§ Bottega delle spezierie

Edoardo, un cavaliere senza terra




Antonio Verri



Cominciamo con un falò. Due pittori ventenni - siamo a Lecce, estate 1954 - che hanno respirato quel che di buono si può trarre da una scrostata cultura di provincia, e che hanno sul volto i segni eretici di quel che sarà il loro comportamento e la loro operatività, hanno accatastato un buon numero di tele, legno, faesite o che altro, e si accingono ad appiccare il fuoco. C'è tensione, e sotto sotto anche un po' d'allegria, speciale allegria. il fuoco è acceso, man mano cresce. I due giovani sono come intontiti, e si godono il fuoco o girano intorno al fuoco. I loro nomi: Francesco Saverio Dodaro (viene dalle "stazioni" di Bari, Bologna, Parigi) ed Edoardo De Candia.
Pensateli, ancora per un attimo, intorno al fuoco, con sul volto tutta quella luce, con gli occhi spalancati, i movimenti rapidi, pensate al fragore del fuoco, pensate al silenzio improvviso che scende sui due giovani artisti, pensate anche alle foro grida improvvise, a loro che forse vorrebbero esplodere... I due sono là per celebrare qualcosa: dalle ceneri, da quel fuoco una loro totale rinascita. Dal falò in poi sarebbero vissuti e avrebbero operato - come poi in effetti è stato - come purissimi cavalieri, morbidi, buffi, curiosi, rigorosi...
Anzitutto. Che bruciavano? Si purificavano da quali mostruosità? Cosa volevano affossare? Ecco: Dodaro bruciava le sue tele astratte -informali - surreali che comunque rappresentavano già una autentica violazione, per passare al versante dell'analisi e della letteratura; De Candia tutte quelle opere, fino ai vent'anni, di ispirazione, diciamo, massariana (parliamo di Michele Massari), con temi e pennellate non certo degne del De Candia successivo.
Perdonate se ci attardiamo ancora su questo falò, lo facciamo per due soli buoni motivi. Uno: per dirvi che da quel fuoco sono venuti fuori due trasgressori finissimi, due innovatori credibilissimi, ognuno col suo cielo e con le sue stelle. La loro dimensione, cari signori, è europea, e a questo sono approdati solamente con la foro speciale cultura, il loro istinto, le loro intuizioni (lasciamo al tempo, a qualche grosso storico attento la scoperta di quel che è stato, di quel che è, il "Movimento Genetico" fondato da Dodaro, a Lecce, ma con diramazioni e adesioni di operatività internazionali; di quel che è stato, di quel che è, il segno drammatico del vichingo di via Montesabotino (siccome tra un po', nel nostro articolo, Dodaro e De Candia non procederanno più insieme, visto che, per il momento, continueremo a parlare di Edoardo, ci permettiamo di segnalarvi l'interessantissimo e vastissimo archivio del "Movimento Genetico" che per ragioni di stupidi soldi non può venire alla luce!).
Due. Per cercare di dare, anche se brevemente, l'idea di quel che era la cultura di quegli anni a Lecce, più o meno 1953-54. Ecco, per quanto riguarda la letteratura è veramente buon periodo: ha già quattro cinque anni l'esperienza dell'"Albero" di Corni, arriva nel '54 "L'esperienza poetica" di Bodini, nel '55 sarà la volta de "Il campo" di Lala - Bernardini, poi del "Critone" di Pagano: e l'abbondanza di riviste, lo sappiamo un po' tutti, denuncia lo stato di grazia di una cultura.
Sul piano artistico, esaurita un po' la vena di Geremia Re (resta sempre, a detta di Dodaro, il nostro più grande), c'era prevalente l'influenza di Michele Massari (da noi conosciuto tramite l'insistito intervento di un altro validissimo artista salentino - a Milano e nel mondo da diversi anni - Antonio Massari, figlio di Michele e grande amico di Edoardo e numero tre del "Movimento Genetico", il numero due è Franco Gelli), Michele Massari, che, a parte la sua irrequietezza esistenziale, in pittura, come ci dice Ilderosa Laudisa, "non fu né rivoluzionario né innovatore". C'era Suppressa che nel '53 dipingeva tele post-cubiste. Della Notte che "faceva una pittura moderna ma non trasgressiva, molto modesta anche" (Dodaro); Ciardo sempre ben visto; Mandorino che cominciava a pensare ai suoi blu di Prussia, ai suoi cieli rossi; Calò che in questi due anni, 1953-54, "operava nell'aria moorriana. Dopo qualche anno esplose ed è artista di grandissimo livello" (Dodaro). Antonio Massari, risulta dalla sua Autobiografia, fa i "primi studi ad olio sulla realtà alla maniera impressionista e, parallelamente, disegni lirico-simbolici", dopo sarà lo stupendo principe delle acque, profeta dei giochi con le acque, del caso.
