Assetto istituzionale e funzioni della Banca d'Italia




Vincenzo Desario



Riportiamo l'intervento del Direttore Centrale

Narrare della storia della Banca d'Italia è un po' come scrivere i capitoli più importanti della storia bancaria italiana; parlare delle sue funzioni significa riflettere sui meccanismi di fondo e più delicati che regolano la formazione e la distribuzione della ricchezza.
L'esperienza della Banca d'Italia abbraccia anche vicende dolorose, che si sono manifestate attraverso crisi a li vello di singole istituzioni creditizie o di sistema, vicende nella maggior parte dei casi derivate da condotte errate di dirigenti bancari, le cui conseguenze non hanno mancato di riflettersi sull'economia del nostro Paese.
"Ma quelle crisi non sono state vane; ciascuna di esse ha lasciato un insegnamento e ha segnato un passo decisivo verso un più razionale assetto istituzionale".
Queste parole sono di un nostro corregionale, Donato Menichella, che nella soluzione di molte di quelle crisi fu grande protagonista. Governatore della Banca d'Italia per dodici anni, egli firmava la sua lettera di dimissioni diretta all'allora Presidente del Consiglio Segni nel febbraio 1960, nello stesso mese in cui venivo assunto in Banca.
Con quelle parole egli invitava tutti a riflettere sul passato, a non mandare perdute le esperienze, il più delle volte sofferte, che hanno dato luogo agli assetti istituzionali in cui operiamo e ciò proprio allo scopo di contribuire al loro migliore funzionamento e, se necessario, al loro ulteriore affinamento.
Ho ritenuto pertanto di fare cosa utile seguendo, per queste mie riflessioni, un taglio storico istituzionale, che possa servire come necessario punto di riferimento per le opinioni che ciascuno riterrà di formarsi.

CENNI STORICI E DI ORDINAMENTO

L'attuale configurazione della Banca d'Italia è il frutto di una complessa evoluzione normativa realizzatasi in gran parte tra la fine del secolo scorso e il secondo dopoguerra.
Al momento dell'unificazione nazionale operavano in Italia sei istituti di emissione. Le disposizioni legislative all'epoca emanate (nel 1874, nel 1881 e nel 1891), nell'intento di disciplinare in modo organico l'emissione, non riuscirono a evitare una gran crisi che investì tutto il comporta, come fu messo in chiara evidenza da una ispezione governativa ordinata nel 1889.
Una nuova ispezione straordinaria, confermando i precedenti sospetti, riscontrò una situazione quasi fallimentare della Banca Romana e condizioni non floride in quasi tutti gli altri istituti di emissione.
Su iniziativa del Governo, venne promosso un incontro tra gli esponenti delle tre banche aventi struttura di società per azioni (la Banca Nazionale nel Regno, la Banca Nazionale Toscana e la Banca Toscana di Credito) al fine di giungere ad una fusione dei tre istituti. L'accordo fu raggiunto rapidamente e con la convenzione 18 gennaio 1893 (sancita con legge dell'agosto dello stesso anno) nacque la Banca d'Italia, anch'essa società privata con scopo di lucro, a cui fu riservato il privilegio dell'emissione in un regime di concorrenza con i due banchi meridionali (Banco di Napoli e Banco di Sicilia).
Nel 1894, cioè un anno dopo la sua costituzione, la Banca d'Italia veniva incaricata di gestire il servizio di tesoreria provinciale dello Stato, che in tal modo accentrava presso la Banca stessa il suo movimento finanziario.
Nel 1895 fu introdotta per la prima volta una disciplina legislativa delle anticipazioni degli istituti di emissione al Tesoro.
Nel 1910 venne emanato il Testo Unico delle leggi sugli istituti di emissione e sulla circolazione dei biglietti, in parte tuttora in vigore, che regola tra l'altro le operazioni che la Banca d'Italia può compiere, le modalità di fissazione del tasso ufficiale di sconto, la vigilanza dello Stato sulle emissioni e sull'attività dell'istituto.
Il processo evolutivo venne a maturazione nel 1926, anno in cui fu tolta ai due banchi meridionali la facoltà di emettere biglietti. Le valute auree e quelle equiparate all'oro di proprietà dei due banchi passarono alla Banca d'Italia, che diventava così l'unico istituto di emissione dello Stato italiano.
Al tempo stesso veniva attribuita alla Banca d'Italia la gestione del servizio della stanza di compensazione, una volta di spettanza delle Camere di Commercio, ma in pratica da queste già affidato a uno degli istituti di emissione. Sempre al 1926 risale l'attribuzione alla Banca d'Italia del primo embrionale sistema di vigilanza bancaria, nato sotto la spinta di una situazione di grave disordine nella quale il sistema creditizio si era venuto a trovare negli anni successivi alla prima guerra mondiale e che aveva dato luogo tra l'altro alla chiusura degli sportelli della Banca Italiana di Sconto e della Banca Agricola Italiana.
Nel 1927 alla Banca d'Italia veniva affidato anche il controllo sul corso dei cambi; in questo modo si delineava più compiutamente la sua fisionomia di banca centrale, capace di influire sul comportamento delle istituzioni finanziarie del Paese e di determinare le condizioni per un ordinato svolgimento della funzione bancaria.
Passava così in seconda linea la componente privatistica della Banca d'Italia alla quale, nonostante la sua configurazione di società per azioni, veniva già riconosciuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza di ente pubblico.
Una tappo fondamentale è rappresentata dalla emanazione della legge bancaria del 1936, che nell'art. 20 definisce la Banca d'Italia istituto di diritto pubblico.
Gli organi dell'istituto rimasero espressione dei partecipanti al capitale, pur prevedendosi per la nomina di alcuni di essi l'approvazione dell'autorità politica ai suoi massimi livelli. Il divieto di effettuare operazioni di credito con imprese non bancarie sancì definitivamente la posizione di banca delle banche. Il nuovo statuto della Banca, prevedendo l'emissione dei biglietti come attribuzione istituzionale ed esclusiva, comportò il superamento del precedente sistema della concessione temporanea da parte dello Stato.
Tuttavia proprio la legge bancaria del 1936 sembrò costituire per certi versi una battuta di arresto nel processo evolutivo tendente a concentrare nella Banca d'Italia un complesso organico di poteri funzionali al suo ruolo di banca centrale. Infatti, il sistema di vigilanza bancaria, ben più articolato e potenziato rispetto a quello definito dalla legge di dieci anni prima, veniva trasferito ad un ente appositamente costituito, l'ispettorato per la difesa del risparmio e l'esercizio del credito, formalmente inquadrato nell'Amministrazione dello Stato. A capo di esso era tuttavia posto il Governatore della Banca d'Italia al fine di assicurare uno stretto collegamento tra i due enti. l'ispettorato operava alle dipendenze di un Comitato dei Ministri, presieduto dal Capo del Governo.
