Riportiamo
l'intervento del Direttore Centrale
Narrare della
storia della Banca d'Italia è un po' come scrivere i capitoli
più importanti della storia bancaria italiana; parlare delle
sue funzioni significa riflettere sui meccanismi di fondo e più
delicati che regolano la formazione e la distribuzione della ricchezza.
L'esperienza della Banca d'Italia abbraccia anche vicende dolorose,
che si sono manifestate attraverso crisi a li vello di singole istituzioni
creditizie o di sistema, vicende nella maggior parte dei casi derivate
da condotte errate di dirigenti bancari, le cui conseguenze non hanno
mancato di riflettersi sull'economia del nostro Paese.
"Ma quelle crisi non sono state vane; ciascuna di esse ha lasciato
un insegnamento e ha segnato un passo decisivo verso un più
razionale assetto istituzionale".
Queste parole sono di un nostro corregionale, Donato Menichella, che
nella soluzione di molte di quelle crisi fu grande protagonista. Governatore
della Banca d'Italia per dodici anni, egli firmava la sua lettera
di dimissioni diretta all'allora Presidente del Consiglio Segni nel
febbraio 1960, nello stesso mese in cui venivo assunto in Banca.
Con quelle parole egli invitava tutti a riflettere sul passato, a
non mandare perdute le esperienze, il più delle volte sofferte,
che hanno dato luogo agli assetti istituzionali in cui operiamo e
ciò proprio allo scopo di contribuire al loro migliore funzionamento
e, se necessario, al loro ulteriore affinamento.
Ho ritenuto pertanto di fare cosa utile seguendo, per queste mie riflessioni,
un taglio storico istituzionale, che possa servire come necessario
punto di riferimento per le opinioni che ciascuno riterrà di
formarsi.
CENNI STORICI
E DI ORDINAMENTO
L'attuale configurazione
della Banca d'Italia è il frutto di una complessa evoluzione
normativa realizzatasi in gran parte tra la fine del secolo scorso
e il secondo dopoguerra.
Al momento dell'unificazione nazionale operavano in Italia sei istituti
di emissione. Le disposizioni legislative all'epoca emanate (nel 1874,
nel 1881 e nel 1891), nell'intento di disciplinare in modo organico
l'emissione, non riuscirono a evitare una gran crisi che investì
tutto il comporta, come fu messo in chiara evidenza da una ispezione
governativa ordinata nel 1889.
Una nuova ispezione straordinaria, confermando i precedenti sospetti,
riscontrò una situazione quasi fallimentare della Banca Romana
e condizioni non floride in quasi tutti gli altri istituti di emissione.
Su iniziativa del Governo, venne promosso un incontro tra gli esponenti
delle tre banche aventi struttura di società per azioni (la
Banca Nazionale nel Regno, la Banca Nazionale Toscana e la Banca Toscana
di Credito) al fine di giungere ad una fusione dei tre istituti. L'accordo
fu raggiunto rapidamente e con la convenzione 18 gennaio 1893 (sancita
con legge dell'agosto dello stesso anno) nacque la Banca d'Italia,
anch'essa società privata con scopo di lucro, a cui fu riservato
il privilegio dell'emissione in un regime di concorrenza con i due
banchi meridionali (Banco di Napoli e Banco di Sicilia).
Nel 1894, cioè un anno dopo la sua costituzione, la Banca d'Italia
veniva incaricata di gestire il servizio di tesoreria provinciale
dello Stato, che in tal modo accentrava presso la Banca stessa il
suo movimento finanziario.
Nel 1895 fu introdotta per la prima volta una disciplina legislativa
delle anticipazioni degli istituti di emissione al Tesoro.
Nel 1910 venne emanato il Testo Unico delle leggi sugli istituti di
emissione e sulla circolazione dei biglietti, in parte tuttora in
vigore, che regola tra l'altro le operazioni che la Banca d'Italia
può compiere, le modalità di fissazione del tasso ufficiale
di sconto, la vigilanza dello Stato sulle emissioni e sull'attività
dell'istituto.
Il processo evolutivo venne a maturazione nel 1926, anno in cui fu
tolta ai due banchi meridionali la facoltà di emettere biglietti.
Le valute auree e quelle equiparate all'oro di proprietà dei
due banchi passarono alla Banca d'Italia, che diventava così
l'unico istituto di emissione dello Stato italiano.
Al tempo stesso veniva attribuita alla Banca d'Italia la gestione
del servizio della stanza di compensazione, una volta di spettanza
delle Camere di Commercio, ma in pratica da queste già affidato
a uno degli istituti di emissione. Sempre al 1926 risale l'attribuzione
alla Banca d'Italia del primo embrionale sistema di vigilanza bancaria,
nato sotto la spinta di una situazione di grave disordine nella quale
il sistema creditizio si era venuto a trovare negli anni successivi
alla prima guerra mondiale e che aveva dato luogo tra l'altro alla
chiusura degli sportelli della Banca Italiana di Sconto e della Banca
Agricola Italiana.
Nel 1927 alla Banca d'Italia veniva affidato anche il controllo sul
corso dei cambi; in questo modo si delineava più compiutamente
la sua fisionomia di banca centrale, capace di influire sul comportamento
delle istituzioni finanziarie del Paese e di determinare le condizioni
per un ordinato svolgimento della funzione bancaria.
Passava così in seconda linea la componente privatistica della
Banca d'Italia alla quale, nonostante la sua configurazione di società
per azioni, veniva già riconosciuta dalla dottrina e dalla
giurisprudenza di ente pubblico.
Una tappo fondamentale è rappresentata dalla emanazione della
legge bancaria del 1936, che nell'art. 20 definisce la Banca d'Italia
istituto di diritto pubblico.
Gli organi dell'istituto rimasero espressione dei partecipanti al
capitale, pur prevedendosi per la nomina di alcuni di essi l'approvazione
dell'autorità politica ai suoi massimi livelli. Il divieto
di effettuare operazioni di credito con imprese non bancarie sancì
definitivamente la posizione di banca delle banche. Il nuovo statuto
della Banca, prevedendo l'emissione dei biglietti come attribuzione
istituzionale ed esclusiva, comportò il superamento del precedente
sistema della concessione temporanea da parte dello Stato.
Tuttavia proprio la legge bancaria del 1936 sembrò costituire
per certi versi una battuta di arresto nel processo evolutivo tendente
a concentrare nella Banca d'Italia un complesso organico di poteri
funzionali al suo ruolo di banca centrale. Infatti, il sistema di
vigilanza bancaria, ben più articolato e potenziato rispetto
a quello definito dalla legge di dieci anni prima, veniva trasferito
ad un ente appositamente costituito, l'ispettorato per la difesa del
risparmio e l'esercizio del credito, formalmente inquadrato nell'Amministrazione
dello Stato. A capo di esso era tuttavia posto il Governatore della
Banca d'Italia al fine di assicurare uno stretto collegamento tra
i due enti. l'ispettorato operava alle dipendenze di un Comitato dei
Ministri, presieduto dal Capo del Governo.
