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SE PARLIAMO DI POVERTA'
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MI SENTO DI IN'PAZIRE |
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Brizio
Montinaro
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In anni in cui si
parla continuamente di crisi economica, ma in realtà si vive nello
spreco e nel consumismo, parlare di povertà presente può
dare l'impressione di affrontare un argomento desueto, di trattare un
tema logoro da terzo mondo e comunque lontano dalla nostra società
avanzata. Invece non è così. I moderni mezzi di comunicazione di massa, in questi ultimi decenni di intenso sviluppo, hanno approntato per uso nostro e per interesse del potere economico e industriale un'immagine della nostra società molto rassicurante e rispondente con estrema precisione alle nostre aspirazioni e ai nostri desideri profondi. La famiglia italiana, che risulta dagli Innumerevoli inserti pubblicitari della televisione di stato e dei tanti networks privati o dalle foto con le quali ci bombarda la stampa periodica, è una famiglia felice che gode ottima salute. Vive nel benessere, spesso nel lusso; è moderna, dinamica, proiettata verso un crescente progresso; usa strumenti, in casa e fuori, quasi sempre molto sofisticati e di tecnologia elevata almeno quanto il costo. Si nutre di prodotti in scatola, surgelati, sottovuoto, spesso di provenienza straniera ma che, comunque, hanno il "buon sapore della nostra tradizione" e delle genuine cose fatte in casa. La famiglia italiana pratica molti sports con scarpe costruite "attorno al proprio piede", quasi personalizzate. Viaggia in terre lontane e frequenta stupende località di villeggiatura, dove spesso possiede una seconda casa e dove sempre "è già estate". Si lava moltissimo, anzi si deterge. Sorride sempre. E' felice. Non lavora mai. Quanto tutto ciò sia rassicurante per il destinatario dei messaggi è evidente. E quanto spinga al consumo per sollecitazione inconscia di fittizi bisogni lo si può dedurre, se non da altro, dall'indiscriminato aumento della pubblicità permessa da uno Stato deficitario. La realtà della famiglia italiana è, però, diversa. Lo dimostrano le continue lotte sindacali, gli assillanti problemi della criminalità organizzata e non, il cancro della droga, l'aumento dei suicidi anche tra i giovanissimi, e così via. La famiglia italiana reale vive una situazione di disagio e di angoscia di cui, spesso, rifiuta di ricercare le motivazioni. Percepisce redditi medio-bassi, abita stipata in case - alveare o concentrata in pochissime stanze, dalle quali rischia continuamente di essere sfrattata; si nutre in maniera disordinata, si lava poco, non sorride, non lavora (la disoccupazione, infatti, interessa circa due milioni di italiani), spende tutto quello che può, e anche più, identificandosi con l'immagine falsa che di sé continuamente le viene proposta. Il dislivello esistente tra quello che crede di essere e quello che in effetti è, tra il sé sognato e il sè vissuto, produce disagio, angoscia, solitudine. Crea un senso diffuso di impotenza, di bisogno insoddisfatto. Crea dunque nuova povertà legata alla deprivazione che individui e famiglie avvertono nei confronti di un notevole numero di bisogni oggi ormai ritenuti comunemente essenziali. Parlare quindi di tale tema in tempi di "opulenza" non è fuori luogo. Ma, non è precisamente di questa povertà definita "post-materialistica" che qui vogliamo occuparci. Con la presente nota intendiamo portare all'attenzione del lettore il fatto che in Italia, anche se continuamente occultate, esistono ancora delle notevoli sacche di povertà antica, pre-industriale, assoluta, di tipo tradizionale. Tale povertà, incredibile a dirsi, è spesso negata anche dalle sue stesse vittime. Da un'indagine dei Censis, resa nota nel 1979, risulta che nel 1978 "il 4,6% delle famiglie italiane, pari a 815.145 nuclei familiari, aveva un reddito annuale inferiore ai 2 milioni di lire". Se poi il reddito annuo minimo vien portato a 4 milioni "le famiglie interessate diventano il 18,9% sul totale, pari a 3.349.184 unità; cifra assoluta questa che è inferiore, anche se di poco, al numero delle famiglie (3.473.227) con un reddito annuale superiore ai 12 milioni".Mentre poi la media dei consumi alimentari (sul totale italiano è dei 38,7%), che nel Nord e nel Centro si mantiene costantemente su valori inferiori al 40%, nel Sud sale a valori superiori con punte massime in Basilicata (47,4%), in Calabria (45,8%) e in Puglia (43,2%). La provincia di Lecce, solo per quanto concerne quest'ultima regione, detiene il primato. Queste cifre ufficiali, che confermano inequivocabilmente l'esistenza della povertà assoluta, non rendono chiara, però, l'idea di che cosa significhi essere poveri. Lasciamo quindi da parte le aride elencazioni statistiche di natura scientifica e prendiamo brevemente in esame, tentandone una lettura antropologica, un altro tipo di documento di carattere strettamente privato, autobiografico, umano, che, per un caso fortuito è pervenuto nelle nostre mani. Di tale documento ci "serviremo" per illuminare l'aspetto della vita sociale che qui ci riguarda (ma il discorso generale è valido per tutte le sacche del Sud della nostra Penisola) e per ulteriore e dolorosa