La nuova disciplina bancaria del 1936 va collegata all'intervento diretto dello Stato, attraverso l'I.R.I., per il risanamento delle imprese e delle banche, colpite dalla crisi internazionale degli anni '30. Essa segnò la separazione tra banca e industria e tra aziende ordinarie di credito, operanti nel breve termine, e istituti di credito speciale, aventi come scopo l'erogazione di crediti a medio e lungo termine.
Caduto il regime fascista, l'ordinamento creato con la legge bancaria fu oggetto di approfondito dibattito in sede di commissione economica presso il Ministero per la Costituente.
Fu espresso in tale sede un giudizio positivo sulla legge e sugli effetti da essa prodotti ma si ravvisò l'esigenza che la vigilanza sul sistema bancario fosse affidato ad un organo posto in condizioni di esercitare tale funzione con la massima obiettività, mediante il necessario riconoscimento ad esso di uno spazio di autonomia decisionale, e, quindi, in grado di realizzare un controllo sostanziale sulla base di criteri essenzialmente tecnici.
Si riconobbe nella Banca d'Italia l'istituzione più idonea a mediare tra l'esigenza di controllo pubblico e il rispetto dell'autonomia di gestione delle imprese bancarie, proprio per la sua matrice bancaria e le sue specifiche competenze in materia che connotano il legame strettissimo esistente tra credito di ultima istanza e vigilanza creditizia.
Nel 1944 veniva soppresso l'ispettorato; le facoltà e attribuzioni ad esso spettanti, affidate in un primo momento al Ministro del Tesoro, furono trasferite nel 1947 alla Banca d'Italia, con la contemporanea costituzione del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio, organo politico a cui è attribuito l'alta vigilanza in materia di tutela del risparmio, in materia di esercizio della funzione creditizia e in materia valutaria.
Nel 1945 veniva costituito l'Ufficio Italiano dei Cambi con compiti di gestione e controllo valutari. La creazione di un organo formalmente distinto dalla Banca d'Italia si collega con il principio del monopolio dei cambi. Nondimeno il legislatore, attribuendo di diritto al Governatore della Banca d'Italia la Presidenza dell'Ufficio Italiano dei Cambi, intese chiaramente coordinare gli indirizzi in materia, nella consapevolezza che la difesa dell'equilibrio interno ed esterno della moneta costituissero aspetti inscindibili di un'unica funzione, che fa capo alla banca centrale.
Il monopolio dei cambi, inteso come gestione centralizzata delle divise e loro ripartizione tra gli operatori secondo criteri di razionamento decisi in sede amministrativa, è ormai cessato da molti anni. Il processo di liberalizzazione avviato negli anni cinquanta ha portato all'istituzione di un mercato delle valute e all'attribuzione alle banche di ampie facoltà operative nella negoziazione di divise.
Dopo un periodo di inasprimento del controllo valutario, conseguente alle tensioni derivanti dallo shock petrolifero degli anni Settanta, la tendenza attuale è orientata verso un modello più conforme a quello in uso negli altri Paesi occidentali.
In un contesto in cui, nonostante il rallentamento dell'inflazione, il tasso annuo di aumento dei prezzi al consumo si mantiene al di sopra di quello medio degli altri Paesi dell'OCSE, la gestione valutaria presenta aspetti di particolare delicatezza e complessità.
Nel 1948 anche i rapporti tra Banca e Tesoro trovarono un nuovo assetto, coerente con l'obiettivo di circoscrivere il finanziamento monetario della spesa pubblica entro i limiti compatibili con la stabilità della moneta.
Trattasi di una disposizione che fissa un limite, espresso in termini percentuali alla spesa, allo sbilancio a debito del Tesoro nel c/corrente di Tesoreria e vieta l'effettuazione di anticipazioni straordinarie al Tesoro in mancanza di un'apposita legge che ne determini l'importo. Essa mira ad assicurare la stabilità dei prezzi e dei cambi in armonia con i principi costituzionali della tutela del risparmio e dell'obbligo di copertura della spesa pubblica. Il divieto al Tesoro a chiedere e alla Banca d'Italia a concedere anticipazioni straordinarie è strumentale al riconoscimento al Parlamento delle responsabilità ultime in questa delicata materia.
La norma citata costituisce, altresì, il presidio normativo dell'autonomia tecnica della banca centrale.
Veniva a completarsi così lo sviluppo, durato circa mezzo secolo, che ha portato la Banca d'Italia ad assumere l'originale e complesso assetto strutturale e funzionale che tutt'oggi la caratterizza.
Come già detto, con la riforma del 1936 la Banca si trasformò da società di diritto privato a tempo determinato in istituto di diritto pubblico senza durata prestabilita.
Gli azionisti privati vennero integralmente rimborsati e si dispose che il capitale della Banca potesse appartenere esclusivamente a casse di risparmio, istituti di credito di diritto pubblico, banche di interesse nazionale, istituti di previdenza e di assicurazioni; in tal modo si intese mantenere la proprietà della Banca nell'ambito di enti e istituti tutti rientranti, sia pure in vario modo, nell'orbita pubblica.
La sovrapposizione della natura pubblicistica all'originaria struttura privatistica e il contemporaneo svolgimento da parte della Banca di attività sia di natura negoziale, che qualificano la banca centrale, sia di natura amministrativa sono alla base delle contrastanti opinioni che da tempo si dibattono sulla natura giuridica della Banca d'Italia.
La mancata partecipazione dello Stato al capitale della Banca e l'inapplicabilità ad essa della legge n. 70/1975 sul riordinamento degli enti pubblici parastatali sono elementi che concorrono ad attribuire alla Banca d'Italia una posizione del tutto peculiare, che trova riscontro nella circostanza che molte funzioni ad essa spettanti sono esercitate in via del tutto esclusiva.
Si spiega in tal modo l'orientamento giurisprudenziale emerso in più circostanze di considerare la Banca come un ente a se stante nel contesto degli enti volti al perseguimento di finalità pubblicistiche.
I poteri della Banca risiedono nella Assemblea generale dei partecipanti, nel Consiglio Superiore, nel Comitato del Consiglio Superiore e nel Direttorio, costituito dal Governatore, dal Direttore Generale e da due Vice Direttori Generali.
