§ Stereotipo Sud

Rocco e i suoi writers




Aldo Bello



La latitanza dei primogeniti e il brigantaggio; le rappresaglie per la "pacificazione" e la prima ondata migratoria; la Grande Guerra e i morti contadini; la cultura agraria, la battaglia del grano e le famiglie incoraggiate a sfornare cucciolate di figli; la seconda guerra mondiale; la ricostruzione e la nuova ondata migratoria; il mito dell'industrializzazione nelle "aree depresse" e la "frontiera degli anni Ottanta"; il disincanto e la corsa clientelare; gli alti costi del "sistema duale" e l'abbandono del Sud: potrebbero essere, questi, i capitoli di una rivisitazione storica del Sud, con ricche appendici sulla criminalità organizzata e su quella politica (che non è stata da meno) che ha coinvolto protagonisti di tutta la penisola. Forse non saranno mai scritti. Ci sono verità che possono uccidere un popolo, ha scritto Giraudoux. Sono più feconde le menzogne. E sono eterni i miti.
Filumena Marturano che dice fra le lacrime che " 'e figlie so' ffiglie". Francesca Serio, madre del capolega Carnevale assassinato dalla mafia, che dice a Carlo Levi che le parole sono pietre. Le miserabili famiglie di Regalpetra che, come raccontò Sciascia, consideravano una speranza la nascita di un maschio e una disgrazia la nascita di una femmina. Il solidarismo familiare di Rocco e i suoi fratelli, che Visconti fa disgregare al contatto con la società del Nord. E la figura del Padre padrone di Gavino Ledda. E i matrimoni riparatori magari con la messinscena della "fuitina". E i giovani che restano a casa anche a trent'anni, in attesa di vincere un concorso o di essere "sistemati" dal padrino o dal nume tutelare di turno. E Ninetta Bagarella, moglie di Totò Riina, che per l'onore del boss dei boss sfida le telecamere nell'aula bunker. O Carla Cottone, nuora di Francesco Madonia, che viola le regole non scritte ma ferree, partecipando al Maurizio Costanzo Show...
Tutte immagini di un mito. Il mito della famiglia meridionale, in cui l'individuo è solo ed esclusivamente un piccolo meccanismo della macchina parentale; in cui i vincoli di sangue impongono doveri più forti di ogni norma etica; in cui il "bene" del gruppo tribale precede e preclude ogni altro interesse collettivo più generale. La famiglia, insomma, come istituto naturale primo e definitivo, contrapposto alla società civile, ostile persino alla modernizzazione e allo sviluppo.
Quanto è reale questo modello? Risponde Meridiana, quadrimestrale dell'Istituto meridionale, di storia e scienze sociali: non esiste, non è mai esistito; è un pregiudizio ed è un'invenzione ideologica. Gli studiosi italiani spingono l'indagine ben oltre avvenimenti, statistiche, dati di registri parrocchiali o commerciali, e analizzano identità e comportamenti familiari fra pugliesi, campani, lucani, isolani, negozianti o artigiani; ma anche fra camorristi dei Quartieri Spagnoli. Mentre l'inglese Paul Ginsborg, autore di una Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, vuol capire come i suoi colleghi (stranieri, ma anche italiani) hanno finora considerato la famiglia: un componente della società civile, un centro dello sviluppo, oppure un universo statico, estraneo alle trasformazioni politiche ed economiche?
Quattro decenni fa l'americano Edward Banfield pubblicò un'inchiesta sociologica condotta nel paese di Chiaromonte, in provincia di Potenza: Le basi morali di una società arretrata, un libro che già nel titolo diceva tutto o molto, e che fu al centro di accanite polemiche. Secondo Banfield, le cause dell'arretratezza meridionale non andavano ricercate nella struttura economica, ma nelle tradizioni culturali, e in particolare in quei valori che apparivano radicati nella famiglia: nell'amoral familism.
Sul mito del "familismo amorale" hanno campato in molti, giornalisti, scrittori, sociologi, politici e industriali, tutti in qualche modo interessati a proiettare del Sud le immagini più trite e le angolazioni più consumate. E' appena il caso di ricordare che nei primi anni 150 il miglior viatico per assurgere all'Olimpo degli inviati speciali era, appunto, un viaggio nel Mezzogiorno: ne sanno qualcosa i Montanelli, i Ronchey, i Bocca, i Sassano, gli Orlando, gli Ottone, e via elencando. E che subito dopo furono i giorni dei sociologi con tesi precostituita: Vera Lutz, parlando del Problema dello sviluppo del Mezzogiorno d'Italia e del Processo di sviluppo in un sistema economico dualistico, parlava di "pericolosi tentativi di forzare il processo di avvicinamento" tra Nord e Sud!
