Marzo 2002

LA NOSTRA CIVILTÀ

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Apulia e Oriente
Tonino Caputo - Elio Massari
 
 

 

 

 

 

La pressione
demografica
che dalla penisola balcanica
si esercitava verso
la penisola italiana
è attestata dai reperti ceramici in Puglia.

 

 

Tutti gli studiosi sono concordi nell’affermare che la Puglia presenta, rispetto al resto dell’Italia meridionale, uno sviluppo storico del tutto particolare. Non vi è stata, in questa regione, come in Lucania, in Calabria e in Campania, una colonizzazione greca in età storica, eccezion fatta per l’area nord-occidentale del golfo jonico, nella quale sarà fondata Taranto. Le condizioni di florido sviluppo demografico della Puglia, che in età neolitica dipendeva dalla ricchezza dell’economia basata prevalentemente sull’agricoltura, avevano reso sporadica la penetrazione dei gruppi pastorali appenninici nell’età del Bronzo; anche le stazioni di svernamento e di partenza per la transumanza stagionale, situate sulla costa adriatica e jonica della regione, erano sicuramente popolate da indigeni agricoltori, non meno numerosi dei gruppi pastorali che con essi convivevano. Questi gruppi, provenienti dall’opposta sponda adriatica, cioè dall’Illiria, erano però soltanto l’avvisaglia delle più ampie ondate migratorie che avrebbero investito la regione pugliese adriatica tra la fine dell’età del Bronzo e l’inizio di quella del Ferro.