Il Consiglio Superiore è composto dal Governatore e da tredici Consiglieri nominati dalla Assemblea dei partecipanti presso le Sedi della Banca in ragione di uno per ogni Sede. Spetta al Consiglio Superiore la nomina e la revoca del Governatore, del Direttore Generale e dei due Vice Direttori Generali; i relativi provvedimenti devono ottenere l'approvazione governativa con decreto del Presidente della Repubblica, promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto col Ministro del Tesoro, sentito il Consiglio dei Ministri. Per espresso disposizione di legge è esclusa ogni ingerenza del Consiglio Superiore nelle materie di politica monetaria, vigilanza creditizia e valutaria. In questo modo la parte dell'attività dell'istituto rivolta al perseguimento di fini pubblici risulta separata dalle interferenze dei partecipanti al capitale.
A salvaguardia dell'indipendenza del Consiglio è stabilito che non possono farne parte né i senatori, né i deputati né le altre persone che ricoprono cariche di carattere politico. I membri del Consiglio Superiore non possono neppure appartenere in qualsiasi veste a istituti o aziende di credito.
Lo statuto non contempla specifiche previsioni di divisione dei compiti tra i membri del Direttorio; esso mira ad assicurare continuità nella direzione dell'Istituto e unitarietà degli indirizzi.
La figura del Governatore si caratterizza sia per il profilo interno della guida e dell'amministrazione dell'Istituto, sia per quello esterno di banchiere centrale, di capo della vigilanza creditizia e di consulente del Governo. L'incarico ha rilievo pubblicistico e una portata anche internazionale.
L'organizzazione interna è costituita dalle strutture dell'Amministrazione Centrale in Roma, che costituiscono punto di convergenza di tutte le attività della Banca, e da una rete periferica che comprende 97 filiali site in tutti i capoluoghi di regione e di provincia e da alcune delegazioni all'estero (Bruxelles, Francoforte, Londra, Parigi, Zurigo, New York tramite U.I.C.).

LA FUNZIONE DI EMISSIONE

La funzione di emissione, oltre a collegarsi con il compito di regolazione della liquidità, assume autonoma rilevanza nell'ambito del sistema dei pagamenti. Per emissione deve intendersi il potere di emettere passività finanziarie a vista che fungono da strumenti di pagamento aventi corso legale, cioè dotati di potere liberatorio.
Nel 1934 e 1935 furono sospese le precedenti norme che sancivano la convertibilità in oro o divise dei biglietti di banca e che obbligavano l'istituto di emissione a tenere una riserva aurea o equiparata non inferiore al 40% dell'ammontare della circolazione. L'ammontare delle riserve detenute in valuta estera risponde a regole prudenziali legate alle esigenze dell'interscambio internazionale. Naturalmente, poiché le banconote e gli altri impegni a vista costituiscono la base del processo di moltiplicazione della moneta e del credito e vengono perciò definiti come "base monetaria", la loro espansione trova il proprio limite superiore nella compatibilità dell'incremento monetario e creditizio con le potenzialità di sviluppo del reddito: oltre tale compatibilità l'eccessiva espansione monetaria e creditizia si riflette in termini di inflazione e di disavanzo esterno. Nell'ambito del volume complessivo delle passività a vista della banca centrale, la conversione in banconote non è in alcun modo limitata e riflette quindi di fatto le esigenze del pubblico.
Collaterale alla funzione di emissione è la gestione del servizio della compensazione, attesa la razionalizzazione che essa introduce nel sistema dei pagamenti e nell'utilizzo del circolante.
Una visione completa del ruolo che la Banca d'Italia svolge nell'ambito del sistema dei pagamenti non può prescindere dalla considerazione dell'azione che essa svolge, anche come organo di vigilanza creditizia, nella creazione e nella disciplina di nuovi sistemi di pagamento, il cui sviluppo, oggi appena agli inizi, promette di rivoluzionare il nostro modo di effettuare le transazioni, tuttora affidate quasi esclusivamente alle banconote e agli assegni bancari.

LA FUNZIONE DI POLITICA MONETARIA

Il fine che la politica monetaria persegue è rappresentato dalla stabilità della moneta in termini sia di potere di acquisto interno sia di rapporti di cambio con le altre monete.
L'evoluzione prodottasi nelle società moderne mediante la affermazione di nuovi valori non ha modificato questa impostazione di fondo; tale compito deve essere svolto tenendo conto dei suoi rapporti di complementarità con il perseguimento di un altro obiettivo fondamentale, rappresentato dal pieno impiego delle risorse, nel rispetto del vincolo dell'equilibrio esterno.
In Italia, come si è visto, analogamente a quanto avviene in molti altri Paesi, è affidata alla banca centrale anche la funzione di intervento strutturale e di supervisione sul sistema creditizio, attraverso l'attribuzione di una serie di poteri finalizzati al conseguimento di obiettivi di stabilità e di efficienza degli intermediari creditizi.
Le ragioni di opportunità che giustificano l'assegnazione di questo ulteriore compito sono molteplici e si ricollegano principalmente alla stretta correlazione che sussiste tra fenomeno monetario e fenomeno creditizio. L'azione di politica monetaria non può non tener conto, nella scelta e nel dosaggio dei diversi strumenti di cui dispone, della capacità degli intermediari creditizi di trasmettere gli impulsi che da tali strumenti promanano. L'attività di vigilanza, dal canto suo, nel momento in cui è chiamata a fare una valutazione della redditività e solidità patrimoniale delle singole banche, deve fondarsi su una cognizione chiara delle condizioni monetarie generali in cui esse operano. Inoltre, nella stessa funzione di politica monetaria è implicita un'attività di controllo sugli enti creditizi per il fatto che essi accedono al rifinanziamento presso la banca centrale.
Sussiste dunque, tra funzione di vigilanza e funzione di banca delle banche un nesso logico e operativo, che l'ordinamento italiano ha efficacemente recepito. l'azione della Banca d'Italia è sempre ispirata ad un carattere di neutralità allocativa; i suoi provvedimenti, sia di banca centrale sia di vigilanza, non si pongono obiettivi specifici riferiti a singoli operatori, ma hanno portata generale e astratta, anche se naturalmente i loro effetti, trasmessi agli operatori economici per il tramite delle aziende di credito, incidono sulle modalità di utilizzo delle risorse e quindi sulla distribuzione del reddito e della ricchezza. Essa favorisce assetti istituzionali e di mercato del sistema creditizio, tali da accrescere la capacità del sistema stesso di operare la migliore scelta dei progetti di investimento e degli imprenditori chiamati a realizzarli.
