"Non esitiamo 
        a chiamare apostolato il vostro servizio di donatori di sangue ..... Quante 
        vite salvate, quanti dolori leniti, quante speranze ridonate, nei silenzi 
        degli Ospedali e nelle trepide attese delle famiglie! Vero apostolato 
        è dunque il vostro .....Rallegratevi, diletti figli, perché 
        grande è il vostro merito nella società ma più grande 
        è davanti, a Dio". 
        (Papa GIOVANNI XXIII ai donatori di sangue Roma, 8 marzo 1959)  
        L'altra Italia. 
          Ma quale altra? Altro è sempre qualcosa di diverso, qualcosa 
          che si allontana dalla normalità, quasi sempre non qualcosa di 
          meglio. L'altra Italia (e non è una scoperta) siamo noi della 
          Bassa, nei cui riguardi i fratelli maggiori del Nord per motivi vari 
          si sentano autorizzati a trattare con paternalismo, se non addirittura 
          con (e sia pure affettuosa) sufficienza. 
          Ed hanno tanta ragione. Ché noi offriamo loro il fianco. Sicché 
          lungi dall'aver diritto a risentirci e difenderci, dobbiamo inghiottire 
          amaro ed essere loro grati che ci aiutano a scoprirci, a correggerci. 
          Già in seguito ad un poco fortunato intervento di un delegato 
          meridionale, un congressista del Nord, dopo averci definiti esuberanti 
          di energie, ci ha bonariamente minacciati che, se non vogliamo controllarci, 
          verranno loro del Nord a metterci "le briglie" (e si è 
          scusato immediatamente della battuta scherzosa; ma ogni scherzo, dice 
          un proverbio russo, ha in sé un fondo di verità!). 
          Nel numero 142/4 del "Messaggero Orobico" mensile di informazione 
          e cronaca che esce a FIORANO AL SERIO (BERGAMO), nell'articolo di fondo 
          intitolato "Un insegnamento da Taviano" leggiamo: "E' 
          notorio che l'organizzazione dei donatori di sangue 'su piano nazionale' 
          è per due terzi nel Settentrione d'Italia, da Firenze in su fino 
          a Est e a Nord-Est: Friuli-Venezia Giulia e Piemonte; è altrettanto 
          notorio che oltre 35 milioni di italiani vivono in queste zone, costituiscono 
          il cuore della nazione (che però è azionato in senso inverso: 
          anziché pompare verso l'alto pompa (quattrini) verso il basso) 
          e sono la vitalità. il centro motorio delle iniziative a qualsiasi 
          livello e di qualsivoglia natura". E qui, se anche si potrebbe 
          tentare una difesa, ci si sente scoraggiati di fronte alla sovrabbondante 
          dimostrabilità di quella affermazione. Come anche quando l'amico 
          ci augura che "anche il Meridione potrebbe diventare come il Settentrione"; 
          o quando ci concede che "anche laggiù esistono delle persone 
          con i requisiti necessari al progredire di una società migliore, 
          più civilizzata, più consapevole dei propri doveri verso 
          se stessa e i singoli, verso il prossimo". 
