§ IL SUD CHE CAMBIA

BRAMBILLA TERRONI




L.D.P., R.G.



Gli ultimi dati hanno sorpreso solo i non esperti. Mentre in tutta Italia la produzione industriale scendeva vertiginosamente, al Sud essa riusciva a contenere le perdite, e in alcuni settori i risultati erano decisamente positivi. E' da qualche tempo che gli indicatori economici sullo stato di salute dell'industria mettono in evidenza una maggiore vivacità delle imprese meridionali, una "grinta" superiore a quella di molte aziende del Nord. Già i consumi di energia elettrica (una spia significativa dell'andamento della produzione) segnalavano una domanda più consistente nelle regioni meridionali. Dunque: il Sud sta andando meglio del Nord? l'immagine di un'Italia che viaggia a due velocità sta per capovolgersi, se non in tutto, per lo meno in parte?
Esaminiamo la situazione nelle tre regioni-pilota del Mezzogiorno: Puglia, Campania e Sicilia. Il quadro che emerge è, tutto sommato, positivo. Non tanto per via di dati congiunturali migliori: la crisi economica e la disoccupazione sono presenti nel Sud forse più che al Nord. E neanche perché le cifre possano indicare un recupero nella "forbice". Non c'è da farsi illusioni: il divario rimane. "Lo sviluppo dell'impresa meridionale - sostiene il Formez - si è indirizzato negli ultimi tempi soprattutto verso settori tradizionali". Restano anche le differenze fra le varie aree meridionali: la situazione della Campania non è uguale a quella della Puglia, e questa, a suo volta, differisce da quella della Sicilia. Linea adriatica e linea tirrenica non sono solo vuote espressioni create dagli economisti. Nella dorsale adriatica l'industrializzazione è stata maggiore e anche differenziata modernamente. Nella fascia tirrenica, invece, essa è stata più lenta, più uniforme, e soprattutto concentrata nelle aree metropolitane.
Infine, le difficoltà economiche in cui si trova da tempo il nostro Paese rendono problematici (o, nella migliore delle ipotesi, ritardano) gli interventi necessari per rimuovere gli ostacoli, che ancora oggi impediscono il decollo industriale del Sud. La vera novità del Mezzogiorno consiste, invece, nella diversa mentalità che, via via, si va diffondendo a tutti i livelli. L'imprenditoria meridionale è viva perché è radicalmente cambiata nel corso di questi ultimi anni. Oggi va emergendo nel Sud un ceto di professionisti e di piccoli imprenditori diversi. Il cambiamento si nota anche parlando con le persone. Le difficoltà ci sono e vengono denunciate: ma non più con le lamentazioni o i piagnistei di una volta. C'è la consapevolezza che i problemi possono essere affrontati e risolti rimboccandosi le maniche, non contando esclusivamente sull'aiuto di qualche Santo protettore. Il Sud, insomma, oggi cammina di più con le sue stesse gambe.
E' sintomatico il fatto che i segnali di vitalità dell'economia meridionale sì stiano manifestando in misura più contenuta e, comunque, in ritardo, proprio in quelle zone in cui più massicci sono stati in passato gli interventi di assistenza. Come in Campania, ad esempio, dove la Cassa per il Mezzogiorno ha indirizzato il 40-50 per cento dei finanziamenti. In altre regioni, invece, come la Puglia, le iniziative nate in maniera più spontanea fanno meno fatica ad adeguarsi al nuovo corso.
Il primo risultato del mutato atteggiamento è la posizione nei riguardi dell'intervento dello Stato. Ci sono imprenditori che oggi giungono addirittura a "snobbare" i contributi della Cassa per il Mezzogiorno. Alcuni perché non vogliono perdere tempo in lungaggini, altri perché ritengono di potercela fare da soli. Al più, chiedono che lo Stato intervenga creando le strutture necessarie (trasporti, uffici pubblici, ecc.) e favorendo la formazione professionale di una mano d'opera qualificata: un problema sul quale insistono molto gli imprenditori del Sud.
