Se in Italia
entreranno le dodici centrali nucleari previste dal Piano Energetico,
dal 1990 in poi si dovrà trovare un " cimitero delle scorie
radioattive ", che, a poco a poco, dovrà conservare stabilmente
da quattro a cinquemila metri cubi di fanghi mortali. Uno dei due cimiteri
previsti per la Penisola dovrebbe essere dislocato (tra la terraferma,
con la piscina nucleare, e il mare come area di stoccaggio definitivo)
nel territorio lucano di Rotondella: tra la costa salentina e quella
calabrese, e, in altri termini, al centro di due aree fortemente sismiche:
la Grecia ad oriente, e il Sistema CaIabro-Siculo ad occidente.
Alla fine del mese
di novembre del '78, la polemica partì dalla decisione del Governo
di imporre per legge alla Regione Molise due centrali nucleari da mille
megawatt ciascuna. La posta in gioco era, ed è, il futuro dell'energia
nucleare nel nostro Paese, con le dodici centrali decise dal Comitato
Interministeriale per là Programmazione Economica nel dicembre
del '77 e che finora (eccezion fatta per le due di Montalto di Castro)
non son partite per l'ostilità delle popolazioni. E' in ballo
il pericolo sull'uso pacifico dell'atomo, che vede due schiere contrapposte:
quella dei filonucleari, secondo i quali tra non molto ci troveremo
di fronte a un " buco nero " (nel 1985, secondo stime attendibili,
saranno necessari almeno venticinque miliardi di kilowattora in più
all'energia italiana), e quella degli antinucleari, secondo i quali
l'atomo è comunque nocivo e inquinante, e porta a una strada
senza ritorno che coinvolgerà per millenni le generazioni future.
In realtà, il problema è molto complesso. E' stato scritto
che decidere di attrezzarsi con centrali nucleari significa, per un
paese come il nostro che non ha mai sviluppato una tecnologia militare
(la bomba atomica), dover fare i conti con un cielo di lavorazioni,
di trasporti, di royalties e di impegni finanziari con l'estero (per
l'arricchimento dell'uranio, ad esempio) senza precedenti. Nel ciclo
nucleare non c'è solo la centrale, questa è il punto di
arrivo di tutta una serie di processi e di passaggi, (estrazione ,del
minerale, concentrazione, arricchimento, fabbricazione delle barre di
combustibile, ritrattamento del materiale bruciato, stoccaggio delle
scorie), con problemi specifici, ciascuno dei quali comporta residui
e rilasci radioattivi. Vuol dire anche un costante via vai di materiali
radioattivi, chiusi in camion blindati o in treni blindati; vuol dire
trasportare questo materiale con forti scorte militari per impedire
furti o atti terroristici. E inoltre: un impianto di mille megawatt
deve essere rifornito ogni anno con trenta tonnellate di combustibile
fresco, e liberato dell'equivalente esaurito. Ciò significa che,
,se gli impianti previsti saranno costruiti, ci sarà una circolazione
annua di almeno ottomila quintali di materiale radioattivo, fra i quali
una parte a radioattività concentrata e contenente plutonio,
un elemento così tossico che dimezza l'emissione di radiazioni
soltanto dopo ventiquattromila anni. I problemi irrisolti o assai controversi
del cielo nucleare sono soprattutto tre: la sicurezza degli impianti,
i rilasci radioattivi e la gestione delle scorie. Cosa succede quando
una radiazione colpisce un organismo vivente? Questo:
- la cellula non viene danneggiata;
- la cellula viene uccisa o resta sterile;
- la cellula, danneggiata, riesce a " ripararsi ";
- il nucleo cellulare viene alterato.
L'ultimo è il caso più terribile: poiché il nucleo
è in sostanza l'archivio delle informazioni necessarie per una
corretta riproduzione della cellula, qualsiasi " ferita "
darà luogo a un clone malato, cioè ad un ceppo di cellule
mutanti che, se riescono a sopravvivere e a riprodursi, generano un
tumore.
Al Salento, comunque, riguarda molto da vicino il problema delle scorie.
