§ UN POETA DIALETTALE SALENTINO

LE SATIRE DI ORAZIO TESTAROTTA




Osvaldo Gianń



La poesia dialettale di Orazio Testarotta, poeta salentino (1870-1964), si realizza come poesia bozzettistico-satirica, un genere o filone creativo che in questa ultima metà del secolo è stato assai scarsamente coltivato, anche nelle più remote province della nostra penisola, poiché nell'interno della poesia dialettale son venuti vieppiù a mutare gusto e ispirazione, progetto artistico e destinazione: dall'originario e consueto carattere di arguzia, aggressività, coralità e "strapaesanità", la poesia dialettale si è man mano riconvertita e tesa a diffuse malinconie, a struggenti memorie, a interiori e petrarcheschi travagli, a suggestioni paesaggistiche, che ormai connotano e risolvono stilisticamente tutta l'odierna attività letteraria dialettale (eccezion fatta per il teatro), ora marcatamente "lirica" (1), elegiaca ed esistenziale e destinata ad un pubblico non più locale, ma ambitamente nazionale (con il sistema della traduzione in lingua a fronte).
I versi di O. Testarotta, infatti, pur uniformandosi letterariamente alla Stilistica e Metrica della poesia in lingua (nelle strutture compositive, nel sistema metrico e nelle figure metriche, ecc.) restano sempre satira di costume: non riflettono mai petrarchismi, romanticismi o ermetismi di sorta, anzi, idealmente contrapponendosi a tali "climi" e nozioni, e formule stilistiche, si configurano come ultima prova ed esperienza di versificazione dialettale veracemente popolare, cioè a dire realistico-burlesca.
Restando l'isolato rappresentante del bozzettismo e del "favolismo" satirico, 0. Testarotta costituisce, dal dopoguerra ad oggi, nell'interno della poesia dialettale un contrappunto, ossia una ideale testimonianza di "opposizione", di poesia "forte", oggettiva, plastica, che rimane legata alla grande tradizione realistica, che ammette ancora una fraterna e complice consonanza coi lettori: protagonista, infatti, nell'arte di Testarotta è il popolo, ravvisato nella multiformità dei suoi atteggiamenti mentali e nelle variegate manifestazioni del suo modus vivendi; protagonista è l'ambiente "paesano" salentino (urbano e giammai paesaggistico) (2), di cui tutta l'opera di Testarotta ci restituisce una mirabile ed esemplare oleografia (l'oleografia di un mondo popolare e piccolo-borghese).
Orazio Testarotta ha assunto, quindi, come strumento d'espressione i modi della satira, ossia del più duttile e variegato sistema espressivo, che gli ha permesso varietà di metri, di toni e di strutture compositive a seconda del tema svolto, si sia trattato della caratterizzazione di un personaggio o di determinati comportamenti o di un ritratto di costume o di un motivo gnomico o di una tenzone poetica o di un motivo politico, sociale, a seconda insomma del disegno o del colore richiesto dallo straordinario mosaico di condizioni, di aspetti, di risvolti umani e sociali, cui si è innescata la sua ispirazione, cioè il suo acuto spirito di osservazione e la sua sovrana saggezza, che permea ciascun componimento e nutre il suo umorismo. Quello di Orazio Testarotta è l'umorismo tipico della gente del Sud: plastico, arguto, allegro, confidenziale, tutto compenetrato di ironia sorridente e sorniona e di riflessione morale:


[ ... ] Leggetele, leggetele/ che in esse voi trovate,/ senza la "foglia" o fronzoli/ la nuda veritate./ Ci son di quei che arricciano/ il naso, miei Signori,/ e sono i disonesti,/ i ladri e i truffatori [ ... ]. (3)

[ ... ] La veritate a tutti/ è quidda ca ne 'ncrisce,/ e jeu ca su sprudente/ la dicu comu è/ puru a lu Patreternu,/ cummare mia, ci nc'è ...(4)

[ ... ] Ha quarant'anni/ ca sta ci sbattu/ cu li ndarizzu/ susu a la via,/ e ippi sempre lu scaccu mattu,/ simile a quiddu/ de SSignuria,/ Puru ne dissi/ la veritate, (pili alla lingua/ nu' ne purtai;/ ne desi, a sangu,/ le scurisciate ...(5)