La nuova disciplina bancaria del 1936 va collegata all'intervento
diretto dello Stato, attraverso l'I.R.I., per il risanamento delle
imprese e delle banche, colpite dalla crisi internazionale degli anni
'30. Essa segnò la separazione tra banca e industria e tra
aziende ordinarie di credito, operanti nel breve termine, e istituti
di credito speciale, aventi come scopo l'erogazione di crediti a medio
e lungo termine.
Caduto il regime fascista, l'ordinamento creato con la legge bancaria
fu oggetto di approfondito dibattito in sede di commissione economica
presso il Ministero per la Costituente.
Fu espresso in tale sede un giudizio positivo sulla legge e sugli
effetti da essa prodotti ma si ravvisò l'esigenza che la vigilanza
sul sistema bancario fosse affidato ad un organo posto in condizioni
di esercitare tale funzione con la massima obiettività, mediante
il necessario riconoscimento ad esso di uno spazio di autonomia decisionale,
e, quindi, in grado di realizzare un controllo sostanziale sulla base
di criteri essenzialmente tecnici.
Si riconobbe nella Banca d'Italia l'istituzione più idonea
a mediare tra l'esigenza di controllo pubblico e il rispetto dell'autonomia
di gestione delle imprese bancarie, proprio per la sua matrice bancaria
e le sue specifiche competenze in materia che connotano il legame
strettissimo esistente tra credito di ultima istanza e vigilanza creditizia.
Nel 1944 veniva soppresso l'ispettorato; le facoltà e attribuzioni
ad esso spettanti, affidate in un primo momento al Ministro del Tesoro,
furono trasferite nel 1947 alla Banca d'Italia, con la contemporanea
costituzione del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio,
organo politico a cui è attribuito l'alta vigilanza in materia
di tutela del risparmio, in materia di esercizio della funzione creditizia
e in materia valutaria.
Nel 1945 veniva costituito l'Ufficio Italiano dei Cambi con compiti
di gestione e controllo valutari. La creazione di un organo formalmente
distinto dalla Banca d'Italia si collega con il principio del monopolio
dei cambi. Nondimeno il legislatore, attribuendo di diritto al Governatore
della Banca d'Italia la Presidenza dell'Ufficio Italiano dei Cambi,
intese chiaramente coordinare gli indirizzi in materia, nella consapevolezza
che la difesa dell'equilibrio interno ed esterno della moneta costituissero
aspetti inscindibili di un'unica funzione, che fa capo alla banca
centrale.
Il monopolio dei cambi, inteso come gestione centralizzata delle divise
e loro ripartizione tra gli operatori secondo criteri di razionamento
decisi in sede amministrativa, è ormai cessato da molti anni.
Il processo di liberalizzazione avviato negli anni cinquanta ha portato
all'istituzione di un mercato delle valute e all'attribuzione alle
banche di ampie facoltà operative nella negoziazione di divise.
Dopo un periodo di inasprimento del controllo valutario, conseguente
alle tensioni derivanti dallo shock petrolifero degli anni Settanta,
la tendenza attuale è orientata verso un modello più
conforme a quello in uso negli altri Paesi occidentali.
In un contesto in cui, nonostante il rallentamento dell'inflazione,
il tasso annuo di aumento dei prezzi al consumo si mantiene al di
sopra di quello medio degli altri Paesi dell'OCSE, la gestione valutaria
presenta aspetti di particolare delicatezza e complessità.
Nel 1948 anche i rapporti tra Banca e Tesoro trovarono un nuovo assetto,
coerente con l'obiettivo di circoscrivere il finanziamento monetario
della spesa pubblica entro i limiti compatibili con la stabilità
della moneta.
Trattasi di una disposizione che fissa un limite, espresso in termini
percentuali alla spesa, allo sbilancio a debito del Tesoro nel c/corrente
di Tesoreria e vieta l'effettuazione di anticipazioni straordinarie
al Tesoro in mancanza di un'apposita legge che ne determini l'importo.
Essa mira ad assicurare la stabilità dei prezzi e dei cambi
in armonia con i principi costituzionali della tutela del risparmio
e dell'obbligo di copertura della spesa pubblica. Il divieto al Tesoro
a chiedere e alla Banca d'Italia a concedere anticipazioni straordinarie
è strumentale al riconoscimento al Parlamento delle responsabilità
ultime in questa delicata materia.
La norma citata costituisce, altresì, il presidio normativo
dell'autonomia tecnica della banca centrale.
Veniva a completarsi così lo sviluppo, durato circa mezzo secolo,
che ha portato la Banca d'Italia ad assumere l'originale e complesso
assetto strutturale e funzionale che tutt'oggi la caratterizza.
Come già detto, con la riforma del 1936 la Banca si trasformò
da società di diritto privato a tempo determinato in istituto
di diritto pubblico senza durata prestabilita.
Gli azionisti privati vennero integralmente rimborsati e si dispose
che il capitale della Banca potesse appartenere esclusivamente a casse
di risparmio, istituti di credito di diritto pubblico, banche di interesse
nazionale, istituti di previdenza e di assicurazioni; in tal modo
si intese mantenere la proprietà della Banca nell'ambito di
enti e istituti tutti rientranti, sia pure in vario modo, nell'orbita
pubblica.
La sovrapposizione della natura pubblicistica all'originaria struttura
privatistica e il contemporaneo svolgimento da parte della Banca di
attività sia di natura negoziale, che qualificano la banca
centrale, sia di natura amministrativa sono alla base delle contrastanti
opinioni che da tempo si dibattono sulla natura giuridica della Banca
d'Italia.
La mancata partecipazione dello Stato al capitale della Banca e l'inapplicabilità
ad essa della legge n. 70/1975 sul riordinamento degli enti pubblici
parastatali sono elementi che concorrono ad attribuire alla Banca
d'Italia una posizione del tutto peculiare, che trova riscontro nella
circostanza che molte funzioni ad essa spettanti sono esercitate in
via del tutto esclusiva.
Si spiega in tal modo l'orientamento giurisprudenziale emerso in più
circostanze di considerare la Banca come un ente a se stante nel contesto
degli enti volti al perseguimento di finalità pubblicistiche.
I poteri della Banca risiedono nella Assemblea generale dei partecipanti,
nel Consiglio Superiore, nel Comitato del Consiglio Superiore e nel
Direttorio, costituito dal Governatore, dal Direttore Generale e da
due Vice Direttori Generali.