Il processo di creazione della moneta e del credito è stato efficacemente rappresentato con l'immagine di una piramide, idealmente diviso in tanti piani in cui ogni piano genera il successivo.
Alla base della piramide sta la creazione di "base monetaria" da parte della banca centrale. Ciò avviene ogni qualvolta questa accresce il proprio debito in circolazione, cioè dispone un accredito a favore di una banca oppure eroga biglietti.
Costituiscono pertanto base monetaria i biglietti e le monete della banca centrale e del Tesoro, i depositi a vista presso la banca centrale e il Tesoro, i margini disponibili nei conti di anticipazione delle aziende di credito presso la banca centrale e altre partite a queste assimilabili.
Ogni volta che la banca centrale effettua acquisti sul mercato o concede finanziamenti crea base monetaria, poiché accredita il controvalore degli acquisti o dei finanziamenti in conti di deposito che le banche detengono presso di essa. Sulla base della liquidità di cui dispongono - sotto forma di depositi presso l'Istituto di emissione - le banche a loro volta concedono crediti o acquistano titoli. I beneficiari dei crediti e i venditori (o gli emittenti) dei titoli in parte incrementano le proprie scorte di biglietti, in parte accendono nuovi depositi presso le banche. Queste ultime, collettivamente considerate, rientrano quindi in possesso di gran parte della liquidità inizialmente spesa, che può quindi essere nuovamente impiegato.
Sono questi i successivi piani della piramide ognuno dei quali è più stretto del precedente per tre ordini di motivi:
- una parte del credito erogato non torna alle banche, ma si fissa nella circolazione dei biglietti;
- la parte che torna alle banche sotto forma di depositi dà luogo alla costituzione di una riserva obbligatoria in contanti presso la banca centrale. Questa parte della base monetaria è quindi sottratta alla liquidità impiegabile per espandere il credito; da un'impostazione originaria, secondo cui la riserva era concepita essenzialmente come presidio della solvibilità delle aziende di credito, sì è quindi passati ad una concezione che fa della riserva stessa un meccanismo di controllo della liquidità complessiva del sistema;
- le banche, per prudenza, a fronte dell'incremento dei depositi tendono a mantenere maggiori riserve liquide, cioè quelle di cui non sono normalmente disposte a privarsi.
Il processo di offerta di moneta e di credito, sopra descritto in forma schematica, va collocato nella complessa realtà dei mercati monetari, creditizi e finanziari nei quali la domanda e l'offerta si incontrano determinando i relativi prezzi. In tal modo l'offerta di moneta influenza la struttura dei tassi di interesse e, attraverso questa, influisce sulla formazione delle aspettative, sulla propensione al risparmio e all'investimento, sulla domanda globale di beni e servizi, sui movimenti di capitali con l'estero.
Il processo di creazione della base monetaria si fonda su fattori autonomi e su interventi delle Autorità monetarie.
E' considerato un fattore autonomo di variazione della base monetaria (non determinato cioè direttamente dalla banca centrale) il movimento valutario con l'estero. infatti l'avanzo o il disavanzo della bilancia dei pagamenti comporta rispettivamente cessione all'Ufficio Italiano dei Cambi di valuta contro lire ovvero di lire contro valuta. Per quanto concerne il Tesoro, vi è una creazione di liquidità autonoma che scaturisce dall'utilizzo del credito della Banca d'Italia fornito attraverso il conto corrente di tesoreria provinciale, nei limiti previsti dalla legge del 1948 prima citata.
Gli interventi delle Autorità monetarie sono volti a integrare o compensare gli effetti prodotti dal dispiegarsi dei fattori autonomi, in funzione di un obiettivo predeterminato. rappresentato dalla quantità totale di base monetaria da creare in un determinato arco temporale.
Tali interventi si effettuano attraverso operazioni in titoli sul mercato aperto e il rifinanziamento del sistema creditizio.
Per quanto riguarda gli strumenti tradizionali di rifinanziamento (lo sconto e l'anticipazione), la legge attribuisce al Ministro del Tesoro, su proposta della Banca d'Italia, il potere di fissare il tasso ufficiale di sconto. Per il resto ogni decisione operativa, compresa quella relativa alle quantità, è rimessa alla Banca d'Italia.
Di fatto l'operazione di risconto è ormai relegata ad un ruolo modesto, mentre alla tradizionale anticipazione in conto corrente si è affiancata l'anticipazione a scadenza fissa che - in uno delle operazioni di "prorogati pagamenti" e di "pronti contro termine" - consente alla Banca d'Italia una più puntuale verifica delle esigenze di liquidità delle aziende richiedenti e delle compatibilità dell'operazione con la condizione monetaria del sistema.
Il canale dei rapporti tra la Banca d'Italia e il Tesoro ha fatto registrare nel tempo una significativa evoluzione per la presenza di un fabbisogno pubblico ampio, la cui ulteriore spinta a crescere in modo irregolare tende a ridurre i margini di manovra a disposizione della banca centrale per una politica monetaria stabilizzatrice.
L'esistenza oggi di un mercato monetario ampio e concorrenziale facilita il collocamento e la gestione dei titoli del debito pubblico, ponendo in maggiore evidenza il livello di pressione che il fabbisogno pubblico esercita sul risparmio e sulla destinazione delle risorse.
La dimensione del debito pubblico ha raggiunto alla fine dello scorso anno 636.000 miliardi di lire, pari al 93% del prodotto interno lordo (L. 680.500 miliardi secondo dati di preconsuntivo). Tale rapporto, che nel 1973 si collocava al 53%, ha fatto registrare negli ultimi anni una costante lievitazione. Le prime valutazioni effettuate con riferimento al 1985 evidenziano che il fabbisogno di finanziamento del settore statale si è ragguagliato per detto anno a 108.800 miliardi, contro una determinazione originaria di 96.300 miliardi. Per il 1986 la legge finanziaria si propone, come noto, di mantenere il fabbisogno complessivo del settore statale in 110.000 miliardi, sugli stessi livelli cioè dell'anno precedente.
La Banca d'Italia ha cercato in ogni occasione di promuovere lo sviluppo del mercato. In questo quadro si iscrive a partire dal 1981 il cosiddetto "divorzio" tra Banca d'Italia e Tesoro, seppure reso non agevole dalle difficoltà di volta in volta di far fronte alle esigenze del breve periodo. Esso è stato dettato dalla consapevolezza che l'acquisto automatico da parte della Banca D'Italia dei BOT non collocati sul mercato poteva divenire un pericoloso aggiramento posto da I l'ordinamento. Da quel momento l'acquisto e la vendita di titoli di stato da parte della Banca d'Italia vengono determinati esclusivamente dalle esigenze di controllo della base monetaria.