La verità che Orazio Testarotta rintraccia, individua ed indica, spoglia di superiori idealità o di viluppi dogmatici, di complessi moralismi, altro non è che saggezza di vivere, misurazione attenta e paziente delle contingenze quotidiane, che le regole sociali e i condizionamenti e le casualità della vita giorno per giorno offrono e impongono, e con cui bisogna misurarsi adoperando, innanzitutto e soprattutto, il buon senso e il rispetto dei più elementari ma fondamentali imperativi categorici della vita, quali il lavoro, l'onestà, la decenza e il religioso senso della propria dignità ed esistenza. La voce poetica di Testarotta è, infatti, sotteso richiamo costante all'equilibrio spirituale, alla moderazione sociale e politica, che è foriera di giustizia, alla serena operosità, che vince difficoltà e ridona il sapore dell'esistenza.
Il poeta (alias Oronzo Miggiano) nacque a Taviano il 16 novembre del 1870 ed è morto ivi il 26 dicembre del 1964: novantaquattro anni, quasi un secolo! Borghese di provincia, insofferente di studi regolari, ma abile autodidatta (6), entrava nel XX secolo con un notevole bagaglio di esperienze sociali ed umane. Ha attraversato nel nostro secolo tutti i mutamenti politici, le tensioni sociali e le accese realtà su cui si è esercitato il suo giudizio morale, nonché la sua personalità sociale e politica che si pregiava dell'eredità mazziniana (al pensiero e progetto repubblicano mazziniano visse radicato e fedele) e dell'ortodossia politica ed umana garibaldina, le quali gli costituivano il metro di valutazione delle contingenze sociali ed ideologiche. Scrive in una sua poesia del 1948, intitolata La testa (malfatta) del grande Garibaldi:

(Gar.) - Peppe Mazzini, dimme:
parcè cusì me guardi?
Nu'me canusci cchiui?
Su' Peppe Caribardi.

(Mazz.) - Sta tte canuscu e dicu
ca si 'nu trasfurmista:
eri Reprùbbicanu
e moi si Cumunista?
Pìjate scornu, pìjate!

(Gar.) - Ma nun è curpa mia:
è ca lu Cumunismu
nu' mmeste cchiui la via
de l'ura ca pardìu
la Fagge e lu Marteddu...
Cu' mie ha pardire certu
ddu picca de ciarveddu.

(Mazz.) - Amicu nu' tte 'llùdere.

(Gar.) - Sarà cusì: nu' criti?
Lu vintidoi currente,
Peppe Mazzini, viti!

(Mazz.) - Te lassu, statti bonu:
ricòrdate cu scrivi ...
(7)

La multiforme esperienza del reale è stata la grande scuola di formazione umana e intellettuale del poeta, spirito critico e fervido di informazione e di lettura. Autodidatta esemplare, fu lettore avido di poeti soprattutto e di libri di storia, le cui chiare e infallibili reminiscenze sortiscono, ad esempio, dalla poesia scritta nel 1910 intitolata Al Sommo Poeta Racalino, dove le citazioni dotte disegnano per sommi capi la nostra storia letteraria e costituiscono stilisticamente un contrappunto satirico di straordinaria freschezza e incisività nella tessitura di una caustica tenzone poetica impostata sulla caricatura (8):

Al Sommo Poeta Racalino

Salve, poeta illustre
Pasquale Zaccaria,
che accozzi versi (splenditi?)
con tanta maestria!
Dante, che cosa è Dante
di fronte a Te, Pasquale?
Un nulla, un poetùcolo,
oppure un collegiale;
Petrarca, il Tasso, Ariosto,
il Foscolo, il Manzoni,
pur Lor facean de' versi,
però non tanto buoni;
il Caro, il Leopardi,
Carducci ed il Parini,
eran poeti sì,
ma non di quelli fini;
D'Annunzio, il Giusti, il Monti,
il Pascoli, Aleardi,
chiamarli vuoi poeti?
Pasquale, è troppo tardi
non posso dilungarmi,
ne parleremo poi
che cosa eran costoro,
ora veniamo a noi.