Un reattore da mille megawatt ha bisogno di una carica iniziale di circa
100 tonnellate di combustibile, trenta delle quali, abbiamo già
detto, devono essere sostituite ogni anno. Il combustibile fresco proviene
in gran parte dagli impianti a monte della centrale; quello esaurito
dev'essere riciclato a valle. In altri termini: si tratta di una specie
di " setacciamento ", una vera e propria selezione: una parte
nobile - uranio e plutonio - va recuperata; una parte vile, ad altissima
radioattività, va buttata via. Dove e come?
Fino a qualche anno fa, alcuni Paesi dell'Europa Occidentale hanno usato
senza scrupoli l'Atlantico come pattumiera nucleare. Inghilterra, Francia,
Germania Federale, Paesi Bassi e Belgio hanno scaricato nel 1967 circa
undicimila tonnellate di scorie pressate in circa 40 mila fusti di cemento.
Svizzera, Inghilterra e Paesi Bassi hanno ripetuto l'operazione (2.265
tonnellate) nel 1974. Nessuno, ovviamente, ha garantito che i contenitori
avrebbero resistito alla pressione e all'azione erosiva del mare. Le
scorie delle prime tre centrali italiane (Latina, Garigliano e Trino
Vercellese) finora erano andate in Inghilterra. Ma si trattava di poca
roba. Per quella di Caorso nessuno sa cosa fare, perché gli inglesi
non vogliono più il materiale esaurito. La destinazione sarà
Rotondella, in Basilicata: nella terraferma, e di fronte, nel mare Jonio.
Dunque: se in Italia entreranno in funzione le dodici centrali previste
dal piano energetico, dal 1990 in poi uno dei due " cimiteri delle
scorie radioattive " previsti sarà dislocato a due passi
dal Salento, e a poco a poco dovrà conservare stabilmente da
quattro a cinquemila metri cubi di micidiali fanghi radioattivi. Alle
spalle, una piscina di stoccaggio. Che cos'è? I rifiuti ad alta
radioattività, i fanghi mortali destinati a sopravvivere non
solo all'attuale civiltà industriale, ma anche a molte future
civiltà e generazioni, in forma liquida o quasi liquida vengono
raffreddati da serpentine e rimescolati senza sosta da pale rotanti.
Il personale specializzato che è di guardia sa benissimo che,
se venisse a mancare anche per un poco la corrente elettrica, i cassoni
incomincerebbero a bollire e ad emettere sibili di gas radioattivi:
e l'intera arca rischierebbe di essere trasformata in un deserto privo
di vita.
Cosa è previsto alle spalle di Rotondella? Centrali nucleari
in costruzione nell'area molisana di Termoli, poco a nord-est, ma sulla
fascia adriatica, di quella del Garigliano; più a sud, una fabbrica
di combustibile, dove arriva l'uranio arricchito negli Stati Uniti e
nell'Unione Sovietica: qui, praticamente, vengono preparate le barre
del combustibile; un'altra fabbrica di combustibile, destinato al reattore
veloce " Superphenix "; impianti di ritrattamento delle scorie:
in questi impianti, in altri termini, giunge il combustibile esaurito
dalle centrali nucleari; una piscina di stoccaggio; il cimitero delle
scorie. Da Montalto di Castro a Rotondella, lungo una linea quasi trasversale
che interessa la dorsale appenninica, o meglio, le pianure che si aprono
all'ombra degli Appennini, è un susseguirsi di aree nucleari.
Il ciclo nucleare italiano risulta così spaccato in due: l'altra
parte è concentrata prevalentemente nell'area centrale padana,
alle spalle della Liguria e nel Piemonte.
Che il problema dell'approvvigionamento energetico rischi di superare,
nel nostro Paese, la cosiddetta " linea di soglia ", è
risaputo da tempo: una società come la nostra, in via di sviluppo
industriale, reclama crescenti quote energetiche, e noi non siamo in
grado di fornirle con il "carbone bianco ", perché
i nostri fiumi sono di modesta portata e, tranne i maggiori, magrissimi
per oltre la metà dell'anno; la costruzione di centrali convenzionali
pone due tipi di problemi: quello della dislocazione (che suscita reazioni
altrettanto polemiche delle dislocazioni delle centrali nucleari) e
quello del continuo aumento dei prodotti petroliferi da parte dei paesi
dell'Opec: l'energia, dunque, continua a costarci sempre di più.
Importare, la importiamo: dalla Svizzera, ad esempio. Ma i cavi che
la portano in Italia ne perdono una buona parte (in certi periodi dell'anno
fino a un terzo) durante il percorso.

