Golfi di Sant'Eufemia e di Gioia, è regione di ricordi mitici e di ritrovamenti archeologici. Lungo la costa, presso Tropea, doveva essere il Porto di Ercole ricordato da Plinio. All'interno, l'importante necropoli sicula di Torre Gallo, scoperta dall'Orsi nel 1922.
Presso Metauro sfocia il fiume Petrace (antico Metauro), che segnava il confine tra i territori locrese e reggino. Tra Gioia e Palmi doveva essere il Porto di Oreste, pure ricordato da Plinio; più a sud, all'imboccatura dello stretto di Messina, è la rupe di Scilla, che Anassilao di Reggio fece fortificare quale postazione strategica per la difesa contro le incursioni dei pirati Etruschi. Sulla punta della penisola, sul luogo della città moderna, sorgeva Reggio, col territorio stretto sotto l'Aspromonte e limitato sui due mari dal territorio nemico di Locri. Come confine jonico tra Reggio e Locri è citato dagli antichi autori il fiume Halex, che verrebbe identificato con l'odierna fiumara di Melito o con quella di Amendolea. Nell'interno, sull'area in cui sorge Condofuri, vi sarebbe stata la città di Peripolio, colonia locrese. Più a nord di Locri, il torrente Torbido è per lo più ritenuto corrispondente al fiume Sagra, ove si sarebbe svolta la celebre battaglia tra Locri e Crotone, nel VI secolo. Il Capo Spartivento è il promontorio Herculeum: in questo territorio è Locri, le cui rovine iniziano sulla Statale Jonica, a tre-quattro chilometri dall'odierna Locri Marina, e proseguono all'interno. Il Sagra costituiva il confine tra i territori di Locri e di Caulonia.
Rientriamo così nell'area d'influenza crotoniate. La città di Caulonia era situata intorno alla collina di Capo Stilo (faro), l'antico promontorio Cocynto. I resti delle mura della città sono visibili all'interno, la base del tempio di Apollo è sulla spiaggia. Più a nord, il vallone Galliporo corrisponde forse al classico Elleporo, ove ci fu la battaglia vinta da Dionisio I contro la lega italiota.
Da Capo Stilo la costa prende una direzione nord, contornando il Golfo di Squillace, sinus Scyllaceus, dalla omonima città greca che si ritiene sia nell'area; tra questo golfo e quello tirrenico è compresa quella parte più stretta della penisola calabra che all'epoca era percorsa dalla via istmica più corta. Attraverso questa regione, secondo Strabone, Dionisio avrebbe eretto un vallo di difesa contro le incursioni lucane. Nel sinus Scyllaceus, oltre l'Elleporo, sfociano i fiumi Cecino, Crotalo, Semiro, Aroca e Targina, oggi chiamati rispettivamente Ancimale, torace, Simeri, Crocchio e Tacina; quest'ultimo costituiva forse il confine tra il territorio di Caulonia e quello propriamente crotoniate. Più in là, il gruppo dei promontori japigi (Capo Le Castella, Capo Rizzuto, Capo Limiti) chiude l'arco di Squillace. Segue il promontorio Lacinio (Capo Colonna), con i superstiti resti del tempio di Hera.
Crotone, potente metropoli greca, è sul luogo dell'attuale città, alla foce del fiume Esaro. Il suo territorio, prima del 510 a.C., forse era limitato a nord dal fiume Neto, poi" la regione seguente' con le città di Petelia, Crimisa e Macalla, era probabilmente sotto il dominio di Sibari; ma, con la distruzione di questa città, il territorio sotto il controllo di Crotone si estese fino a comprendere l'intera Sibaritide. le tre città sopradette erano unite da un'unica leggenda, che le diceva fondate ad opera di Filottete, e l'intero territorio, dal Neto a Punta Alice (Promontorio Crimiso) era ricordato come il teatro delle ultime gesta di questo arciere, capo dei Tessali. Petelia sarebbe stata al posto dell'odierna Strongoli, per quanto altri la vogliano più a sud, a Petilia Policastro; Crimisa al posto di Cirò; nessuna notizia di Macalla. Coi promontorio Crimiso si apre il vasto Golfo di Taranto, ultimo sinus di Magna Grecia. Coi fiume Ilia (odierno Fiumenicà) aveva inizio il territorio di Sibari, l'altra grande metropoli greca, e il fiume Traente (oggi Trionto) è ricordato nella storia per la battaglia tra Crotone e Sibari e per la città di Sibari sul Traente, fondata circa nel 440 a. C. dai discendenti dei Sibariti superstiti. A Castiglione di Paludi, tra Rossano e Cropalati, sono emerse rovine di Sibari sul Traente (ma l'identificazione è controversa).