Penso che superiore
a tutti questi qui
sei Tu, Poeta Prìncipe:
non sembra a Te così?
E' vero, o no? Via, dimmelo,
lascia Modestia a parte,
non gongoli di gioia
leggendo le Tue carte,
quelle carte sublimi
da pochi sconosciute?
Sarebbe un gran delitto
se venissero sperdute...
Che rime! Che dolcezza!
Che versi smisurati!...
Dimmi, Poeta, dimmi,
dove l'hai tu pescati?
Nessuno al par di Te
giammai conobbe i Fiumi
(*)
né in testa mai portò
tanto petrolio e Lumi!
E, certo, la tua Racale
ne va superba, il sai?
perché un... Pasquale tanto
non l'ha cresciuto mai.

E in confidenza dicoti
(almeno così sento)
che tra non guari erigonti
un grande monumento,
ove scolpito stai
con quelle carte in mano
e nella posa d'uno
che vuol pulirsi l'ano.
E' bello! è molto artistico!
superbo! di alta mole!
al piedistal scolpite
vi son queste parole:
"Questi èquel tal Pasquale
Poeta finché visse,
Racale, per memoria,
in questo marmo affisse ...".
E intorno al monumento,
con dolce mormorio
ti scorreranno i fiumi...
Non è piacer, perdio?
L'Arno, già, pure l'Arno
ti passerà vicino,
però quel di Firenze
non quello di Torino.
(**)
Stando lassù vedrai
le gondole a Venezia,
la galleggiante Genova
e l'Arsenal di Spezia.
.........................
Cucuzze e pummidori,
cucùmmari e patate,
oh quanti n'hai buscare,
Pascali meu, 'stustate!
(***)


Ed ancora, nella poesia L'Antiquario, del 1933, Testarotta si serve della nostra storia e dell'aneddotica antica come strumento di satira. Anche qui le citazioni dotte hanno la funzione di contrappunto burlesco in grazia del quale si svolge un'altra mirabile caricatura: il nostro poeta esprime la sua diffidenza nei riguardi dei superbi mezzi meccanici motorizzati che il progresso scientifico e tecnologico diffondeva e che a lui facevano arricciare il naso per la loro discutibile praticità e fatuità estetica, al punto di dire, nella stessa poesia:

Oh quantu è meju, certu, 'nu travinu
cu nu cavaddu cu' tanti de sanni!

Oh quanto è preferibile certo un traino
con un cavallo dalla forte dentatura!
(9)

Un'esperienza dei fatti umani, un'autoalfabetizzazione e una concezione politica repubblicana democratica sono gli elementi costitutivi della personalità di Orazio Testarotta, cui s'intona e si associa uno specifico e ben preciso ritaglio di cristianesimo laico, assai assimilabile, appunto, ai più saldi e fondamentali principi democratici: la sua poesia, datata aprile 1934, intitolata A Cristo è una dichiarazione di fede religiosa e sociale, nonché di amarezza profonda e di solitudine morale dinanzi a tanto irrimediabile quotidiano fariseismo. (10)
E c'è un altro elemento, cioè un altro profondo sentimento, che integra coerentemente la personalità del nostro poeta: il sentimento dell'amore. Certamente nella vita fu un farfallone gaio e disimpegnato, pronto a cogliere il sapore naturale dell'esistenza con sincerità di emozioni e di sentimenti (naturalmente con l'alacre collaborazione della spensieratezza ovvero dabbenaggine muliebre!), ma seppe riconoscere in sé e vivere con partecipazione totale il suo grande amore, avvertendo di questo potente sentimento le palpitazioni e il fremito ferino, il profumo inebriante della giovinezza, l'alito del divino e l'incommensurabilità dell'infinito, come nel sonetto del 1910 intitolato A Te (11) e dedicato alla donna della sua vita, dal cui sorriso dipendevano stregati e pacificati il suo cuore e la sua mente, la sua anima e il suo corpo:

Porti l'occhio fulgente al par di stella,
biondi capelli e rosseggiante il viso,
pari a Te, credo, non vedrò più bella
nell'infinito Spazio e in Paradiso...