Non c'è dubbio, a nostro avviso che il problema della costruzione
di centrali nucleari va affrontato e risolto in modo positivo. Restano
sul tappeto due aspetti abbastanza complessi. Il primo, è quello
delle misure da prendere per evitare disastri nucleari. Noi importiamo
dagli Stati Uniti alta tecnologia nucleare, ma non importiamo tecnologia
contro il rischio, e le cose " all'italiana ", le misure all'italiana
non ispirano alcuna fiducia; il secondo è quello delle dislocazioni:
il nostro non è un Paese delle dimensioni statunitensi, o russe,
o australiane. E' un territorio nel quale cominciamo a stare stretti.
Perché scegliere proprio il Sud per completare il ciclo nucleare?
Qui sono le prospettive dell'industrializzazione, è vero; ma,
al presente, sono preminenti quelle del turismo, dell'agricoltura e
della pesca. L'atomo, per ora, e per molto tempo ancora, è destinato
a restare estraneo all'economia meridionale; dunque, è solo al
servizio dell'economia dell'" altra Italia ". Lì, dunque,
si impiantino le centrali, con tutto quello che viene a monte e a valle.
E si risolva diversamente il problema dello stoccaggio. Lo Jonio è
già di per sé un mare malato: colpito dal tritolo, arato
dalle sciabiche, spopolato dalla pesca indiscriminata, sta per diventare
un mare arido, forse l'angolo più in pericolo dell'intero Mediterraneo.
Non per niente, paghiamo ai Paesi dell'Africa nord-occidentale miliardi
l'anno per allargare i limiti delle fasce di pesca per le flottiglie
pugliesi, siciliane e marchigiane. Non è pensabile che, in questo
mare, possa crearsi un cimitero di materiale nucleare esaurito, senza
che siano state prese rigorose misure di sicurezza.
Del resto, le campagne della stampa europea (soprattutto di quella tedesca,
spaventata dalla mole di rimesse in marchi dei nostri emigrati, e dall'altra
mole, quella - sempre in marchi -riversata da crescenti correnti turistiche
dalla, Repubblica Federale all'Italia) contro l'Italia: il caso della
Cavtat, colata a picco di fronte ad Otranto con un carico di oltre 900
fusti di piombo tetraetile, dovrebbe insegnarci qualcosa. Ci si scagliò
contro l'organizzazione civile italiana, si tentò di dissuadere
i turisti dal venire in Italia, e in particolare dal frequentare l'intera
fascia adriatica. Ci volle la sicurezza e la decisione del Pretore di
Otranto, Maritati, a mettere lo Stato nella condizione di render disponibili
mezzi, uomini e quattrini per disinnescare quella bomba ad altissimo
potenziale. Cosa accadrà, nel momento in cui si scriverà
dei pericoli di contaminazione nucleare in tre regioni (Bassa Puglia,
Basilicata, Calabria) nelle quali da alcuni anni, ormai, si riversano
turisti italiani e stranieri? E, al di là del calcolo delle probabilità,
sempre relativo, e anche al di là dell'eventualità che
accada qualcosa di irreparabile, eventualità piuttosto rara (ma
non da escludersi), quali potranno essere le conseguenze di un movimento
sismico che riguardi, sia pure marginalmente, quest'area mediterranea?
La frequenza dei terremoti, anche se rilevabile solo strumentalmente,
in Calabria, in Sicilia, nelle Isole Egee e nel Subcontinente europeo
(Grecia, Turchia, Jugoslavia) è notevole. E lo stesso discorso
può essere fatto per l'area molisana, confinante con un Abruzzo
tettonicamente irrequieto. Non ci risulta che siano stati condotti studi
approfonditi in questo campo. Si vuol costruire, e si vuol costruire
al buio: in un territorio, ripetiamo, che è diventato troppo
stretto, e che di conseguenza va conosciuto, razionalizzato nell'uso
e nelle destinazioni, sfruttato anche in relazione ai territori confinanti.
Il piano energetico italiano deve tener conto di tutto questo. Sulla
pelle del Sud si è giocato per secoli. E non ci sembra consentito
farlo ancora oggi. Quella generata dall'atomo è una paura che
dura da qui all'eternità.
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