Il culto delle acque nella grotta scaloria




Vincenzo D'Onofrio



L'importanza della Grotta Scaloria, venuta in luce casualmente durante lavori edili nel 1931, fu sottolineata dal Quagliati che ne dette notizie dettagliate nel suo libro "La Puglia preistorica" del 1939.
Tra le altre cose, l'Autore notava che non era stato rinvenuto l'ingresso originale, pur essendo già chiari, in seguito ad un breve saggio superficiale, i molteplici usi della Grotta (abitazione, sepolcreto).
Le prime, accurate annotazioni dei Quagliati sulla ceramica presente nella Grotta, ne fissavano l'appartenenza al neolitico; ulteriori saggi, in un'area della Grotta Occhiopinto (allora ritenuta separata dalla Scaloria) indicavano una lunga frequenza del luogo, anche se in modo discontinuo, fino all'Età del Bronzo.
Nel 1967 il prof. Tinè seguiva un gruppo di speleologi del C.A.I. triestino in un nuovo percorso sotterraneo e scopriva una parte della Scaloria dove erano particolarmente suggestive sia le concrezioni stalattitiche e stalagmitiche, sia l'abbondanza di vasi riuniti a raccogliere lo stillicidio della volta riempitisi poi col tempo di concrezioni calcaree) e posti attorno ad una vaschetta rettangolare scavata nella roccia.
L'eccezionalità della scoperta induceva il Tinè a parlare di un vero e proprio luogo di culto, forse delle acque, legato probabilmente alle avverse condizioni climatiche, viste come progressivo inaridimento della zona; la stessa volta della Grotta, la presenza di resti di fuochi, fanno pensare a complessi rituali.
Più tardi in occasione del Convegno sulla Civiltà preistorica e protostorica della Daunia, lo stesso Tinè, in un tentativo di sequenza delle varie facies del Tavoliere che resta tuttora l'unico riferimento per il neolitico locale, poneva in sequenza il materiale della Scaloria Bassa e della Scaloria Alta, basandosi sia su differenze tipologiche del materiale, sia su datazioni assolute.
Nel 1979, in una breve comunicazione al convegno "Civiltà e culture antiche tra Gargano e Tavoliere" tenutosi nel Convento di S. Matteo a San Marco in Lamis, il prof. Tinè faceva il punto sulla conoscenza archeologica della Grotta, la cui sistematica esplorazione rientrava in un programma di indagine concordato tra l'Università di Los Angeles (prof. M. Gimbutas) e l'Università di Genova (prof. S. Tinè); in quell'occasione veniva presentata una pianta della Grotta Scaloria ed una prima relazione sui saggi eseguiti: uno degli scopi principali era la ricerca dell'ingresso originario della Grotta.
Purtroppo i saggi effettuati in quella stagione non rilevavano stratigrafie attendibili, anche se riuscivano a chiarire con precisione le varie aree di utilizzazione della Grotta (sepolcreto, abitato, luogo di culto); lo stesso spessore del deposito archeologico (un metro di altezza) testimoniava la lunga frequentazione.
Lo scavo americano del 1979 ha portato anche ad una eccezionale scoperta: sotto al livello neolitico a ceramica impressa è stato trovato un livello con materiale del Paleolitico superiore. Inoltre nella Grotta superiore sono stati rinvenuti centinaia di scheletri appartenenti, come indicano le ceramiche, alla fase Scaloria vera e propria, con segni di incisione alla base del cranio e tracce di varie infermità, che fanno pensare a sacrifici o a frequentazione della Grotta a scopo terapeutico.
L'indagine nella Grotta, portata avanti in due campagne da un'equipe dell'Università di California, ha soprattutto il merito della interdisciplinarietà; sono stati presi in esame dai vari specialisti tutti i dati che uno scavo preistorico può fornire: analisi al C 14, analisi della fauna, dei resti umani, dell'industria litica.
I primi risultati già danno importanti indicazioni: una serie di datazioni assolute indicano per il livello del Paleolitico l'XI millennio, con una presenza abbondante e varia di fauna tra cui cervi, camosci, daini, linci, volpi, lepri, asini selvatici, uccelli, pesci.
Anche per l'abitato neolitico è stato possibile effettuare una fitta serie di datazioni al C 14, che indicano date comprese nel VI millennio (riferite alle facies Scaloria Alta e Scaloria Bassa); la Grotta continuò ad essere abitata anche nelle fasi più recenti di Serra d'Alto e Diana, come indicano i frammenti rinvenuti vicino all'imboccatura della Grotta stessa.
Essenziale ai fini di una più completa ricostruzione dell'ambiente è l'analisi della fauna neolitica: accanto ad una presenza ancora concreta di animali selvatici (stambecchi, cervi, lupi, volpi, ecc.) che testimoniano una sopravvivenza della caccia, è ormai preponderante la presenza di animali domestici, con forte incidenza dei caprovini (90%). Strettamente legato alla fauna è lo studio della vegetazione, che sarà possibile sulla base di frammenti di carbone di focolare.
Suggestive e suscettibili di ulteriori approfonditi studi sono infine le ipotesi formulate dalla prof. Gimbutas a proposito del simbolismo rappresentato sui vasi dipinti, connesso con rappresentazioni di divinità (Dea Uccello e Dea Serpente) diffuse in tutta l'Europa sud-orientale; ancora più ardita, ma non improbabile, l'ipotesi che alcune incisioni rappresentino forme elementari di scrittura, collegandosi anche in questo la Scaloria ad aree balcaniche pre-indoeuropee.

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