|  Paesaggio e luce 
        mediterranea, silenzio delle cose assorte nella pace ultima della terra 
        felice: questo l'impegno totale di un artista pervenuto a una meditata 
        potenza espressiva che ha esaltato gli aspetti più segreti e poetici 
        della penisola salentina.  
         Ha scritto uno dei 
          più sensibili amici e interpreti di Vincenzo Ciardo, Franco Silvestri: 
          "Prima di attingere a significati e valori universali, gli artisti 
          esprimono e valorizzano una cultura, un genio locale. Ed il genio di 
          Ciardo è tipicamente, profondamente salentino, ai limiti della 
          rilevazione quasi esoterica, ai limiti della sintesi che si fa sigla 
          di rapporti tonali, quindi segreta, più che di forme e di colori." 
          Queste parole, che più d'ogni altro giudizio colgono nell'intimo 
          i segreti preziosi dell'arte del maestro salentino, Silvestri le scriveva 
          nel 1974, nella presentazione di un catalogo sul paesaggio salentino 
          di Ciardo, in occasione della prima - e fino a questo momento ci sembra 
          unica - mostra antologica alla galleria barese "Arte Spazio". 
          Nato a Gagliano del Capo, alle spalle di Finibusterre, il 25 ottobre 
          1894, a soli quattordici anni Vincenzo Ciardo intraprese gli studi artistici, 
          a Urbino. Prese parte al primo conflitto mondiale, poi si laureò 
          all'Accademia di Belle Arti di Napoli. Nel 1920 iniziò l'insegnamento. 
          Dal 1940 al 1966 tenne la cattedra di Paesaggio all'Accademia partenopea. 
          Scrisse due libri: "Quasi un diario", nel 1957; e "Piccolo 
          cabotaggio", nel 1964. Molto intensa fu la sua attività 
          pubblicistica, che significò per molti di noi, insieme con quella 
          primaria di artista, un altissimo magistero. Morì nella natia 
          Gagliano. Era il 26 settembre del 1970. 
          Artista sostanzialmente solitario, fu - parimenti - uomo difficile, 
          di pochissime parole, chiuso - ma non diffidente: che anzi ai giovani 
          più che ai coetanei si aprì con estrema franchezza, e 
          nei confronti dei giovani fu prodigo di consigli preziosi - sobrio nei 
          giudizi, assai critico con se stesso, prima che con gli altri, così 
          severo con la propria arte, che molto raramente siglò tele commerciali, 
          "facili", come si dice nel gergo. Giustamente sottolinea la 
          sua "scorza dura" il Silvestri, che poi aggiunge che un equilibrio 
          interiore, conquistato giorno dopo giorno, con una diuturna milizia 
          artistica, era base e fondamento delle sue opere: lo stesso equilibrio 
          che si può ritrovare in molte delle sue pagine di prosa schietta 
          ed esemplare, emblematica di una attinta serenità spirituale. 
          "Paesaggio e luce mediterranea, silenzio delle cose assorte nella 
          pace ultima della terra felice che era e forse è ancora il Salento 
          di Ciardo. Questo il suo arduo paragone, il suo impegno totale. La sua 
          intensità contemplativa ed estatica, l'umiltà disadorna 
          che analizza il mito estetico per scoprire i valori significanti e ricomporli 
          per ridurre le cose in una loro prospettiva spirituale, personalissima, 
          soggioga e commuove. 
          Come Morandi, Ciardo offre le sue pennellate ad una ad una e brucia 
          in esse, senza fumo, la sua sofferenza, ed il suo amore, cultura ed 
          umanità. Forse è l'unico, fra i pittori pugliesi di ieri 
          e di oggi - eccettuato forse il primo De Nittis - che è giunto 
          ad una meditata potenza espressiva ed abbia liricamente esaltato gli 
          aspetti più segreti e poetici della terra salentina. Così 
          i suoi paesaggi giungono alla trasfigurazione come rapporto finalmente 
          rivelato di cose che si realizzano e si disfano in un gioco da fissare, 
          in atmosfere profonde e crepuscolari, cariche di significati, di armonie 
          segrete, di messaggi panici. Le ore di Ciardo sono quelle degli alti 
          notturni e dei meriggi che divorano le cose". 
          Ai difficili equilibri del colore spatolato, il maestro affidava i notturni 
          assoluti e i notturni lunari: tele in cui le masse scure risaltano attraverso 
          un sapiente riflesso dei semitoni azzurri (ora molto fondi, ora più 
          morbidi; con pennellate di stacco chiare, come frammenti di luna seminati 
          dal cielo sugli spazi del nostro mondo); e tele, quelle dei paesaggi 
          (campagna, mare, paesi del Salento), a luce meridiana, palmare, totale, 
          con i soli cieli trasmutanti di ora in ora (ma il sole è sempre 
          allo zenith, non crea ombre, e se qualche ombra c'è, è 
          un puro intermezzo poetico). 
          Case, alberi, marine, e le pietre del Salento, "sono gli ideogrammi 
          di un mito vissuto, le parole stesse ( ... ) della creazione, una favola 
          sofferta ed intima, il cui fascino è affidato non al colore, 
          ma al silenzio, alla luce che è nell'anima prima ancora che nella 
          natura. Ed è la luce che dall'origine del mondo scava e divora 
          senza riflessi le pietraie grigie del Capo, le chiome e i tronchi degli 
          alberi". 
          Messaggio di poeta della luce, dunque, quello di Vincenzo Ciardo: una 
          luce colta, come per miracolo, mentre scandisce le cose, e nello stesso 
          tempo le coinvolge nella grana sottile, sorprendentemente indivisibile, 
          della tela.
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