Questa impostazione fu messa a dura prova nel 1982, allorché un'improvvisa caduta della domanda di titoli pubblici, provocata da voci di consolidamento forzoso, e la riluttanza del Tesoro ad aumentare i rendimenti determinano una crisi nella copertura del fabbisogno. la Banca d'Italia non fu disponibile a comprare titoli di Stato oltre i valori compatibili con gli obiettivi monetari. Il Parlamento, secondo il dettato legislativo, approvò la concessione di un'anticipazione straordinaria e temporale della Banca al Tesoro di L. 8.000 miliardi, rimborsata nei termini previsti.
L'episodio è entrato a far parte della storia. Esso valse a chiarire in maniera drammatica i costi provocati dalla dilatazione del deficit del bilancio pubblico. Oltre a quelli sulla base monetaria fin qui descritti, la Banca d'Italia effettua ulteriori interventi sul sistema bancario con finalità di politica economica. Essi si concretizzano nell'imposizione dell'obbligo di investimento in titoli di una ruota degli attivi bancari (attualmente in vigore in termini assai contenuti) e del limite alla crescita degli impieghi che, dopo un decennio circa di applicazione dal 1973 al 1983, è stato reintrodotto nel gennaio scorso, allo scopo di fronteggiare una situazione di emergenza, con risultati coerenti con le attese. L'orientamento della Banca d'Italia è infatti quello di limitare il ricorso a strumenti amministrativi di questo tipo ai soli casi imposti dall'urgenza e dalle dimensioni dei problemi nella consapevolezza che tali strumenti, se protratti nel tempo, comportano una indesiderata attenuazione dello slancio imprenditoriale delle banche e riducono l'efficacia dei meccanismi selettivi del mercato.

LA FUNZIONE DI VIGILANZA CREDITIZIA

La vigilanza sul sistema bancario fa capo ad una struttura che vede al vertice il Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio, a cui compete la formulazione delle linee politiche e degli indirizzi generali in materia.
Il Ministro del Tesoro, oltre a presiedere il Comitato e ad emanare i provvedimenti conseguenti alle deliberazioni del Comitato stesso, ha il potere, quando ricorrono motivi di urgenza, di sostituirsi all'organo collegiale decidendo direttamente, con l'obbligo di successivo riferimento al Comitato.
La Banca d'Italia è l'organo tecnico del quale il Comitato si avvale per gli accertamenti nelle materie di propria competenza e per l'esecuzione delle deliberazioni. La Banca, peraltro, a differenza del cessato Ispettorato, non opera alle dipendenze del Comitato. Essa dispone di ampia discrezionalità tecnica e autonomia operativa nella scelta degli strumenti più idonei per il conseguimento in concreto degli obiettivi di carattere generale, nell'espletamento dell'attività di controllo, nella emanazione delle istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, nell'esercizio dei poteri ad essa direttamente riconosciuti dalla legge bancaria.
Essa svolge, nei confronti dello stesso Comitato, un'importante azione propositiva, che si rivolge in concreto nell'indicare soluzioni, promuovere iniziative, sollecitare interventi.
La posizione del Governatore della Banca d'Italia - come già detto - si qualifica non solo per la sua veste di Capo dell'Istituto, ma anche per una serie di specifiche attribuzioni conferitegli "iure proprio" dalla legge. Egli, partecipando alle sedute del Comitato Interministeriale, realizza il collegamento tra autorità tecnica e autorità politica.
Lo strumentario di vigilanza, assai ampio e articolato, non si presta ad essere ricondotto a classificazioni di carattere generale.
Per comodità di trattazione, tuttavia, può individuarsi un primo tipo di controlli, generalmente definiti di carattere preventivo, costituiti dalle autorizzazioni rilasciate nei casi previsti dalla legge o dalle istruzioni di vigilanza.
I controlli che attengono alla struttura del sistema creditizio si realizzano attraverso le autorizzazioni alla costituzione dei nuovi enti creditizi, all'apertura e trasferimento di sportelli, alle fusioni e ai collegamenti azionari tra banche, alla competenza territoriale nell'erogazione del credito, nonché attraverso l'approvazione degli statuti e delle relative modifiche.
La tendenza seguita nell'esercizio di tali poteri è quella di conferire maggiori spazi di autonomia alle banche, nell'ambito di una graduale liberalizzazione dell'attività creditizia in linea con le scelte maturate in sede comunitaria.
Un ulteriore complesso di poteri è orientato da un lato a promuovere la qualificazione dei vertici bancari, dall'altro ad evitare negative interferenze esterne nello svolgimento dell'attività creditizia. Per un corretto funzionamento dei mercati creditizi è indispensabile che i banchieri possano operare in condizioni di indipendenza e di autonomia tali da consentire loro di accogliere o rifiutare le richieste degli imprenditori e gli altri impulsi provenienti dall'esterno, seguendo la sola logica mirata al perseguimento degli obiettivi di impresa. la normativa recentemente emanata in applicazione di una direttiva comunitaria introduce una serie di requisiti di onorabilità e professionalità che gli esponenti bancari devono possedere per l'esercizio delle cariche loro affidate.
Particolare attenzione è stata rivolta negli ultimi tempi al fenomeno dei gruppi nei quali le banche possono trovarsi inserite in posizione dominante o dominata. E' stata sottoposta a revisione, prima in via amministrativa, poi con apposite iniziative legislative in corso di approvazione, la disciplina delle partecipazioni bancarie ed è stato applicato il principio della vigilanza su base consolidata.
Una recente legge subordina l'esercizio del diritto di voto, nelle banche che hanno forma societaria, alla identificazione dei proprietari delle loro azioni. la trasparenza degli assetti proprietari serve a prevenire possibili conflitti d'interessi e ad assicurare il mantenimento del principio di separatezza tra banca e industria, finora affidato principalmente alla proprietà pubblica delle banche.
I controlli di vigilanza si esplicano anche mediante un'intensa attività conoscitiva avente ad oggetto i principali aspetti tecnici ed organizzativi delle gestioni aziendali: essi possono essere di tipo cartolare, allorché si basano sull'esame a distanza dei dati e delle documentazioni che le aziende sono tenute a produrre alla Banca d'Italia, ovvero di tipo ispettivo, allorché si concretizzano nell'accesso diretto di funzionari dell'Istituto presso le Banche per una verifica in loco dell'operato delle stesse.
Ulteriori forme di intervento sono costituite dalla irrogazione di sanzioni amministrative nei casi di accertare irregolarità e dal ricorso alle speciali procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta per fronteggiare crisi bancarie.