Il Consiglio Superiore è composto dal Governatore e da tredici
Consiglieri nominati dalla Assemblea dei partecipanti presso le Sedi
della Banca in ragione di uno per ogni Sede. Spetta al Consiglio Superiore
la nomina e la revoca del Governatore, del Direttore Generale e dei
due Vice Direttori Generali; i relativi provvedimenti devono ottenere
l'approvazione governativa con decreto del Presidente della Repubblica,
promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto col
Ministro del Tesoro, sentito il Consiglio dei Ministri. Per espresso
disposizione di legge è esclusa ogni ingerenza del Consiglio
Superiore nelle materie di politica monetaria, vigilanza creditizia
e valutaria. In questo modo la parte dell'attività dell'istituto
rivolta al perseguimento di fini pubblici risulta separata dalle interferenze
dei partecipanti al capitale.
A salvaguardia dell'indipendenza del Consiglio è stabilito
che non possono farne parte né i senatori, né i deputati
né le altre persone che ricoprono cariche di carattere politico.
I membri del Consiglio Superiore non possono neppure appartenere in
qualsiasi veste a istituti o aziende di credito.
Lo statuto non contempla specifiche previsioni di divisione dei compiti
tra i membri del Direttorio; esso mira ad assicurare continuità
nella direzione dell'Istituto e unitarietà degli indirizzi.
La figura del Governatore si caratterizza sia per il profilo interno
della guida e dell'amministrazione dell'Istituto, sia per quello esterno
di banchiere centrale, di capo della vigilanza creditizia e di consulente
del Governo. L'incarico ha rilievo pubblicistico e una portata anche
internazionale.
L'organizzazione interna è costituita dalle strutture dell'Amministrazione
Centrale in Roma, che costituiscono punto di convergenza di tutte
le attività della Banca, e da una rete periferica che comprende
97 filiali site in tutti i capoluoghi di regione e di provincia e
da alcune delegazioni all'estero (Bruxelles, Francoforte, Londra,
Parigi, Zurigo, New York tramite U.I.C.).
LA FUNZIONE DI
EMISSIONE
La funzione di
emissione, oltre a collegarsi con il compito di regolazione della
liquidità, assume autonoma rilevanza nell'ambito del sistema
dei pagamenti. Per emissione deve intendersi il potere di emettere
passività finanziarie a vista che fungono da strumenti di pagamento
aventi corso legale, cioè dotati di potere liberatorio.
Nel 1934 e 1935 furono sospese le precedenti norme che sancivano la
convertibilità in oro o divise dei biglietti di banca e che
obbligavano l'istituto di emissione a tenere una riserva aurea o equiparata
non inferiore al 40% dell'ammontare della circolazione. L'ammontare
delle riserve detenute in valuta estera risponde a regole prudenziali
legate alle esigenze dell'interscambio internazionale. Naturalmente,
poiché le banconote e gli altri impegni a vista costituiscono
la base del processo di moltiplicazione della moneta e del credito
e vengono perciò definiti come "base monetaria",
la loro espansione trova il proprio limite superiore nella compatibilità
dell'incremento monetario e creditizio con le potenzialità
di sviluppo del reddito: oltre tale compatibilità l'eccessiva
espansione monetaria e creditizia si riflette in termini di inflazione
e di disavanzo esterno. Nell'ambito del volume complessivo delle passività
a vista della banca centrale, la conversione in banconote non è
in alcun modo limitata e riflette quindi di fatto le esigenze del
pubblico.
Collaterale alla funzione di emissione è la gestione del servizio
della compensazione, attesa la razionalizzazione che essa introduce
nel sistema dei pagamenti e nell'utilizzo del circolante.
Una visione completa del ruolo che la Banca d'Italia svolge nell'ambito
del sistema dei pagamenti non può prescindere dalla considerazione
dell'azione che essa svolge, anche come organo di vigilanza creditizia,
nella creazione e nella disciplina di nuovi sistemi di pagamento,
il cui sviluppo, oggi appena agli inizi, promette di rivoluzionare
il nostro modo di effettuare le transazioni, tuttora affidate quasi
esclusivamente alle banconote e agli assegni bancari.
LA FUNZIONE DI
POLITICA MONETARIA
Il fine che la
politica monetaria persegue è rappresentato dalla stabilità
della moneta in termini sia di potere di acquisto interno sia di rapporti
di cambio con le altre monete.
L'evoluzione prodottasi nelle società moderne mediante la affermazione
di nuovi valori non ha modificato questa impostazione di fondo; tale
compito deve essere svolto tenendo conto dei suoi rapporti di complementarità
con il perseguimento di un altro obiettivo fondamentale, rappresentato
dal pieno impiego delle risorse, nel rispetto del vincolo dell'equilibrio
esterno.
In Italia, come si è visto, analogamente a quanto avviene in
molti altri Paesi, è affidata alla banca centrale anche la
funzione di intervento strutturale e di supervisione sul sistema creditizio,
attraverso l'attribuzione di una serie di poteri finalizzati al conseguimento
di obiettivi di stabilità e di efficienza degli intermediari
creditizi.
Le ragioni di opportunità che giustificano l'assegnazione di
questo ulteriore compito sono molteplici e si ricollegano principalmente
alla stretta correlazione che sussiste tra fenomeno monetario e fenomeno
creditizio. L'azione di politica monetaria non può non tener
conto, nella scelta e nel dosaggio dei diversi strumenti di cui dispone,
della capacità degli intermediari creditizi di trasmettere
gli impulsi che da tali strumenti promanano. L'attività di
vigilanza, dal canto suo, nel momento in cui è chiamata a fare
una valutazione della redditività e solidità patrimoniale
delle singole banche, deve fondarsi su una cognizione chiara delle
condizioni monetarie generali in cui esse operano. Inoltre, nella
stessa funzione di politica monetaria è implicita un'attività
di controllo sugli enti creditizi per il fatto che essi accedono al
rifinanziamento presso la banca centrale.
Sussiste dunque, tra funzione di vigilanza e funzione di banca delle
banche un nesso logico e operativo, che l'ordinamento italiano ha
efficacemente recepito. l'azione della Banca d'Italia è sempre
ispirata ad un carattere di neutralità allocativa; i suoi provvedimenti,
sia di banca centrale sia di vigilanza, non si pongono obiettivi specifici
riferiti a singoli operatori, ma hanno portata generale e astratta,
anche se naturalmente i loro effetti, trasmessi agli operatori economici
per il tramite delle aziende di credito, incidono sulle modalità
di utilizzo delle risorse e quindi sulla distribuzione del reddito
e della ricchezza. Essa favorisce assetti istituzionali e di mercato
del sistema creditizio, tali da accrescere la capacità del
sistema stesso di operare la migliore scelta dei progetti di investimento
e degli imprenditori chiamati a realizzarli.
Il processo di creazione della moneta e del credito è stato
efficacemente rappresentato con l'immagine di una piramide, idealmente
diviso in tanti piani in cui ogni piano genera il successivo.
