§ L'esperienza elettronica nell'ambito della "Nuova Musica"

Suoni dal fondo del mare (2)




Sergio Bello



Con l'inizio degli anni sessanta il periodo di ricerca per così dire 'pionieristica' va progressivamente cedendo il passo ad una crescente volontà di sintesi e confronto delle varie esperienze maturate in ambito elettronico.
Gli aspetti maggiormente portati alle estreme conseguenze - il rigoroso purismo elettronico praticato negli studi di Colonia, la marcata impronta concretista ostentata dai compositori orbitanti intorno a Radio-France - sebbene abbiano trovato quasi dal primo momento qualche polo esterno di mediazione, il più importante dei quali presso la sede della RAI di Milano con Berio e Maderna, hanno sempre dimostrato 'dall'interno' un reciproco disinteresse.
Al contrario, nel decennio che va dal 1960 al 1970, ci si riscopre via via più propensi alla reciproca contaminazione, meglio disposti - o più pronti - verso innesti e trapianti, maggiormente allettati dal panlinguismo elettronico.


Il nostro ideale Cicerone, Armando Gentilucci, nella sua 'Introduzione alla Musica Elettronica', vede in questo mutato atteggiamento delle avanguardie impegnate sul versante della ricerca elettroacustica i sintomi di una crisi in piena regola: "... dall'esclusivismo un po' fanatico per il suono sintetico, considerato capace di sostituire ogni altro modo di produzione fonica, essi (i compositori elettronici, n.d.a.) sono passati all'integrazione di musica elettronica e musica concreta, e inoltre, più significativamente, di musica registrata (sia elettronica che concreta o mista) ed eseguita dal vivo (voci e strumenti). Altri musicisti hanno abbandonato addirittura il campo elettronico tornando ai mezzi sonori consolidati dalla tradizione, meno costosi, più facilmente reperibili e consolidati in formazioni fisse, istituzionalizzate ( ... )".
E prosegue: "Luciano Berio, Henry Pousseur e Bruno Maderna sono i compositori che più vistosamente hanno sfumato la loro presenza nel settore di cui ci occupiamo".
Tuttavia, a parere di chi scrive, se è vero che gli eventi segnalati da Gentilucci sono significativi, non necessariamente debbono essere significativi di una crisi: mettendo senz'altro da parte motivazioni che Gentilucci ama definire sociologiche, frutto di un credo politico che il compositore leccese non ha mai mancato di palesare, la chiave di lettura per quanto è accaduto in quel periodo va molto più semplicemente cercata nel percorso in un certo modo standard di un generico processo innovativo: alla primigenia fase sperimentale, spesso votata a procedimenti di ricerca espressamente empirici ed il più delle volte propensa a chiusure iniziatiche ed a provocatori estremismi, fa naturalmente seguito un momento di apertura verso l'esterno, con tutte le conseguenze che questo atto implica.
Questa apertura, per molti aspetti 'fisiologica', avviene in genere quando gli artefici del processo innovativo sentono in qualche modo la presenza alle loro spalle di una seppur minima tradizione, da loro stessi edificata per mezzo della ricerca. Ed una tradizione era oramai maturata alle spalle dei musicisti-ricercatori degli studi di musica elettronica: il passo successivo consisteva, appunto, nel rendere disponibili verso l'esterno i risultati di un tirocinio avvenuto al riparo di quegli studi - moderne celle monastiche - ed al cospetto di ingombranti apparecchiature-are. Non dunque crisi, ma apertura del bozzolo.
L'allontanamento - tutt'altro che generalizzato, in realtà - di alcune fondamentali figure responsabili della Svolta elettronica' è anch'esso, a ben guardare, fisiologico, e d'altro canto non sono mancati avvicendamenti né rimpiazzi. Esaurita la prima fase, appare allo stesso modo esaurita la funzione di alcuni tra i più validi artefici della stessa, e prendere atto della mutata situazione non implica quale corollario la crisi; se crisi ci sono state, queste sono da individuare sul piano delle conseguenze dell'incontro tra la neonata tradizione elettronica e la ben consolidata tradizione strumentale: se è vero che ogni incontro determina anche lo scontro, il conflitto quale naturale e prevedibile conseguenza, in questo caso, a complicare le cose sopraggiunge anche una crisi di identità, o meglio di collocazione della prassi compositiva elettronica rispetto al contesto più generale. Il problema della mancanza di un più delineato inserimento nell'architettura generale della musica colta occidentale è reso ancor più grave dal fatto che questa è in realtà una questione risolta - sul piano teorico - a metà, in quanto il compositore elettronico è perfettamente consapevole del proprio ruolo e del proprio campo d'azione: altrettanta chiarezza non si è raggiunta, però, dall'altra parte, dalla parte cioè del compositore estraneo all'esperienza elettronica; e questa situazione causa uno sconfinamento nel non-riconoscimento: la musica elettronica viene costretta - dall'esterno -entro l'ambito, e i limiti, della sperimentazione un po' esoterica: non più territorio di confine, ma margine. E' il forzoso ritorno al bozzolo, l'allontanamento dall'ecosistema al quale dovrebbe - oramai a buon diritto - appartenere.
In questo consiste l'essere Nuova Atlantide: continente sommerso suo malgrado.
Una presenza necessariamente rarefatta, illusione di suoni dal fondo del mare.
La storia della musica elettronica coincide, ora, con la storia della sua ricerca, tuttora in itinere, di una concreta integrazione nel tessuto della cultura musicale d'occidente.


