Ci
furono due Musolino figli di Calabria: il buono e il cattivo. benedetto,
allievo di Mazzini, fu il leader dell'insurrezione calabrese contro
i Borboni nel 1844, l'anno del sacrificio dei fratelli Bandiera fucilati
nel Vallone di Rovito, presso Cosenza. Fu uomo politico di prestigio,
diventò deputato e senatore.
Invece Giuseppe Musolino (1875-1956), ritratto una famosa tavola di
Achille Beltrame sulla Domenica del Corriere mentre inciampa in un filo
di ferro di un filare di vite e viene arrestato dal brigadiere dei carabinieri
Antonio Mattei, padre di Enrico, era un piccolo mafioso dell'Aspromonte
e divenne il massimo bandito di cappa e spada della storia d'Italia.
Celebrato in canzoni e sceneggiate, cantato dal Pascoli, più
famoso del Passator Cortese, di Gasparone, di Salvatore Giuliano, Musolino
dominò la scena del banditismo italiano tra il 1895 e il 1905.
Come il capo Sioux Toro Seduto con Custer e con il presidente degli
Stati Uniti, così lui pensò di poter trattare con Giolitti
e con Vittorio Emanuele III. E per la verità fu un bandito di
classe in un Paese dove i banditi sono sempre tanti ma per lo più
privi di stile.
Enzo Magri - giornalista di grande vigore nelle inchieste e nei ritratti
umani a tutto tondo, protagonista della grande stagione dell'Europeo,
già capocronista del Giorno, 57 anni, catanese - ha scritto un
libro molto bello (Musolino, il Brigante dell'Aspromonte, Camunia ed.)
sul nostro maggiore masnadiero; e per farlo ha compiuto vaste ricerche
sui giornali dell'epoca e soprattutto nei penitenziari e manicomi criminali
(Portolongone, Ventotene, Reggio Emilia) dove il terrore dei carabinieri
venne ospitato e dov'era ancora circondato di un'aureola di prestigio
dovuta alla sua grande fama.
Il bandito calabrese, giovanissimo, venne condannato a 21 anni di carcere
per un delitto che non aveva commesso. Datosi alla macchia, ne firmò
poi sette assolutamente d'autore e tenne l'Italia con il fiato sospeso.
Tutti guardavano a lui come a un generale nell'ombra. Prefetti, poliziotti
e spie ne erano furiosamente affascinati.
Gran dame e contadine analfabete lo amavano, cantastorie lo esaltavano
e Giovanni Pascoli gli dedicò un'ode. Chi era dunque questo Clint
Eastwood calabrese che non trovò il suo Sergio Leone? Come sempre,
il giudizio è arduo: fu un Robin Hood italiano, sorto in una
nazione post-risorgimentale in cui pochi anni prima la guerra dei "piemontesi"
contro il brigantaggio aveva fatto più morti di quelle del Risorgimento;
fu un antesignano anarchico del socialismo incalzante; oppure fu un
torvo criminale, un assassino paranoico? Ai posteri l'ardua sentenza.
Infatti, Magri offre con una ricerca finisssima tutti gli elementi per
capire Musolino e la sua saga; le radici di mafia, camorra e picciotteria
affondate nelle faide medievali, le contrapposizioni dell'Italia dell'Unità;
l'impotenza dell'Italia di Vittorio Emanuele a governare intere regioni
sottratte di forza dalla criminalità allo Stato. Una storia che
si ripete puntualmente nell'Italia democratica del 1990.