Uno dei principi cardine a cui si è sempre ispirata l'azione di Vigilanza -recentemente confermato dalla IL. 74/85 che recepisce la prima direttiva comunitaria di coordinamento dell'attività degli enti creditizi - è che la raccolta del risparmio e l'esercizio del credito, pur mantenendo una valenza di pubblico interesse, costituiscono un'attività d'impresa, in cui la valutazione delle iniziative, le decisioni circa l'allocazione delle risorse, la ponderazione del rischio, le considerazioni di opportunità e di convenienza connesse alle varie tipologie di operazioni sono rimesse ai competenti organi delle banche. La Banca d'Italia, nell'espletamento dei compiti di vigilanza, non può sostituire la propria volontà a quella che si è formata autonomamente all'interno degli organismi soggetti alla vigilanza stessa.
I poteri di vigilanza bancaria infatti non consentono di interferire nei rapporti d'affari che le banche intrattengono con i singoli clienti, rapporti che sono interamente regolati dal diritto privato, indipendentemente dalla natura pubblica o privata dell'azienda di credito.
Queste distinzioni di fondo aiutano a comprendere l'esatta portata del compito delle Autorità di vigilanza che è principalmente quello di creare presupposti di base affinché gli intermediari creditizi svolgano in autonomia le loro funzioni con la massima efficienza possibile a vantaggio dell'intero sistema economico. L'azione delle Autorità è volta in definitiva a ricevere le condizioni che con maggiore probabilità assicurano l'efficienza operativa e allocativa del sistema creditizio preservandone nel contempo la stabilità.
L'obiettivo della tutela del risparmio bancario viene in concreto perseguito avendo di mira due fondamentali obiettivi intermedi: la stabilità del sistema creditizio e l'efficienza della sua gestione, sia in generale che a livello di singola azienda di credito.
Il contestuale perseguimento di tali obiettivi si presenta però particolarmente arduo in quanto, per loro natura, essi possono risultare incompatibili tra loro. Spetta all'Organo di vigilanza il delicato compito di contemperare con un accorto dosaggio le esigenze di stabilità, intese come preservazione delle singole unità quale presupposto per l'equilibrio complessivo del sistema creditizio, e di efficienza, da misurarsi quest'ultima in termini di economicità delle gestioni, qualità dei servizi resi, allocazione ottimale delle risorse, minimizzazione del costo di intermediazione e qualità degli attivi.
La linea della Banca d'Italia in questo campo è improntata a duttilità e a pragmatismo. La concorrenza, spinta oltre certi limiti, diventa fattore di instabilità e può condurre ad una eccessiva concentrazione finendo per accentuare, anziché ridurre, il carattere oligopolistico del mercato bancario. D'altro canto l'esigenza della stabilità non si ricollega soltanto alla tutela del risparmiatore
ma attiene più in generale alla necessaria salvaguardia dei meccanismi creditizi nel loro complesso.
Negli ultimi anni l'Autorità di vigilanza si è impegnata in un'azione diretta a immettere crescenti stimoli di concorrenza al fine di accrescere l'efficienza del sistema, ma rafforzando contemporaneamente gli strumenti atti a prevenire le crisi e a fronteggiarne gli effetti, affinché la valorizzazione degli aspetti concorrenziali non venisse interpretata come una "delega rilasciata al mercato", giusta quanto ricordato dal Governatore della Banca d'Italia nell'ultima relazione annuale.
Sono stati arricchiti i supporti informativi concernenti la situazione delle singole aziende, perfezionate le relative tecniche di analisi, accentuati i meccanismi che incentivano l'accrescimento dei fondi patrimoniali, richiamata l'attenzione dei banchieri sull'esigenza di razionalizzazione degli assetti organizzativi e di rafforzamento dei controlli interni, nel quadro di una più consapevole definizione degli orientamenti strategici dell'impresa bancaria.
E' in corso di definizione un'importante intesa a livello interbancario per la costituzione di un Fondo di tutela dei depositi. Questo eviterà che nei casi di crisi il costo degli interventi continui a ricadere integralmente sulla collettività. Il rimborso garantito è integrale solo per i depositi di minore importo e nullo per i depositi intercreditizi.
I controlli di mercato sono stati intensificati dalle pubblicazioni, recentemente avviate da parte delle banche, di dati e indici che permettono agli operatori specializzati di analizzare il grado di redditività e di rischiosità delle singole istituzioni.
La Banca d'Italia ha indicato criteri e linee operative idonei a potenziare l'efficienza delle strutture bancarie nel momento più qualificante delle loro attività, quella della valutazione dell'affidabilità delle imprese da finanziare.
Separazione tra agevolazione e credito, ruolo e funzionamento della banca pubblica, operatività degli istituti di credito speciale, ricapitalizzazione degli intermediari, nomine bancarie sono tra i principali problemi per cui negli ultimi anni sono state prospettate e spesso realizzate soluzioni.
La revisione avviato degli statuti delle Casse di Risparmio e degli istituti di credito di diritto pubblico mira tra l'altro a consentire l'ingresso di privati nel capitale di detti enti con quote di partecipazione minoritaria si da favorire il loro rafforzamento patrimoniale e un migliore controllo del mercato sul loro operato.
Il processo di integrazione dei mercati finanziari dei diversi Paesi ha determinato da un lato una crescente apertura del nostro sistema bancario verso l'attività internazionale, dall'altro un accentuato interesse delle banche straniere a inserirsi nei nostri mercati.
I criteri seguiti dall'Organo di vigilanza in materia di accesso di banche estere, insediamento oltre confine di quelle italiane, costituzione di partecipazioni all'estero e flussi informativi che le aziende di credito sono tenute ad inviare relativamente ai dati delle consociate, sono stati anche in questo settore ispirati al criterio di cogliere gli aspetti costruttivi e innovativi di una maggiore concorrenzialità, prevenendo nel contempo fattori di instabilità.
Notevole importanza assume il processo di innovazione finanziaria, che appare destinato ad incidere in profondità sui mercati finanziari e creditizi, nazionali ed esteri.
La Banca d'Italia segue con grande attenzione l'evoluzione di tali mercati nella consapevolezza che un'accurata analisi delle complesse transazioni che vi si svolgono e l'adozione di adeguati schemi interpretativi sono indispensabili per assicurare la stabilità e l'efficienza complessiva del sistema creditizio.