Alla base della piramide sta la creazione di "base monetaria"
da parte della banca centrale. Ciò avviene ogni qualvolta questa
accresce il proprio debito in circolazione, cioè dispone un
accredito a favore di una banca oppure eroga biglietti.
Costituiscono pertanto base monetaria i biglietti e le monete della
banca centrale e del Tesoro, i depositi a vista presso la banca centrale
e il Tesoro, i margini disponibili nei conti di anticipazione delle
aziende di credito presso la banca centrale e altre partite a queste
assimilabili.
Ogni volta che la banca centrale effettua acquisti sul mercato o concede
finanziamenti crea base monetaria, poiché accredita il controvalore
degli acquisti o dei finanziamenti in conti di deposito che le banche
detengono presso di essa. Sulla base della liquidità di cui
dispongono - sotto forma di depositi presso l'Istituto di emissione
- le banche a loro volta concedono crediti o acquistano titoli. I
beneficiari dei crediti e i venditori (o gli emittenti) dei titoli
in parte incrementano le proprie scorte di biglietti, in parte accendono
nuovi depositi presso le banche. Queste ultime, collettivamente considerate,
rientrano quindi in possesso di gran parte della liquidità
inizialmente spesa, che può quindi essere nuovamente impiegato.
Sono questi i successivi piani della piramide ognuno dei quali è
più stretto del precedente per tre ordini di motivi:
- una parte del credito erogato non torna alle banche, ma si fissa
nella circolazione dei biglietti;
- la parte che torna alle banche sotto forma di depositi dà
luogo alla costituzione di una riserva obbligatoria in contanti presso
la banca centrale. Questa parte della base monetaria è quindi
sottratta alla liquidità impiegabile per espandere il credito;
da un'impostazione originaria, secondo cui la riserva era concepita
essenzialmente come presidio della solvibilità delle aziende
di credito, sì è quindi passati ad una concezione che
fa della riserva stessa un meccanismo di controllo della liquidità
complessiva del sistema;
- le banche, per prudenza, a fronte dell'incremento dei depositi tendono
a mantenere maggiori riserve liquide, cioè quelle di cui non
sono normalmente disposte a privarsi.
Il processo di offerta di moneta e di credito, sopra descritto in
forma schematica, va collocato nella complessa realtà dei mercati
monetari, creditizi e finanziari nei quali la domanda e l'offerta
si incontrano determinando i relativi prezzi. In tal modo l'offerta
di moneta influenza la struttura dei tassi di interesse e, attraverso
questa, influisce sulla formazione delle aspettative, sulla propensione
al risparmio e all'investimento, sulla domanda globale di beni e servizi,
sui movimenti di capitali con l'estero.
Il processo di creazione della base monetaria si fonda su fattori
autonomi e su interventi delle Autorità monetarie.
E' considerato un fattore autonomo di variazione della base monetaria
(non determinato cioè direttamente dalla banca centrale) il
movimento valutario con l'estero. infatti l'avanzo o il disavanzo
della bilancia dei pagamenti comporta rispettivamente cessione all'Ufficio
Italiano dei Cambi di valuta contro lire ovvero di lire contro valuta.
Per quanto concerne il Tesoro, vi è una creazione di liquidità
autonoma che scaturisce dall'utilizzo del credito della Banca d'Italia
fornito attraverso il conto corrente di tesoreria provinciale, nei
limiti previsti dalla legge del 1948 prima citata.
Gli interventi delle Autorità monetarie sono volti a integrare
o compensare gli effetti prodotti dal dispiegarsi dei fattori autonomi,
in funzione di un obiettivo predeterminato. rappresentato dalla quantità
totale di base monetaria da creare in un determinato arco temporale.
Tali interventi si effettuano attraverso operazioni in titoli sul
mercato aperto e il rifinanziamento del sistema creditizio.
Per quanto riguarda gli strumenti tradizionali di rifinanziamento
(lo sconto e l'anticipazione), la legge attribuisce al Ministro del
Tesoro, su proposta della Banca d'Italia, il potere di fissare il
tasso ufficiale di sconto. Per il resto ogni decisione operativa,
compresa quella relativa alle quantità, è rimessa alla
Banca d'Italia.
Di fatto l'operazione di risconto è ormai relegata ad un ruolo
modesto, mentre alla tradizionale anticipazione in conto corrente
si è affiancata l'anticipazione a scadenza fissa che - in uno
delle operazioni di "prorogati pagamenti" e di "pronti
contro termine" - consente alla Banca d'Italia una più
puntuale verifica delle esigenze di liquidità delle aziende
richiedenti e delle compatibilità dell'operazione con la condizione
monetaria del sistema.
Il canale dei rapporti tra la Banca d'Italia e il Tesoro ha fatto
registrare nel tempo una significativa evoluzione per la presenza
di un fabbisogno pubblico ampio, la cui ulteriore spinta a crescere
in modo irregolare tende a ridurre i margini di manovra a disposizione
della banca centrale per una politica monetaria stabilizzatrice.
L'esistenza oggi di un mercato monetario ampio e concorrenziale facilita
il collocamento e la gestione dei titoli del debito pubblico, ponendo
in maggiore evidenza il livello di pressione che il fabbisogno pubblico
esercita sul risparmio e sulla destinazione delle risorse.
La dimensione del debito pubblico ha raggiunto alla fine dello scorso
anno 636.000 miliardi di lire, pari al 93% del prodotto interno lordo
(L. 680.500 miliardi secondo dati di preconsuntivo). Tale rapporto,
che nel 1973 si collocava al 53%, ha fatto registrare negli ultimi
anni una costante lievitazione. Le prime valutazioni effettuate con
riferimento al 1985 evidenziano che il fabbisogno di finanziamento
del settore statale si è ragguagliato per detto anno a 108.800
miliardi, contro una determinazione originaria di 96.300 miliardi.
Per il 1986 la legge finanziaria si propone, come noto, di mantenere
il fabbisogno complessivo del settore statale in 110.000 miliardi,
sugli stessi livelli cioè dell'anno precedente.
La Banca d'Italia ha cercato in ogni occasione di promuovere lo sviluppo
del mercato. In questo quadro si iscrive a partire dal 1981 il cosiddetto
"divorzio" tra Banca d'Italia e Tesoro, seppure reso non
agevole dalle difficoltà di volta in volta di far fronte alle
esigenze del breve periodo. Esso è stato dettato dalla consapevolezza
che l'acquisto automatico da parte della Banca D'Italia dei BOT non
collocati sul mercato poteva divenire un pericoloso aggiramento posto
da I l'ordinamento. Da quel momento l'acquisto e la vendita di titoli
di stato da parte della Banca d'Italia vengono determinati esclusivamente
dalle esigenze di controllo della base monetaria.