La Jonica 106, dalla stazione di Rossano prosegue per Corigliano, mantenendosi sul dorso collinoso; ma un altro ramo della stessa strada èparallelo, più a valle: e le due strade confluiscono nell'attuale paese di Sibari. La prima passa attraverso i luoghi in cui sorgevano Sibari e Turio (questa città erede della prima), attraversando i fiumi Crati e Coscile (antico Sibaris); la seconda, più vicina al litorale, attraversa il Crati già riunito al Coscile, nelle vicinanze dei resti della romana Copia. l'ampia valle dei Crati è sede di Sibari, la più nobile polis dell'area, e la più ricca, grazie a un'ogricoltura rigogliosa e a traffici intensissimi.
A nord del Crati, la Jonica corre parallelamente alla ferrovia, lungo il litorale, fino alla piana formata dalla foce del fiume Siris (oggi Sinni); sulla sinistra di questo corso d'acqua, sorgeva la città di Siri, ricca per'la fertilità del suolo (la Siritide), compreso fra il Siris e l'Akiron o Aci-rius (oggi Agri). Nel territorio sorse, nel V secolo, Eraclea, colonia ta-rantina, situata nella zona dell'odierna Policoro. Dopo la suo distruzio-ne, pare che Siri sia risorta come Porto di Eraclea. Una strada che parte da Policoro e sale verso l'interno porta all'antica chiesa di Santa Maria, ex cattedrale di Anglona, cittadina medioevale oggi scomparsa, che sorgeva su una collina. Un tempo, proprio da questa collina dominava la città greco di Pandosia, di origine italica, da non confondere con l'omonima città bruzia, che si trovava invece nell'Alta Valle del Crati.
Attraversato l'Agri, la Jonica supera il fiume Covone (che i Greci chia-marono Acalandro), poi il Basento (antico Casuento), ed entra nella re-gione Metapontina. Metaponto era più verso la spiaggia, e i resti su-perstiti (Tempio di Apollo Liceo, teatro, necropoli, un breve tratto di mura) sono sulla destra della strada. Il Tempio delle Tavole Palatine era fuori del recinto della città, e le sue rovine emergono suggestive accanto alla strada, nelle vicinanze del ponte sul fiume Bradano.
E col Bradano si entra nella regione Tarantina. L'antica città greca occupava lo stesso luogo dell'attuale; era, cioè, nella penisoletta compresa fra il Mar Piccolo e il Grande, con l'acropoli dislocata sulla sommità del colle che dominava all'estremità della penisola stessa. Oggi, il quartiere vecchio di una città in continua espansione ha preso il posto dell'acropoli. Naturalmente, il canale navigabile che oggi separa la città vecchia dalla nuova, ai tempi di Taranto greca non esisteva (fu aperto, infatti, nel 1490), e la comunicazione fra i due mari era possibile solo attraverso il canale naturale che divide la punta della penisola dalla terraferma. Il Mar Piccolo costituiva il vero porto di Toras, prezioso ricovero per le flotte mercantili e militari. E qui culminava la Magna Grecia, poiché ad un'ulteriore espansione in Apulia, come abbiamo detto, gli Japigi-Messapi opposero sempre una strenua resistenza.