Non è certo pensabile - dicono alcuni - di abbandonare il Mezzogiorno a se stesso; ma, rispetto al passato, occorrono più interventi finalizzati: tanto più che oggi c'è carenza di tutte quelle attività o funzioni non direttamente produttive, come la ricerca e lo sviluppo, il marketing, le funzioni direzionali, le consulenze organizzative, l'informatica, i servizi alle imprese, in genere. Secondo un'indagine del Formez, il terziario nelle regioni meridionali risulta attualmente sovradimensionato (rappresenta circa il 45 per cento dell'occupazione complessiva), ma solo per quanto riguarda il commercio e la pubblica amministrazione. Esso è, invece, sottodimensionato per i servizi alle imprese. Proprio quelli nei quali nei prossimi anni è prevedibile possa concentrarsi la nuova occupazione.
Il legame tra il Sud e il resto del Paese si sta facendo più stretto? Oppure, co. me ha sostenuto di recente Pasquale Saraceno su questa "Rassegna", riecheggiando il suo intervento alla Conferenza sul Mezzogiorno, il divario sta tornando ad approfondirsi? Per aver un contesto più chiaro della situazione dell'economia meridionale, tentiamo di riassumere le fondamentali tendenze che hanno caratterizzato il suo andamento in questi ultimi anni.
E' da - qualche tempo che il settore industriale al Sud da risultati migliori che nel resto del Paese. Secondo i dati forniti dalla Svimez, già nel 1981 il valore aggiunto dell'industria ha raggiunto nel Sud una crescita dell'1,4 per cento, mentre è diminuito dell'1,6 per cento nel Centro - Nord. Anche l'andamento dell'occupazione è stato più positivo: la Relazione sulla situazione economica del Paese mette in evidenza come essa sia diminuita dell'1,1 per cento lo scorso anno rispetto a quello precedente, contro un meno 1,8 per cento del Nord Italia.
Prodotto interno lordo ed occupazione, dunque, stanno crescendo di più nelle aree meridionali. Questo andamento, tuttavia, non è ancora riuscito a ridurre il divario di produttività esistente con la parte più industrializzata del Paese. In questo campo, a comportarsi meglio sono quei settori caratterizzati dalla presenza di grandi impianti facenti capo ad imprese non meridionali; qui gli scarti con il Nord sono meno evidenti e, addirittura, nella metallurgia la produttività media risulta nel Sud più alta. Le cose vanno un po' male, invece, dove maggiore è la presenza di imprese locali e di impianti di piccole dimensioni. Per esempio, nel settore alimentare la produttività èsolo il 66% di quella del Centro-Nord; e,, nel tessile e nel l'abbigliamento scende al 59%. Gli scarti - nota la Svimez - si sono aggravati negli anni più recenti, proprio quando nel Sud il prodotto industriale di questi settori è cresciuto meno e l'occupazione è aumentata.
C'è, però, enorme differenza tra regione e regione, fra area ed area. Il prodotto lordo per abitante dell'Abruzzo è il 74% di quello medio del CentroNord; quello della Calabria raggiunge appena il 52%. Negli ultimi anni, il divario con le regioni settentrionali si è ridotto, oltre che in Abruzzo, anche in Molise, in Basilicata e in Sardegna; invece è cresciuto in Calabria, in Campania, in Puglia e in Sicilia.
Detto questo, però, non è facile definire il reale stato di salute delle diverse regioni. In Molise e in Basilicata, ad esempio, la modesta ampiezza della base produttiva fa sì che l'inserimento di poche unità industriali sia sufficiente a far salire in misura significativa il valore aggiunto.
Molta differenza c'è, inoltre, fra la situazione della Calabria e quella della Puglia, la cui zona settentrionale costituisce, a giudizio di parecchi economisti, il potenziale prolungamento verso il Sud della "linea adriatica di sviluppo". Scrive la Svimez: la questione meridionale si articola oggi in una molteplicità di problematiche regionali e locali che richiedono interventi differenziati; in talune aree o regioni saranno, in prevalenza, necessari interventi per superare la crisi industriale e rafforzare l'agricoltura; in altre, occorrerà creare nuove capacità produttive e nuovi posti di lavoro.
