§ Stridenti note di due madrigalisti

Il principe e il cavaliere




Sergio Bello



La storia di Gesualdo principe di Venosa, personaggio spesso ricordato come l'ultimo madrigalista del Rinascimento, è una di quelle storie che a leggerle fanno - è vero - conoscere l'uomo, ma soprattutto tratteggiano alcuni degli aspetti più interessanti di un'epoca. Dietro le scelte di Gesualdo e nello spirito delle sue opere barocche e crude, si leggono le tracce impresse dai periodi di transizione, si sperimenta il divaricarsi di un'arte che tende a due cammini opposti, se ne presagisce l'ormai prossima lacerazione.
Di fatto, al tempo del geniale musicista, gli stili del comporre profano si potevano facilmente distinguere in due correnti: una meridionale, quella del principe e della sua corte di musicisti, riconducibile al compositore franco-fiammingo Jean de Macque, che troviamo a Napoli a partire dal 1586 al servizio del padre di Gesualdo prima e di Gesualdo stesso poi, il quale impresse una forte spinta alla ricerca di effetti e tensioni espressive inusitate, ottenute attraverso la complicazione del linguaggio contrappuntistico, arricchito di dissonanze, false relazioni, contrasti modali. L'altra settentrionale, quella di Marenzio, Peri, Caccini, decisamente protesa verso il declamato, la scena espressiva ed oltre, fino alle soglie della monodia, presagio di seconda prattica.
Accanto e, per certi versi, contrapposta alla forte personalità di Gesualdo, la figura di Pomponio Nenna. Anche lui vanta nobili natali, anche se di rango decisamente meno elevato: proviene da una aristocratica famiglia barese, ed è Cavaliere di Cesare; anche lui ispirato ed ardito madrigalista di scuola meridionale; anche lui musicista 'dilettante' poiché nobile, e dunque impossibilitato a dirsi professionista per non scadere al rango di artigiano. Sebbene molto si sappia circa la produzione artistica di Pomponio Nenna, e malgrado la sua biografia sia stata in certa misura ricostruita, ancora poco chiari ed alquanto ambigui rimangono i suoi rapporti con il principe di Venosa.
Nenna apparteneva alla schiera di musicisti - tra i quali Dentice, Stella, Efrem, Cerreto, Rodio - che si raccoglieva sotto la protezione del principe Gesualdo, ma di quel periodo ci sono giunte notizie abbastanza confuse; una certa importanza nel quadro dei burrascosi rapporti tra cavaliere e principe deve aver rivestito il fatto che Nenna, prima di approdare alla corte diGesualdo, si trovasse al servizio di Fabrizio Carafa, duca di Andria, coltissimo personaggio dedicatario anche del Tasso, al quale lostesso Nenna aveva intitolato il suo primo lavoro, il Primo Libro dei Madrigali a V Voci,pubblicato a Venezia nel 1582.
Fabrizio Carafa ha infatti ricoperto, per propria sventura, un ruolo determinante nella vita del principe di Venosa: trovato in dolce compagnia della moglie di Gesualdo, Maria d'Avalos, fu da quest'ultimo, senza tante cerimonie, congedato dalla vita terrena, al pari della poco affidabile consorte, così da non far torto a nessuno.
Tale evento, tuttavia, non fu privo di conseguenze per il principe, visto che l'uxoricida dovette riparare a Ferrara - a quel tempo, anche se non ancora per molto, sede della corte estense -: e non per evitare di incorrere nei poco probabili rigori della giustizia, quanto per sfuggire alla vendetta dei familiari del duca, per niente disposti a giustificare il focoso temperamento di Gesualdo.
L'arrivo del principe a Ferrara fu tuttavia visto di buon occhio dalla corte estense: di lì a poco, infatti, lo stato pontificio si sarebbe ripreso la sovranità su Ferrara, evento che risultava essere assai poco gradito agli estensi; imparentarsi con Gesualdo, che vantava da parte di padre stretta parentela con il cardinale Alfonso Gesualdo, poteva essere un buon modo di far prorogare o addirittura annullare la decisione pontificia.
Tant'è che Gesualdo, non pago della prima esperienza matrimoniale, sposò in seconde nozze Eleonora d'Este, nipote di Alfonso d'Este, duca di Ferrara.
In effetti, se da un lato gli Estensi accolsero a braccia aperte il principe di Venosa, con lo scopo più o meno dichiarato di far convergere le decisioni pontificie verso un punto di comune soddisfazione, dall'altra Gesualdo, seppur probabilmente poco felice. di dover abbandonare i propri domini per non incappare nelle sgradevoli maglie di una faida, sicuramente non trovava detestabile l'idea di entrare di diritto nel tempio della musica reservata, tempio nel quale Luzzasco Luzzaschi svolgeva incontrastato il ruolo di gran sacerdote, supportato nel cerimoniale dalle famose ed affiatate "vestali" del Concerto delle Dame.
Tale infatti era il valore di questo compositore, che Gesualdo - caso unico nella storia del severo e critico principe musicista - manifestò un rapporto di dichiarata emulatio, ovvero di imitazione come atto di omaggio verso qualcuno riconosciuto come maestro, prassi tipica dell'epoca, ma atipica - ed anzi, come detto, unica - in Gesualdo.
Tuttavia, il reciproco entusiasmo nel far collimare interessi artistici e politici non dovette scuotere il papato al punto da rinunciare, foss'anche per poco tempo, a riacquistare i propri diritti sui domini ferraresi. Agli Estensi non restò dunque che ripiegare sulla bella ma forse meno aristocratica Modena, che grazie a questo "trasloco" può vantare oggi la mirabile Biblioteca Estense.