Così come in un'altra poesia del 1935, intitolata Lu vasu (Il bacio) e pubblicata sul foglio letterario "La Sampogna", variando di modulo lo stesso tema (cioè: dalla espressione e definizione del sentimento d'amore totale e sublime alla manifestazione pratica e rituale del sentimento d'amore), svolge con memoria incantata e discretamente gaudente un climax di corteggiamento maschile e di pudica e protocollare ritrosia femminile, che si concludono in una festa di gioie. E poi, con quanta delicatezza di sentimenti e sorniona, ironica malinconia canta l'addio agli spiriti d'amore nella poesia, datata 1943, intitolata Lu tarloci a pènnulu (L'orologio a pendolo) (12):


Lu tarloci a pènnulu

Pe' circa settantanni
ha sempre funziunatu,
quistu fatente, e moi
de botta s'ha farmatu:

lu sbattu, lu lubrificu
cull'oju o cu' benzina,
ma nun è mai pussibile,
'stu bestia, cu camina!

Mujèrama, ridennu,
sempre me dice a mie:
"Stu diàulu de tarloci
nu' tte lu giusti, tie?".

Chiamai mesciu Ntunucciu
e lu guardàu e guardàu...
e sse capisce sùbitu
ca nenzi cumbinàu;

però me disse: "Senti,
signore, il frutto interno
è guasto e non lo aggiusta
nemmeno il Padre Eterno".

E sse nne sciu fiscannu.
Chiamai lu mesciu Arfretu
e lu guardàu e spiàu
de nanti e de taretu

cu' quiddu vitru all'occhiu,
poi, cu dda facce tosta,
intr'a la ricchia mia
me dese sta risposta:

"Un orologio a pendolo
quando si è già fermato,
nassuno può condurlo
al suo primiero stato"...

Disse cusì, ddu fessa:
mujèrama lu ntise
e dopu, è naturale
ca rise, rise e rise;

però ne tocca ir pènnulu
ogni mumentu, ma,
dopu 'nu tticchi-ticchi,
cade in letargu e sta...

Idda se 'rrabbia (e comu!)
e jeu, murtificatu
guardu: alle sei e trentuno
l'urlogiu s'ha farmatu...

E cci lu smove cchiui?
Ci mai lu pò 'vviare?
La manu de la fimmana
nc'è... ma cci pò fare

ci tutto ir macchinariu
è becchiu e 'rruginutu?
Nu' ne parlamu cchiui:
l'urlogiu meu è futtuto!

Spiccia cusì der pènnulu
la ndolurosa storia
e resta sulamente
la pallida memoria.

 

L'orologio a pendolo

Per circa settant'anni
ha sempre funzionato,
questo fetente, ed ora
di botto s'è fermato:

lo scuoto, lo lubrifico
con l'olio o la benzina,
ma non è più possibile
che riesca a farlo andare!

Mia moglie, sorridendo,
dice insistentemente:
"Quest'orologio, insomma,
lo vuoi far camminare?"...

Chiamai maestro Antonuccio,
che lo studiò e studiò
e... si capisce subito
che niente combinò;

però mi disse: "Senti,
signore, il frutto interno
è guasto e non lo aggiusta
nemmeno il Padre Eterno".

E se ne andò fischiettando.
Chiamai poi maestro Alfredo,
che l'osservò e spiò
davanti e pur dietro

con quella lente all'occhio
poi con la faccia tosta
s'avvicinò al mio orecchio
e mi dié la risposta:

"Un orologio a pendolo
quando si è già fermato,
nessuno può condurlo
al suo primiero stato".

Disse così quel fesso:
mia moglie lo sentì
e dopo, è naturale,
ne rise da crepare;

però tocca ella il pendolo
ogni momento, ma,
dopo un sol ticchettìo,
cade in letargo e sta...

Ella s'arrabbia (e come!)
ed io, mortificato
guardo: alle sei e trentuno
l'orologio s'è fermato...

E chi lo smuove più?
Chi mai lo può avviare?
La mano della donna
c'è... ma che può fare

se tutto il macchinario
è vecchio e arrugginito?
Non ne parliamo più:
l'orologio mio è fregato!

Finisce, ahimè, del pendolo
la dolorosa storia
e resta solamente
la pallida memoria.