Dalla seconda metà dell'VIII secolo a tutto il VII si susseguono le colonizzazioni e le sub-colonizzazioni. Ma di tutto questo periodo non possiamo conoscere che quanto ci viene tramandato dalla letteratura classica, in buona parte un misto di fantasia poetica e di leggende mitologiche, da cui l'opera critica degli studiosi, con l'ausilio del ritrovamenti archeologici, può ricavare un quadro approssimato sulle fondazioni delle città, sulle condizioni di civiltà e sulle vicende delle genti di Magna Grecia.
E' solo col VI secolo che si cominciano a distinguere avvenimenti ben differenziati. La storia di questo secolo è caratterizzata, infatti, dalle guerre che le poleis, antagoniste per rivalità commerciali o politiche, combatterono fra di loro. La prima fu quella condotta da tre città achee, Sibari, Metaponto e Crotone, contro la jonica Siri, un conflitto che si concluse con la distruzione di Siri e la spartizione della Siritide fra Metaponto e Sibari. Forse verso la metà del secolo ci fu la guerra fra Crotone e Locri. Delle due, Crotone era indubbiamente la più forte, più ricca e meglio armata; ma Locri, grazie al valore dei suoi soldati e dei suoi capi, ebbe la meglio e ne uscì notevolmente rinvigorita. La sconfitta segnò, per Crotone, una stasi di accrescimento, e da questa esperienza scaturì una reazione psicologica, stimolata anche dalla predicazione pitagorica. la città si riprese, tanto da affrontare la guerra contro Sibari. Questo conflitto ebbe origine da divergenze politiche, oltre che da ambizioni di possesso territoriale: infatti, mentre a Crotone vigeva un regime aristocratico, permeato dalle severe concezioni filosofiche di Pitagora, a Sibari la straordinaria ricchezza e un rilassamento dei costumi avevano portato a un regime demagogico e, infine, alla tirannide. Rapida e violenta, la guerra si concluse con la vittoria dei Crotoniati e la distruzione, almeno parziale, di Sibari. le conseguenze dell'immane scontro furono rilevanti per Crotone che, giunta al pieno possesso della ricchissima Sibaritide, acquistò prestigio e potenza. Dopo questo periodo di guerre interne, alla fine del VI secolo, si cominciò ad aver notizia dei rapporti di Magna Grecia con le nazioni confinanti. Forse, crescendo il potere delle poleis, esse mettevano in pericolo gli interessi di popoli vicini. Il confinante di maggior rilievo, naturalmente, era il popolo etrusco, che, dall'inizio del secolo, era padrone di Capua e premeva contro il territorio cumano per estendere il possesso sull'intera area campana. Cuma, allo scadere del secolo, si oppose validamente e anzi, con Aristodemo il Malaco, passò all'offensiva. Ma la caduta definitiva del potere etrusco in Campania si ebbe solo nel V secolo, in seguito all'intervento siracusano.
Anche all'estremità opposta, cioè a Taranto, i Greci dovettero combattere contro gli autoctoni, gli Japigi-Messapi. Questo scontro pare abbia avuto inizio verso la fine del VI secolo, mentre la fase culminante si ebbe nella battaglia del 471, quando le forze alleate di Taranto e di Reggio subirono una grave sconfitto. Solo in seguito Taranto ebbe una rivincita, ma la sua penetrazione in Puglia fu difficoltosa e limitata.