Nel frattempo Nenna, non più oscurato dalla figura per certi versi opprimente di Gesualdo, otteneva un notevole successo con le proprie composizioni, arrivando addirittura a stanare in casa propria il principe di Venosa.
Nenna, infatti, pensò bene di instaurare rapporti con la corte di Ferrara facendosi raccomandare a Cesare d'Este addirittura - a quanto pare - dalla nuova consorte di Gesualdo.
Fin qui, in fondo, nulla di male. Se non che tra principe e cavaliere sorge un problema di non piccola caratura.
Ciascuno dei due, infatti, rivendica l'originalità della propria ricerca tecnica ed espressiva, accusando l'altra parte di plagio.
La questione è, per molti versi, interessante ed anche divertente; tuttavia certi aspetti della vicenda rimangono assai oscuri. Ad esempio, è già un problema dedurre dalle testimonianze giunte fino a noi chi dei due attingesse alla produzione dell'altro. Anche solo sotto il profilo strettamente generazionale, in effetti, regna già una certa confusione: Pietro Della Valle, erudito del '600, colloca i due compositori in generazioni artistiche diverse, ma non allo stesso modo la pensano Giustiniani e Berardi; quest'ultimo in particolare considera Gesualdo, Nenna, Monteverdi, Pecci e Fontanelli i più eminenti compositori della seconda prattica.
Certo tenendo conto del prestigio ma soprattutto della superbia tipica di Gesualdo, appare più credibile che proprio lui sia stato vittima e non autore dei plagi. E questa interpretazione appare più credibile ancora se consideriamo che fu proprio il principe di Venosa ad innescare la polemica sui suoi V e VI libro di madrigali a cinque voci, attraverso una presentazione polemica di Cappuccio (probabilmente Gesualdo stesso: non va dimenticato che tanto il principe quanto il cavaliere pugliese non comparivano come autori, bensì come dedicatari delle rispettive opere a stampa) che accusava i musicisti a lui vicini di aver fatto circolare imitazioni di opere altrui spacciandole per proprie.
Sarà proprio Nenna a rispondere a questo generalizzato attacco nel suo primo libro di madrigali a quattro voci, riportando gli elogi - a loro volta generici e probabilmente fittizi - che Don Nicola Tortemano fa sul conto di Nenna a Giuseppe Venere: "Non è alcuno della musica intendente che chiaramente non confessi et affermi - benché essendo lungo tempo di mano in mano andata errando per colpa di coloro che più avidamente a farne copia che giudizio han posto mira - che erano ormai 1 così spogliate di quella candidezza con che dalla penna dell'autore furono già vestite, che appena potea cantarsene alcuna senza infínita discordanza di voci; del che mossi a pietoso zelo alcuni miei signori, (usi a) sommamente dilettarsi della musica, e per osservanza di sì famoso autore, mi hanno spronato - quantunque debole a tanta impresa - a purgarle di tanti errori, in che per lungo errare di tempo di penna in penna erano incorse".
In effetti, ciò che di più evidente hanno in comune -anche se solo in una certa misura - le rispettive produzioni madrigalistiche, sono i testi poetici; testi di madrigali gesualdiani musicati anche da Nenna sono, tra gli altri, "Ahi dispietata e cruda", "Asciugati i begli occhi", "Ancide sol le morte" e "S'io taccio il duol s'avanza". A questo proposito, però, va tenuto in particolare considerazione il fatto che i due compositori, come si è detto, hanno frequentato gli stessi ambienti artistici, sono entrati in contatto con identiche realtà musicali e letterarie e sono stati parti attive della stessa scuola compositiva. Inoltre, la diffusione dei testi letterari a quel tempo era completamente deregolamentata, tanto che gli stessi autori non avevano il benché minimo controllo sulla trasmissione delle proprie opere, che circolavano per lo più in forma di copie manoscritte.
Se a questi elementi aggiungiamo la consolidata prassi dell'emulatio, che nel suo più cristallino utilizzo comportava il musicare un testo già sfruttato dal proprio maestro-modello nel tentativo non di imitarne lo stile, ma di cogliere e superare le frontiere espressive già raggiunte, possiamo arrivare alla conclusione che dare un peso eccessivo alla polemica intercorsa tra i due in un momento così denso e mutevole della storia della musica ci farebbe smarrire in una rete di supposizioni fondate probabilmente su elementi la cui reale consistenza è minore di quanto non appaia, facendoci perdere il vero senso dell'intera questione. La stessa genericità degli attacchi e delle difese messe in atto dai due può far pensare piuttosto - e forse più concretamente - alle prime avvisaglie di una strategia che solo qualche anno più tardi, con le ben note diatribe che vedranno protagonisti i compositori della Camerata Fiorentina, diventerà prassi: accusare di plagio i propri colleghi sarà il modo più convincente di affermare il proprio primato inventivo, sia esso fondato o meno. Chi colpisce per primo - si dice - colpisce sempre due volte.


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