Ecco, così andavano le cose nell'anno dei falò, con Edoardo che, vicino di casa del Massari, egregiamente riusciva a sintonizzarsi a questa forma di impressionismo lirico. E in questo contesto arriva nel '53 F.S. Dodaro, arriva con la novità dei colori "bruciati", dell'astrattismoinformale-surreale "bruciato". Nel '54 riesce ad esporre alla "Olivetti", sul corso Vittorio Emanuele, una sua opera: "Svergognato incantesimo di barca" (il quadro più avanzato prodotto in quegli anni nel meridione: è lo stesso Dodaro a dircelo---). Lecce si scosse. L'opera provocò scalpore, vivaci dibattiti, indignazione, solo si alzò il vecchio Massari a difenderlo: "Questo qua sa il fatto suo", disse (lo stesso quadro, con il titolo "La barca", ebbe, dopo, un riconoscimento al Maggio di Bari). Edoardo, che stimava il vecchio Massari, rimase turbato, quasi sbigottito dalle sue parole: si avvicinò a Dodaro e alla contemporaneità!
Il passo per il falò, per la rinascita, per quella voglia di purificazione, di chiarezza, conoscendo la vivacità intellettuale di Dodaro, fu breve (tempo fa riparlandone con Edoardo mi disse che con quel falò voleva provare a fare una mostra in cielo; e la madre Margherita - una dolce e disperata donna che non faceva altro che raccomandarsi di non far bere il figlio - a proposito del tempo del falò così si espresse in una intervista sulla Gazzetta del Mezzogiorno del novembre 1979: "fu sui vent'anni che incominciò a cambiare, prima era normalissimo, poi ebbe una crisi, non abbiamo capito perché bruciò tutti i suoi quadri"). E fino a questo punto con F.S. Dodaro.
Qualche mese dopo, preda di quella purissima ansia che anima i disertori, Edoardo lo troviamo a Milano. C'è arrivato con Ercole Pignatelli. Pignatelli ha le idee molto chiare e sa che deve fare e dove vuole arrivare, e arriva. Edoardo èsubito sparato - pare sia una regola dei veri artisti - in un dolce far niente, in un buffo bighellonare avendo come punto di appoggio il glorioso "Giamaica", in via Brera.
Il "Giamaica", a due passi dall'Accademia di Brera, vicinissimo alla Scala e al Palazzo della Stampa, ha un fascino speciale. In quegli anni è il covo dell'intellighentia e della bohème milanese e italiana, il quartier generale delle' frequenti crisi, delle novità, delle diserzioni. Sono passati di là un po' tutti. Quei modesti tavolini, tra pareti di vecchie mattonelle di smalto, hanno incredibilmente arricchito la cultura italiana; erano tutti là, Crippa, Dova, Fontana, Arbasino, Nanni Balestrini, Piero Manzoni, Bay, Sassu, Guttuso, etc. Edoardo lega con Giorgio De Gasperi, buon pittore, illustratore della Domenica del Corriere, e vive soavemente - con la tristezza necessaria di queste esclusive esperienze - questa sua immensa avventura. Intanto scrive a casa, scrive dietro alle foto che manda ai genitori, con grafia calante che ricorda quella di Morandi (c'è molta serenità: i rapporti col padre sono buoni. Edoardo in testa allo scritto mette: "per desiderio dei miei genitori che io amo tanto". "Pippetta", come Antonio Massari chiamò il padre di Edoardo, il "terribile secondino", come lo definiva Ugo Tapparini, non aveva ancora, forse, idea di nuocere al figlio, forse sperava ancora... in fondo quel suo figlio s'era sempre comportato così bene, ragazzino già faceva statue di cartapesta, aveva fatto culturismo, per qualche anno aveva anche frequentato la Biblioteca, un bravo figlio, ecco... solo che a volte perdeva troppo tempo, tantissimo, tempo, a guardare dipingere Massari, e si sa la vita che fanno i pittori ... ).
Si preoccupa, Edoardo, di mettere molti piatti dipinti sul marciapiede vicino alla sua casa, una tela appoggiata al muro, fa fare la foto; dietro la foto, tra l'altro, scrive: "ve la spedisco perché testimonia in parte ciò che io sto facendo a Milano". In realtà a Milano non sta lavorando, non ha mai lavorato, questo ce lo ha confermato molte volte, lui è là per cercare di dare volto e ragione alla sua ansia, alla sua ossessione, a chiedersi perché le cose, che pure sono interessanti, adesso non lo interessano più. E' la con tutta la sua solitudine per chiedersi da dove diavolo viene questo improvviso furore, questo lento svilimento...
Ancora. Si fa ritrarre con amici pittori davanti al "Giamaica". Spedisce a casa, scrive, tra l'altro: "non preoccupatevi dell'ambiente in cui vivo, è tutta brava gente". E' brava gente, certo, anche se morta al mondo, per un solo attimo, per un solo inesauribile breve periodo (è la bohème e l'avanguardia di tutti), è gente che facilmente si innamora delle novità più audaci, delle scoperte le più eretiche, si innamora del gioco soltanto, della solitudine, della rivolta, di buffe e picaresche palingenesi. Contemporaneamente arriva una foto-saluti di Pignatelli avvolto in una nuvola di fumo, si è fatto fotografare insieme al ritratto che ha fatto ad Edoardo. Ma Pignatelli sa giocare bene le sue carte, sa come muoversi in Milano, tra un po' incontrerà Cardazzo che ne farà un pittore quotato. Il Nostro, invece, candido fino all'inverosimile, vive le sue giornate come un Cavaliere puro e sprezzante e, a volte -come continua ad essere - anche giocoso, malinconicamente divertito. (E' inutile chiedere verso chi del due corre la nostra simpatia).