La storia del V secolo è più ricca di vicende e conosciuta con maggior precisione. Alla caduta della potenza etrusca in Campania fece seguito l'invasione dei Sanniti, i quali, conquistata Capua nella secondo metà del secolo, si infiltrarono nel territorio di Magna Grecia, assorbendo nella loro civiltà parecchi centri. Come conseguenza dell'avanzata sannitica in Campania, si ebbe la comparsa delle genti lucane. Questa stirpe è da considerarsi più che altro derivata da tribù sannitiche staccatesi dal ceppo originario: non è chiara l'origine del loro nome, e meno che mai quella del distacco dal gruppo etnico. Verso la fine del V secolo tutta la costa tirrenica, fino al fiume Lao, cadde in potere del Lucani. Quanto alle vicende delle singole poleis in quest'epoca, tra esse emersero soprattutto Reggio e Crotone. La prima ebbe un momento di forte sviluppo all'inizio del secolo, quando osò contrastare la potenza di Siracusa, alleandosi con i Cartaginesi; e per la prima volta Cartagine venne a contatto con la Magna Grecia. Ma il tentativo ambizioso di Reggio fallì, la sua politica egemonica dovette ripiegare. Anche Crotone registrò potenza e floridezza, ma, sulla metà del secolo, a causa della rivolta antipitagorica, attraversò una crisi interna che avviò la decadenza. Tanto a Reggio che a Crotone i governi ebbero carattere democratico; lo stesso regime di Archita, a Taranto, fu permeato di spirito democratico, e la città ne trasse ricchezza e prestigio. Sempre nella seconda metà del V secolo si ebbero nuove fondazioni: Turio, Sibari sul Traente, Eraclea, conseguenza dell'incerta situazione in cui quella zona jonica si trovava fin dalla scomparsa di Siri e di Sibari. Le nuove città svolgeranno un ruolo non indifferente nella storia di Magna Grecia.
All'inizio del IV secolo un nuovo pericolo esterno, forse il più grave, minacciava la Magna Grecia: le mire espansionistiche di Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa. Prima e diretta rivale, Reggio, che venne distrutta e che, pur risorta, non ebbe mai più un ruolo di primo piano nella scena politica. Le altre poleis, intuito il pericolo, crearono la Lega Italiota, unico episodio di "solidarietà nazionale" in Magna Grecia. La lega fu battuta, ma ottenne ugualmente un risultato: Dionisio, in segno di rispetto, tenne nei confronti delle città vinte un atteggiamento ben diverso da quello, durissimo, avuto nei confronti di Reggio. Ciò gli accattivò le simpatie delle poleis, che si sottomisero alla potenza siracusana; ma in questo modo si spense anche l'unica possibilità di un'unificazione nazionale, cui evidentemente lo spirito greco delle città-stato non era portato.
Verso la metà del secolo, in Calabria e in Lucania si affermò la minac-ciosa potenza del Bruzii, popolo sorto dalla fusione fra tribù lucane di-scendenti dalle genti originarie di Calabria, staccatosi dal ceppo origi-nario, resosi indipendente e unito in una confederazione attiva e batta-gliera. Sede, forse, la Sila, ove conduceva una vita rude, dedita dappri-ma alle razzie e al brigantaggio, e, in seguito, a vere e proprie spedi-zioni militari. L'avanzata delle forze bruzio-lucane subì arresti e arretramenti temporanei per l'arrivo di duci stranieri, chiamati in Italia da Taranto: Archidamo, re di Sparta, e Alessandro il Malosso, re dell'Epi-ro, intrapresero con successo un'azione a vasto raggio. Ma furono vit-torie di breve durata: entrambi trovarono la morte in guerra, e tutto tornò come prima. Alla fine del secolo la potenza finanziaria di Taranto richiamò Cleonimo, principe spartano, che fermò l'avanzata di Bruzii e Lucani. Ma ormai il IV secolo rivelava il declino dei l'indipendenza e del-la potenza delle poleis di Magna Grecia, provocato anche dal prevalere delle popolazioni di discendenza sannitica e indigena, che esercitavano pressioni inesorabili, e dall'ingerenza siracusana che applicava il principio del divide et impera. Disaccordi e gelosie fra le città fecero il resto. A questo punto, si affacciò la potenza di Roma, che prevalse sui Sanniti. Dall'inizio del III secolo, le poleis cessarono di essere protagoniste delle vicende storiche nell'area meridionale della penisola. Superstiti attori, i Siracusani, con Agatocle. Fino a che, nel 281, ebbe inizio la grande lotta fra l'ultima potenza greca, quella di Taranto, e Roma, con l'arrivo di Pirro, re dell'Epiro.