Ma mi si lasci dire che il fascino maggiore del racconto di Magri è
quello letterario. Contagiato dall'impeto dei Balzac e Ponson du Terrail
provinciali italiani ottocenteschi che a Musolino dedicarono le loro
sceneggiate e i loro capitoli, Magri narra la vita onirica dei furfante
e i suoi diritti e l'affannosa caccia dei carabinieri con una scioltezza
letteraria appassionante: tanto che lo si vedrebbe volentieri, in seguito,
dedicarsi a qualche narrazione sul nostro recente terrorismo, che ha
ispirato così pochi libri "scritti". Magri ha l'occhio
attento alla nostra grande letteratura regional-nazionale: Verga, Capuana,
De Roberto; e nutre un amore segreto per i suoi grandi conterranei,
Pirandello e Brancati. E' come il Vené di Coprifuoco, diventa
felicissimo proprio nelle pagine di puro racconto: "C'è
in lui lo stile di un autore di teatro", ne diceva il gran direttore
dell'Europeo, Tommaso Giglio. E infatti divertimento e suspence nascono
quando Musolino si muove tra aria di neve, autunni di Aspromonte, casupole
inerpicate tra i monti e montanari calabresi con il grande cappello
di feltro e il cappottone di cappuccio ai quali, chissà perché,
mi vien fatto di prestare la faccia barbuta di Eugenio Scalfari. Il
racconto storico si fa struggente evocazione di un mondo; e ne nascono
le pagine vive e mosse di un appassionato romanzo vero.
Il rapporto
Church al capitano generale del Regno delle Due Sicilie
Lecce dei partiti
e dei briganti
Quartiere generale
di Lecce, li 3 gennaio 1818
Eccellentissimo
Signore,
Non ostante che sia cosa assai difficile di dare una giusta idea dello
stato di questa provincia, soffrendo nel medesimo tempo i mali gravi
del disturbo della sua tranquillità politica e pubblica, nulladimeno
sono in dovere di comunicare a V. E. in breve l'aspetto in cui, secondo
i miei insufficienti lumi, sono portato a vedere lo stato generale
della provincia. lo sono di opinione che questi disordini, benché
veramente gravi, non sono ancora fuori del caso di essere rimediati,
e vi è infinitamente più speranza di rimediarli che
ragione di temere il loro maggiore accrescimento, provveduto però
che le misure prese dalle autorità locali, tanto civili che
militari, siano tali che il caso richiede e non altre. La maggior
parte de' mali nascono dalla reazione dei partiti, incominciando dal
momento quando uno dei partiti dava ad intendere che il governo di
S.M. a poco a poco si vendicherebbe pel passato.
Tosto che questa idea fu generalmente sparsa, molti individui della
classe supposta da loro medesimi in pericolo, o per paura, o per ragione
d'odio al nuovo partito, o sia per vendetta privata, cominciarono
ad aumentare i loro partigiani ed anche ad armarli, Infiniti individui
di ogni sorta e classe furono armati e notati come membri dell'uno
o dell'altro di questi partiti. Pochi mesi fa l'odio de' partiti cominciò
a svilupparsi maggiormente per l'imprudenza di certe autorità
locali, le quali spiegando troppo decisamente parzialità per
uno de' partiti, dimenticando nel tempo medesimo gli ordini di S.M.,
diedero motivi ai partiti rispettivi di maggiormente acquistare armi
e partigiani. Altre delle autorità locali non si opposero che
debolmente ai disturbi infinitamente nocivi al benessere del Regno.
Tutti così dimenticando il savio dovere verso il sovrano e
la patria, non miravano che ad oggetti personali, cioè a far
scomparire l'uno e l'altro, e quando fu questione di qualche persona
di cattiva reputazione, o di qualche delinquente, in luogo di arrestarlo
e punirlo per ragione del delitto o cattiva condotta, per lo più
fu apertamente detto: Bisogna arrestare un tal Carbonaro, un tal Calderaro.
L'aumento del numero dei partito chiamato Carbonari coll'addizione
di uomini dell'ultima classe del popolo, fu causa poi delle sue ramificazioni
e della formazione di sette denominate Filadelfi, Patriotti, Liberi
Europei, e per lo più in queste sette nuove furono aggregati
generalmente travagliatori, artigiani e la plebe la più indigente
delle campagne e delle città, insieme con molti giovani di
cattiva educazione, oziosi ed ambiziosi di essere riconosciuti capi
di sette misteriose. Furono pure arruolati con i medesimi un numero
grande di assassini forestieri nel Regno, senza mezzi di vivere, e
moltissimi de' corpi fucilieri reali, gendarmeria reale, e truppe
]oca[ di tutte le denominazioni. In queste società infami sono
pure state arruolate moltissime persone dalla sola paura, intimorite
dalle minacce di assassini e capi malfattori.
