Allocuzione letta nella Sala Consiliare
del Comune di Lecce
in occasione
del conferimento della cittadinanza onoraria.
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Autorità, Signore e Signori,
Prima di tutto desidero formulare tutti i miei più vivi
ringraziamenti ed esprimere la mia più profonda gratitudine,
per il gratificante e lusinghevole riconoscimento che mi è
stato conferito, a tutta lAmministrazione Comunale della città
di Lecce: al Consiglio che, presieduto da Carlo Belfiore, allunanimità
ha approvato la relativa delibera; a Stefano Salvemini, che per
primo ha avanzato lidea e ha formulato la proposta; al Sindaco
della città, Adriana Poli Bortone, un tempo già mia
allieva, che lha fatta subito propria e ne ha disposto e curato
la realizzazione. Il mio più cordiale ringraziamento vada
anche agli organizzatori di questo convegno leccese sulla letteratura
barocca, i quali hanno pensato di inserire questa fra le altre manifestazioni
del convegno, daccordo con le Autorità cittadine. E
ovviamente grazie anche a tutti gli intervenuti, che hanno voluto
onorarmi della loro presenza.
Nella relazione che accompagna la delibera comunale allo scopo di
motivarla, si parla delle mie ricerche nel campo della critica letteraria
italiana e dei risultati ottenuti. E vero: esse mi sono molto
care almeno per due ragioni: la prima è che testimoniano
sessanta anni di lavoro nel quadro e nellàmbito della
critica letteraria e dellattività accademica; la seconda
è che esse rispecchiano, nel bene e nel male, litinerario
dellanima mia e la progressiva maturazione della mia mente.
Io sono partito da brevi annunzi e segnalazioni nel sansoniano Leonardo
del 1943, gli uni e le altre di acerbissimo sapore; e ora sto ormai
concludendo sui miei grandi autori di sempre, ma insieme sui valori
umani e letterari della mia patria leccese e salentina, in questa
sorta di risorgimento locale, ormai così palese, e al quale
ho cercato di partecipare col modesto contributo della mia personale
attività e dei miei scritti.
Dunque, in tutto questo, la città di Lecce centra soltanto
in parte. Varrebbe tuttal più la considerazione che
la mia produzione anteriore al 63 mi permise di vincere il
concorso che si concluse appunto in quellanno, onde la mia
condizione giuridica si tramutò da professore incaricato
a professore di ruolo. Io ero Incaricato di Letteratura italiana
nella Facoltà di Lettere fin dalla sua fondazione qui a Lecce
(1956); ma appena vinto il concorso, mi giunse un telegramma da
un mio amico e collega dellUniversità di Messina, il
quale mi informava che quel Consiglio di Facoltà era pronto
a chiamarmi, se avessi accettato, facendomi anche notare che lUniversità
di Lecce era solo parificata, mentre quella di Messina era statale.
Notevole la differenza, anche sul piano della tradizione accademica.
Fu quello il mio primo atto di fedeltà a Lecce, dove volli
rimanere e continuare, per amore della città e della mia
piccola patria salentina. Abitavo a Roma allora; e se, da una parte,
non ho mai mancato ai miei doveri didattici pur dimorando così
lontano da Lecce, Roma, dallaltra, mi offriva tutte le sue
grandi possibilità per lo studio e la ricerca. Ma qui a Lecce
mi crescevano intorno giovani speranze, che mi sembrava ingiusto
deludere, nella prospettiva programmatica cui mi sono sempre
attenuto anche da Preside e da Rettore di incoraggiare e
salvaguardare le promesse locali, quando se ne rivelassero degne
nei loro lavori.
A questa fedeltà credo davvero di non essere mai venuto meno.