Dopo la caduta di Taranto (272) e fino all'arrivo di Annibale (seconda guerra punica), le poleis vissero all'ombra di Roma, con una certa autonomia amministrativa. Con la prima guerra punica, che si svolse in Sicilia, Magna Grecia fu base logistica di Roma, cui i Greci delle poleis insegnarono l'arte di navigare, consentendo all'Urbe le vittorie di Milazzo, di Ecnomo e delle Egadi. Curioso che fosse un altro greco, Santippe di Sporta, ad insegnare invece ai Cartaginesi l'arte della guerra terrestre, portandoli alla vittoria contro Attilio Regolo. Dopo la sconfitta di Canne (216), quasi tutte le poleis caddero sotto il dominio cartaginese. Metaponto fu addirittura il quartier generale di Annibale. Alcune città erano state sottomesse con la forza, come Petelia. Altre avevano accolto spontaneamente il condottiero cartaginese, e al momento della riconquista subirono la vendetta romana.
Nel 202 la grande battaglia dì Zama segnò il tramonto di Annibale e la fine della seconda guerra punica, insieme con l'inizio della romanizzazione dì Magno Grecia. Quasi tutte le città ebbero la qualifica di confederate, con condizioni diverse. Decaddero autonomia politica e commerci internazionali. Poi venne la colonizzazione vera e propria, avviata da Scipione. Alcune colonie furono impiantate con nuove fondazioni, altre furono stanziate nelle stesse città, magari con nome cambiato. Dapprima si trattò di colonie militari, poi si accentuò il carattere agricolo. infine, della gloria greca rimase solo il ricordo, insieme con la cultura, che Roma rapidamente assimilò.

I protagonisti

Senofane. Uno dei tre grandi della scuola filosofica di Elea. Nato a Colofone, in Asia Minore, nella primo metà del VI secolo, peregrinò per il mondo greco, e da vecchio si fermò ad Elea. Poeta, esprimeva i suoi pensieri filosofici, appunto, in forma poetica, recitando secondo la tradizione degli aedi, come si dice facesse Omero; ma con il pensiero era avverso ad Omero, specie in campo religioso, ove contraddiceva la concezione antropomorfa della divinità con le sue conseguenze immorali. Alla corrente ideologica, ne contrapponeva un'altra, più elevata e assoluta, che se non affermava appieno il monoteismo, quanto meno lo presupponeva. Fu antagonista delle dottrine di Pitagora, di cui derideva il concetto di trasmigrazione dell'anima; opponeva al dualismo pitagorico fra mondo e spirito un concetto di Unità (Uno è il mondo - uno lo spirito - il mondo è lo spirito).
Parmenide. Sarebbe stato discepolo di Senofane. Incerta la dato della suo nascita, certo fu più giovane del maestro. è considerato il vero fondatore della scuola eleatica, e la critica moderna lo pone al di sopra di Senofane. La suo opera è condensata in un poema, intitolato posteriormente Della natura. Per dottrina, si distaccò dal maestro, spesso contraddicendolo. Fondamentale la sua concezione dell'essere e del non essere. Meno avverso al pitagorismo, fu anello di collegamento fra Pitagora e Senofane. Riteneva fallace ogni sensazione, e considerava la verità raggiungibile solo con la ragione. Fu anche matematico e legislatore, oltre che astronomo.
Zenone. Amico e discepolo di Parmenide. Nato ad Elea, forse al principio del V secolo, venne ucciso fra tormenti atroci per aver congiurato contro Nearco, tiranno della città. Fu matematico e filosofo di gran fama; difese il monismo, caratteristica fondamentale della filosofia eleatica, contrapposto al dualismo pitagorico. Ciò portò la Scuola alle concezioni più trascendentali, mentre quella pitagorica restò ancorato alla vita pratica con le sue discipline e regole di vita morale e virtuosa. Continuatore della Scuola di Elea fu Melisso di Samo, fiorito intorno al 440 a. C.