Vi è pure un'altra classe di persone di tutti i gradi, le quali
ugualmente agiscono come nemici del governo di S.M. nel far spargere
voci allarmanti, tendenti a minacciare le persone tranquille con arresti,
ecc., insomma facendo vedere che le misure del governo sono di attaccare
opinioni in luogo di castigare delitti.
Io sono di opinione che questi ultimi fanno più male alla sacra
causa del Re e della tranquillità pubblica che gli stessi malfattori,
per ragione che questi malfattori per lo più possono cadere
in mano della giustizia e subire il dovuto castigo, nel mentre che
gli altri mettono in fermentazione un'intera provincia, dando ai crudeli,
ai timorosi, o ai cattivi, motivi di associarsi [ ... ].
Nonostante che l'aspetto di tante associazioni sia formidabile al
primo colpo d'occhio, io però penso che tutto ciò si
può facilmente sciogliere e dissipare senza veruna difficoltà
dalla parte del governo di S.M., e senza spargimento di altro sangue
fuorché quello de' delinquenti, sopra de' quali la sciabola
della giustizia cadrebbe ugualmente per molteplici delitti castighevoli
nella marcia ordinaria delle leggi. Farei conoscere con fatti a tutti
che il governo di S.M. non mira che il solo delitto e non altro; che
castiga tutti i partiti ugualmente, che non perseguita affatto le
opinioni; e di più che punisce chiunque minaccia in nome suo,
cioè del governo, i suoi avversari. lo debolmente penso che
quando una volta questa assicurazione ha penetrato gli animi di tutti
i partiti, succederà una calma universale e che il governo
vedrà nel momento stesso la cooperazione energica di tutte
le persone da bene per l'arresto e castigo di tutti gli scellerati
che signoreggiano le città e campagne, autori di ogni sorta
di delitti.
Facendo dunque per ogni mezzo possibile conoscere cigli abitanti generalmente,
ma specialmente ai principali personaggi di questa provincia, che
il governo non mira ad altro che al delitto, io rispondo per la tranquillità
politica della provincia e per l'energica cooperazione delle persone
del primo rango per i felici risultati delle misure paterne del governo
di S.M. Per tutto ciò che riguarda la tranquillità pubblica
poi, sono persuaso che sardi presto ristabilita, tosto che lo spavento,
le diffidenza e la fermentazione politica saranno cessati; ed in favore
di questa mia opinione è Il fatto nel rapporto annesso del
comandante di questa provincia, ove V.E. rileverà che dagli
abitanti stessi del paese chiamato Galatina, 12 miglia distante da
Lecce, sono stati arrestati e consegnati alle prigioni di questa città
sei malfattori infami colpevoli di vari atroci delitti. il momento
è certamente quello della crisi; un posso falso può
facilmente produrre mali infiniti. Dall'altra parte la mia speranza
è grande che il benefico Sovrano avrà occasione di essere
contento d'i questa provincia. La mia posizione è tale però
che se sbaglio nell'idea che ho formato dello stato della provincia,
le mie misure sono erronee; in conseguenza il non richiamarmi subito
produrrebbe l'accrescimento de' mali invece del bene che così
ardentemente si desidera. Se dall'altra parte i miei deboli lumi sono
provati quelli della verità e le mie operazioni approvate dalla
saviezza de' suoi ministri come corrispondenti a produrre il bene
desiderato, avrò maggiore coraggio di continuare il sistema
che finora ho seguitato e del quale forse S. M. nel fine sardi contenta.
R. Church
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