Questa impostazione fu messa a dura prova nel 1982, allorché
un'improvvisa caduta della domanda di titoli pubblici, provocata da
voci di consolidamento forzoso, e la riluttanza del Tesoro ad aumentare
i rendimenti determinano una crisi nella copertura del fabbisogno.
la Banca d'Italia non fu disponibile a comprare titoli di Stato oltre
i valori compatibili con gli obiettivi monetari. Il Parlamento, secondo
il dettato legislativo, approvò la concessione di un'anticipazione
straordinaria e temporale della Banca al Tesoro di L. 8.000 miliardi,
rimborsata nei termini previsti.
L'episodio è entrato a far parte della storia. Esso valse a
chiarire in maniera drammatica i costi provocati dalla dilatazione
del deficit del bilancio pubblico. Oltre a quelli sulla base monetaria
fin qui descritti, la Banca d'Italia effettua ulteriori interventi
sul sistema bancario con finalità di politica economica. Essi
si concretizzano nell'imposizione dell'obbligo di investimento in
titoli di una ruota degli attivi bancari (attualmente in vigore in
termini assai contenuti) e del limite alla crescita degli impieghi
che, dopo un decennio circa di applicazione dal 1973 al 1983, è
stato reintrodotto nel gennaio scorso, allo scopo di fronteggiare
una situazione di emergenza, con risultati coerenti con le attese.
L'orientamento della Banca d'Italia è infatti quello di limitare
il ricorso a strumenti amministrativi di questo tipo ai soli casi
imposti dall'urgenza e dalle dimensioni dei problemi nella consapevolezza
che tali strumenti, se protratti nel tempo, comportano una indesiderata
attenuazione dello slancio imprenditoriale delle banche e riducono
l'efficacia dei meccanismi selettivi del mercato.
LA FUNZIONE DI
VIGILANZA CREDITIZIA
La vigilanza sul
sistema bancario fa capo ad una struttura che vede al vertice il Comitato
Interministeriale per il Credito ed il Risparmio, a cui compete la
formulazione delle linee politiche e degli indirizzi generali in materia.
Il Ministro del Tesoro, oltre a presiedere il Comitato e ad emanare
i provvedimenti conseguenti alle deliberazioni del Comitato stesso,
ha il potere, quando ricorrono motivi di urgenza, di sostituirsi all'organo
collegiale decidendo direttamente, con l'obbligo di successivo riferimento
al Comitato.
La Banca d'Italia è l'organo tecnico del quale il Comitato
si avvale per gli accertamenti nelle materie di propria competenza
e per l'esecuzione delle deliberazioni. La Banca, peraltro, a differenza
del cessato Ispettorato, non opera alle dipendenze del Comitato. Essa
dispone di ampia discrezionalità tecnica e autonomia operativa
nella scelta degli strumenti più idonei per il conseguimento
in concreto degli obiettivi di carattere generale, nell'espletamento
dell'attività di controllo, nella emanazione delle istruzioni
di vigilanza per gli enti creditizi, nell'esercizio dei poteri ad
essa direttamente riconosciuti dalla legge bancaria.
Essa svolge, nei confronti dello stesso Comitato, un'importante azione
propositiva, che si rivolge in concreto nell'indicare soluzioni, promuovere
iniziative, sollecitare interventi.
La posizione del Governatore della Banca d'Italia - come già
detto - si qualifica non solo per la sua veste di Capo dell'Istituto,
ma anche per una serie di specifiche attribuzioni conferitegli "iure
proprio" dalla legge. Egli, partecipando alle sedute del Comitato
Interministeriale, realizza il collegamento tra autorità tecnica
e autorità politica.
Lo strumentario di vigilanza, assai ampio e articolato, non si presta
ad essere ricondotto a classificazioni di carattere generale.
Per comodità di trattazione, tuttavia, può individuarsi
un primo tipo di controlli, generalmente definiti di carattere preventivo,
costituiti dalle autorizzazioni rilasciate nei casi previsti dalla
legge o dalle istruzioni di vigilanza.
I controlli che attengono alla struttura del sistema creditizio si
realizzano attraverso le autorizzazioni alla costituzione dei nuovi
enti creditizi, all'apertura e trasferimento di sportelli, alle fusioni
e ai collegamenti azionari tra banche, alla competenza territoriale
nell'erogazione del credito, nonché attraverso l'approvazione
degli statuti e delle relative modifiche.
La tendenza seguita nell'esercizio di tali poteri è quella
di conferire maggiori spazi di autonomia alle banche, nell'ambito
di una graduale liberalizzazione dell'attività creditizia in
linea con le scelte maturate in sede comunitaria.
Un ulteriore complesso di poteri è orientato da un lato a promuovere
la qualificazione dei vertici bancari, dall'altro ad evitare negative
interferenze esterne nello svolgimento dell'attività creditizia.
Per un corretto funzionamento dei mercati creditizi è indispensabile
che i banchieri possano operare in condizioni di indipendenza e di
autonomia tali da consentire loro di accogliere o rifiutare le richieste
degli imprenditori e gli altri impulsi provenienti dall'esterno, seguendo
la sola logica mirata al perseguimento degli obiettivi di impresa.
la normativa recentemente emanata in applicazione di una direttiva
comunitaria introduce una serie di requisiti di onorabilità
e professionalità che gli esponenti bancari devono possedere
per l'esercizio delle cariche loro affidate.
Particolare attenzione è stata rivolta negli ultimi tempi al
fenomeno dei gruppi nei quali le banche possono trovarsi inserite
in posizione dominante o dominata. E' stata sottoposta a revisione,
prima in via amministrativa, poi con apposite iniziative legislative
in corso di approvazione, la disciplina delle partecipazioni bancarie
ed è stato applicato il principio della vigilanza su base consolidata.
Una recente legge subordina l'esercizio del diritto di voto, nelle
banche che hanno forma societaria, alla identificazione dei proprietari
delle loro azioni. la trasparenza degli assetti proprietari serve
a prevenire possibili conflitti d'interessi e ad assicurare il mantenimento
del principio di separatezza tra banca e industria, finora affidato
principalmente alla proprietà pubblica delle banche.
I controlli di vigilanza si esplicano anche mediante un'intensa attività
conoscitiva avente ad oggetto i principali aspetti tecnici ed organizzativi
delle gestioni aziendali: essi possono essere di tipo cartolare, allorché
si basano sull'esame a distanza dei dati e delle documentazioni che
le aziende sono tenute a produrre alla Banca d'Italia, ovvero di tipo
ispettivo, allorché si concretizzano nell'accesso diretto di
funzionari dell'Istituto presso le Banche per una verifica in loco
dell'operato delle stesse.
Ulteriori forme di intervento sono costituite dalla irrogazione di
sanzioni amministrative nei casi di accertare irregolarità
e dal ricorso alle speciali procedure di amministrazione straordinaria
e di liquidazione coatta per fronteggiare crisi bancarie.