E' cosi, il Sud, ancora oggi? Ascoltiamo un po' di testimonianze. Parla Gesualdo Bufalino: "Io ho avuto la ventura di vivere nella Sicilia Iblea, nella quale ho conosciuto effettivamente un modello di famiglia meridionale. Grazie all'estrema frantumazione della proprietà, in questa zona, fra Ragusa e Siracusa, si era costituito, diversamente dalle zone messe a latifondo, un piccolo ceto di proprietari agricoli, favorendo la formazione di aggregati domestici in cui lo stereotipo della famiglia meridionale era abbastanza vicino alla verità. Questi nuclei erano caratterizzati da rispetto e soggezione verso il maschio, da assoluta sottomissione dei figli ai genitori, da un matriarcato nascosto, nel senso che la donna appariva all'esterno sottomessa all'uomo ma era in casa una regina possessiva, e da forme patriarcali, poiché la famiglia includeva nonni, zii, cugini. Erano piccoli Stati nello Stato. Tutto ciò cominciò a sfaldarsi a partire dal dopoguerra". Parla la storica Gabriella Gribaudi: "Da Torino mi sono trapiantata a Napoli e anche sulla base della mia esperienza io penso che la famiglia meridionale sia assolutamente identica a quella settentrionale. Nel senso che non esiste un modello tipico: la diversificazione dei modelli familiari èenorme, sia al Nord sia al Sud. E il familismo, se c'è, funziona dovunque, èun carattere della famiglia italiana in generale, che sopperisce con le solidarietà parentali alle carenze delle istituzioni pubbliche, negli ospedali, nella scuola e così via". Allora, siamo prevenuti? "Quando parliamo della piccola impresa emiliana o veneta, consideriamo la famiglia un fattore di sviluppo, ma studiando la storia dei sarti dei vicoli napoletani ho constatato che fanno un uso altrettanto razionale della struttura familiare. Il familismo amorale delle popolazioni meridionali è un errore scientifico, dietro il quale si nasconde un'ideologia. Si sono talmente diffuse e radicate le immagini di un'Italia divisa in due, che gli stessi meridionali pensano che da loro la famiglia sia qualche cosa di diverso".
Parla l'antropologo calabrese Luigi Lombardi Satriani: "Non dobbiamo cadere nella miopia di ritenere scomparsa la cultura meridionale arcaica. Arcaico non significa inesistente: è un substrato che può permanere. I forti vincoli, i doveri della solidarietà, il diritto alla protezione, l'obbligatorietà della vendetta sono caratteri della famiglia arcaica che nelle fasi di crisi possono riemergere dal fondo delle cose. Oggi si tende a ignorarli per paura di apparire passatisti. Ma è vero che questo modello di famiglia ha in parte bloccato le possibilità di sviluppo, fungendo d'altronde da meccanismo protettivo, da mezzo di sopravvivenza: e se non avessero avuto neanche la famiglia? Quando questo tipo di famiglia è andato in crisi per effetto della modernizzazione, si è avuta una disgregazione di tutto il tessuto sociale meridionale".
Parla la sociologa Chiara Saraceno: "La solidarietà familiare è più visibile al Sud che al Nord perché effettivamente la famiglia spesso è l'unica risorsa cui affidarsi. E' una solidarietà per mancanza d'altro. Se lo Stato è assente o non si vede, se i servizi sono inefficaci, se la società civile non si è costituita, rompere le lealtà familiari diventa quasi un suicidio". Come scrisse Pizzorno, demolendo il libro di Banfield, la società meridionale non è arretrata perché familistica, ma è familistica perché arretrata. Dice la Saraceno: "Gli stereotipi ci sono. Per esempio, si pensa che la famiglia meridionale sia tanta, sia estesa: invece è nucleare, con i figli che se ne staccano presto per formare nuovi nuclei. La famiglia estesa era assai più diffusa nelle campagne padane. E' vero semmai che la famiglia meridionale è tuttora più feconda e ha un senso più forte della propria identità".
Se tutto questo è vero, perché ancora oggi si alimenta il mito dell'amoral familism meridionale? Dice Meridiana: perché ci sono pregiudizi ideologici su un Mezzogiorno condannato a sentirsi "periodicamente in stato d'accusa". Appunto: dal brigantaggio immediatamente post-unitario alle tesi da Nosferatu del professor Miglio. Eppure, Rocco e i suoi fratelli era stata la tragica metafora della disgregazione prodotta nel mondo meridionale dalla perdita di peso proprio dei valori arcaici. Eppure, I tre fratelli di Rosi erano stati la malinconica metafora dell'abbandono in cui il Sud è stato lasciato una volta chiusa la stagione meridionalistica.
"In realtà - dice Salvatore Lupo, autore di una Storia della mafia - i legami si esaltano laddove c'è la necessità: è la mafia a utilizzare la struttura familiare perché in generale ci si fida di più del proprio fratello che di chiunque altro. Nel mio libro osservo che i trafficanti internazionali di droga sono spesso parenti fra loro. Perché operando lontano dai loro territori e sedi hanno bisogno di contare su persone fidate al massimo. No, con la mafia il familismo non c'entra. No, non c'entra neanche col Sud. Sa quando io ho capito cos'è il familismo? Quando ho visto le soap-opera americane. Quando ho visto Dallas e Beautiful, dove si accoppiano pure fra cognati o il suocero con la nuora. Ovviamente, per il bene della famiglia".
Amen per Banfield e per gli interessati ammiratori italiani.


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