Di questo Solitario dal portamento fiero e altezzoso si accorge anche Lucio Fontana, intento in quegli anni, praticando tagli e perforazioni, al superamento di un limite geometrico ed esistenziale; Fontana gli compra un po' di disegni, glieli compra a 10.000 lire, in qualche modo cerca di aiutarlo: ne ha percepito il guizzo, la genialità; fino a che, d'accordo con De Gaspari, trova il modo per mandarlo in Inghilterra, a Londra, presso un College, una buona Accademia d'Arte. (Chiediamo oggi, a Edoardo, qualcosa su quel viaggio: le cose che ci racconto o ci vuole raccontare sono frammentarie, o meglio, ci racconta continuamente le cose che a lui sono più care 1 e per le quali si diverte: ragazze e ragazzi che cercavano di sedurlo, immensi campi sportivi, qualche disegno che aveva con sé ed è restato là, lui che faceva i cavoli suoi, la direzione - ci dice - che lo cacciò via perché non rispettava le regole dell'ospitalità. Aggiunge poi che ha cercato, subito dopo, di ritornarci a Londra, ma non l'hanno voluto... C'è stata una parentesi di qualche giorno a Parigi, accampato al caffè "Selecta", e l'incontro col suo "olandese volante").
Continuiamo a grosse linee a tracciare l'itinerario di Edoardo, faremo a questo seguire una replica più colorata registrata durante tutta la giornata del 25 giugno '87, la mattina a San Cataldo, la sera a Brindisi per quella che lui chiamava "una serata internazionale" (visto il porto, i turisti ... ), facendo anche riferimento a qualche nota captata nell'aprile '88, durante uno stupendo servizio fotografico, e un film con Edoardo, realizzato da Fernando Bevilacqua.
Allora. Siamo ancora a Parigi o a Londra. Edoardo tra un po' si ritufferà nella provincia salentina. Durante la nostra intervista parla di altre esperienze fatte fuori, ci parla anche dello studio di Cassinari, a Milano. Tapparini, in una fotocopia di un articolo di giornale (ma non abbiamo né titolo né data: crediamo, però, si tratti della Tribuna del Salento), dopo Parigi parla di "una breve parentesi in casa di Casorati, a Torino, dove gli veniva servito il latte e biscotti la mattina, e dove il maestro lo tenne come allievo".
F.S. Dodaro, Tapparini, Franco Gelli, De Candia, Caputo, Antonio Massari, e poi Rina Durante, Paola Re, Annamaria Massari, figlia di Michele e sorella di Antonio, e primo vero amore di Edoardo, qualche altro o qualche altra che saltuariamente a loro si univa, e dobbiamo dire tutti o quasi sotto l'occhio vigile di Vittorio Pagano (come poteva un poeta come Pagano non amare i segni sicuri e la luce delle marine e le donne dilatate di Edoardo?) (un'altra Pagano, Elena, sorella del poeta, era la stupenda "zia" alla quale andare a vendere qualche opera quando c'erano problemi di soldi), ecco, tutti, quasi tutti amici, irrequieti in un contesto che non tollerava l'irrequietezza, ognuno con una sua precisa identità culturale, con un suo speciale sogno, che negli anni CinquantaSessanta hanno vissuto in modo eccessivo una Lecce con qualche speranza, galoppando in spazi che non avevano certo confini provinciali, cercando - non sempre èandata bene, però - di dar peso e materia alle loro generose intuizioni. Ai loro guizzi. (E alla presenza di quasi tutti gli amici succitati un bel giorno esplose, su di una nerissima Balilla, una valanga di fiori e scritte e smalti: era stato Dodaro a convincere Cesare Potì da Melendugno, che spasimava per la Rina, ad infiorare l'austero veicolo paterno.
Tutta Lecce fu avvolta nei giri della scanzonata Balilla. Tutti giovani. Quanto si aspettavano... Potì fu cacciato da casa!).
Edoardo approda a Lecce. Il falò prima della partenza, Milano, il vecchio "Giamaica", e poi i viaggi a Parigi, a Londra, hanno in certo modo lasciato un segno, hanno corrotto quel metro e ottanta di candore di via Montesabotino. Quella che un tempo, nel ragazzo De Candia, era assoluta speranza di libertà, adesso, dopo tutto quel che è stato, diventa isterica voglia di realizzare, inquietudine, colossale bisogno di rompere le norme, la vita solita e grigia, l'avventura nei segni: pensate un po' quanto una Lecce che è stata sempre una piccola bomboniera di piccoli bottegai e altrettanto piccoli e felici pantofolai, quanto una Lecce del genere poteva contenere questo cavaliere che non ha mai toccato terra, questo purissimo imbecille sul cui faccione si leggono gli ampissimi spazi, la gioia di vivere, la disperazione. Si rimette a dipingere. Si grida al miracolo. La luce. Il cielo. Il mare. Il sogno di tutti. E tutti arrivano in tuba e pelliccia da ogni parte. Nel novembre del '59, viale Lo Re, a Lecce - là si trovava la Galleria d'Arte "La Cornice" - è affollatissimo, non si è mai vista tanta gente per strada per una mostra, non si parla d'altro che delle tele semplici e luminose di Edoardo, si civetta sulle sue giornate e sulla sua nudità a San Cataldo. Mario Proto, su di un giornale cittadino, parla di "cromia a volte aggressiva e corposa, a volte luminosa e serenante", parla di "lirismo primitivo che la luce, leggermente diffusa, evidenzia con delicatezza di tocco", parla di particolare precisione e geometria, di odio per il dettaglio, ecc.