Stesicoro. Si ritiene che sotto questo nome si debbano distinguere almeno due artisti diversi. Il primo, più arcaica, nativo di Matauro, morto a Catania, vissuto fra il VII e il VI secolo; il secondo, figlio di Euclide, ecista di Imera, qui nato e morto, vissuto fra il VI e il V secolo. La collisione fra i due era completo già negli antichi autori. In generale, si cita come personaggio unico per esposizione sommaria. La suo opera è ambientata in Sicilia e in Magna Grecia. La suo scuola fu proseguita da Ibico e collegato con quella poetico-musicale di Locri. Ebbe fama di grandissimo poeta e innovatore dell'arte. Argomenti delle sue opere, vicende, eroi, episodi dell'età mitica: la caduta di Troia, le avventure di Eracle, Elena, Oreste, Enea... Pur rifacendosi agli antichi racconti, egli li rielaborò con grande fantasia, insistendo in particolare sui fatti che avevano avuto come teatro la Sicilia e la Magna Grecia. Si ritiene che l'insieme delle sue opere costituisse una raccolta di ventisei libri. La sua arte fu una trasposizione lirica della poesia epica.
Clearco. Scultore reggino citato da Pausania, che descrive la sua statua bronzeo di Zeus che ornava il tempio di Athena a Sparta. Sarebbe stata la prima scultura in bronzo della storia, con i pezzi modellati separatamente, sbalzati a martello, uniti insieme con i chiodi. Sarebbe stato attivo fra la metà del VI e l'inizio del V secolo. Suo maestro, il corinzio Eucheiros, che si ero stabilito in Etruria. Influì notevolmente sull'arte greco in Italia, con differenze di stile riscontrabili soprattutto nelle terrecotte ritrovate a Medma (Rosarno). Del resto, certi bronzi di Locri e le metope dell'Heraion sul Sele mostrano la presenza di una scuola italiota con caratteristiche proprie, e comunque diverse da quelle dell'arte greca propriamente detto.
Pitagora. Scultore, nato a Reggio o a Samo, allievo di Clearco, e più del maestro ammirato nel mondo greco. Gli antichi citano moltissime opere, tutte in bronzo, commissionate da città greche, e perfino da Cirene. Attivo, forse, tra il 490 e il 440 a. C.. Nella sua arte si riscontrerebbe un primo passo verso il verismo che si svincola dalle concezioni formali della scultura più arcaica. Si dedicò principalmente alla raffigurazione del corpo umano, soprattutto degli atleti. Fu elogiato per la capacità di riprodurre i minimi particolari anatomici.
Glauco. Storico, vissuto tra la fine del V e il principio del IV secolo. Autore di un'opera celebre sugli antichi musici e poeti. Se ne conservano pochi frammenti, nei quali si accenna a Stesicoro e ad Empedocle.
Lico. Visse nel IV secolo, e fu anche in Egitto, presso la corte di Tolomeo. Più che storico, è considerato storiografo, cioè ricercatore ed espositore di curiosità, leggende, usi, costumi. Scrisse un libro sulla Libio, uno o più libri sulla Sicilia e sulla Magna Grecia, un'opera dedicata ad Alessandro il Molosso e alla sua compagna in Italia.
Ippi. Storico reggino, spesso confuso con altri autori (Ipparchide o Ipponatte). C'è chi lo considera il più antico storico di Magna Grecia. Ci sono pervenuti scorsi frammenti che trattano della fondazione di poleis in Magna Grecia e della storia della Sicilia.
Ibico. Poeta reggino della seconda metà del secolo VI. Aristocratico, fu forse di stirpe messenica. Considerato continuatore di Stesicoro. Partì presto, perché inadatto alla politica e alla disciplina morale e religiosa che, in Magna Grecia, permeava la cultura del tempo. Si trovò a suo agio nella sfarzoso e corrotta corte di Policrate di Samo, dove erano benevolmente accolti letterati e scienziati, tutti di indole non certo austera. Gli fu compagno Anacreonte. Dei sette libri di poesia che costituivano la suo opera, sono rimasti significativi frammenti. Viaggiò a lungo in Grecia e in Italia. Una leggenda sulla sua morte lo vuole ucciso da briganti.