Uno dei principi cardine a cui si è sempre ispirata l'azione
di Vigilanza -recentemente confermato dalla IL. 74/85 che recepisce
la prima direttiva comunitaria di coordinamento dell'attività
degli enti creditizi - è che la raccolta del risparmio e l'esercizio
del credito, pur mantenendo una valenza di pubblico interesse, costituiscono
un'attività d'impresa, in cui la valutazione delle iniziative,
le decisioni circa l'allocazione delle risorse, la ponderazione del
rischio, le considerazioni di opportunità e di convenienza
connesse alle varie tipologie di operazioni sono rimesse ai competenti
organi delle banche. La Banca d'Italia, nell'espletamento dei compiti
di vigilanza, non può sostituire la propria volontà
a quella che si è formata autonomamente all'interno degli organismi
soggetti alla vigilanza stessa.
I poteri di vigilanza bancaria infatti non consentono di interferire
nei rapporti d'affari che le banche intrattengono con i singoli clienti,
rapporti che sono interamente regolati dal diritto privato, indipendentemente
dalla natura pubblica o privata dell'azienda di credito.
Queste distinzioni di fondo aiutano a comprendere l'esatta portata
del compito delle Autorità di vigilanza che è principalmente
quello di creare presupposti di base affinché gli intermediari
creditizi svolgano in autonomia le loro funzioni con la massima efficienza
possibile a vantaggio dell'intero sistema economico. L'azione delle
Autorità è volta in definitiva a ricevere le condizioni
che con maggiore probabilità assicurano l'efficienza operativa
e allocativa del sistema creditizio preservandone nel contempo la
stabilità.
L'obiettivo della tutela del risparmio bancario viene in concreto
perseguito avendo di mira due fondamentali obiettivi intermedi: la
stabilità del sistema creditizio e l'efficienza della sua gestione,
sia in generale che a livello di singola azienda di credito.
Il contestuale perseguimento di tali obiettivi si presenta però
particolarmente arduo in quanto, per loro natura, essi possono risultare
incompatibili tra loro. Spetta all'Organo di vigilanza il delicato
compito di contemperare con un accorto dosaggio le esigenze di stabilità,
intese come preservazione delle singole unità quale presupposto
per l'equilibrio complessivo del sistema creditizio, e di efficienza,
da misurarsi quest'ultima in termini di economicità delle gestioni,
qualità dei servizi resi, allocazione ottimale delle risorse,
minimizzazione del costo di intermediazione e qualità degli
attivi.
La linea della Banca d'Italia in questo campo è improntata
a duttilità e a pragmatismo. La concorrenza, spinta oltre certi
limiti, diventa fattore di instabilità e può condurre
ad una eccessiva concentrazione finendo per accentuare, anziché
ridurre, il carattere oligopolistico del mercato bancario. D'altro
canto l'esigenza della stabilità non si ricollega soltanto
alla tutela del risparmiatore
ma attiene più in generale alla necessaria salvaguardia dei
meccanismi creditizi nel loro complesso.
Negli ultimi anni l'Autorità di vigilanza si è impegnata
in un'azione diretta a immettere crescenti stimoli di concorrenza
al fine di accrescere l'efficienza del sistema, ma rafforzando contemporaneamente
gli strumenti atti a prevenire le crisi e a fronteggiarne gli effetti,
affinché la valorizzazione degli aspetti concorrenziali non
venisse interpretata come una "delega rilasciata al mercato",
giusta quanto ricordato dal Governatore della Banca d'Italia nell'ultima
relazione annuale.
Sono stati arricchiti i supporti informativi concernenti la situazione
delle singole aziende, perfezionate le relative tecniche di analisi,
accentuati i meccanismi che incentivano l'accrescimento dei fondi
patrimoniali, richiamata l'attenzione dei banchieri sull'esigenza
di razionalizzazione degli assetti organizzativi e di rafforzamento
dei controlli interni, nel quadro di una più consapevole definizione
degli orientamenti strategici dell'impresa bancaria.
E' in corso di definizione un'importante intesa a livello interbancario
per la costituzione di un Fondo di tutela dei depositi. Questo eviterà
che nei casi di crisi il costo degli interventi continui a ricadere
integralmente sulla collettività. Il rimborso garantito è
integrale solo per i depositi di minore importo e nullo per i depositi
intercreditizi.
I controlli di mercato sono stati intensificati dalle pubblicazioni,
recentemente avviate da parte delle banche, di dati e indici che permettono
agli operatori specializzati di analizzare il grado di redditività
e di rischiosità delle singole istituzioni.
La Banca d'Italia ha indicato criteri e linee operative idonei a potenziare
l'efficienza delle strutture bancarie nel momento più qualificante
delle loro attività, quella della valutazione dell'affidabilità
delle imprese da finanziare.
Separazione tra agevolazione e credito, ruolo e funzionamento della
banca pubblica, operatività degli istituti di credito speciale,
ricapitalizzazione degli intermediari, nomine bancarie sono tra i
principali problemi per cui negli ultimi anni sono state prospettate
e spesso realizzate soluzioni.
La revisione avviato degli statuti delle Casse di Risparmio e degli
istituti di credito di diritto pubblico mira tra l'altro a consentire
l'ingresso di privati nel capitale di detti enti con quote di partecipazione
minoritaria si da favorire il loro rafforzamento patrimoniale e un
migliore controllo del mercato sul loro operato.
Il processo di integrazione dei mercati finanziari dei diversi Paesi
ha determinato da un lato una crescente apertura del nostro sistema
bancario verso l'attività internazionale, dall'altro un accentuato
interesse delle banche straniere a inserirsi nei nostri mercati.
I criteri seguiti dall'Organo di vigilanza in materia di accesso di
banche estere, insediamento oltre confine di quelle italiane, costituzione
di partecipazioni all'estero e flussi informativi che le aziende di
credito sono tenute ad inviare relativamente ai dati delle consociate,
sono stati anche in questo settore ispirati al criterio di cogliere
gli aspetti costruttivi e innovativi di una maggiore concorrenzialità,
prevenendo nel contempo fattori di instabilità.
Notevole importanza assume il processo di innovazione finanziaria,
che appare destinato ad incidere in profondità sui mercati
finanziari e creditizi, nazionali ed esteri.
La Banca d'Italia segue con grande attenzione l'evoluzione di tali
mercati nella consapevolezza che un'accurata analisi delle complesse
transazioni che vi si svolgono e l'adozione di adeguati schemi interpretativi
sono indispensabili per assicurare la stabilità e l'efficienza
complessiva del sistema creditizio.