Antonio Caputo (è il nostro Tonino), dalle colonne del Pensiero Nazionale, in un "Panorama della giovane pittura italiana", quasi commosso per aver ricevuto segnalazione sul suo vecchio Edoardo, parla entusiasticamente dell'amico, ci informa che anche Ugo Moretti, lo scrittore, è sceso a Lecce per la mostra di De Candia e ne ha parlato su "Rotosei". Caputo chiude: "ed ora attendiamo l'amico ai cimenti più impegnativi di Roma e Milano".
Ma Lecce è stata sempre l'instabile donna allegra e leggera che conosciamo: mentre da un lato celebrava, così all'aria aperta celebrava, dall'altro prendeva i provvedimenti necessari. Non si può tollerare uno che tutti i santi giorni raggiunge a piedi San Cataldo, e che fa il bagno completamente nudo, non si può tollerare chi ha scardinato una finestra, per avere più aria nella stanza, chi si mette nudo in terrazza, chi ha scagliato un piatto di pasta sul bianco della parete, chi per piacere del botto ha rotto un vetro che due garzoni trasportavano, non si può tollerare. E allora? Allora, servendosi di "Pippetta", del "terribile secondino" (che pure, per quanto ci riguarda, deve in qualche suo modo aver amato il figlio) (certamente non molto corrisposto stando a quanto ci disse meravigliato e un po' preoccupato Antonio Massari qualche inverno fa: "è morto "Pippetta", Edoardo manca da casa da tre giorni e tre notti". Però, chissà ... ), allora, servendosi del padre la città ha aperto e porte del suo Ospedale Psichiatrico, e lo ha curato così bene che le porte gliele ha aperte ogni volta per cinque mesi, e per dieci anni.
E il mite Edoardo in tutta questa tragedia si è difeso come ha potuto: accentuando la sua già notevole irrealtà, esponendosi alla curiosità bacchettona con fare candito e bonario (ma era facile, è facile, indovinare la ferocia ... ), vivendo per tre mesi come un primitivo in una casupola in marina di Sant'Andrea, cavalcando buffamente purissimi e segretissimi suoi folletti, facendosi adorare come pittore - molto bella questa sua vendetta: far venire a galla, contando sulla sua creatività, la cupidigia e la stupidità di quella gente che per altro lo dileggiava e che gli aveva così comodamente aperto le vie del Manicomio.
Rapidamente, prima di tuffarci nella nostra giornata con Edoardo. Nel 1965 colpisce ancora, a sentire Enzo Panareo dalla Tribuna del Salento. la mostra dal 10 al 24 aprile si tiene al "Sedile" ed Edoardo espone 27 tempere ed 8 olii: si sbracciano un po' tutti, l'incantamento è completo, per altro c'è pure una stupenda presentazione in catalogo di Vittorio Pagano
Ancora Lecce. Dal 15 al 30 novembre 1969 alla Galleria "3 A", nei pressi della chiesa di Santa Croce.
Lecce ancora nel 1971. Lecce che da sempre lo ama e lo odia, lo teme, teme la sua libertà. Stavolta è alla Galleria Belle Arti-Caiulo, dal 1° al 10 dicembre: in catalogo lo presenta, efficacemente, Bonea, che ci fa subito notare che la produzione alle pareti è ben diversa da quella di Edoardo "felice paesaggista", del "pittore marino". Adesso è il simbolo il nuovo oggetto di De Candia, "la realtà agli occhi e nella pittura di De Candia assume dimensioni stravaganti, grottesche, eccedenti comunque le comuni misure del piccolo e del grande".
Qualcosa, dunque, s'è spezzato, o almeno si èallentato. O si è splendidamente dilatato! la città e il suo Ospedale psichiatrico sono serviti almeno a questo. De Condia comincia a respirare intensamente. Le dimensioni, nel rispetto del suo segno plastico e sicuro, sono stravolte. E' splendido. Veramente. Sono di questo periodo anche le prime "forme" di vocali con la corona e dittonghi a tutto foglio: i suoi lettori, da questo momento in poi, prima di parlare delle sue opere devono aver chiara tutta la cultura novecentesca europea. Non solo pittorica.
Soffia buon vento. Anche se sballottato da "geniali medici di follia" che Tapparini paragona agli immortali dottori di Pinocchio, Edoardo attraversa un buon periodo creativo. Siamo ad un passo dalla mostra di Ferrara.