In questo processo innovativo, i servizi richiesti dagli operatori si vanno facendo sempre più diversificati e sofisticati; il loro soddisfacimento porta alla creazione di nuovi intermediari finanziari i quali, specializzando la loro attività e creando nuovi strumenti, vanno ad occupare nei mercati anche spazi coperti dagli intermediari tradizionali. Per tali soggetti si pongono, evidentemente, problemi sia di inquadramento giuridico sia di definizione dei requisiti necessari per l'ordinato funzionamento dell'intero sistema finanziario.
Le implicazioni di siffatto fenomeno sulla politica monetaria e sull'attività di vigilanza sono rilevanti anche in virtù della stretta connessione che in generale le lega: entrambe hanno quale obiettivo primario la stabilità della moneta e dell'attività creditizia. Se una delle due perde efficacia, il ruolo e le responsabilità che ricadono sull'altra risultano corrispondentemente accresciute.
Se si rimane nell'ambito delle innovazioni promosse dagli enti creditizi, non v'è dubbio che il Processo in corso esiga di rivolgere particolare attenzione alle nuove tecniche operative, giacché occorre individuare quelle che corrispondono ad effettive esigenze degli operatori o degli intermediari, le quali arrecano un genuino arricchimento del sistema, da quelle, elaborate al solo scopo di eludere le regole e i vincoli vigenti, che invece indeboliscono il perseguimento degli obiettivi di carattere generale cui è ispirata l'azione della banca centrale.
Importante manifestazione dell'innovazione finanziaria in Italia è costituita dalla nascita di nuovi intermediari: mi riferisco alle società di leasing, factoring, affermatesi nel corso degli anni settanta per soddisfare avvertite esigenze delle imprese, e ai fondi comuni di investimento mobiliare, anche essi soggetti come noto alla vigilanza della Banca d'Italia, rapidamente sviluppatisi con riflessi sulla domanda di azioni, sulla quotazione in borsa di titoli nuovi e sulla diversificazione dei portafogli dei risparmiatori.
L'espansione operativa dei "fondi" incontra un limite nella ristrettezza del nostro mercato azionario dal lato dell'offerta; per il suo ampliamento e per favorire per questa via l'equilibrato soddisfacimento delle esigenze finanziarie delle imprese produttive, la Banca d'Italia ha da tempo auspicato l'istituzione di enti che svolgessero attività di merchant banking, intesa a favorire in particolare l'accesso di nuove imprese alla quotazione di borsa, esigenza che, se attuata, potrebbe realizzare un'importante sinergia con l'azione dei fondi.
A questi sviluppi le banche hanno reagito da un lato accettando, entro certi limiti, un ridimensionamento del loro ruolo, dall'altro avviando un processo di acquisizione di partecipazioni in società che svolgono attività collaterali o strumentali alla loro (leasing-factoring-fondi comuni-fiduciarie, ecc.), dando luogo a nuove tecniche operative e offrendo nuovi servizi (ad es. operazioni in titoli pronti contro termine o similari, gestioni patrimoni mobiliari ecc.).
In sostanza, le aziende di credito e le banche centrali si trovano ovunque nel pieno di un processo innovativo estremamente complesso, tuttora aperto a esiti assai diversi, che appare comunque destinato a modificare in profondità non poche delle certezze acquisite dall'esperienza. In particolare le banche centrali sono pienamente consapevoli del fatto che l'attuale evoluzione dei sistemi finanziari comporta gradi crescenti di rischio.
Per queste ragioni, in sede internazionale è stata posta l'esigenza di un coordinamento degli organi di vigilanza in questa materia, sia per non alterare le condizioni di concorrenza sui mercati internazionali, sia per evitare che lo svolgimento di operazioni innovative possa riflettersi sulle condizioni economiche e patrimoniali delle istituzioni creditizie.
Passi importanti sono stati compiuti con il nuovo Concordato di Basilea per una maggiore collaborazione tra le Autorità di vigilanza dei diversi Paesi e per la circolazione di elementi conoscitivi attraverso i confini nazionali.
Il dilemma nei confronti dell'innovazione finanziaria rimane, comunque, quello di riuscire a neutralizzare i possibili effetti indesiderabili senza per questo soffocare le spinte innovative che emergono spontaneamente e che paiono suscettibili di favorire l'utilizzo ottimale delle risorse a sostegno dello sviluppo economico del paese.
Vengono, perciò, assecondate le iniziative volte ad un fecondo arricchimento delle strutture finanziarie purché vengo rispettata la trasparenza informativa e non venga sminuita l'esigenza dell'Autorità monetaria di mantenere il controllo dei flussi creditizi.
Questi sviluppi postulano, quindi, un costante aggiornamento ed affinamento dei compiti di controllo spettanti alla Banca d'Italia, chiamata, sempre più di frequente, a collaborare con altre autorità, per la soluzione di rilevanti problematiche nuove e vieppiù complesse.
L'opera e l'impegno non certo facile degli Organi cui spetta assicurare al paese un ordinato svolgimento della funzione creditizia, di rado risaltano in modo evidente: ed è giusto che sia così per la natura dei compiti svolti e per la delicatezza delle materie trattate.
Anzi, resto convinto che la validità del proprio operare risieda unicamente nella capacità di mantenere il sistema creditizio in condizioni di stabilità ed efficienza complessiva; il che vuol dire possibilità di assicurare il massimo sostengo alla crescita delle imprese produttive e, di conseguenza, allo sviluppo dell'intera economia costituendo ciò il modo più efficace per tutelare il risparmio nazionale e per risolvere il grave problema dell'occupazione. Ed è su questo terreno che si misura l'efficacia degli interventi di Vigilanza dai quali dipende la credibilità tecnica e l'autonomia della Banco centrale.

L'AUTONOMIA DELLA BANCA CENTRALE.

Credo che l'esposizione sin qui fatta - pur con tutte le semplificazioni imposte da comprensibili esigenze di sintesi - possa costituire base sufficiente per delineare la posizione che l'istituto di emissione riveste nel nostro ordinamento e per valutare il rilievo che le sue funzioni assumono ai fini di uno sviluppo sano ed equilibrato della nostra economia.
L'efficacia della sua azione però dipende in buono misura dal grado di autonomia operativa di cui dispone e che trova fondamento negli assetti normativi e istituzionali maturatisi nel tempo, già ampiamente riferiti.
Essa non può che intendersi come capacitò e responsabilità dì assumere, con la dovuta rapidità e senza impedimenti, i provvedimenti di volta in volta richiesti dalle mutevoli condizioni dell'economia, avvalendosi degli strumenti tipici dei meccanismi di mercato attraverso i quali vengono perseguite le pubbliche finalità.