Senocrito. Fondatore e capo della scuola poetico-musicale di Locri, noto per le molteplici citazioni che di lui fanno Plutarco, Pindaro, Callimaco, Glauco e altri. Autore di peana, carmi eroici e iporchemi. Visse nel VII secolo, forse anche a Sporta, quale continuatore del cretese Taleta, primo compositore di iporchemi. Della scuola locrese si citano anche altri autori. Erasippo, Mnasea e la poetessa Teano.
Nosside. Vissuta dalla seconda metà del IV alla prima metà del III secolo. Rimangono, di lei, gli epigrammi raccolti nell'Antologia Palatina, forse piccola parte della sua produzione poetica, raccolti da Menelagro nella suo Corona. Esprimeva l'amore in canti appassionati. Alcuni epigrammi sono di contenuto eroico, in onore dei suoi compatrioti che combatterono i Bruzii.
Echecrate. Filosofo pitagorico locrese del IV secolo, discepolo di Archita e amico di Aristosseno. Forse coinvolto in una congiura contro Dionisio I e condannato a morte, si sarebbe salvato per l'intervento di Platone. Cacciato da Locri e riparato a Fliunte, nel Peloponneso, presiedette una scuola filosofica. E' l'interlocutore di Fedone nel dialogo di Platone che narra della morte di Socrate.
Alcmeone. Versato in varie scienze, fu soprattutto medica e astronomo. Nato a Crotone verso la metà del VI secolo, conobbe e frequentò Pitagora, alla cui dottrina avrebbe dato spunti originali e precursori. Il ricordo della sua opera di scienziato e delle sue speculazioni filosofiche è giunto a noi attraverso vari autori, compreso Aristotele. Tutte le sue ricerche erano basate sul principio sperimentale. Si considera il padre dell'anatomia umano; scoprì la circolazione del sangue, distinse le arterie dalle vene, indicò il cuore come propulsore della circolazione, eseguì sperimentazioni sui sensi, intuì la dipendenza delle sensazioni dal cervello, parlò dell'immortalità dell'anima. Nelle concezioni astronomiche e cosmologiche si rifece agli jonici e a Talete, dal quale, forse, trasse le considerazioni sulle fasi lunari.
Democede. Medico-chirurgo crotoniate della secondo metà del VI secolo. Ebbe vita avventurosa. Si stabilì ad Egina, poi ad Atene, poi ancora a Samo. Prigioniero del Persiani, fu portato alla corte di Dario, dove acquistò gran fama. Fuggito a Taranto, fece ritorno a Crotone. Queste vicende sono narrate da Erodoto. Fu ardente seguace di Pitagora. Fu soprattutto un teorico della scienza e un capo-scuola che insegnò una particolare dottrina che sconfinava nella filosofia.
Pitagora. Nato a Samo nella prima metà del VI secolo, giunse a Crotone tra il 532 e il 530. Subito dopo la caduta di Sibari, si trasferì a Metaponto. Forse viaggiò in Egitto e in Oriente. Fece della matematica e dei numeri un fondamento filosofico e religioso, impregnato di simbolismi. Fu il primo ad elevare l'aritmetica al valore di scienza matematica. La soluzione di molti problemi di geometria razionale è assegnata alla sua scuola; e a lui è attribuito lo studio dell'altezza dei suoni in relazione alla lunghezza della corda vibrante (lira monocorde). Da questi studi, Aristosseno prese lo spunto per le sue leggi sull'armonia. Difficile distinguere la sua dottrina da quella dei suoi discepoli. Trasmise oralmente i suoi principi, che volle segreti, fino a Filolao. Formò una classe di eletti che ebbe presto influenza nel governo della città e applicò il pitagorismo al governo della cosa pubblica.
