LA RELIGIONE FRA SUPERSTIZIONE E MAGIA NEL TALLONE D'ITALIA




Ada Nucita



Il crepitare e lo spegnersi del lucignolo della lampada, accesa davanti ad un'immagine sacra, da cui si implora la guarigione di un malato, è segno inevitabile della morte del degente. La foglia della palma benedetta, messa sui carboni accesi dopo il ritornello: "Palma benedetta, che vieni una volta l'anno, dimmi tu: mi vuoi bene egli quest'anno?", a secondo che scoppietti o bruci di una fiammata sola, può dare il responso della felicità alla giovanetta che ha una promessa d'amore.
S. Pantaleo, medico, generoso nel fare elemosine, convertitore di pagani, fu incatenato e decapitato nel 405. E' quanto conosciamo di questo santo. E' invocato a miracolare chi è colpito da gravi malattie, ma non sappiamo spiegarci perchè mai debba fare da cabalista e dare i numeri del lotto. Forse per le sue elemosine? Si crede che il santo durante la novena a Lui dedicato annunzi la sua venuta con tutto quel frastuono di catene che hanno più del diabolico che del santo da paradiso. La popolana lo invoca così:

Sontu Pontaleo meu,
senti ce te dicu jeu:
Per ma mia povertà,
dammi tre numeri per carità.

San Pantaleo mio,
senti cosa ti dico io:
Per la mia povertà
dammi tre numeri per carità.

Fatta la novena, i numeri sono segnati o creduti di intravvedere nella trasparenza della carta bianca, lasciata la sera prima di andare a letto, su un tavolo con una matita o un pezzo di carbone. La fantasia non li fa sortire?... Ed allora la popolana continua a pregare per nuovi numeri, a giocarli, ad illudersi ancora! ... Dei resto, i numeri sono dati anche dallo specchio rotto, dal sale e dall'olio versati sulla tavola e da tante altre.... occasioni.
Fra i santi indovini c'è anche S. Giovanni. Molti credono che, nella notte del 24 giugno, si possano trarre auspici dal tuorlo dell'uovo rimesso in una metà del guscio dopo aver sparso sul pavimento l'albume; se il tuorlo resta integro, è segno certo di buona annata per il raccolto e la famiglia non sarà colpita da malanno alcuno.
Ma c'è chi scorge anche nell'albume dell'uovo, durante la notte di S. Giovanni, il mestiere del futuro marito e subito recita così:

San Pasquale Bajlon
protettore delle donne,
fammi trovare un marito
bianco rosso e colorito,
come te, tale e quale,
o glorioso San Pasquale.

E' Sant'Antonio Abate a mandare il suo moscone grosso con le ali; il suo ronzare forte annunzia notizie di parenti ed amici lontani od una notizia attesa da tanto tempo. Anche la faleno, volando intorno ad una fiamma o intorno alla lampadina elettrica accesa, fa pensare ad un'anima del Purgatorio che deve tornare al suo fuoco purificatore.
Durante la notte di San Lorenzo (10 agosto) quando "piove sulla terra una grande quantità dei suoi carboni miracolosi", le donne del popolo, dopo aver ripetuto per tre volte un "gloria", tendono l'orecchio e stanno in ascolto per cogliere l'oroscopo: l'abbaiare di un cane lontano è di cattivo augurio; sono di buon augurio le voci umane.
Vi sono anche Sant'Irene, Sant'Oronzo, Santa Barbara, che vengono invocati durante i temporali. Al rumore secco del tuono, la popolana greco-salentina dice col cuore in pena:

Santu Rini, Santu Ronzu,
Santa Barbara de cità
o vrechi o vrontà,
cacò na min custì,
sto Giosafat na pame emì.

S. Irene, S. Oronzo,
Santa Barbara di città,
o piove o tuona,
danno non si senta,
a Giosafat andremo noi.

Non riusciamo a comprendere perchè ci si riferisca proprio alla Volle di Giosafat.
Nell'infuriare di violente grandinate vengono esposte alle finestre immaginette di santi protettori o vengono accesi i ceri benedetti nel giorno della Candelora, oppure ci si batte il petto e si ripete il "mea culpa".
Ad Uggiano la Chiesa si festeggia, il 10 settembre, S. Maria Maddalena dell'uragano. Secondo la tradizione, la santa si sarebbe intravista fra le nubi mentre allontanava il maltempo.
Gli amuleti sono il pezzo forte di ogni pratica magica o pseudo-religiosa. Un amuleto comune nel passato fu la "pisarella", in dialetto pisareddha, diminutivo di pisàra o pesàra, grossa pietra a forma triangolare tirata o da un cavallo o da una coppia di buoi per trebbiare. Un tempo era portata nelle processioni da chi voleva far penitenza. E' noto il modo di dire:

Mpènnite 'na pisàra 'n coddhu
e fùttite a mmare.

Appenditi una pisàra al collo
e gettati in mare.