In questo processo innovativo, i servizi richiesti dagli operatori
si vanno facendo sempre più diversificati e sofisticati; il
loro soddisfacimento porta alla creazione di nuovi intermediari finanziari
i quali, specializzando la loro attività e creando nuovi strumenti,
vanno ad occupare nei mercati anche spazi coperti dagli intermediari
tradizionali. Per tali soggetti si pongono, evidentemente, problemi
sia di inquadramento giuridico sia di definizione dei requisiti necessari
per l'ordinato funzionamento dell'intero sistema finanziario.
Le implicazioni di siffatto fenomeno sulla politica monetaria e sull'attività
di vigilanza sono rilevanti anche in virtù della stretta connessione
che in generale le lega: entrambe hanno quale obiettivo primario la
stabilità della moneta e dell'attività creditizia. Se
una delle due perde efficacia, il ruolo e le responsabilità
che ricadono sull'altra risultano corrispondentemente accresciute.
Se si rimane nell'ambito delle innovazioni promosse dagli enti creditizi,
non v'è dubbio che il Processo in corso esiga di rivolgere
particolare attenzione alle nuove tecniche operative, giacché
occorre individuare quelle che corrispondono ad effettive esigenze
degli operatori o degli intermediari, le quali arrecano un genuino
arricchimento del sistema, da quelle, elaborate al solo scopo di eludere
le regole e i vincoli vigenti, che invece indeboliscono il perseguimento
degli obiettivi di carattere generale cui è ispirata l'azione
della banca centrale.
Importante manifestazione dell'innovazione finanziaria in Italia è
costituita dalla nascita di nuovi intermediari: mi riferisco alle
società di leasing, factoring, affermatesi nel corso degli
anni settanta per soddisfare avvertite esigenze delle imprese, e ai
fondi comuni di investimento mobiliare, anche essi soggetti come noto
alla vigilanza della Banca d'Italia, rapidamente sviluppatisi con
riflessi sulla domanda di azioni, sulla quotazione in borsa di titoli
nuovi e sulla diversificazione dei portafogli dei risparmiatori.
L'espansione operativa dei "fondi" incontra un limite nella
ristrettezza del nostro mercato azionario dal lato dell'offerta; per
il suo ampliamento e per favorire per questa via l'equilibrato soddisfacimento
delle esigenze finanziarie delle imprese produttive, la Banca d'Italia
ha da tempo auspicato l'istituzione di enti che svolgessero attività
di merchant banking, intesa a favorire in particolare l'accesso di
nuove imprese alla quotazione di borsa, esigenza che, se attuata,
potrebbe realizzare un'importante sinergia con l'azione dei fondi.
A questi sviluppi le banche hanno reagito da un lato accettando, entro
certi limiti, un ridimensionamento del loro ruolo, dall'altro avviando
un processo di acquisizione di partecipazioni in società che
svolgono attività collaterali o strumentali alla loro (leasing-factoring-fondi
comuni-fiduciarie, ecc.), dando luogo a nuove tecniche operative e
offrendo nuovi servizi (ad es. operazioni in titoli pronti contro
termine o similari, gestioni patrimoni mobiliari ecc.).
In sostanza, le aziende di credito e le banche centrali si trovano
ovunque nel pieno di un processo innovativo estremamente complesso,
tuttora aperto a esiti assai diversi, che appare comunque destinato
a modificare in profondità non poche delle certezze acquisite
dall'esperienza. In particolare le banche centrali sono pienamente
consapevoli del fatto che l'attuale evoluzione dei sistemi finanziari
comporta gradi crescenti di rischio.
Per queste ragioni, in sede internazionale è stata posta l'esigenza
di un coordinamento degli organi di vigilanza in questa materia, sia
per non alterare le condizioni di concorrenza sui mercati internazionali,
sia per evitare che lo svolgimento di operazioni innovative possa
riflettersi sulle condizioni economiche e patrimoniali delle istituzioni
creditizie.
Passi importanti sono stati compiuti con il nuovo Concordato di Basilea
per una maggiore collaborazione tra le Autorità di vigilanza
dei diversi Paesi e per la circolazione di elementi conoscitivi attraverso
i confini nazionali.
Il dilemma nei confronti dell'innovazione finanziaria rimane, comunque,
quello di riuscire a neutralizzare i possibili effetti indesiderabili
senza per questo soffocare le spinte innovative che emergono spontaneamente
e che paiono suscettibili di favorire l'utilizzo ottimale delle risorse
a sostegno dello sviluppo economico del paese.
Vengono, perciò, assecondate le iniziative volte ad un fecondo
arricchimento delle strutture finanziarie purché vengo rispettata
la trasparenza informativa e non venga sminuita l'esigenza dell'Autorità
monetaria di mantenere il controllo dei flussi creditizi.
Questi sviluppi postulano, quindi, un costante aggiornamento ed affinamento
dei compiti di controllo spettanti alla Banca d'Italia, chiamata,
sempre più di frequente, a collaborare con altre autorità,
per la soluzione di rilevanti problematiche nuove e vieppiù
complesse.
L'opera e l'impegno non certo facile degli Organi cui spetta assicurare
al paese un ordinato svolgimento della funzione creditizia, di rado
risaltano in modo evidente: ed è giusto che sia così
per la natura dei compiti svolti e per la delicatezza delle materie
trattate.
Anzi, resto convinto che la validità del proprio operare risieda
unicamente nella capacità di mantenere il sistema creditizio
in condizioni di stabilità ed efficienza complessiva; il che
vuol dire possibilità di assicurare il massimo sostengo alla
crescita delle imprese produttive e, di conseguenza, allo sviluppo
dell'intera economia costituendo ciò il modo più efficace
per tutelare il risparmio nazionale e per risolvere il grave problema
dell'occupazione. Ed è su questo terreno che si misura l'efficacia
degli interventi di Vigilanza dai quali dipende la credibilità
tecnica e l'autonomia della Banco centrale.
L'AUTONOMIA DELLA
BANCA CENTRALE.
Credo che l'esposizione
sin qui fatta - pur con tutte le semplificazioni imposte da comprensibili
esigenze di sintesi - possa costituire base sufficiente per delineare
la posizione che l'istituto di emissione riveste nel nostro ordinamento
e per valutare il rilievo che le sue funzioni assumono ai fini di
uno sviluppo sano ed equilibrato della nostra economia.
L'efficacia della sua azione però dipende in buono misura dal
grado di autonomia operativa di cui dispone e che trova fondamento
negli assetti normativi e istituzionali maturatisi nel tempo, già
ampiamente riferiti.
Essa non può che intendersi come capacitò e responsabilità
dì assumere, con la dovuta rapidità e senza impedimenti,
i provvedimenti di volta in volta richiesti dalle mutevoli condizioni
dell'economia, avvalendosi degli strumenti tipici dei meccanismi di
mercato attraverso i quali vengono perseguite le pubbliche finalità.