E perché lo pseudonimo "Orazio Testarotta"? Orazio rimanda al grande poeta latino (dati il carattere satirico dei suoi componimenti e l'affinità spirituale con l'antico poeta); Testarotta è traduzione in lingua di capiruttu, perché cadeva a terra sempre di capo e sulla testa gli finivano tutti gli accidenti (termine associato, quindi, d'identità anagrafica con un piglio di autoironia e, forse, di intenzionale religioso rispetto verso l'altro omonimo e più illustre commilitone d'arte, cioè l'Orazio latino).
Ha pubblicato La Bascula, Matino, 1907 (commedia in due atti con epilogo), 'No Quaja, Matino, 1926 (atto unico), Christus e lu cinematofracu paisanu, Matino, 1928 (scherzo comico in due parti), Raccolta di Satire ed altre poesie (parte prima), Matino, 1949 (l'opera che più e meglio lo riassume e lo esprime), Pagine sparse di composizioni dialettali, Matino, 1953.
Attualmente sono stati recuperati alcuni testi usciti sul foglio letterario "La Sampogna" del 1935, La battaglia demografica, Lu vasu (Il bacio), Lu Vagnone (Il Bambino), Il Fanciullo ed altri inediti (una plaquette di 12 poesie utili, forse già in attesa di pubblicazione, ed altri testi stilisticamente non definitivi) che coprono il periodo aprile 1905-Iuglio/agosto 1929, oltre a qualche altro testo extravagante (è in preparazione, a mia cura, la pubblicazione di tutta l'opera di Testarotta - scritti editi ed inediti).
Nel complesso l'opera poetica di Orazio Testarotta rappresenta e modula la reazione morale e intellettuale dell'Autore agli inquieti fenomeni sociali e politici, ai sintomi negativi del progresso materiale e alle disfunzioni morali, economiche e di costume che hanno segnato la storia del Salento in questo secolo e caratterizzato la vita quotidiana della gente salentina, scompaginandone la mentalità e i ritmi di vita; donde una galleria di situazioni, di umori e di realtà abnormi su cui si sono affissati il risentimento morale, il giudizio critico e la elaborazione artistica del poeta, che ha tradotto letterariamente tali aspetti abnormi della realtà umana e sociale in personaggi tipici ed emblematici e ha stigmatizzato in pitture a forti tinte, in dialoghi, in favolette, in acquerelli e ritratti di costume, in cui s'è graduato il suo umorismo, insinuato e sfogato il suo giudizio morale. E fa veramente spicco la geniale attitudine del nostro Autore alla escavazione e trasposizione poetica di verità e di realtà profonde e autentiche, rendendo tessiture di eccezionale presa e di mirabile misura fermale.
Un mondo poetico, quindi, che configura ed esprime un campionario di risvolti esistenziali e di comportamenti che gravitano intorno a tre centri locali o temi fondamentali: la condizione politico-sociale (determinata nella periferia salentina dall'età prefascista, fascista e repubblicana), la condizione morale e psicologica del popolo (nuove mode, arditi costumi morali, estrosi espedienti di vita) sempre allertato e dipendente, nel bene e nel male, dal fattore economico, e l'irruzione omologante del progresso industriale e tecnologico, che sconvolge abituali psicologie e sistemi di vita.