Qualche anno dopo, infatti, mi giunse da Salvatore Battaglia linvito
a sdoppiare con lui la cattedra napoletana, con una bella lettera
che tuttora conservo. Poi ricevetti sollecitazioni da Pisa e linvito
a presentarmi, dopo che Bigi sera trasferito a Milano, con
due lettere distinte da parte di Mario Fubini (che mi volle Condirettore
del Giornale Storico) per il settore, diciamo così,
laico; e da Tristano Bolelli, già mio compagno alla Normale
di Pisa, per il settore cattolico. Tralascio di ricordare altre
occasioni meno concrete.
Ecco: questi sono i documenti della mia fedeltà allUniversità
e alla città di Lecce, dei quali, senza alcuna falsa modestia,
posso menar vanto. Vero è che luna e laltra,
lUniversità e la città, hanno ricambiato con
tanta stima e con affetto cordiale, riconoscendo via via sempre
di più i miei sforzi volti al recupero dei valori locali
e al loro trasferimento, rigorosamente, sul piano della cultura
nazionale, fuori da ogni secca e improduttiva erudizione e da ogni
esagerazione campanilistica e provincialesca. Fu così e per
questo che, accanto alle collezioni da me fondate e dirette prima
per leditore Milella e poi per leditore Congedo, prese
corpo e importanza la mia Biblioteca salentina di cultura,
per una rifondazione della storia della cultura letteraria, in senso
ampio, locale. Non una raccolta di scritti critici, tante volte
superflui e ripetitivi, ma testi, testi e poi ancora testi, storicamente
selezionati, criticamente introdotti e annotati, e arricchiti da
indici dogni genere. Mi è doveroso ricordare i componenti
della redazione: insieme con me hanno tanto lavorato Donato Valli,
Gino Rizzo e Antonio Mangione, cui si aggiunse in un secondo momento
Giovanni Papuli. Così sono state recuperate figure di scrittori
nati e operanti nel Salento oppure salentini operanti altrove, non
indegne di essere presenti nelle storie letterarie dItalia.
Io stesso mi sono occupato di Rogeri De Pacienza, di Antonino Lenio,
di Secondo Tarentino, degli scrittori di pietà fra Cinque
e Settecento (fra i quali figurano fior di personaggi, come Fulgenzio
Gemma, Serafino Dalle Grottaglie, Alessandro Tomaso Arcudi) e dei
testi dialettali del Settecento. Donato Valli, dei nostri letterati
fra Otto e Novecento, con la scoperta di un poeta di tutto rilievo
come Vincenzo Ampolo, e dei testi dialettali dellOtto e del
Novecento. Rizzo dei suoi cari poeti barocchi (Battista, Bruni,
Donno, Maia Materdona). Mangione dei narratori dellOttocento
e di Ascanio Grandi. Papuli di Giulio Cesare Vanini. Ora si attende
un Ammirato, cui si è pazientemente e generosamente sobbarcato
il mio amico Martino Capucci qui presente. Altri volumi sono dovuti
ad Aldo Vallone, a Enzo Esposito, e a Raul Mordenti. Sostenitrice
delliniziativa, la Banca Piccolo Credito Salentino, allorigine,
con listituzione di unapposita Fondazione.
Tutto in città e fuori dellUniversità.
Come si vede, la mia fedeltà a Lecce, pur se lodevole di
per sé stessa, non è stata passiva ed inerte, bensì
attiva e operosa; e, se non erro, efficacemente operosa. Tanto più
che allinizio lo studio della locale fenomenologia della letteratura
e della cultura, anche sotto il profilo didattico (esplorazione
bibliografica, tesi di laurea, ecc.), era snobbato e considerato
come studio di serie B; giudizio che poi divenne addirittura aperta
accusa di mentalità retrograda e angustamente provinciale;
accusa e condanna lanciate sia nel recinto accademico, sia al di
fuori di esso, specialmente negli anni del Sessantottismo. Al contrario,
a me era assai comodo approfittare della condirezione del Giornale
Storico, per prospettarvi e discutervi argomenti riguardanti
il Salento e la sua tradizione letteraria, e farli conoscere al
vastissimo pubblico dei lettori di quella rivista, su scala mondiale;
onde su quella gloriosa e autorevole rassegna, diretta prima da
Fubini e poi da Bonora come responsabili, apparvero miei studi sulla
Rassa a bute, sulla Iuneide, su Fulgenzio Gemma, sullArcudi,
a prescindere da varie recensioni; così come non mi feci
sfuggire loccasione di pubblicare in edizione critica il Viaggio
de Leuche di Geronimo Marciano negli Studi in onore di Gianfranco
Folena. Taccio di altri miei interventi, pur essi raccolti nel mio
volume miratamente intitolato Dalla regione per la nazione e pubblicato
(1987) presso Morano a Napoli.