Dopo quanto detto, non c'è da stupirsi se si indica generalmente Kontakte, composizione per suoni elettronici, pianoforte e percussioni di Karlheinz Stockhausen come l'opera che apre questo nuovo periodo.
Il titolo stesso dell'opera è indicativo: i "... un'importante opera di Stockhausen coronava il processo in atto del superamento dell'antitesi tra musica registrata e musica eseguita dal vivo, compenetrando fonti e atteggiamenti fonici di origine diversa scrive Gentilucci, il quale, avendo ben presenti importanti precedenti nella ricerca di un contatto tra due tradizioni, aggiunge subito che l'opera di Stockhausen " ... partecipa, a un livello di superiore riuscita o almeno di più tormentata ed impervia ricerca, a quel filone che stava dando lavori quali Transición II di Kagel, Musica su due dimensioni di Maderna, Différences di Berio".
I lavori a seguire del compositore tedesco opereranno in questa stessa direzione fino a configurare, a partire da Prozession, l'inglobamento dell'alea nelle proprie composizioni.
Lo strutturalismo esasperato, di chiara matrice weberniana, che ha sempre contrassegnato le opere di Stockausen viene ora smussato da prassi esecutive legate alla sensibilità dell'interprete, svincolato ora in buona misura dalla parte scritta.
Non poteva durare. Stockhausen stesso riferisce: "Per ben quattro mesi e mezzo ho ascoltato, minuto dopo minuto, gran parte delle opere da me create fino a quel momento (in occasione della Fiera Mondiale Expo '70 di Osaka, n.d.a.). Di qui la mia improvvisa insofferenza nei confronti dell'alea. Lo squilibrio qualitativo delle esecuzioni di Prozession, di Spiral, di Pole per due, di Expo per tre e perfino di Hymnen, hanno provocato la mia diffidenza. Non riuscivo più a sopportare le interpretazioni arbitrarie degli strumentisti".


Nel mentre, tuttavia, il compositore aveva lavorato anche in altre direzioni: con Telemusik, nel 1966, fa uso per la prima volta in una sua opera di materiali concreti - preesistenti, cioè - con l'acquisizione di frammenti di musiche dalle provenienze le più disparate. Attraverso l'uso di attrezzature elettroniche, Stockhausen elabora dall'interno il materiale fonico così assemblato: è quel che si dice 'endomodulazione'.
Stessi procedimenti si ritrovano alla base di un importante lavoro successivo, Hymnen, per il quale adopera, in qualità di nuda materia sonora, inni nazionali di differenti paesi, accostati secondo una logica quadriregionale che è strutturante l'intera composizione.
Su un piano più squisitamente politico si muove un altro compositore, Luigi Nono, la cui attività in ambito elettronico è meno costante di quella di Stockhausen.
Ed ancora a proposito di Stockhausen, la distanza che lo divide da Nono appare in tutta la sua evidenza da quanto dichiara il compositore tedesco in una intervista rilasciata a Firenze, nel luglio del 1980, a Mya Tannenbaum: "Dopo il nostro ultimo incontro (con l'intervistatrice, n.d.a.) mi è capitato di sfogliare la 'Frankfurter Allgemeine Zeitung'. All'interno, ecco, un articolo a firma di un tale Koch, l'ineffabile scrivano titolare della 'rubrica musica' di quel giornale. Uno sguardo alle prime righe: era tutto un elogio all'indirizzo di Henze e Nono, definiti compositori vitali, i soli legittimi rappresentanti dell'epoca in cui viviamo; e parlava di Henze lodando la sua scelta di un brano di Allende nel quale si decanta 'El pueblo unido' e via ad esaltare la musica 'impegnata' (appunto la sua) e la musica preoccupata del futuro del terzo mondo. Mentre di Nono si metteva in risalto anzitutto il contenuto ideologico delle composizioni ed. il fatto di aver definito più volte determinante e decisiva la funzione del testo in seno alla sua musica.
Quanto ai giovani, in questi anni in Germania bastava che rivelassero un impegno politico per meritare ogni attenzione. Così sono stato spesso costretto a battermi in difesa delle mie ragioni, anziché comporre, il che è davvero assurdo. Ma badi che le mie battaglie non sono affatto ideologiche".
In effetti ci troviamo di fronte a due approcci ben distinti rispetto all'elettronica applicata alla composizione: laddove Stockhausen si adopera nel senso della ricerca all'insegna del rinnovamento del linguaggio musicale, Nono adopera i mezzi elettronici con finalità amplificative a vantaggio del messaggio politico.
Lo studio di musica elettronica non èpiù, con Nono, laboratorio di una nuova linguistica della musica, ma diventa cassa di risonanza ideologica.


