Settembre 2009

La lezione del 1929

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Il capitalismo
sotto tutela

Ugo Ferrari

 

 
 

Restaurazione?
Il capitalismo,
dopo questo shock,
non cambierà.
Non cadrà in
alcuna trappola newdealista, non dovrà indossare
alcuna camicia di forza, e continuerà ad essere quello che produce più crescita.

 

 

 

L’analisi più comune sulla crisi che stiamo attraversando si incentra su questi argomenti: oggi, come nel 1929, il capitalismo, soprattutto quello di stampo anglosassone, rivela di essere profondamente instabile; i mercati, non soltanto quelli finanziari ma anche in altri settori, sono troppo poco regolati, e per questa ragione finiscono per provocare gravi danni. Come Franklin Delano Roosevelt salvò gli Stati Uniti d’America dalla crisi del 1929 con un forte intervento pubblico nell’economia e con stringenti regolamentazioni, così oggi è necessario ristabilire la supremazia della politica sui mercati, regolandoli fortemente sia a livello nazionale che internazionale. La crisi attuale – prosegue questa analisi – porterà a una benvenuta svolta interventista e dirigista. C’è bisogno di qualcosa di simile a un nuovo New Deal.
Questa lettura della crisi del 2009 si basa su una visione superficiale di quella del 1929 e, quindi, porta a trarre delle lezioni sbagliate, sul presente e sul futuro. Partiamo da un fatto: la politica, non il mercato, fu la causa principale dello shock ottant’anni fa. Clamorosi errori di politica economica trasformarono un aggiustamento dei mercati finanziari in una tragedia per l’economia reale. Lo stesso crollo di Borsa fu in parte accentuato da errori della politica monetaria. In secondo luogo, un’analisi attenta del presidente del New Deal, eletto nel novembre 1932, dimostra che non fu Roosevelt a far uscire l’America dalla depressione; anzi, alcune sue scelte politiche non fecero che prolungarla. Quello che stupisce della depressione americana è il fatto che durò così a lungo – ben un decennio, e chissà quanto ancora, se non ci fossero state la Seconda guerra mondiale e la ricostruzione post-bellica – e fu più grave che in Europa.

Gli sbagli di Herbert Hoover, predecessore di Roosevelt, e quelli della Federal Reserve causarono la crisi. Hoover era un ingegnere, poco capiva di economia, e credeva che un sistema economico andasse diretto come una macchina, dando ordini e direttive alle sue componenti. E, infatti, insediatosi all’alba del funesto ‘29, ai primi segnali di recessione e di deflazione convocò i maggiori industriali americani e impose loro di non abbassare i salari nominali per mantenere il potere d’acquisto e sostenere i consumi.
Non potendo mantenere salari nominali costanti, mentre i prezzi dei beni cadevano, gli imprenditori accelerarono le chiusure e fecero schizzare in su la disoccupazione.
Poi, Hoover si scagliò contro la finanza, spaventando gli investitori e velocizzando il crollo del Dow Jones. Inoltre, accettò il ritorno al protezionismo approvando la tariffa Smoot-Hawley (istituita nel 1930, la tariffa impose dazi record fino al 60% a più di 25.000 prodotti importati dagli Stati Uniti, scatenando la rappresaglia dei Paesi di tutto il mondo, che adottarono lo stesso metodo verso i prodotti americani, N.d.R.), nonostante una celebre petizione contraria firmata da ben 1.028 economisti. Ne derivò una guerra commerciale che polverizzò quello che era rimasto della globalizzazione pre-bellica (la Belle époque) e fece precipitare il mondo nella crisi più grave del capitalismo. Infine, preoccupato per il deficit montante, aumentò, e di molto, le imposte, assestando un’altra mazzata alla domanda aggregata.
Hoover consegnò a Roosevelt all’inizio del 1933 un’economia con un tasso di disoccupazione di circa il 20 per cento. Due anni dopo, era al 23 per cento. Una ripresa, nel ‘37, fu poi seguita da una nuova recessione l’anno successivo. In media, il totale delle ore lavorate negli Stati Uniti fu inferiore del 23 per cento durante il New Deal (1933-1939) rispetto agli anni che avevano preceduto il 1929, nonostante fosse salita di parecchio la spesa pubblica. I consumi degli americani rimasero al 25 per cento sotto trend durante quel periodo ritenuto leggendario. Non sembra un grande successo.