Veniva così, anno dopo anno, a realizzarsi uno degli scopi
principali della mia scelta accademica, quella cioè di restare
nella Facoltà di Lettere di Lecce. E francamente godo ora
di vedere quanti progressi sono stati compiuti da parte dei vari
Dipartimenti di scienze umane, nel campo degli studi dargomento
locale; fino a una ben importante Storia di Lecce in tre volumi
presso il Laterza di Bari (1992-5), curata dal Dipartimento di studi
storici dellUniversità, e alla quale anchio ho
collaborato. Ma un altro tipo di attività mi permetteva di
avvicinare maggiormente e di conoscere meglio il tessuto socio-culturale
di Lecce e del Salento: quello delle conferenze pubbliche, della
presentazione di specifici libri con successiva discussione, della
collaborazione anche ai giornali, giornaletti, e riviste, rivistine
locali, degli interventi in pubbliche riunioni su argomenti umanistici
e anche non umanistici, nei quali mi riconoscessi una qualche competenza.
Mi sono battuto per il recupero e il riscatto del liberty leccese
e salentino (sul che è stata poi allestita una magnifica
mostra); mi sono battuto affinché la Fontana dellarmonia
ritornasse alla sua originaria collocazione (il che è poi
avvenuto); così come in questa occasione ripeto il mio augurio
che la pensilina liberty della cosiddetta piazza coperta
ritorni al suo posto, come documento storico di un momento assai
produttivo e felice della vita comunale. E proprio per il grande
amore a questa bella e cara città ho partecipato per ore
e ore alle riunioni spesso del tutto sterili e inconcludenti
delle consulte culturali dellamministrazione comunale
e di quella provinciale, per via del recupero e della utilizzazione
del Castello, ad esempio, o dellallestimento di una mostra,
o della ristrutturazione e della difesa del Premio Salento,
e via dicendo.
Tutto ciò, e altro ancora, consegnato alle mie Occasioni
salentine dell86 e alle mie Storie e memorie del mio Salento
del 99, certamente concerne il mio feeling con la città
di Lecce, assai più che i miei studi sui Giocosi o sugli
Stilnovisti, oppure su Dante o su Leopardi. Ma ci sono ancora due
mie esperienze leccesi, che mi hanno segnato nel profondo: alludo
agli anni in cui ebbi la presidenza della locale Dante Alighieri,
e a quelli durante i quali ho tenuto fervidi e stretti contatti
con lUniversità della Terza Età, sul cui atto
costitutivo compare anche la mia firma.
Non narrerò partitamente la mia vicenda per la Dante
e con la Dante, risorta a nuova vita dopo la morte dellattivo
Mario Moscardino e dopo un lungo periodo di letargo. Ricorderò
solo due episodi. Il primo riguarda lapprontamento e la realizzazione
di una manifestazione, durante la quale furono messi allasta
dei quadri offerti gratuitamente dai pittori di Lecce e della provincia,
a beneficio della Società. Brillante e simpatico
battitore fu Ennio Bonea, nellelegante salone dellHotel
Risorgimento, anchesso gratuitamente messo a disposizione.