Questi tre filoni costituiscono le sezioni interne e sottese alla complessiva struttura tematica dell'opera [del nostro], anche se tale materia tematica si dispiega frantumata in una miriade di motivi e temi particolari intrecciati sì da accreditare vivacità, ritmo creativo e leggibilità alle Sillogi e ai singoli testi. E a tale frantumazione tematica risultano magistralmente applicate strutture compositive e soluzioni stilistiche con cui artisticamente si concretizza 'umana e pacata indignatio del nostro poeta e la sua straordinaria capacità di tratteggiare personaggi estratti dalla realtà storico - anagrafica paesana (e tavianese), ma riproposti letterariamente come "tipi" ontologicamente significativi ed emblematici di ben precisi comportamenti umani e condizioni sociali, senza nulla perdere della loro identità civica e strapaesana (quali, ad esempio, La Pazia e la Chicca; Amatu e Moscu; Lu Giacumu e la Rafela; 'u Suvitu; 'u Genuvinu, ed altri), ovvero personaggi anonimi altrettanto titolari di categorie umane e portatori di condizioni psicologiche e sociali simpatiche e spassose ma urgentemente rettificabili ('u cumpare; la mamma filosufa; le caruse (le giovani) sventate; le mamme felici; i capurioni politici), ovvero anche animali-personaggi in memorabili favolette che rimbalzano di bocca in bocca ancora oggi nel popolo tavianese e viciniore (la Musca e lu Zanzale (zanzara); la Cialona (Tartaruga), la Urpe (la volpe) ammaestrata, ecc.), nonché la capacità di tratteggiare interni d'epoca e ritratti di costume, densi di rilievo storico e di energia evocativa (lu trenu populare Casarano-Gallipoli), gennaio 1937; Lu Papore (la macchina a vapore) Direttissimu Casarano-Gallipoli, 27 nov. 1933; La Befana del 1949, 4 gennaio 1949; Realtà romanzesca, 7 gennaio 1949; Lu sonnu de certi... camasci (Il sogno di certi vagabondi), 28 marzo 1948; Pe' le votazioni de lu 18 Brile (Aprile), 30 marzo 1948; Paura de fessi, 5 aprile 1948; 22 Aprile 1948, aprile 1948; la fimmana artificiale, agosto 1937; Palore ar ventu, marzo 1935; La pisca (la pesca), giugno 1925; Ciarveddi malati (cervelli malati), ottobre 1937; Lu pilu (il pelo), gennaio 1928; Alla spiaggia, agosto 1921; Cronaca di spiaggia, ecc.): un complesso di sagome ormai leggendarie e metacroniche figure e fatti singolari, rimasti nella memoria collettiva d'oggi come stampini, marche esistenziali e temporali della lunga età strapaesana evocata, dai primi decenni del nostro secolo fino all'inoltrato ultimo dopoguerra, quasi alle soglie degli anni '60.
Sicché, da tutte le indicazioni fin qui segnalate sull'opera del nostro Autore si può concludere che 0. Testarotta si è artisticamente realizzato in forme di poesia dialettale tipicamente realistico-bozzettistica, satirica, sempre stilisticamente e metricamente formalizzata secondo la generale e ortodossa precettistica letteraria della poesia in lingua: Testarotta appartiene alla "poesia dialettale che assume progetti stilistico-formali e una norma linguistica propri della lingua letteraria" [Bonora].
Tale consapevole adeguamento, se da un lato gli determina un linguaggio dialettale sempre più trattato come il linguaggio italiano, dall'altro non affievolisce o scolora le forme linguistiche dialettali sempre nitide, levigate, trasparenti. Né la rima (A B C B, prevalente; A B A B; A B B A, ecc.), né il metro (versi pari e dispari) puntualmente regolato, né il sistema strofico (la quartina in prevalenza) hanno mai "costretto" ovvero ridotto il respiro narrativo dei componimenti.