Come amuleto, dunque, la "pisarella" era una piccola piramide tronca di argilla o di terracotta, che aveva un foro ad un centimetro di distanza dalla base superiore, attraverso il quale passava un filo che serviva per tenerla appesa. Sull'uso di tali pietre sono molte le congetture. Da quanto è dato sapere, sin dai tempi dei Messapi divennero, da oggetti di culto, veri e proprio amuleti contro i pericoli del malocchio o della iettatura. Sino a non molto tempo fa, le madri appendevano alle fasce dei neonati gli amuleti e le medagliette di santi, creando un curioso pasticcio di sacri e profani pregiudizi.
A questo punto, non va dimenticato il tradizionale "abitino" (collana di stoffa che reggeva una piccola immagine della Madonna o di un santo), nascosto tra le volute delle fasce infantili di un tempo o pendente sul petto nudo di grandi e piccoli, affinchè fosse baciato da entrambe le facce, quando si andava a letto la sera e quando si indossava la biancheria pulita.
Nella sera del 18 marzo, a Palmariggi, in alcune strade bruciano i grandi falò sui quali ogni contadino lancia una manata di frasche, pur di vivificare la sua fiamma religiosa, li, nel mezzo della via, poco lontano dalla porto di casa. Ed i falò, alimentati da nuove manate di sterpi, bruciano per lunghe e lunghe ore: il popolo ha grande fede per i suoi numi tutelari, quasi sempre patroni paesani. Tale fede rende il salentino esigente per le feste dei suoi Patroni. Le statue da portarsi in giro sono contese in libere concorrenze di offerte in danaro, più che per manifestazioni di ricchezza, per voti promessi o da mantenersi a costo di qualunque sacrificio.
Nel giorno del Sabato Santo, un tempo, i ragazzi allo scampanio allegro del Gloria, facevano un gran fracasso, nelle chiese si battevano le sedie, si pestavano i piedi, si suonavano con forza le raganelle, i campanelli, altri oggetti rumorosi in segno di festa, di nuova vita, mentre nelle case si cacciavano i "diavoli" da tutti gli angoli e dalle anfrattuosità dei mobili con scarpe e bastoni.
Dice la popolana al suo grande Avvocato, dipinto presso il trono della Vergine di Pompei:

S. Domenico miu beatu
sei il nostro Avvocatu
nginucchiàti te chiamamu
lu Rosariu te nvocamu
te dicimu cu llu core.
Ave o Santa Verginella
tanto pura e tanto bella;
lassa lassa an cumpagnia
Gesù Cristu e così sia.

S. Domenico mio beato
sei il nostro Avvocato
inginocchiati ti chiamiamo
col Rosario ti invochiamo
ti diciamo con il cuore.
Ave o Santa Verginella
tanto pura e tanto bella:
lascia lascia per compagnia
Gesù Cristo e così sia.

E' la stessa fede ingenua del nostro popolo che spinge tanti a recarsi a piedi scalzi nella Chiesa di S. Pantoleo a Martignano o nella chiesetta di S. Rocca a Torrepaduli per un voto fatto o da fare, e a strisciare con il corpo per terra come i rettili o con la lingua sanguinante, con la bava nerastra "parossismo di una aberrazione di fede ingenua", fino alla statua del Santo per una grazia ricevuto o da ricevere. Il Santo si adora nella fatica volontaria come "quella dei giullari di Dio trecenteschi .... ". Si crede di uccidere il corpo, peso inutile, col trascinarlo per terra come un cencio vano. Tanto è cieca la fede del nostro popolo!
Sotto terra, i morti santificati; sopra, nel cielo, i Santi umanizzati. Panteismo mistico dei primi francescani? è fede tenace. E' "celeste corrispondenza di amorosi sensi", direbbe il Fascolo.
Per il nostro popolo Cristo, i Santi, la Madonna parlano ai cuori con accenti umani. la fede è fatta di virtù, di vita come quella dei primi francescani, quella che invocava un segno divino in ogni più piccola manifestazione del quotidiano. Forse vi è in quella fede atavica l'ardore dei primi cenobiti che si adagiavano sfiniti per terra ed avevano per capezzale i sassi nudi, gli sterpi più brulli. Forse è l'aspirazione alla conquista dell'altra vita, da veri crociati, al prezzo, di qualunque sacrificio.
Davanti a così grande ardore di fede, che ha tanto palpito umano, non si rida della vecchiarella che biascica una litania tutta sua: Salu s'infirmoru; consolati s'afflittoru; stell'a matutinu ed altri detti "latini" di simile genere. Nella processione del Venerdì Santo, a Maglie, si canta una sequenza di versi funebri che rappresentano la passione di Gesù Cristo ora per ora. Le statue della "sacra rappresentazione": Cristo sotto l'albero; Cristo alla colonna; Cristo con lo scettro di canna e corona di spine; Cristo vinto dal peso della croce; e finalmente Cristo morto, sono precedute dalla Croce che ha tutti i simboli del mistero della Passione (il gallo di S. Pietro, la spugna imbevuta di aceto, la scala della crocefissione, la lancia di Longino). Dietro, vinta dal suo dolore, grande quanto quello del mondo umano, la Veronica, che sembra stendere agli occhi dei fedeli il sudario di Cristo che si trascina sii Golgota. E poi ragazzi che vestono il camice rosso con la croce sulle spalle, la corona di spine in testa, la corda alla cintura, e le donne con i capelli sciolti, le vesti a lutto, le lacrime sul viso, pallide al riflesso dei ceri, seguono la Madonna Addolorata e cantano mestamente, come vinte dallo strazio:

"O Maria, Maria
tu sai i miei dolori,
e se vuoi tu lo puoi,
o Maria aiutami tu...
La bella mia Maria,
il caro mio Gesù,
vi dono il cuore mio
e non lo voglio più...

Non c'è posto riò alla compassione nè alla scettica incredulità. "Anche Mefistofele, il grande genio del male, dinanzi a Margherita che implora la grazia divina della salvazione, sente la necessità di innalzare sino all'ampio occhio satanico il diabolico mantello, forse a reprimere il suo grido di fede, forse a tergere la sua lacrima di dolore, fattosi terribilmente umano".


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