In età storica, troviamo la Puglia abitata dagli Japigi, una popolazione insediata su tutta la regione, e anche oltre, fino in Calabria, provenienti dall’Adriatico settentrionale, dove erano noti con il nome di Japodi. Si trattava di una popolazione di lingua indoeuropea, alla quale altri gruppi umani vennero poi sovrapponendosi, formando quella tripartizione etnica che in età storica ci mostra la Puglia divisa in Daunia (l’attuale provincia di Foggia fino all’Ofanto, inclusa però Canosa), Peucezia (l’attuale provincia di Bari e parte di quella di Taranto) e Messapia (le attuali province di Brindisi e Lecce, e parte di quella di Taranto).
Le origini dei Peuceti sembrano essere le più antiche, forse (ma secondo la tradizione, certamente) più antiche di quelle degli stessi Japigi, poiché non al Bronzo recente o finale va datato, secondo le fonti antiche, il loro arrivo in Puglia, ma addirittura al XVII secolo prima di Cristo. Secondo Plinio, i dodici popoli (cioè tribù) peucetici erano originari dell’Illiria. Si trattava, sempre secondo Plinio, di popolazioni liburniche dell’Illiria, le quali, a detta di alcuni storici antichi, sarebbero state addirittura originarie dell’Asia. Secondo la tradizione riportata da Nicandro, la tripartizione àpula comprendeva Japigi, Peuceti e Dauni, considerati discendenti da eroi eponimi fratelli tra di loro e figli di Licaone. Si tratta evidentemente di una tradizione molto antica, se ancora ignora del tutto i Messapi, che si stabilirono in Puglia soltanto nell’età del Ferro.
Un’altra tradizione, riferita da Dionisio di Alicarnasso, tramandava invece l’origine di Enotri e Peuceti. Essi sarebbero giunti sulle coste àpule provenienti dalle loro sedi nel Peloponneso, al comando dei fratelli Enotrio e Peucezio. Anch’essi sarebbero stati figli di Licaone, a sua volta generato da Deianira e Pelasgo. Il capostipite era indicato in Foroneo, il primo re del Peloponneso, legato appunto alla stirpe pelasgica, che dal Peloponneso si sarebbe diffusa in tutto il continente greco e sulle isole dell’Egeo. Veniva dunque attribuita a Enotri e Peuceti, che avrebbero colonizzato gran parte dell’Italia meridionale, un’ascendenza pre-greca, ma non necessariamente pre-indoeuropea, perché i Pelasgi, i «divini Pelasgi» di Omero, probabilmente si mescolarono nel corso del secondo millennio alle nuove genti indoeuropee provenienti dal nord (Balcani) e dall’est (Anatolia), attraverso contatti non sempre pacifici. La tradizione è tanto più verosimile, in quanto ci dà anche una data per questa immigrazione di popolazioni pre-greche dal Peloponneso nell’Italia meridionale: ci dice infatti che Enotrio e Peucezio erano nati diciassette generazioni prima della guerra di Troia. Ciò vale a dire – secondo la datazione che attribuiamo a quest’ultima, seguendo Eratostene o seguendo Erodoto – che la spedizione avvenne nel XVIII o nel XVII secolo.
Si tratta esattamente del periodo denominato dagli archeologi “Medio Elladico”, nel quale si assiste all’arrivo delle popolazioni indoeuropee pre-greche (e pre-micenee, tenendo conto del fatto che i Micenei parlavano greco) in Ellade e nel bacino dell’Egeo; alle stesse popolazioni, o a popolazioni del sostrato mediterraneo sospinte da esse, o con esse mescolatesi, si attribuisce la stessa fioritura della civiltà minoica palaziale.
Questa leggenda dell’arrivo di genti pre-greche dal Peloponneso, ancora nella prima metà del secondo millennio, concorda con i dati archeologici che ci mostrano un intensificarsi in questa epoca degli influssi culturali nell’Italia meridionale e soprattutto nella Puglia e in Campania, di origine egeo-anatolica. Si tratta dell’inizio della cosiddetta “colonizzazione leggendaria” pre-greca e greca nella Penisola, che proseguirà in età protostorica con la “pre-colonizzazione” minoica e micenea in Puglia, in Campania e in Sicilia, oltre che in Sardegna. Un’indicazione più precisa dell’arrivo nell’Italia meridionale di popolazioni pre-greche dal Peloponneso (Arcadi o Pelasgi) e dall’Epiro è data dalle leggende circa la fondazione di Siris in Enotria ad opera dei Chones, popolazione stanziata nell’area della pelasgica Dodona, e circa la fondazione in età micenea o pre-micenea di quell’Alibante, della quale Ulisse alla corte dei Feaci si proclama cittadino, e che con tutta probabilità era la più antica Metaponto di tradizioni ancora pelasgiche, prima che micenee (Neleo, padre di Nestore, è nato in Tessaglia, terra pelasgica per eccellenza).
Un’altra antichissima leggenda greca relativa alle migrazioni pre-greche nella media età del Bronzo, verosimilmente condotte allo scopo di procacciarsi i metalli ormai indispensabili a una società in rapida trasformazione economica, è quella degli Argonauti.
Il mito di Giasone e dei suoi compagni, “Argonauti” perché veleggianti a bordo della nave “Argo”, è fin troppo nota, perché sia il caso di ricordarla. E’ però interessante sottolineare come l’eroe e i suoi compagni partissero da quella Iolco in Tessaglia, che scavi recenti indicano come una delle più importanti città dell’Ellade pre-greca o pelasgica. Anche la meta della principale fra le spedizioni compiute dagli Argonauti, e cioè la Colchide, sulle estreme sponde orientali del Ponto, e il trofeo che ne riportarono, il Vello d’Oro, confermano il carattere di spedizione eminentemente mercantile (la ricerca dei metalli) di questa avventura ai confini dell’ignoto. La Colchide è situata nell’area fra Caucaso e Anatolia, ricca in metalli, patria della metallurgia, nella quale storici e poeti greci e latini, fino a Virgilio, collocavano la terra dei Chalybes, i primi esperti di metallurgia del mondo mediterraneo.
L’attività di “cercatori di metalli” svolta dagli Argonauti è confermata infine dalle notizie leggendarie sulla loro presenza nel mar Tirreno, dall’isola d’Elba ricca in metalli (l’antico nome dell’odierna Portoferraio era Portus Argous) al tempio di Hela Pelasgica, alle foci del Sele.
Non lontano dalle foci di questo fiume, poco più a settentrione, quindi già nel territorio della futura Etruria campana, sorgeva l’etrusca Amina, identificata attualmente nell’area di Pontecagnano; gli Aminei erano detti dai più antichi storiografi “Pelasgi” originari dalla Tessaglia, e alcuni li considerano nient’altro che uno dei gruppi delle genti Enotrie, giunte appunto sul Tirreno sotto Enotrio, nel XVIII o nel XVII secolo. Va detto che i Minii erano anch’essi Pelasgi, consanguinei degli Argonauti, o almeno loro vicini; e potremmo essere tentati di identificare tra loro Aminei, Minei o Minii ed Enotri, insomma tutte genti pelasgiche, alle quali si fa risalire dalla tradizione greca non soltanto la più antica colonizzazione dell’Italia meridionale, ma anche l’origine della civiltà etrusca. Pelasgi e successivamente Tursha e Rasa (e Iliunes in Sardegna) sono probabilmente fra le componenti più significative dell’ethnos e della civiltà etrusca.
La pressione demografica che dalla penisola balcanica (della quale la Grecia non è che l’estrema appendice meridionale) si esercitava verso la penisola italiana è attestata archeologicamente dai reperti ceramici in Puglia, confrontabili con la civiltà di Vinca (Turdos), e nei successivi secoli XVII-XVI dalla ceramica evoluta di Vinca, pure presente in Puglia, oltre che sull’opposta sponda dell’Adriatico.
La necropoli di Glasinac, sull’altopiano bosniaco, con le sue oltre ventimila tombe a inumazione e ad incinerazione, costituisce un chiaro esempio di questa esplosione demografica, che fu all’origine non soltanto della colonizzazione e della civiltà appenniniche, ma anche – almeno in parte – dei suoi successivi sviluppi. In età protostorica avanzata, dal Bronzo finale all’età del Ferro, la Puglia vede delinearsi la sua tripartizione etnica con l’arrivo, fra l’XI e il IX secolo, dal Nord dei Dauni e dal Sud dei Messapi.