          Ma l'amarezza più forte, purtroppo, ce la procurano i fatti che 
          gli amici del Nord si limitano a riferirci in un discorso addirittura 
          di autoaccusa: "quando si parla di sangue siamo tutti pronti a 
          saltare su di una sedia e gridare allo scandalo perché in bassa 
          Italia il sangue lo vendono a 50, 100, 200 mila lire! Ma, vivaddio, 
          chi è andato in Meridione, fino ad oggi, a dire a quella buona 
          gente: guardate che noi lassù il sangue non lo compriamo e non 
          lo vendiamo (escludendo la piaga dell'Avis), lo doniamo; noi lassù 
          abbiamo organizzato le associazioni dei Donatori di sangue che vanno 
          sempre più potenziandosi a beneficio dei cittadini dei malati, 
          della Medicina, della società, in collaborazione diretta con 
          i Centri trasfusionali ospedalieri. Chi lo ha fatto questo? Altro che 
          terroni; siamo noi settentrionali che abbiamo dimostrato un certo egoismo: 
          raggiunto un buon livello di civiltà nel settore donatori di 
          sangue ce ne siamo guardati bene dall'estenderlo al resto della nazione: 
          con la scusa del "volontariato" qualcuno ha continuato (e 
          continua) a raccogliere sangue, confezionarlo e spedirlo a Roma, a Napoli, 
          a Palermo, a Bari; e ogni tanto, quando occorre fare un pò di 
          chiasso, quando occorre far sapere che noi (settentrionali) siamo "generosi" 
          e ci riteniamo autorizzati a "rinfacciare" ai meridionali 
          che sono degli incapaci di organizzarsi, si fanno degli appelli radio 
          e con diverse staffette della polizia stradale si fanno poi giungere 
          tre o quattro flaconcini di sangue fino a Bari o fino a Ischia". 
          Giù da noi, in quest'altra Italia il reperimento e l'utilizzazzione 
          del sangue umano sono pressocché esclusiva del mercato nero, 
          che, come ha detto il prof. De Stasio, direttore del Centro trasfusionale 
          dell'Ospedale "Di Venere" di Bari, "è sotto gli 
          occhi di tutti, ma nessuno lo vede". E vogliamo seguire e integrare 
          proprio l'intervento di questo coraggioso amico medico (che nel Centro 
          trasfusionale da lui diretto svolge una lenta lotta contro il mercenarismo 
          del sangue) al fine di illustrare con dati e fatti lo squallore di una 
          mentalità retrograda e viziata che giustifica appieno quella 
          coscienza di superiorità degli amici del Nord nei nostri riguardi, 
          anche se vedono chiaro nella situazione che sta cambiando per merito 
          di poche persone, per nulla legate ad interessi di potere, di classe 
          o personali. "E' un nostro preciso dovere ammettere che sono un 
          pò meridionali (o per dirla in meno gergo, con tutto il rispetto: 
          terroni) di quel che si possa credere, di quel che si vuol far credere, 
          di quel che si lascia credere" (citiamo sempre il "Messaggero 
          Orobico"). 
          Il prof. De Stasio ha lamentato soprattutto la mancanza "di un 
          unico organismo, unico interlocutore con le autorità sanitarie 
          atto a coordinare la propaganda della donazione volontaria del sangue 
          nella nostra regione". Se sporadiche e deboli iniziative vi sono 
          state, "fa, però, eccezione - continua il prof. De Stasio 
          - Taviano che ha iniziato nel 1971 ed ha poi avuto seguito in tutta 
          la provincia di Lecce". "Noi siamo convinti che le disfunzioni 
          lamentate finora nella nostra Regione non siano legate all'egoismo dei 
          singoli membri di questa nostra collettività ma semmai a disfunzioni 
          organizzative". "Siamo convinti che, come avviene nell'Italia 
          del Nord, non sia necessario prevedere o richiedere delle ricompense 
          tangibili per avere un certo successo nella raccolta del sangue, ma 
          è necessario reclutare donatori volontari, istruendoli adeguatamente, 
          rendendoti consapevoli di questo loro gesto di civismo oltre che di 
          solidarietà umana e costituire gruppi associativi per mantenere 
          sempre desto l'entusiasmo nei già donatori, oltre che svolgere 
          un'importantissima opera di proselitismo". 
          Perché, però, e in che modo è accaduto che proprio 
          a Lecce, a Taviano in particolare, esista una realtà "altra", 
          "diversa" (ma, questa volta, migliore) da quella comune da 
          noi imperante (negativa)? 