NOTE
1) Su questo "filone lirico" si vedano gli studi di M. DELL'AQUILA, Lirica dialettale pugliese e lucana, in La letteratura dialettale in Italia, a cura di P. Mazzamuto, Palermo, 1984, e di M. MARTI, Per una linea della lirica dialettale salentina, in Dalla regione per la nazione, Napoli, 1987. Sulla problematica esistenziale nella odierna poesia dialettale, cfr. C. SEGRE, I poeti in dialetto in Testi nella storia, Milano 1992, pp. 899-900. Sulla capacità della poesia dialettale di esibire linguaggi più sfumati per esigenze di "rêverie" e di musicalità, formulari analogici e tensioni cognitive, che sono propri della poesia lirica in lingua, cfr. A. STUSSI, Lingua dialetto e letteratura, ora in "Storia d'Italia", I, Einaudi, 1972, pp. 716-17.
2) E' assolutamente assente in tutta l'opera di Testarotta il paesaggio naturale, tant'è che il Salento pulsa e si configura nei suoi spiriti e nei suoi costumi, ma mai nelle sue bellezze naturali e locali (oggi ridotte, nella ormai comune poesia dialettale, a indispensabili "materiali" eletti a significare temperie psicologiche, sentimentali e intellettuali).
3) O. TESTAROTTA, Presentazione in Raccolta di Satire ed altre poesie, Matino, 1949, p. 5. L'opera d'ora in poi sarà citata con la sigla SP, seguita dal numero della pagina di riferimento.
4) Trad. "[ ... ] La verità è quella/ che a tutti più rincresce;/ ed io che son imprudente/ la dico chiara e tonda/ perfino al Padreterno,/ comare mia, se c'è!...". Dal dialogo fra la Pazia e la Chicca nella poesia Miseria in SP, 44 (per bocca della Pazia).
5) Trad. "[ ... ] Son quarant'anni/ che sto sbattendo/ per raddrizzarli/ sulla via,/ e ho avuto sempre,/ ahi! scacco matto,/ come l'ha avuto/ Vossignoria!/ Eppure dissi/ la veritàj peli non ebbi/ mai sulla lingua;/ ho dato a sangue/ le scudisciate...". In Palore ar ventu (Parole al vento),SF, 47.
La traduzione in lingua di tutti i testi dialettali
testarottiani è di Sebastiano Causo.
6) Orazio Testarotta era socio del "Convivio Letterario", un'associazione culturale che negli anni '30 del nostro secolo ebbe sede a Milano, prima in viale Zara n. 160 e poi in via Bisi Albini n. 1.
Il "Convivio Letterario", i cui soci provenivano da tutto il territorio italiano e dalle comunità italiane sparse in Europa e in America, si fondava su precise finalità statutarie: "Il Convivio Letterario accoglie nelle sue file i poeti d'Italia in lingua e in dialetto, allo scopo di affratellarli. Organo del Convivio è 'La Sampogna', periodico quindicinale, supplemento alla 'Rivista Italiana di Letteratura Popolare', e viene inviato gratuitamente ai soci i quali trovano in essa un'utile e comoda palestra per la pubblicazione dei loro scritti e le risposte ai loro quesiti. Il 'Convivio' si propone di agevolare l'edizione e la rappresentazione degli scritti dei soci, di facilitare tra essi gli scambi delle loro pubblicazioni e di organizzare letture, congressi, commemorazioni, tornei e festeggiamenti".
Direttore e attivista sia del "Convivio Letterario" sia dei periodici letterari affiliati era il prof. Filippo Fichera dell'Università di Milano, curatore della "Rivista Italiana di Letteratura Popolare" e della "Antologia Dialettale Italiana", Milano, 1933.
A "La Sampogna" (supplemento letterario della "Riv. It. Lett. Pop.") Testarotta collaborò partecipando a Concorsi di poesia dialettale su tema, indetti dallo stesso Convivio, guadagnandosi ripetute segnalazioni (La battaglia demografica, Lu vasu, Lu vagnone, ecc.): le poesie segnalate venivano ripubblicate su "La Sampogna" nei numeri successivi a ciascun concorso. In tal modo O. Testarotta travalicava la provincia remota (il Salento) per unirsi col "centro" (Milano).
7) Trad. "ßeppe Mazzini, dimmi:/ perché così mi guardi?/ Non mi riconosci più?/ Son Beppe Garibaldi./ (Mazz.) Ti sto riconoscendo e dico/ che sei un trasformista:/ eri repubblicano/ e ora sei cornunista?/ Prenditi vergogna, prenditi!/ (Gar.) Ma non è colpa mia/: è che il Comunismo/ non imbocca la via/ dall'ora che perse/ la Falce e il Martello ... / Con me perderà certo quel poco di cervello./ (Mazz.) Amico, non t'illudere./ (Gar.) Sarà così: non ci credi?/ Il ventidue corrente,/ Beppe Mazzini, vedi!/ (Mazz.) Ti lascio, stammi bene:/ ricordati di scrivermi..." (SP, 14).
8) SF, 81-84.
9) SP, 76-80
10) SP, 48.
11) S'P, 89.
12) SP, 102-103.
(*) Fiumi: Cimitero di Racale.
(**) Il poeta Pasquale, in una sua poesia, trasportò il fiume Arno a Torino.
(***) Zucche e pomodori, / cetrioli e patate, / oh quanti ne devi ricevere, / Pasquale mio, quest'estate!


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