Se Roma, o Milano,
o Londra, o mille altre città al mondo possono essere i fulminei
e transitori amori di Giorgio Orefice, il suo unico peccato originale
è la Sicilia. Sicilia, o "Sicilitude", che gli è
dentro e gli si la poesia (con i suoi paesaggi senza finestre, o con
progetti di alte finestre;

col cielo d'un blu
sordo, che ti lascia indovinare magiche costellazioni; con i suoi nudi
rigorosi; con i suoi volti coniati con la fiera tristezza che emerge
dalle monete siracusane). La scorza è aspra, ed è questo
il suo alibi a fior di pelle. L'altro tentativo di alibi è in
certe sue tentazioni simboliste, nella filosofia amara che l'uomo trasferisce
al pittore: questo anzi è il suo modo di mentire, di mimetizzarsi.
Che poi quella poesia gli sbaracca le trasparenti difese, e mette a
nudo gli improvvisi incantamenti, certe solitudini e certe magiche intuizioni.
Allora l'artista sopraffà l'uomo, evoca la sua matrice creativa,
conferma l'esemplare coerenza con il mondo che va ideando. La problematica
esistenziale è riproposta, la testimonianza pittorica non consente
mistificazioni retoriche, né pathos, né gratuite beatitudini.
Le rovine dei miti scoperti sono "Sícilitude"; la vocazione
critico-emblematica è "Sicilitude"; l'allarme ecologico,
la negazione dei meccanismi che vogliono realízzare un'angoscíosa
metamorfosi dall'uomo al relitto, sono "Sicilitude", come
lo è quel suo permanente stato di necessità, cioè
quel bisogno di contraddizione, e d'inquietudine, che si porta dentro
come un'antica tirannia. "Sicilitude": cioè poesia.
Credevo che Tonino Jaria potesse caratterizzarsi attraverso i suoi paesaggi:
Calabria grande e amara, scrisse Répaci. Luttuosa terra delle
rapine idrauliche, delle fiumare violente come arieti, con l'eco delle
frane tra i calanchi. E muti, chiusi in un'atmosfera permanentemente
drammatica erano i paesaggi di Jaria, con qualche abiura (e che splendida
abiura: esplosione di colori, d'un impressionismo tutto personale).
Le sue figure femminili vennero dopo. Forse le aveva in mente, ostinato
e pudico le riservava ad una diversa maturazione; e le sue figure maschili
giunsero contemporaneamente. Dolcissime, le prime, anche quando erano
donne-disperazione, donne-fame, donne-dolore; come fusi nella roccia,
le altre, uomini-Aspromonte, o come fusi nella clorofilla, uomini-albero.
Ultima terra emersa del nostro emisfero, la Calabria non poteva non
condizionarlo, con la sua natura prepotente, col suo cielo incredibile,
col suo mare bucaniere, con il temperamento che non conosce ambiguità.
E questa Calabria ha sfogliato l'artista, pagina dopo pagina, tela su
tela: un'antologia per lo "Spoon River" di una terra stupenda
e disperata, generosa, fiera. Da qui, certi corpi spigolosi, certe angolazioni
decise, certi paesaggi arroccati, certi corpi che occorre indovinare
nel labirinto dei colori (anche questi sorprendenti, o cupi o esplosivi).
E da qui, alcuni improvvisi abbandoni, e la malinconia che emerge dagli
abissi e si fa di volta in volta occhi, volto, ragazza, morte violenta,
magia di un momento d'amore. Variazioni di un tema che Jaria evoca con
mano felice, con sicure intuizioni, illuminando poeticamente la realtà,
senza - per partito preso - modificarla.

Inella è salentina. La pittura di Inella è salentina.
C'é la chiarezza del cielo, c'è la prepotenza del sole,
c'è il viluppo degli alberi verde-marron con rami impossibili;
forse, da lontano, si indovina il mare: dietro le case dai colori chiari.
Case con finestre, finestre spalancate, e - alle spalle - possibili
case: e di fronte spazi illimiti, altra presumibile natura, (e forse
il desiderio di un'anabasi: il ritorno verso quella luce che viene da
lontano, e ha ,il sapore di madre Grecia).
Santa Maria di Leuca è una balaustra, fondamenta ai tetti rossi
devono essere Jonio e Adriatico che mescolano le carte; un tramonto
estivo sono nuvole rosse che sfiocca un' invisibile ciminiera; un sogno
è il sole a picco. L'atmosfera resta fiabesca, eppure la fiaba
ha radici reali, è "memoria", dunque può realizzarsi
e comunicare, con I' immediatezza delle parole candide.

Eppure, in queste tele la figura umana non esiste, l'uomo è latitante.
Si può solo presentire, forse è dentro le case in attesa,
poco più in là di un gatto che gioca; o forse è
un escluso, la forza dei sogni assoluti è proprio qui, nel rinnegare
gli elementi contaminatori, i soggetti che ostacolano la linearità
del transfert. Allora non avrebbe senso parlare di una fuga dalla realtà;
è piuttosto una posizione spontaneamente critica nei confronti
della realtà in cui siamo costretti. E dunque queste tele hanno
un potere liberatorio, riconducono alla freschezza originaria un pensiero
che pare perduto nelle foreste pietrificate dei concettualismi pittorici
contemporanei. Con i tempi - e con le avventure - che corrono, è
tutt'altro che poco.
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