L'autonomia operativa si realizza e si rafforza, altresì, con
la collaborazione instaurata con le altre pubbliche istituzioni perché
vi sia in ogni caso piena coerenza tra le linee di politica economica
definite dal Governo e gli obiettivi di stabilità della moneta,
del cambio e del sistema creditizio affidati alla banca centrale.
Per quanto concerne il nostro Paese, l'autonomia della banca centrale
si fonde su due ordini di considerazioni. Da un lato su talune caratteristiche
giuridiche del soggetto Banca d'Italia quali: il procedimento di scelta
del vertice dell'Istituto; l'autonomia organizzativa, patrimoniale
ed economica di cui gode; l'autonomia privato di cui dispone nel compimento
delle operazioni; l'assenza di forme di controllo governativo tipiche
degli enti pubblici strumentali.
Dall'altro lato sulla osservazione che il fine della stabilità
monetaria rappresenta un valore costituzionalmente riconosciuto (art.
47 Cost.) e sul presupposto che il perseguimento di tale fine compete
in via principale alla Banca d'Italia, alla quale pertanto vanno riconosciuti,
sul piano tecnico-operativo, autonomi poteri.
Anche per l'esercizio della funzione dì vigilanza creditizia,
si richiede distacco ed autonomia di giudizio, tali da consentire
in ogni caso un'analisi fondata su elementi di natura esclusivamente
tecnica e su una assoluta estraneità agli interessi che si
agitano all'interno delle aziende di credito e del sistema nel suo
insieme.
Senza scendere nell'analisi puntuale delle diverse argomentazioni,
non si può non rilevare sul piano empirico carne negli Stati
moderni ad avanzato sviluppo capitalistico il riconoscimento di un
certo grado di autonomia alla banca centrale è un requisito
indispensabile non soltanto per il buon funzionamento del sistema
economico, ma anche con riguardo al versante critico rappresentato
dal finanziamento della spesa pubblica.
I primi istituti nazionali di emissione nacquero in Svezia e Inghilterra
circa tre secoli fa per la necessità di fronteggiare la sfiducia
del pubblico verso le banconote governative, determinata da gravi
e ricorrenti episodi di deprezzamento. La mediazione dell'istituto
di emissione si andò rapidamente configurando come un rapporto
dialettico tra lo Stato, cui restava affidata la gestione del debito
pubblico, e un distinto soggetto, avente natura imprenditoriale, che
tale debito doveva finanziare.
Quella autonomia è ancor più evidente oggi che è
giunto a compimento nel nostro Paese il processo di trasformazione
dell'Istituto di emissione da concessionario della prerogativa sovrana
di battere moneta a soggetto istituzionalmente fornito di un complesso
organico di poteri di indirizzo, guida e controllo dei circuiti monetari
e finanziari.
I rischi che l'autonomia scada nell'arbitrio o che inneschi situazioni
di tensione o di intralcio nel funzionamento dell'apparato pubblico
sono di fatto cancellati dall'esistenza di un codice di comportamento
al quale il banchiere centrale deve uniformare la propria condotta.
I contributi di dottrina e di esperienza disponibili sul tema del
"central banking" forniscono al Parlamento e alla pubblica
opinione i termini della verifica e quindi del controllo sulle misure
tecniche alle quali la banca centrale ha fatto ricorso per adempiere
le sue funzioni istituzionali.
Inoltre negli atti di natura amministrativa - come sono, ad esempio,
quelli che si fondano sui poteri derivanti dalla legge bancaria -
la Banca d'Italia è soggetta alla disciplina pubblicistica.
L'eventuale pretesa inosservanza della normativa ovvero dei principi
dell'azione amministrativa è impugnabile dinanzi al giudice
amministrativo.
L'impostazione surriportata sembra largamente condivisa in Italia
e all'estero. Nondimeno le banche centrali si trovano spesso al centro
di non poche e non sempre ordinate dispute ai più diversi livelli:
il loro operato, il loro ruolo ed il rispettivo grado di autonomia
sono oggetto di discussioni in alcuni casi attente e severe, in molti
altri scarsamente ponderate e documentate.
Proprio nello scorso mese di febbraio si è tenuto a Venezia
un convegno, al quale hanno partecipato autorevoli studiosi italiani
e stranieri, sul tema: "Il ruolo delle banche centrali tra governo
e sistema creditizio nei Paesi industrializzati". La conclusione
è stata che in Europa vi è ampia convergenza sulla necessità
di assicurare maggiore indipendenza alle banche centrali.
La ragione di fondo di questi frequenti dibattiti va ricercata - a
mio parere - nel fatto che la funzione delle banche centrali nei Paesi
a sviluppo avanzato, in quanto rivolta a garantire la stabilità
monetaria, viene a porsi come un freno alle tendenze espansive della
spesa pubblica, con riflessi inflazionistici, in genere connesse con
le economie di tali Paesi.
Resto perciò convinto che l'autonomia della Banca d'Italia
costituisce requisito indispensabile per svolgere efficacemente il
compito di collaborare alla definizione della politica economica del
Paese, evitando al tempo stesso pregiudizi per il perseguimento della
stabilità monetaria.
Per certo è un compito scomodo e ingrato, che talvolta può
rendere la banca centrale impopolare agli occhi degli operatori economici,
del sistema creditizio e delle diverse componenti sociali.
La posta in gioco è che, negandosi l'autonomia della banca
centrale, venga meno la mediazione necessaria per un controllato finanziamento
dello Stato: in presenza di una dilatazione quasi automatica della
spesa pubblica che genera disavanzo, generando a sua volta debito,
vi è il rischio grave che il processo inflattivo sfugga di
mano e divengano ricorrenti i vuoti nei conti con l'estero.
"L'erosione della moneta è un danno economico e una contraddizione
sociale" (relazione Banca d'Italia 1981). L'Autorità monetaria
da sola non può evitarla; si impone però da parte sua
tenacia e, se occorre, durezza nell'indicare a tutti i protagonisti
delle vicende economiche la strada da seguire e gli obiettivi da raggiungere.
E' questo lo stile che da sempre contraddistingue la Banca d'Italia,
uno stile che si fonda sulla consapevolezza di essere al servizio
del Paese, sul convincimento della validità delle analisi tecniche
e sulla sicurezza derivante da un approccio ai problemi ispirato ad
assoluta indipendenza di giudizio.
Nella mia esperienza di lavoro all'interno della banca ho potuto sperimentare
che il fondamento ultimo e la più solida garanzia dell'autonomia
dell'Istituto poggiano su questi valori.
Mi sia consentito perciò concludere queste considerazioni,
ricordando una massima di Emanuele Kant: "In ogni ricerca scientifica
bisogna continuare tranquillamente il proprio cammino con tutto l'esattezza
e la sincerità possibili, senza curarci di ciò con cui
tale ricerca potrebbe contrastare, ed eseguirla, per quanto si può,
secondo verità e in modo completo".