Negativo, sia al Nord sia al Sud, (ma in questo secondo caso la riduzione è più contenuta), è stato l'andamento degli investimenti industriali. Essi hanno segnato il passo, soprattutto a causa degli immobilizzi in macchine e in attrezzature. In altre parole, siamo di fronte ad una flessione del processo di ammodernamento e di razionalizzazione degli impianti. Si tratta di una tendenza che (sempre secondo la Svimez) sarà difficile ribaltare, almeno nel breve periodo, visto l'andamento di un fattore importante com'è quello del credito alle imprese, che nel Sud ha registrato una caduta del 4% in termini monetari, contro una crescita del 26,2% nelle regioni settentrionali.
A danno del Sud, comunque, stanno operando anche altri fattori, come quello della dipendenza di parecchie imprese da gruppi del Nord, il maggior costo delle ristrutturazioni (fra l'altro, il denaro al Sud costa mediamente un punto e mezzo in più), la necessità di sostenere l'esistente, prima di pensare allo sviluppo.
Questa situazione di partenza non favorisce certo quello che per il Sud diventa ormai un obiettivo determinante: l'introduzione di nuove tecnologie, che lo mettano in grado di aumentare, la produttività, e, quindi, di far fronte alla concorrenza dei Paesi emergenti. Nonostante tutto, infatti, le imprese meridionali rimangono soprattutto concentrate in attività "mature". Da un'indagine condotta dalla lasm-Cesan risulta che una parte assai elevata dei dipendenti di stabilimenti costruiti dopo il 1973 si concentra in settori tradizionali.
Grande importanza riveste al Sud la presenza dell'impresa pubblica. Anche qui il "peso" varia da regione a regione: si passa da valori superiori al 50%, nelle province di Taranto, Caltanissetta e Matera, a quelli meno significativi i Teramo, Campobasso, Bari: città che pure hanno registrato un vivace ritmo di sviluppo. Fra le 34 province meridionali, in nove l'incidenza degli addetti delle imprese pubbliche rappresenta un terzo dell'intera popolazione industriale.
Un'ultima annotazione riguarda l'incremento dei consumi. Di fronte a una sostanziale stazionarietà del Centro-Nord, il Sud ha fatto registrare un aumento, non grandissimo, ma che comunque rappresenta una tendenza alla crescita continua. E' interessante notare che il divario con il Nord è diminuito non solo in termini complessivi, ma anche a livello individuale. Gli aumenti maggiori si sono avuti nelle spese per l'abitazione e, in particolare, per beni e servizi come i trasporti, il turismo, ecc. Quali le conclusioni? Le distanze tra Nord e Sud permangono. I dualismi si misurano, oltre che sulla scorta degli indicatori economici, anche e soprattutto in termini di valori sociali. L'avanzamento di una società non dipende unicamente dal livello delle forze produttive, quanto dalla capacità di quella società di costruirsi a sistema dotato di reale potere di integrazione. E questa è la frontiera valicata da molte aree del Mezzogiorno.
Campania, Puglia, Sicilia. Almeno su un punto tutti gli imprenditori sono d'accordo: nella scarsa fiducia sugli aiuti e sugli interventi dello Stato. Le aziende, dicono, appena possono, evitano i finanziamenti pubblici. I motivi? Innanzitutto, la complessità delle pratiche da istruire e la lentezza con la quale queste procedono. La quotidianità dei problemi, oltre tutto, non consente di fare i piani necessari per iniziare le domande. Allettati dalla prospettiva del finanziamento, c'è anche il rischio di fare qualche cosa di troppo: per esempio, decidere di ampliare innanzitempo la fabbrica. Poi i contributi giungono in ritardo e l'azienda è costretta a indebitarsi per portare a termine i lavori preventivati.
Sotto accusa non solo le pastoie burocratiche, ma anche il tipo di intervento.
La Cassa per il Mezzogiorno - sostiene il direttore dell'Assindustria di Napoli - spesso è servita più ad elargire soldi che a finanziare nuove iniziative. E, tutto sommato, non è quello degli aiuti economici il problema più grave. Secondo gli imprenditori meridionali, ben altro peso ha la discriminazione operata in fatto di commesse pubbliche. Da Roma in su - lamentano - le aziende meridionali non vengono prese in considerazione. Perché le imprese settentrionali possono accedere alle commesse nel Sud, mentre per le imprese meridionali questo non vale? Se qualcuno vuole un esempio, basti considerare come è stata gestita manicheamente la questione degli appalti per la costruzione delle strutture di supporto per il metanodotto che dovrebbe portare nel nostro Paese il gas dell'Algeria. E se poi la commessa arriva, si mettono di mezzo i ritardi nei pagamenti, mentre l'inflazione non si ferma.