I Dauni ci hanno lasciato testimonianze preziose dei loro costumi nelle cosiddette “stele daune”, rinvenute casualmente nel corso di lavori agricoli nell’area sipontina e poi raccolte e studiate e catalogate dal Ferri. Le raffigurazioni di queste stele richiamano quelle di Novilara e quelle liburniche sull’opposta sponda adriatica. In particolare, le raffigurazioni di navi a vela quadrata corrispondono così in tutta l’area adriatica, confermando la tradizione storiografica e le testimonianze archeologiche nel senso di stretti rapporti non solo culturali, ma verosimilmente anche etnici fra Italia e Illiria. Numerose sono anche le raffigurazioni di cani o lupi (sempre incisi), che potrebbero avere riferimento al nome nazionale stesso dei Dauni o Dhauni, dunque Fauni, e cioè Lupi. Si tratta di un etnico molto diffuso dall’Anatolia all’Italia (Lykoi, Lycaonia, Lucani, Irpini), che non implica necessariamente parentele sul piano etnico e neanche su quello culturale.

Un’altra leggenda greca, quella relativa al vagare di Diomede e dei suoi compagni dopo la guerra di Troia, tramanda che le stele di cui era costellata la Daunia (fra intere e frammenti ce ne sono oltre tremila!) non erano altro che pietre tratte dalle distrutte mura troiane, trasportate sulle navi da Diomede come zavorra. I compagni di Diomede sarebbero stati poi trasformati in uccelli (le berte maggiore e minore), e in effetti anche sulle stele daune sono numerose le rappresentazioni di guerrieri con teste a becco, simile a quella degli uccelli. Le stele sono diffuse anche oltre l’area sipontina, fino ad Arpi, Ordona e Melfi in Lucania.
I Messapi, dei quali Egnatia fu, con Brindisi, uno dei porti principali, sbarcarono invece nel Salento, premendo sui Peuceti dal Sud. Erano originari, secondo la tradizione e secondo i dati archeologici e linguistici, dall’Epiro, e la loro fama di genti guerriere e molto vicine ai Greci per costumi e per livello di civiltà è ravvisabile in tutta la storiografia antica. Tucidide, ad esempio, scrive di contingenti di arcieri forniti come ausiliari agli Ateniesi in navigazione verso la Sicilia del re messapico Arta. I loro contrasti e le loro numerose guerre con Taranto si risolsero spesso in sconfitte anche catastrofiche per i tarantini e per i loro alleati accorsi fin dalla madrepatria.
Le numerose iscrizioni messapiche rivelano una lingua chiaramente indoeuropea, dai più definita illirica, e culti strettamente imparentati a quelli greci di età classica.
Il denso sostrato neolitico della Puglia e gli apporti etnici rappresentati dalle immigrazioni preistoriche (Japigi e Peuceti) e protostoriche (Dauni e Messapi), di cui furono protagonisti popoli guerrieri e culturalmente evoluti, rappresentarono un ostacolo insormontabile per la colonizzazione greca in Apulia, che rimase confinata alla sola Taranto (e la dedotta Gallipoli) e a pochi insediamenti costieri siracusani molto più tardi. L’ellenizzazione riscontrabile in modo particolare dalle ceramiche delle città peucetiche, messapiche e in qualche misura anche daune, fu comunque un fatto incontestabile, anche se generalmente tardo (a partire dal V secolo).

   
   
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