Le critiche si incrociano: Gentilucci taccia Stockhausen di vivere "... le contraddizioni insanabili tipiche di un formidabile musicista operante nel clima di benessere ottuso e socialmente rinunciatario della Germania Occidentale, nel vuoto dell'esperienza comunitaria ovviamente mancata dal capitalismo...", e contemporaneamente Luigi Pestalozza riscontra nell'opera del tedesco "la stessa tendenza a prevaricare l'ascoltatore mediante il discorso senza fine, a bloccarlo così, per asservirlo, ( ... ) riconducibile, in ultima analisi, ai meccanismi dell'ipnosi sociale che, come quello pubblicitario, fanno strutturalmente parte del potere economico capitalistico".
D'altro canto, si rimprovera a Nono il solo incidentale utilizzo dei mezzi elettronici, il suo essere scollegato dalla ricerca strettamente musicale operata da altri, e si ricorda che la commissione di opere elettroniche al musicista veneziano è stata spesso determinata dalla necessità di avere in cartellone Un nome di grido, più che dalla reale propensione dell'autore verso l'ambito elettronico, come è accaduto in occasione del Prometeo, rappresentato in occasione della Biennale di Venezia e realizzato con la collaborazione dell'architetto Renzo Piano, responsabile della scenografia.
Detto questo, vale la pena ripercorrere il tracciato delle composizioni elettroniche di Luigi Nono.
La vera Opera Prima, perfettamente compiuta, che sfrutta le possibilità offerte dai nastri magnetici e oscillatori è La fabbrica illuminata, del 1964, realizzata su testi di Giuliano Scabia e Cesare Pavese ed attraverso l'uso di fonti sonore ottenute - tra l'altro - per mezzo di registrazioni eseguite 'sul campo' presso l'Italsider di Genova-Cornigliano, secondo criteri che Gentilucci definisce, a buon diritto, polimaterici.
Successivamente Nono comporrà Ricorda cosa ti hanno j'atto a Auschwitz, in origine cori per L'Istruttoria di Peter Weiss, poi opera autonoma, pregna anche questa di polimaterismo.
A floresta é jovem e cheja de vida, dedicato al Fronte Nazionale di Liberazione del Vietnam, ideale proseguio delle opere precedenti, si avvale della collaborazione di Giovanni Pirelli per il testo, di uno studio fonemico condotto a stretto contatto con il Living Theatre e della presenza di quattro attrici, oltre che di un clarinettista, un soprano, un percussionista alle lastre di rame. E poi, in rapida successione, Contrappunto dialettico alla mente, commissionato prima e poi censurato in parte dalla RAI per troppo palesi riferimenti antiamericani; il dittico Non consumiamo Marx, composto in occasione del Maggio francese; Y entonges comprendió, dedicato ai movimenti rivoluzionari dell'America centro-meridionale; Como una ola de fuerza y luz, composizione elaborata tenendo conto della presenza di un interprete d'eccezione quale Maurizio Pollini.
Se questi due autori possono essere considerati i più rappresentativi di questa nuova fase, non sono d'altro canto mancati contributi - quando incidentali, quando invece caratterizzati da una buona dose di continuità - da parte di compositori in tutto o in parte coinvolti nell'esperienza elettronica.
Sfoltendo molto, basterà citare la ricerca sempre alla ribalta tecnologica di Koenig, gli esperimenti compositivi basati sulla stocastica dell'architetto-compositore greco Xenakis, la breve ed isolata puntata in ambito elettroacustico di Franco Donatoni con il suo Quartetto III del 1961, i toni cupi e gravi delle composizioni-manifesto di Giacomo Manzoni.


Nell'ambito del quadro delineato fin qui manca un settore della ricerca sui suoni prodotti e riprodotti artificialmente il cui sviluppo, ripercorso a ritroso, ci conduce ai primi anni cinquanta, e che avrà conseguenze di enorme portata proprio a partire dagli anni ottanta.
Questo settore - la ricerca computazionale - fonda i propri studi, idealmente, sulle intuizioni pitagoriche circa l'astrazione dell'evento sonoro con l'aiuto del numero; ed è questo un balzo all'indietro che, paradossalmente, ha prodotto una spinta in avanti addirittura spiazzante per la maggior parte dei musicisti attivi compositivamente, come anche per gli esperti di tutti gli altri ambiti - musicologico, analitico, esecutivo - inerenti la sfera dell'indagine e della creatività musicale.
Ma questa, storia di oggi, è anche storia del prossimo appuntamento sulle pagine della Rassegna.

(2 - continua)



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