§ L'INCHIESTA - IL TRATTATO DI SINISTRARI

Demonialità




Luigi Malerba



Il peccato di demonialità, scrive il frate Ludovico Maria Sinistrari, consultore del Santo Uffizio nella seconda metà del Seicento, si commette con la fornicazione, il culto e l'ossequio resi al demonio e con un patto di associazione con lui. Ma succede talvolta che si abbia solo un rapporto carnale con incubi e succubi demoniaci, senza apostasia; e in questo caso non c'è empietà, che è peccato gravissimo, ma nemmeno si tratta di semplice bestialità, che èpeccato più leggero. Per ammissione di tutti i teologi, afferma Sinistrari nel suo trattato Daemonialitas, il congiungimento carnale col demonio è assai più grave che quello con gli animali, tenuto conto che per quest'ultimo la dottrina non stabilisce scale di gravità.
Ma conviene, dopo aver distinto il peccato di demonialità da quello di bestialità, procedere oltre nella lettura e discernere i vari ordini di peccato indotti dal commercio con il demonio. Le distinzioni specifiche non sono di poco rilievo, perché il trattatello del Sinistrari (autore tra l'altro di un Formularium criminalis e di un manuale De delictis et poenis) è uno dei testi di cui si serviranno i tribunali dell'Inquisizione per stabilire, in base alla gravità dei peccati, l'entità delle pene da infliggere ai peccatori. In risposta agli increduli che negano la presenza fisica del demonio, l'autore non risparmia le sue repliche sarcastiche, che tra l'altro allargano le nostre modeste prospettive su quei peccati storici e sulle loro varianti: "Non manca qualche saccente che nega quanto hanno scritto i più autorevoli trattatisti e quanto risulta da esperienza quotidiana: cioè che il demonio, sia incubo o succubo, si congiunge carnalmente non solo con esseri umani, ma anche con animali". Come testimonia pure il frate ambrosiano Francesco Maria Guaccio nel suo Compendium maleficarum, pubblicato a Milano nel 1608, il demonio più di una volta alle donne ha mostrato di preferire le puledre. Se queste consentono al rapporto carnale, egli "intreccia le loro variegate criniere con nodi di bizzarra e inestricabile ingegnosità; se invece lo respingono, le maltratta e le percuote, le fa deperire e infine le uccide, come risulta dalla esperienza quotidiana". Ma in questi casi di effrazione demoniaca non si possono mandare sul rogo le innocenti puledre, e i diavoli ovviamente sfuggono alla cattura. Di conseguenza, il trattato prende in considerazione solo le unioni carnali del demonio con un essere umano, ossia con le maghe, i maghi e le streghe, oppure con persone estranee a qualsiasi sortilegio. Nel primo caso, l'unione col demonio avviene durante i sabba notturni dopo una promesso indissolubile, il famoso patto col diavolo, con cui le streghe o i maghi si pongono al suo servizio. Per mezzo di una complessa cerimonia, questi "esseri nefandi" gli rendono solennemente omaggio e vassallaggio "tenendo la mano su qualche libro di colore nerissimo". Quando invece si volge alla seduzione di donne estranee alla stregoneria, il demonio mette in atto i suoi più sottili artifici, sollecitandole all'amplesso con preghiere, lacrime, carezze, regali, proprio come un innamorato travolto dalla passione.
Resistentissimi agli esorcismi ed esperti di ogni malizia amorosa, questi diavoli compaiono alle donne oneste sotto gli aspetti più allettanti. E' il caso di un demonio che si era presentato in pieno giorno a una giovane donna di nome Girolama, della parrocchia di San Michele a Pavia (dove il Sinistrari prestava servizio alle dipendenze del cardinal Caccia), "nella figura di un paggio o di un amino bellissimo dalle chiome rutilanti e ricciute, barba bionda e splendente come oro, occhi azzurri come il fiore di lino, passo maestoso e abito spagnolesco". Girolama resiste a tutte le blandizie, ma il diavolo non si dà per vinto, la sorprende di notte mentre si trova nel letto con il marito e la scongiura strenuamente di farlo giacere con lei. Girolama ancoro una volto lo respinge con fermezza, e il diavolo per vendetta innalza tutto intorno al letto, fino all'altezza del baldacchino, un muro tirato su con lastre di ardesia, di quelle usate dai Genovesi nella loro città e in tutto la Liguria per coprire i tetti delle case, tanto che i due sposi dovettero usare una scala se vollero uscirne.
Teologi e filosofi, scrive Sinistrari, concordano nell'ammettere che dall'unione di un essere umano con un demonio talvolta nascono dei figli. E questi "risultano naturalmente grandi, robustissimi, crudelissimi, superbissimi e pessimi". Fra gli uomini pessimi nati da unioni demoniache sarebbero Romolo e Remo, Servio Tullio, sesto re di Roma, Platone, Alessandro Magno, Seleuco, re di Siria, Scipiane l'Africano, l'imperatore Cesare Augusto, il condottiero greco Aristomene di Messenia e MerIino, figlio di un incubo e della figlia monaco di Carlo Magno. Il teologo Malvenda attribuisce la medesima origine diavolesca anche al "dotatissimo eresiarca" Martin Lutero.