L'autonomia operativa si realizza e si rafforza, altresì, con la collaborazione instaurata con le altre pubbliche istituzioni perché vi sia in ogni caso piena coerenza tra le linee di politica economica definite dal Governo e gli obiettivi di stabilità della moneta, del cambio e del sistema creditizio affidati alla banca centrale.
Per quanto concerne il nostro Paese, l'autonomia della banca centrale si fonde su due ordini di considerazioni. Da un lato su talune caratteristiche giuridiche del soggetto Banca d'Italia quali: il procedimento di scelta del vertice dell'Istituto; l'autonomia organizzativa, patrimoniale ed economica di cui gode; l'autonomia privato di cui dispone nel compimento delle operazioni; l'assenza di forme di controllo governativo tipiche degli enti pubblici strumentali.
Dall'altro lato sulla osservazione che il fine della stabilità monetaria rappresenta un valore costituzionalmente riconosciuto (art. 47 Cost.) e sul presupposto che il perseguimento di tale fine compete in via principale alla Banca d'Italia, alla quale pertanto vanno riconosciuti, sul piano tecnico-operativo, autonomi poteri.
Anche per l'esercizio della funzione dì vigilanza creditizia, si richiede distacco ed autonomia di giudizio, tali da consentire in ogni caso un'analisi fondata su elementi di natura esclusivamente tecnica e su una assoluta estraneità agli interessi che si agitano all'interno delle aziende di credito e del sistema nel suo insieme.
Senza scendere nell'analisi puntuale delle diverse argomentazioni, non si può non rilevare sul piano empirico carne negli Stati moderni ad avanzato sviluppo capitalistico il riconoscimento di un certo grado di autonomia alla banca centrale è un requisito indispensabile non soltanto per il buon funzionamento del sistema economico, ma anche con riguardo al versante critico rappresentato dal finanziamento della spesa pubblica.
I primi istituti nazionali di emissione nacquero in Svezia e Inghilterra circa tre secoli fa per la necessità di fronteggiare la sfiducia del pubblico verso le banconote governative, determinata da gravi e ricorrenti episodi di deprezzamento. La mediazione dell'istituto di emissione si andò rapidamente configurando come un rapporto dialettico tra lo Stato, cui restava affidata la gestione del debito pubblico, e un distinto soggetto, avente natura imprenditoriale, che tale debito doveva finanziare.
Quella autonomia è ancor più evidente oggi che è giunto a compimento nel nostro Paese il processo di trasformazione dell'Istituto di emissione da concessionario della prerogativa sovrana di battere moneta a soggetto istituzionalmente fornito di un complesso organico di poteri di indirizzo, guida e controllo dei circuiti monetari e finanziari.
I rischi che l'autonomia scada nell'arbitrio o che inneschi situazioni di tensione o di intralcio nel funzionamento dell'apparato pubblico sono di fatto cancellati dall'esistenza di un codice di comportamento al quale il banchiere centrale deve uniformare la propria condotta.
I contributi di dottrina e di esperienza disponibili sul tema del "central banking" forniscono al Parlamento e alla pubblica opinione i termini della verifica e quindi del controllo sulle misure tecniche alle quali la banca centrale ha fatto ricorso per adempiere le sue funzioni istituzionali.
Inoltre negli atti di natura amministrativa - come sono, ad esempio, quelli che si fondano sui poteri derivanti dalla legge bancaria - la Banca d'Italia è soggetta alla disciplina pubblicistica. L'eventuale pretesa inosservanza della normativa ovvero dei principi dell'azione amministrativa è impugnabile dinanzi al giudice amministrativo.
L'impostazione surriportata sembra largamente condivisa in Italia e all'estero. Nondimeno le banche centrali si trovano spesso al centro di non poche e non sempre ordinate dispute ai più diversi livelli: il loro operato, il loro ruolo ed il rispettivo grado di autonomia sono oggetto di discussioni in alcuni casi attente e severe, in molti altri scarsamente ponderate e documentate.
Proprio nello scorso mese di febbraio si è tenuto a Venezia un convegno, al quale hanno partecipato autorevoli studiosi italiani e stranieri, sul tema: "Il ruolo delle banche centrali tra governo e sistema creditizio nei Paesi industrializzati". La conclusione è stata che in Europa vi è ampia convergenza sulla necessità di assicurare maggiore indipendenza alle banche centrali.
La ragione di fondo di questi frequenti dibattiti va ricercata - a mio parere - nel fatto che la funzione delle banche centrali nei Paesi a sviluppo avanzato, in quanto rivolta a garantire la stabilità monetaria, viene a porsi come un freno alle tendenze espansive della spesa pubblica, con riflessi inflazionistici, in genere connesse con le economie di tali Paesi.
Resto perciò convinto che l'autonomia della Banca d'Italia costituisce requisito indispensabile per svolgere efficacemente il compito di collaborare alla definizione della politica economica del Paese, evitando al tempo stesso pregiudizi per il perseguimento della stabilità monetaria.
Per certo è un compito scomodo e ingrato, che talvolta può rendere la banca centrale impopolare agli occhi degli operatori economici, del sistema creditizio e delle diverse componenti sociali.
La posta in gioco è che, negandosi l'autonomia della banca centrale, venga meno la mediazione necessaria per un controllato finanziamento dello Stato: in presenza di una dilatazione quasi automatica della spesa pubblica che genera disavanzo, generando a sua volta debito, vi è il rischio grave che il processo inflattivo sfugga di mano e divengano ricorrenti i vuoti nei conti con l'estero.
"L'erosione della moneta è un danno economico e una contraddizione sociale" (relazione Banca d'Italia 1981). L'Autorità monetaria da sola non può evitarla; si impone però da parte sua tenacia e, se occorre, durezza nell'indicare a tutti i protagonisti delle vicende economiche la strada da seguire e gli obiettivi da raggiungere.
E' questo lo stile che da sempre contraddistingue la Banca d'Italia, uno stile che si fonda sulla consapevolezza di essere al servizio del Paese, sul convincimento della validità delle analisi tecniche e sulla sicurezza derivante da un approccio ai problemi ispirato ad assoluta indipendenza di giudizio.
Nella mia esperienza di lavoro all'interno della banca ho potuto sperimentare che il fondamento ultimo e la più solida garanzia dell'autonomia dell'Istituto poggiano su questi valori.
Mi sia consentito perciò concludere queste considerazioni, ricordando una massima di Emanuele Kant: "In ogni ricerca scientifica bisogna continuare tranquillamente il proprio cammino con tutto l'esattezza e la sincerità possibili, senza curarci di ciò con cui tale ricerca potrebbe contrastare, ed eseguirla, per quanto si può, secondo verità e in modo completo".


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