E' il 1972. Al Ristorante Mazza (national club), a Ferrara, viale Po, dal 22 aprile al 25 maggio espone una quarantina di tempere quello che in catalogo viene chiamato "il pittore del Salento": molte nuove marine e altrettanti nudi di donna "dove ritroviamo - scrive molto semplicemente Daniele Rubboli, che lo presenta in catalogo - una opulenza femminile in candida offerta nel sapore d'antiche forme d'altre civiltà mediterranee". Ferrara è ancora provincia, non è certo da paragonare alla Roma e alla Milano che gli augurava Tonino Caputo: per Edoardo non esce fuori il Cardazzo di turno, perché un Cardazzo deve arrivargli sopra ad Edoardo, impossessarsi violentemente di tutto Edoardo, lui non è tipo da andarselo a cercare un Cardazzo, a lui va bene così la vita, anche se a volte sgomento ci dice: "Un disegno oggi lo vendo a te allo stesso prezzo che trentacinque anni fa lo vendevo a Fontana". Colpito.
Ferrara risponde benissimo, un entusiasmo da non credere, Edoardo, come in tutte le altre mostre, vende tutti i suoi lavori, la Gazzetta di Ferrara riprende la presentazione di Rubboli, il Resto del Carlino di venerdì 5 maggio '72 ricorda che De Candia "per l'originalità del suo tocco viene considerato dalla critica come uno degli artisti più interessanti delle nuove correnti". Altri giornali, a Ferrara, riprendono la mostra, mentre il Catalogo degli Autori, pubblicato dalla Casa Editrice Alba, sempre nel '72, dà vita, opere, giudizi e quotazioni del Nostro... E non si capisce se è durante questa mostra oppure durante la sua permanenza a Lecce che Edoardo incontra quello che lui chiama "il mio olandese volante", col quale vola fino a Catania, non certo per cercare spazio per nuova esposizione!
De Candia pittore si rivede in pubblico nel maggio '81, a Lecce. Franco Gelli gli ha organizzato una mostra al Consorzio Artigiani, di fronte al Municipio. Molti nuovi lavori, il simbolo anche qua la fa da padrone. Molte nuove esplosioni.
E proprio in questa occasione che la nostra conoscenza si trasforma in amicizia.
Noi siamo, con la nostra prima edizione di "Al banco di Caffè Greco", al Circolo Cittadino, ad una cinquantina di metri dalla saletta del Consorzio Artigiani. Viene a trovarci insieme a Paolo Arnesano. Dopo due giorni suggelliamo il tutto con una bevuta e lui che spontaneamente ci dedica un disegno di una purezza indicibile, un abbraccio, una fusione di due corpi strapiena di grazia greca.
Continuiamo a frequentarci, a bere anche, lui collabora stupendamente al secondo foglio giallo di Pensionante. Sarà protagonista della seconda edizione "al banco". E corriamo ... corriamo ... siamo ai nostri giorni.
Questa seconda parte non è che la registrazione di una giornata intera con Edoardo, la mattina a San Cataldo, la sera a Brindisi per "una serata internazionale". Dei frammenti di appunti frettolosi ma che rivelano il personaggio.
Edoardo non è cambiato molto da quel giorno. Qualche settimana fa sono andato a trovarlo nella sua casa di via Montesabotino. Come va? Come sempre. Verri, tu sei un poeta... Guarda come sempre in alto. Che vedi, Edoardo? E lui, continuando a guardare in alto: "mosche, mammiferi, lucertole"... Manda dieci volte al diavolo il mondo intero e poi sbuccia su qualche suo ricordo.


Le pareti della stanza sono una sorta di tazebao. la solita stanza: una vecchia credenza stracolma di riviste, sigarette e pennarelli, un armadietto con sopra fogli usati e da usare, sulla sedia accanto alla sua branda bicchieri e bicchieri e bicchieri, qualche bottiglia, la "scatola diabolica" (così chiama un povero transistor), una porta che comunica con l'esterno, chiusa da un parapetto in pietra, uno specchio, il lettino dei suoi sfatti o tormentati riposi addossato ad un muro pieno di segni e scritte, una piccola tela con un sole celeste di fronte al letto, sintesi del suo cielo e del suo mare (i suoi occhi, quando è sveglio o quando parla con qualcuno, sono sempre su quella piccola tela); lo chiamano dalla strada, adesso è sulla porta-finestra, strani armeggi con una ragazza vicina di casa: "mi dà il saluto e io la riempio di sigarette e caramelle. Solo il saluto", puntualizza. Senza soldi sto meglio, dice, mi insozzano; chiedo soldi solo quando ho qualche debito (vale a dire quasi sempre): s'è ormai abituato all'idea che scrivo su di lui e allora tira fuori ricordi e sue particolarissime massime. Mi indica le sue tele, poi quasi sconfortato mi dice: "ti do le mie cacate, tu dammi la carta igienica (e si riferisce ai soldi)". E' nero, ma quando è in casa è sempre di questo umore, la sorella che lo accudisce ne sopporta di tutti i colori.