Dal momento che sono abili a generare figli, il Sinistrari si domanda quale sia la consistenza fisica dei diavoli, quale sia la forma dei loro corpi e se le varie membra siano rette da un ordine essenziale come negli animali, ovvero da un ardine occidentale "come nei corpi dei fluidi: olio, acqua, nubi, fumo, eccetera".
Grave interrogativo, al quale il frate inquisitore non può dare una risposta del tutto soddisfacente e certo per mancanza di esperienza diretto; ma ètuttavia in grado di fissare alcuni punti fermi. Per esempio che, sia pure nella trasparenza e sottigliezza della materia che li compone, essi diavoli siano del tutto simili all'uomo. Da questa affermazione congetturale, confermata anche dalla dottrina, l'autore deduce che "il piede non deve essere contiguo alla testa né la mano al ventre, bensì ogni membro sarà disposto in ordine e coerenza per poter esplicare idoneamente la propria funzione". Il sottinteso è evidente, anche se non esplicito, dal momento che costoro devono essere atti a generare: "Affermo la necessità che alcune parti del loro corpo siano più consistenti, altre meno, altre fini, altre finissime, secondo la necessità di azioni dell'organo stesso". I mostri dei bestiari medievali, ben presenti alla mente dei Sinistrari, sono sterili nella loro difforme unicità.
Altri inquieti interrogativi si pone il trattato. Se questi diavoli di cui l'esperienza quotidiana ha accertato la presenza nelle città e nelle compagne, siano soggetti a malattie o ad altre imperfezioni di cui soffrono gli umani, come ignoranza, paura, accidia, iracondia, eccetera. Se sentano stanchezza e necessitò di dormire, mangiare, bere. Se siano soggetti alla morte e se possano venire uccisi da animali o dall'uomo o se possono morire per cause accidentali. Se i corpi sottili dei demoni possano penetrare altri corpi, come pareti in muratura, metallo, legno, eccetera. Il Seicento è il secolo del grande balzo scientifico e il Sinistrari risponde all'ultimo interrogativo facendo appello alla scienza: "In tutti i corpi, per compatti che siano, ci sono dei pori; con un microscopio ben perfezionato si scorgono i pori dei metalli con le loro diverse forme", e perciò i demoni, attraverso questi sottilissimi pertugi, potranno insinuarsi in qualsiasi corpo materiale.
Data la persistenza, la tenacia e la cocciutaggine dei demoni, il trattato suggerisce di tenerli alla largo con l'uso di erbe odorose come la ruta, la verbena, la centaurea, e di pietre, come il diamante, il diaspro o il corallo. Di impegno più laborioso, ma efficacissimo, è l'odore di fegato di pesce posto sulla brace.
A un diacono perseguitato dalla presenza di un demonio che gli appare di giorno e di notte in figura di scheletro, di porco, di asino, d'angelo, di uccello e qualche volta, per estrema malizia, sotto l'aspetto dello stesso priore del convento, il Sinistrari consiglia di ricorrere al tabacco e all'acquavite, di cui il giovane prete faceva uso abitualmente. Il diavolo non solo persiste nelle sue apparizioni, ma, In assenza del diacono, ha la sfrontatezza di presentarsi al priore del convento per chiedergli ancora tabacco e acquavite che gli erano piaciuti pazzamente.
Questo trattato dei Sinistrari è una delle tante pietre d'inciampo ideologico di un secolo pieno di contraddizioni come il Seicento, un repertorio di incredibili malefizi sul quale si sono consumate lontane tragedie. Alla fine del suo testo, il frate inquisitore lamenta che in Italia la legislazione civile e canonico per punire le streghe sia carente e non tenga conto che il commercio con il demonio presuppone l'apostasia e "un numero quasi infinito di altri misfatti, per cui fuori d'Italia viene punito regolarmente con l'impiccagione e il rogo". La tentazione di leggere in chiave grottesca questo breviario della demonialità è quasi irresistibile, ma sopravviene il pensiero che nello stesso secolo in cui Cartesio scriveva il Discorso sul metodo e Galileo il Dialogo dei massimi sistemi, vennero bruciate sui roghi d'Europa non meno di trecentomila donne sotto accusa di stregoneria. La proiezione di quei fanatismi eccentrici, che oggi ci paiono così ingenui, è arrivato fino a noi come una lunga e inguaribile malattia, per cui è difficile affermare a cuor leggero che il demonio non esiste. Esiste e, questa volta, non si può dissentire dal Sinistrari, ne sentiamo la presenza insidiosa, come dimostra l'esperienza quotidiana.

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