A giudizio di molti, ancora più grave è la mancanza di infrastrutture e di un'amministrazione pubblica moderna. Ci vogliono mesi per ottenere un visto dall'Ufficio di Collocamento; del funzionamento dei trasporti meglio non parlare; non si sa che cosa siano le aree attrezzate. Ci sono stabilimenti costruiti su terreni classificati industriali: ma le zone immediatamente confinanti sono state destinate all'edilizia abitativa. Se l'imprenditore intende ampliare, deve trasferirsi altrove!
E tutto questo, mentre l'imprenditore meridionale ha superato l'individualismo che lo caratterizzava e ha incominciato a scoprire il gruppo, si è accorto che, "insieme", si possono affrontare problemi che prima si era costretti ad accantonare. Un atteggiamento, questo, che è anche maturato in seguito ad una maggiore partecipazione degli industriali alle iniziative di formazione.
Tre dati sono sufficienti. Primo: nel Sud giunge poco più del 30% dei duemila miliardi di lire che l'industria italiana spende ogni anno per la ricerca. Secondo: i finanziamenti decisi due anni fa con la legge 46 per aiutare la ricerca applicata vengono utilizzati soprattutto dalle imprese del Centro-Nord, al punto che, al Sud, i fondi stanziati sono risultati essere superiori alle domande presentate per accedervi. Terzo: rispetto appena a qualche anno fa, c'è una marcata flessione nel processo di ammodernamento e di razionalizzazione dell'apparato produttivo meridionale.
Le denunce sono sostanzialmente concordi: da una parte, la ricerca si sta rivelando un punto-chiave per il Sud, e l'introduzione della nuove tecnologie nei processi produttivi non può più essere rinviato; dall'altra, le aziende di piccole e medie dimensioni non possono permettersi lunghe attese: le innovazioni devono essere portate in stabilimento con tempestività. Se non arrivano, occorre abbandonare ogni progetto di sviluppo e di espansione. Il problema, in ogni caso, non è solo quello dei finanziamenti. Fra i numerosi nodi da sciogliere c'è anche quello della mancanza di strutture: da quelle per la ricerca vera e propria (che coinvolgono anche le Università), a quelle per la diffusione e per la conoscenza delle nuove tecnologie, a quelle, infine, per poter effettuare le necessarie verifiche. Servono centri che si adattino alle esigenze locali. Ma, oltre a questo, la carenza di organi decisionali frena lo sviluppo delle iniziative in alcuni settori, come ad esempio nel terziario avanzato.
Da un paio di anni, il Formez ha messo a punto, avvalendosi di un contributo del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, un programma che prevede un collegamento con le aziende minori, per tenerle al corrente degli sviluppi dell'innovazione tecnologica. Iniziative analoghe sono state anche avviate dalla Cassa per il Mezzogiorno (per esempio, il progetto speciale 35, nato nel 1979), dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e da alcune Università. Tuttavia, il contributo maggiore all'innovazione nelle regioni del Mezzogiorno lo stanno dando proprio le stesse aziende meridionali, sempre più impegnate in originali esperienze di ricerca applicata, alla scoperta di tecnologie sofisticate che consentano di tenere testa alla concorrenza sempre più accanita dei Paesi emergenti: ma soprattutto alla attuazione di idee originali, di flessibilità delle produzioni, di prontezza di risposta alle domande del mercato.
Qualcuno immaginerebbe che, alle falde del Vesuvio, tra lava e camorra, opera una delle sedici aziende mondiali per la produzione di sedili per aerei? Ne è titolare uno, che trent'anni fa faceva il tappezziere per automobili. E un altro che lavorava in un'officina meccanica, ora agisce nel barese, con una delle maggiori industrie di autocarri ribaltabili. E un altro ancora, a Messina, tira su aliscafi a tecnologia più alta di quelle della Boeing, della Seattle, dei cantieri sovietici. il Brambilla terrone si sta aprendo le strade del mondo. Senza le antiche frustrazioni. E anche questa è una frontiera travalicata.

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