Qualche tempo fa l'ho spinto a fare un omaggio a Toma poeta per un volume cartella che chi scrive sta curando insieme a Maurizio Nocera; Salvatore Toma aveva un affetto speciale per De Candia (grande amico di Edoardo è un altro Toma, Antonio Toma, un alchimista, un personaggio di una serenità sconvolgente, che abita tra il Salento e l'Olanda); quando sono arrivato stava bofonchiando contro il responsabile di una Galleria "in" leccese: mi ha fatto fare cinquanta tele per una mostra, mi ha dato un milione, ma la mostra non la farà mai! Solita storia questa per Edoardo, nessuno si spreca a dargli una mano, chi lo avvicina punta solo ad accaparrarsi delle opere in attesa di...
Torniamo al giugno '87. Siamo per strada per andare a San Cataldo. Tappe obbligate qualche bettola e qualche bar. Solita, incredibilmente solita strada, piazza S. Oronzo, Piazza Mazzini, via per il mare... Eccoci arrivati. Ci si dirige verso il faro, naturalmente, è quello il suo posto, da sempre. Siamo seduti sotto una tettoia dove vendono da bere. Sa che sono lì anche per prendere appunti e, stranamente, comincia:
Un pacco di disegni li ho lasciati a Milano, forse a casa di Pignatelli, quello li avrà firmati e se li sarà venduti. è proprio un idiota: pensa, ha una villa a Santa Caterina e non se la gode, io che non ho niente mi godo tanti posti...
Brindiamo. Accenno a Carmelo Bene, lo so suo amico di tanto tempo fa. Carmelo Bene, ci tiene a dire, sono io che quando l'ho incontrato a Calimera non l'ho riconosciuto. Ha aperto la porta del camerino e gli ho detto: "cerco Carmelo Bene". Sono io, ha risposto. Era più basso di prima, più piccolo, prima si faceva sempre festa, sbornie, storie, a Lecce, a Roma. Era diventato più basso, non l'ho riconosciuto.
Si sposta dove non c'è ombra, Edoardo vive, si nutre di sole. Poi, aprendo un pacchetto di "Gitanes Internationales", mi dice che ha intenzione di scrivere un libro.
Lo guardo interessato. lo intitolerò li cielo in testa, dice ridendo. Aggiunge che Erostrato pisciava da sopra i palazzi, qualche cosa la prende anche da Pavese. La cultura di Edoardo, tutto un sentito dire, da Pagano, da Massari, da altri; appena mette mano alla penna sono solo erroracci e cattiva scrittura. Poi ci sono i pennelli...
Edoardo sempre accigliato, subito sorridente. Edoardo continuamente sui bordi, trafitto da tutti, Edoardo dalla pancia di Budda, Edoardo con molti lunghi capelli bianchi e tanti ridicoli folletti.
Mi vuoi parlare delle tue mostre? Alza il naso al cielo. Quattro, cinque a Lecce, dice, poi Ferrara, tira fuori Catania. A Londra ci sono andato senza una lira, a piedi, come pure a piedi ho fatto CataniaMilano. E sono tornato senza una lira dopo aver lasciato delle tempere in un College d'arte. Edoardo è pronto - a questo è sempre pronto - a far intendere questioni di sesso, ragazze, un negro, è pronto a parlare anche di rapporti diversi, lui ci gioca con queste cose, si diverte. Mi hanno cacciato via perché non rispettavo le regole del College, me ne andavo per i cavoli miei.
Fontana a Milano mi prendeva disegni, mi dava i soldi però, e a volte mi ospitava. l'altro che mi ha ospitato spessissimo è De Gasperi, illustratore della Domenica del Corriere. Ho conosciuto là Munari, mi faceva ascoltare musica cinese, poi gli ho aggiustato del manichini in una vetrina, nella vetrina della "Chatillon", e mi ha dato 25.000 lire. Un paio d'anni a Milano, con molta fame e senza molto dormire, gli altri hanno ingranato, io non lavoravo.
Dopo tutte le delusioni della città ho cominciato ad amare boschi e mare. Sono arrivato a Lecce. C'era una marsigliese che veniva con me alle Cesine, era bionda, alta, robusta, gambalunga; poi c'era la sedicenne di Francavilla con un seno giusto e uno piccolo, sembrava un'amazzone, con lei sono stato in Grecia.
Mi lascia, vuole entrare in acqua. Maestoso, gigantesco, sprezzante, come intento ad un sacrificio, comincia a violare l'acqua, l'acqua si richiude, lui si dilata in libertà. Sto pensando a Toma che fino all'ultimo suo giorno mi ha sempre detto: non tradire Edoardo... Stanotte ho sognato un santone indiano che mi guardava; poi Carmelo Bene che stava nel mio giardino. Gli ho preso le robe.