          La risposta ci pare si possa coglierla esaurientemente nelle parole 
          dell'amico congressista di Milano, Mario V. Bernardi, inviato speciale 
          del "Messaggero Orobico", che scrive nel numero di maggio 
          di questo periodico: "Il XVI Congresso Nazionale Fidas di Taviano 
          può considerarsi un vittorioso traguardo per i contenuti illustrati 
          e dibattuti come per l'impronta giovanile che è scaturita proprio 
          per merito dei dirigenti e Donatori del Salento, i quali hanno preso 
          impegno di catalizzare nel meridione quello spirito di socialità 
          e di altruismo che è la base dei postulati di ogni Associazione 
          donatori di sangue aderente alla FIDAS.". Dunque, i giovani. Essi, 
          con il loro entusiasmo, con la chiarezza e semplicità di vedute, 
          con lo spirito di generosità e abnegazione che li anima, con 
          il bisogno quasi fisiologico di giustizia sociale, rappresentano la 
          base di ogni Associazione di donatori volontari e ne facilitano enormemente 
          l'organizzazione e la forza.  
          Anche di questo l'Associazione Leccese Donatori Volontari Sangue è 
          riuscita a dare una molto chiara immagine al XVI Congresso Nazionale 
          Fidas, se l'amico Bernardi continua a scrivere nel suo servizio: "No, 
          quindi, ai sistemi monopolistici e corporativi tendenti alla mercificazione 
          del sangue e dei suoi derivati (il settentrione purtroppo è ancora 
          afflitto da tale piaga purulenta che scava in profondità), ma 
          la responsabile disponibilità delle libere Associazioni autonome 
          nei confronti degli Enti Ospedalieri e dei loro Centri Trasfusionali 
          per collaborare sulla strada del proselitismo e dell'acquisizione generosa 
          dei consensi per l'aiuto disinteressato ai malati e ai bisognosi". 
          Ma tutto questo non è sufficiente. Occorre una ben strutturata 
          e programmata propaganda che, come sostiene il prof. De Stasio, "deve 
          partire dagli Enti trasfusionisti e svolgersi nel mondo della scuola, 
          della cultura, del lavoro, ovunque vi sia la possibilità di parlare 
          di questo grave problema sociale". Ma quale efficace contributo 
          a tale propaganda si può aspettare, quando persino a livello 
          di ministeri dello Stato, mentre si elencano le benemerenze dell'unica 
          (sic!) Associazione che opera per la donazione del sangue, l'Avis, si 
          ignora l'esistenza della Fidas, che raccoglie più di 180.000 
          donatori volontari, di sangue. 
          Il problema della propaganda rientra nelle questioni più importanti 
          per la Fidas e al XVI Congresso Nazionale esso è stato ampiamente 
          dibattuto e si é concluso di portarlo davanti agli organi competenti 
          per l'inserimento delle attività promozionali della donazione 
          del sangue nei programmi degli organi di stampa e radiotelevisivi nazionali. 
          Ma è stato detto e ribadito che la migliore delle propagande 
          rimane sempre quella di donare il sangue; e noi contiamo soprattutto 
          su questo tipo di propaganda e lottiamo per affermare la validità 
          di questo tipo di propaganda. Lottiamo, giacché non siamo liberi 
          di donare il sangue. Ché questo è il risultato degli ottusi 
          rifiuti dei medici di più di un Ospedale della nostra Regione 
          ad accertare flaconi di sangue, pretendendo i donatori in persona (che 
          non sempre sono disposti a fare centinaia e centinaia di chilometri 
          a questo scopo) e contribuendo ad aggravare la già precaria situazione 
          di un paziente e dei suoi famigliari da una parte, e favorendo l'inqualificabile 
          commercio del sangue umano, dall'altra; e non prendiamo in considerazione 
          quella serie di concatenati danni economici per la famiglia e la collettività 
          che ne derivano. Le uniche iniziative delle autorità competenti 
          atte a migliorare le condizioni della donazione di sangue sono state 
          di far aumentare i Centri Trasfusionali nella nostra Regione, ma è 
          "abbondantemente dimostrato che una proliferazione di Centri Trasfusionali 
          è assolutamente antieconomica e non riesce a garantire un servizio 
          migliore" (De Stasio-Fonseca). Che non abbiano poi ragione gli 
          amici del Nord a trattarci come degli inferiori, come dei sottosviluppati?
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