In questo articolo, due immagini simbolo della crisi economica in America dopo il crac del 1929. Una mamma accampata con i suoi bambini sotto una tenda. - Archivio BPP

In questo articolo, due immagini simbolo della crisi economica in America dopo il crac del 1929. Una mamma accampata con i suoi bambini sotto una tenda. - Archivio BPP

Che cosa fece Roosevelt? Una parte delle sue scelte politiche furono ottime: i sussidi alla disoccupazione limitarono i danni sociali della depressione, il sistema pensionistico pubblico tranquillizzò i consumatori sul loro futuro, l’assicurazione sui depositi bancari e la creazione di un regolatore dei mercati stessi (la Sec) contribuirono a stabilizzare i mercati finanziari. Ma il suo estremo dirigismo nella regolamentazione dell’economia procurò gravissimi danni.
I teorici del New Deal erano convinti che il capitalismo andasse gestito e diretto dal centro della politica. In questo senso, il National Recovery Act, che fu la prima mossa di Roosevelt nel ‘33, fu un disastro. Questa legge voleva fissare (o influenzare) prezzi e salari, impedire la concorrenza e promuovere monopoli centralizzati, anche meglio controllabili politicamente. Introdusse regolamentazioni molto specifiche su che cosa si poteva o non si poteva fare nel campo della produzione e della scelta dei prodotti. Potenziali forze vitali dell’economia privata vennero essenzialmente schiacciate da queste regole asfissianti, nel loro insieme contrarie a qualunque basilare principio di economia.
Molti potenziali investitori spaventati dalle prospettive dell’economia di mercato e dal futuro status giuridico delle imprese, messi in discussione dal New Deal con la sua tesi della superiorità della politica, smisero di investire, peggiorando in questo modo la depressione. La Corte Suprema dichiarò il Nazional Recovery Act incostituzionale nel 1935, ma quelle politiche industriali continuarono sostanzialmente immutate. Roosevelt minacciò persino l’indipendenza della Corte nella sua battaglia dirigista. Ma alla fine egli stesso riconobbe come un errore condizionante l’eccesso di regolamentazione e, in un discorso del 1938, ammise di aver consegnato l’economia americana a dei monopolisti.

In questo articolo, due immagini simbolo della crisi economica in America dopo il crac del 1929. I tumulti dei risparmiatori davanti alla Borsa di Wall Street. - Archivio BPP

In questo articolo, due immagini simbolo della crisi economica in America dopo il crac del 1929. I tumulti dei risparmiatori davanti alla Borsa di Wall Street. - Archivio BPP

L’altro cardine delle politiche di Roosevelt fu il forte aumento della spesa pubblica, soprattutto per opere pubbliche. A giudicare dai risultati sull’occupazione sopra ricordati, tutto questo sforzo ebbe effetti molto meno straordinari di quanto normalmente si pensi.
Anche altre recessioni aggredite con espansioni fiscali nel secondo dopoguerra dimostrano che i benefìci della spesa pubblica, in particolare di grandi opere edili, per stimolare la crescita sono alquanto dubbi. Insomma, quello che stupisce nell’America del New Deal non è un veloce recupero della crisi del 1929, ma un decennio di difficoltà più gravi che in altri Paesi industrializzati nella stessa epoca. I tentennamenti e le indecisioni di Roosevelt sull’abbandono del Gold Standard altro non fecero che aggravare ancor più il problema.
La lezione da trarre dalla crisi del ‘29 è, allora, molto diversa dalla riscoperta della regolamentazione, del dirigismo e dello statalismo. La crisi di oggi è stata determinata dalle distorsioni dei mercati finanziari. Ma la gestione dell’economia ci ha messo del suo, a partire da tassi troppo bassi fissati dalla Federal Reserve nei primi anni del Duemila. Fra l’altro, molti dei leader europei che oggi si scagliano contro il capitalismo anglosassone sono gli stessi che criticavano la più prudente e saggia Banca europea. E osannavano, invece, Greenspan per le sue politiche espansive, che poi, come si è visto, contribuirono alla crisi finanziaria.
E se oggi, per fortuna, abbiamo in larga parte evitato gli errori di Hoover, adesso dobbiamo evitare anche quelli di Roosevelt. Protezione sociale, sì, ma non reintroduzione del dirigismo e del capitalismo di Stato. Non ci deve essere una restaurazione. La lezione da trarre da questa crisi è, in definitiva, la seguente: il capitalismo, dopo questo shock, non cambierà. Non cadrà in alcuna trappola newdealista. Non dovrà indossare alcuna camicia di forza. Riscriveremo alcune regole per i mercati finanziari. Cercheremo di migliorare la supervisione e gli incentivi per i manager della finanza, oltre a cambiarne parecchi. Ma il capitalismo anglosassone, fondato sul mercato, continuerà ad essere quello che produce più crescita. Teniamocelo.

 


   
   
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