A Milano stavo con Cassinari nel suo studio: a Lecce, a quindici anni mi sono licenziato da un cartapestaio dove lavoravo, ci sono stato sei anni, facevo bambole, statue, dopo ho cominciato a fare i primi quadri. Beve di nuovo, e poi: sono andati poi tutti bruciati. Per liberarmi, dice, sotto consiglio di Saverio Dodaro. A vent'anni ho fatto la prima mostra al bar "La Torinese", poi dopo alla "Cornice", al "Sedile", a Caiulo. Ho fatto anche un periodo di cuiturismo. A Milano non facevo niente, andavo nelle librerie, nelle gallerie, l'ho girata tutta a piedi; dipingevo solo qualche ceramica, qualcosa la vendevo, un piatto se lo prese Cardazzo che aveva la Galleria del Naviglio, per mille lire! Poi in Sicilia a fare una mostra; intanto la moglie di De Gasperi, inglese (in realtà una scultrice irlandese), aveva spedito i miei disegni ad una accademia a Londra, così mi hanno invitato. Si rituffa.
Continua. Lo lasciamo continuare in piena libertà, solo interrompiamo qualche volta per alzare il bicchiere. Sono tornato a Lecce, ho lavorato molto, ho incontrato un olandese, il mio olandese volante, e con la sua vecchia Ford, che serviva anche per dormire, siamo andati a Catania per fare una mostra, ma lo lasciai là con la sua francesina e me ne andai. L'ho rivisto a Parigi, io stavo andando a Londra.
S'interrompe inspiegabiImente. Sta rispondendo a qualcosa che gli avevo chiesto due ore fa: non vogliono la mia morte per i miei quadri, mi vogliono morto perché mi credono felice. Idioti!
Dopo Londra vado a Milano - il direttore mi aveva fatto Londra-Milano - da Milano rivado a Londra, ma non mi hanno più voluto, sono venuto via da Lille col foglio di via. Splendido Edoardo, è qui davanti a me, anche se con gli occhi in alto segue le maglie della sua vita d'allora, magari una biondissima ragazza inglese, con lentiggini! Dopo Londra, Lecce, definitivamente, Dopo Londra, Lecce, definitivamente, con Tapparini e Caputo che ogni tanto mi portavano a Roma. Poi una volta, tre quattro anni fa, decisi di andarci da solo a Roma, per lavorare; andai con sotto il braccio un rotolo di opere erotiche, le più belle che ho mai fatto. Ne ho venduto solo due, per cinquantamila lire, ad un leccese in via Veneto, gli altri fogli me li hanno rubati sul treno mentre dormivo.

A Roma sono successe molte cose. Mi hanno prima cacciato dalla Cappella Sistina, poi sono andato in via Condotti dove due questurini mi' hanno chiesto i documenti, io non li avevo, mi hanno allora chiesto che cosa ero venuto a fare a Roma, io ho risposto che ero arrivato fin là per restaurare la Cappella Sistina, mi hanno portato in questura; appena saputo il mio nome hanno telefonato a Lecce e qui hanno saputo dire solo che ero stato molto tempo in manicomio, mi hanno portato allora in un manicomio a Montemario, a Santa Maria della Pietà, e lì mi hanno tenuto per quindici giorni facendomi elettroshock, iniezioni, pillole.
Non è finita. Mi hanno messo su di un treno per Lecce, sono sceso a Bari, sul lungomare è passata una bella donna, io le ho accarezzato i capelli e due tipi mi hanno menato, mi hanno rotto quattro costole, quaranta giorni d'ospedale a Lecce. E mi hanno fatto anche tanti verbali!


Ecco. Una ventina d'anni fa mi hanno messo per la prima volta in manicomio a Lecce perché mi stendevo nudo sulla terrazza, avevo rotto la finestra della mia camera, bevevo un po', facevo la corte a una e non la fermavo mai, innaffiavo piante contro la volontà del giardiniere; il risultato del medici fu: paranoide schizofrenico; i miei genitori erano colpevoli, ma i medici erano ancora più fessi e colpevoli.
Dopo Roma, a Lecce, mi sentivo così bene, tanto bene... Mi hanno messo di nuovo in manicomio. Appena mi sentivo bene mi mettevano in manicomio. Intanto dipingevo, vendevo agli infermieri, ai medici porci, e poi, e poi...
Il tempo per una nuova entrata in acqua. Un panino con dentro dei salsicciotti mangiato in un bar là vicino, un caffè, ed eccoci di ritorno a Lecce. Sono le tre del pomeriggio, Edoardo non l'ho mai visto così ben disposto. D'improvviso mi propone di andare a passare con lui una "serata internazionale" a Brindisi. Ci penso. Accetto. Due se non hanno qualcosa in comune non legano mai così bene. L'appuntamento è per le sei a casa sua.
Sono le sei. Edoardo è pimpante. Vi assicuro: mai visto Edoardo così in forma. Partiamo. Durante il viaggio mi racconta che qualche volta è andato a Brindisi con i suoi quadri. Niente, dice, i turisti hanno i soldi contati; al Café de Paris le consumazioni le pagavo con un quadro...
Siamo a Brindisi. Qua la "carcassa" prende vita. Cammina per tutto il molo col naso al cielo e la destra come un pendolo. Si ferma ad un pescivendolo e mangia pesce crudo, la gente comincia a guardarlo come un mostro marino. lo, che non ho la sua stessa forza, non so dove guardare.