Filolao. Crotoniate, fuggito a Tebe, fu maestro di Epaminonda. A tarda età forse tornò in Italia, a Taranto, ove si sarebbe recato anche Platone, per ascoltare le sue lezioni. Propagandò la dottrina di Pitagora, svelandone per primo i segreti. Avrebbe scritto numerose opere, di cui ci sono pervenuti solo frammenti. Il suo pitagorismo sostenne la tesi della sfericità dell'universo e di tutti i suoi elementi, ruotanti intorno a un centro di fuoco. L'evoluzione di questa teoria, con gli studi e le scoperte di Ekphantos di Siracusa, di Eudoxo di Cnido e di Aristarco di Sama, èconsiderata precorritrice della teoria eliocentrica di Copernico.
Alessi. Poeta e commediografo di Turio, vissuto nel IV secolo in gran parte ad Atene. Nelle sue opere, frequente, Il richiamo alla Magna Grecia. Giunti a noi pochi frammenti a tema satirico dei costumi e delle odee del tempo.
Zeusi. Pittore di Eraclea, della prima metà del IV secolo. Svolse l'attività artistica a Crotone, forse anche in Sicilia, scolaro di Demofilo d'Imera. Giovane, si trasferì ad Atene, poi alla corte macedone di Archelao. Di lui parlarono Plinio, Luciano, Quintiliano e Aristotele, concordando nel riconoscergli grande valore e perizia nell'arte pittorica.
Timòteo. Celebre medico metapontino della seconda meta del V secolo. Riteneva che tutte le malattie avessero causa fondamentale nel cervello, e questa teoria lo collega alla scuola di Crotone, ricordando la tesi di Alcmeone che indicava il cervello come sede delle sensazioni e delle funzioni psichiche.
Archita. Nato a Taranto nel 430, morì verso la metà del IV secolo. Filosofo, matematico, scienziato, statista, stratega, legislatore, moralista, suscitò ammirazione in tutto il mondo greco. Molto aveva assorbito del pitagorismo. Fondatore della meccanica scientifica, ideatore della vite, della puleggia, del cervo o colomba volante, fu teorico musicale, condusse studi sull'acustica, studia le progressioni e fu primo a distinguere fra progressioni aritmetiche e geometriche. Occupò per sette volte la carica di stratega, tenne buone relazioni con Siracusa, ove agevolò i contatti con Platone, che salvò dalle ire di Dionisio I. Aristotele fu entusiasta della sua opera di legislatore, improntata all'equità e alla moderazione.
Aristosseno. Tarantino, iniziato all'arte musicale, musicologo tenuto in gran conto anche dagli studiosi moderni. Ci sono pervenuti molti frammenti di ricerche scientifiche sui suoni e sui ritmi. Fu anche filosofo e moralista permeato di dottrina pitagorica. Fu sostanzialmente l'ultimo del pitagorici. Dimorò ad Atene, discepolo apprezzato da Aristotele.
Liside. Filosofo tarantino, insieme al compatriota Archippo scampò al massacro dei pitagorici della metà del V secolo. Si stabilì a Tebe, dove fondò una scuola filosofica, poi continuata da Filolao. In vecchiaia, fu maestro ed educatore di Epaminonda, il gran tebano che portò la sua città alla supremazia fra le nazioni greche.
Leonida. I suoi epigrammi ci sono giunti attraverso l'Antologia Palatina. Vissuto nel III secolo, poetò sulle imprese belliche dei tarantini contro i lucani; vagò poi per l'Epiro e per la Grecia, componendo epigrammi dedicatori e sepolcrali con versi estremamente raffinati, con un perfetto stile intriso di malinconia e di nostalgia per la patria lontana.
Rintone. Autore celebre di commedie che trasformavano le tragedie classiche fino alla burla. Le sue "ilarotragedie" forse si ispirarono allo stile fliacico popolare. Visse nel III secolo in Taranto, fu quasi contemporaneo di Nosside, la poetessa locrese che lasciò un epigramma in suo onore. Di lui, ci sono rimasti pochi frammenti.


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