Il successo fu pieno e fruttuoso. Il secondo riguarda la splendida
Sala Dante dellIstituto Tecnico, miseramente ridotta
in stato di abbandono, mentre fino agli anni Cinquanta era stata
non solo la sede di tutte le manifestazioni della Dante,
ma era diventata addirittura un centro di aggregazione culturale.
Essa fu restaurata e riadattata in grazia delle mie tenaci, pazienti
e perfino proterve insistenze presso lallora responsabile
Assessore del Comune di Lecce. E fu restituita alla città.
Quanto allUniversità della Terza Età, io ebbi
lonore di partecipare alla sua costituzione, come ho già
accennato, fermamente voluta dalla signora Maria Rosaria Muratore
e dallAssociazione delle Mogli dei Medici. Poi, anno dopo
anno e questo è ormai il diciassettesimo mè
stato assegnato il compito di formulare il tema generale, di pronunziare
la prima orazione inaugurale (poi messa alle stampe), e di tenere
sistematicamente, anno dopo anno, le prime cinque lezioni. E
stata ed è tuttora unesperienza davvero appagante,
la quale, permettendomi il contatto personale e duraturo con tante
persone mature e ricche di umana interiorità, mi ha veramente
avvicinato al cuore più intimo della città. Perciò
quellistituzione mè cara, come mi è stato
caro offrire ad essa la mia poca dottrina e il mio tanto entusiasmo.
E infine, oltre a quello della mia fedeltà accademica; a
quello dellinserimento delle ricerche locali entro
il quadro nazionale, nel giuoco dialettico regione-nazione; e oltre
a quello della mia partecipazione, sempre disinteressata e gratuita,
alla vita della città e delle sue istituzioni, cè
un altro aspetto più intimo e segreto del mio amore alla
città: i ricordi della mia Lecce dei primissimi anni Venti,
tanto piccola e domestica, che io, già a meno di sei anni,
potevo percorrerne almeno tutta la parte orientale senza pericolo
alcuno, da Fulgenzio, dove poi mi recavo la mattina a servir messa,
alla Piazza. Abitavamo in Via di Casanello al n. 19 e poi al n.
21, una via che allora era un tronco chiuso da un muretto a secco,
di là dal quale si estendeva lubertosa campagna coltivata;
la caserma di Santa Rosa era isolata, sul fianco di un viottolo
in terra battuta, che io e i miei compagni percorrevamo, per giocare
poi a palla di pezza nei larghi campi incoltivati, che si aprivano
subito dopo, odorosi di timo e di mentastro. La via di Casanello:
dove ho giocato alla trottola, o con la lippa e il bastoncello,
o alla campana; dove, noi ragazzi, a sera ci sedevamo sui gradini
di casa, a raccontarci stranissime e singolari favole; e dove ci
riposavamo dopo le corse fatte nei campi, e a sassaiola conclusa.
E poi la minuscola banda cittadina, della quale anchio, con
mio padre e mio fratello, facevo parte suonando il genis; il mio
lavoro al biliardo, gestito da mio padre, alle spalle del vecchio
Banco di Napoli, raddrizzando i birilli e segnando i punti della
bàzzica (intervenivano Facilli, Ribelle, Alvino, Personé,
nomi di giovani, allora, leccesi impressi per la vita); il clandestino
ingresso nella villa comunale per vedere la lupa e girovagare un
po; le rose rubate per poter a casa festeggiare la Pentecoste,
cioè la Pasqua delle rose, con i petali mescolati con lacqua
della bacinella... I miei primi dieci anni di vita, trascorsi in
questa incantevole città, dalla quale ebbi poi ad allontanarmi.
Ora Lecce mi onora, e io le sono immensamente grato; anche perché
mi sento, invece, di doverla io ringraziare per quegli indimenticabili
anni di felicità, e poi per questi decenni di esperienza
e di passione, durante i quali, se poco ho dato, molto, e assai
di più, ho ricevuto.
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