I suoi lamenti, quello di cui si lagnava a San Cataldo, qua tutto si dissolve. La figura già eretta adesso assume un portamento burbero, aristocratico. Come un cavaliere solitario sa dosare benissimo quel che di sé deve dare o mostrare.
Cerchiamo un posto per sederci ... ma non può essere che il Café de Paris! La serata è splendida, sul tavolino abbiamo la prima Ceres scura, Edoardo ride a bocca larga, tanti seni intorno ballonzolano.
Affiora qualche malinconia. Si ricomincia. Una volta con un chiusino dell'acquedotto ho rotto una vetrina sporca, non si vedeva niente: mi sono fatto cinque mesi. Altri cinque mesi perché ho detto ad una ragazza, che s'era già tolto il reggiseno, di togliersi anche le mutande per prendere il sole al culo. Altri cinque mesi perché distribuivo soldi ai passanti. Lecce era sempre più stronza (la birra scura fa salire di tono, dilata: "solo tu mi fai soffrir, solo tu mi fai morir" canticchia Edoardo, prima c'era stato "partirà, la nave partirà"). Passano molte belle ragazze, quelle un po' turche sono le brindisine.
Qui a Brindisi sono stato schedato, una notte in camera di sicurezza perché non avevo documenti e volevo mettere del dischi verso l'una di notte. Il giorno dopo, a casa, ho sbattuto sul mura un piatto di pasta fredda, "attaccata": altri cinque mesi! La Ceres è finita. In camera a Londra avevo una modella nuda ma facevo disegnini per cavoli miei. Poi hanno fatto una festa in costume, io mi sono presentato da Adamo dipinto, mi hanno cacciato. La modella continuava a dire che ero un pazzo...
Adesso comincia a dar voce, in inglese (si fa per dire: in due parole di saluto che conosce), alla gente che possa, a vecchi, un po' a tutti, invita a bere. Ride con la solita risata pastosa e sicura, canticchia, fuma con avidità le sue Gitanes.
La sera, questa sera, ce la siamo ritagliata per non correre dietro alle solite ossessioni. Una serata internazionale. Con turiste e navi. E l'Appia. lo gli consiglio di non esagerare con i saluti e gli inviti alle turiste. Ricordati di Bari, gli dico: quattro costole rotte per una carezza ai capelli di una bionda. Non mi sente, naturalmente. Improvvisamente. Al Club Mediterranée sono arrivato nudo e dal mare. Denuncia e altri cinque mesi.


La nave per la Grecia sta per partirei. Il corso comincia a pullulare di brutti ceffi. Non più le dolcezze bionde. Il cameriere del Café de Paris è ormai un nostro amico.
Fosse per me lo chiamerei Vassily. Una ragazza la invitiamo a farci una foto. Lui già mi parla di una nuova serata internazionale a Otranto...
Tornato dall'Inghilterra mi sono sistemato alle Cesine, all'isola dei conigli, ci potevo arrivare da San Cataldo mare mare. I quadri per la mostra al Sedile, uscito dal manicomio, li ho fatti in un pagliaro vicino a San Cataldo. Vassily ci porta una nuova Ceres bruna con etichetta capisotto.
Edoardo va per conto suo. Ho lasciato un quadro al ristorante Colomba, a Venezia, mi davano da mangiare e c'era una turista americana che mi fotografava di continuo. Quindici giorni nella città sul mare. Sogno svanito, dice, ed è come il mio cielo in testa...
Con Carmelo Bene un tempo ci siamo divertiti. Una volta stavamo andando a piedi a San Cataldo, la madre e il padre di Carmelo dietro con la macchina che gli gridavano di salire e lui li mandava continuamente al diavolo. Ci siamo visti a Roma con Carmelo, Caputo, Tapparini e gli altri. Arriva una nuova Ceres.
Vassily vuole venire a trovarlo a Lecce. Edoardo gli da appuntamento alle "Dolomiti". Nuova foto. Mi riparla di poesie che ha scritto da giovane. Mi mostro interessato. Lui continua, continua... davvero un Edoardo non solito! "L'unico che ha fatto il mio bene è stato il dottor Guglielmi, gli altri che mi hanno organizzato mostre lo hanno fatto solo per rubarmi dei quadri. Si ferma un po'. Poi: questa, dice, è una mia poesia: Voglio una casa di vetro, di che cosa mi dovrei vergognare...
Prego, prego, ciao, hallò, si avvicina agli ultimi turisti. Altri sorrisi. Chiede dove vanno. Atene, gli dicono. Ah! Atene, le Cicladi... Poi mi dice: manchi di cultura, non sai chi ha fatto la "scuola di Atene" 1 Incontenibile Edoardo. L'aria della sera corre nella sua camicia aperta, non è il cavaliere puro e malinconico di sempre che ho davanti. Stiamo lasciando Brindisi. Ti farò, mi dice, una grande Betissa, grandissima...
La macchina va. Sta un po' senza parlare, poi: hai visto come ridono queste turiste, le nostre donne sono tristi, sempre tristi... Sono una gran cosa i guerrieri che squarciano improvvisamente la notte. Di solito nuotano nella più nera disperazione e, giganteschi, tentano il cielo.


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