conferma dell'esistenza di una realtà sociale di estrema povertà di cui tale documento è il triste, e per noi vergognoso, risultato. Una breve notizia sulla natura del documento e sulla biografia dell'autrice servirà a cogliere più chiaramente il senso di alcune affermazioni e i rapporti tra i pochi personaggi citati. Si tratta, in breve, di una serie di 31 pagine di quaderno manoscritte, che costituiscono una specie di efficacissima lente di ingrandimento puntata su alcuni aspetti delle reali condizioni di vita della classe subalterna extraurbana. Per giuste ragioni di riservatezza, i pochi nomi propri che compaiono negli scritti sono stati cambiati e i nomi località occultati. Il discorso con ciò non muta. Nulla è stato corretto o ritoccato, invece, di quanto la nostra protagonista ha scritto. Le assillanti ripetizioni hanno un loro senso. Grafia e punteggiatura vengono mantenute come sono nell'originale. Il documento è di notevole interesse linguistico per lo studio dell'italiano popolare. Qui, però, dal punto di vista della lingua, interessa soltanto notare quanto l'ambiente parrocchiale e la lettura di testi di preghiere abbiano soffocato se non del tutto il pensiero, che urge nell'autrice, almeno la sua forma assoggettandola, impoverita, ai moduli e al frasario di una bassa arte predicatoria. Il documento in nostro possesso non è vasto. E' una infinitesima parte di quanto la nostra protagonista è venuta scrivendo in circa 30 anni, dal 1956 ad oggi, e poi quasi totalmente distrutto, spesso non per sua volontà. In questa sede, comunque, non viene, per varie ragioni, pubblicato per intero. La scrivente, che chiamiamo con il più comune dei nomi, MARIA, e un appellativo che la connota dal punto di vista regionale, SALENTINA, considera i suoi scritti un Diario personale; in realtà nel suo quaderno non si registrano, giorno per giorno, come potremmo aspettarci, ricordi, osservazioni e avvenimenti importanti, ma vi sono scritte lettere (sempre spedite), poesie e preghiere. Rimane, comunque, Diario della sua dolorosa esperienza di vita. La notizia biografica che segue e le relative considerazioni sono scaturite da una serie di colloqui informali da noi avuti con la giovane donna in epoche e modalità diverse. Maria Salentina nasce nel 1939 da una famiglia poverissima. Per motivi economici, non più tanto piccola, viene ceduta per l'adozione a due contadini del medesimo paese, privi di figli. In età scolare frequenta le classi elementari. La sua formazione, come per la quasi totalità della gioventù di quegli anni, avviene nell'ambito della Parrocchia. Frequenta infatti assiduamente le riunioni dell'Azione Cattolica e le attività ricreative connesse, che si svolgono in alcuni locali della casa del Parroco. Tale frequentazione fa sì che si leghi affettivamente, per motivi certo compensativi della perdita della prima famiglia, alla persona del Parroco e, soprattutto, della sorella Paola che con lui vive per accudirlo. Il trasferimento del sacerdote e della famiglia ad altra Parrocchia salentina, avvenuto nel 1956, priva Maria in modo traumatico della sicurezza che trova in essi, avendoli eletti a propria famiglia ideale. Tale episodio, per la nuova grave perdita, segna tutta la sua futura esistenza. Tenta subito, comunque, e tenterà ancora per anni, di tener vivo il rapporto affettivo, ormai diventato vera e propria dipendenza a causa di una certa elaborazione mitica, utilizzando tutti i mezzi di cui può disporre: lettere, qualche regalo e visite nel nuovo paese di residenza, rare perché costose per la sua economia. I suoi sforzi di tener saldo il legame, però, non vengono incoraggiati dal sacerdote e dalla sorella, il che è, per lei, motivo di angoscia e disperazione. Le lettere che Maria scrive assumono spesso il sapore di quelle di un'amante abbandonata. Le sue poesie sono versi' più o meno intatti del repertorio della poesia amorosa popolare che, assunti da lei, vengono di fatto caricati di nuovo valore semantico. Per compensare comunque la perdita subita con la partenza della signorina Paola, Maria si sposa con un giovane di un paese vicino. Da questo rapporto nascono otto figli, due dei quali muoiono ancora in età prescolare. I restanti, tre maschi e tre femmine, godono buona salute. I due maschi più grandi, ma ancora giovanissimi, per la loro vivacità, provano l'esperienza del riformatorio (consigliato dai Carabinieri del posto soprattutto per alleviare i problemi economici della famiglia), dal quale fuggono e poi, più avanti, quella del carcere a causa di alcuni furti compiuti in concorso con altri. Nel frattempo la madre di Maria muore. Il marito, prevalentemente muratore, non ha lavoro continuo. Lei, casalinga, quando si crea l'occasione, si presta per limitato compenso ai più diversi servizi domestici presso terzi. Sottoccupato lui, sottoccupata lei. I figli, appena in età di lavoro, si sposano e portano in casa le proprie compagne. Anche essi sono prevalentemente sottoccupati con scarso salario. Nella casa paterna, composta di tre vani e modesti servizi, attualmente vivono: il vecchio genitore, Maria, il marito, le figlie e i figli con le rispettive moglibambine. In tale ambiente Maria Salentina vive un'esistenza d'inferno, come lei stessa scrive, tra l'incomprensione e la derisione di tutti. Vediamo ora, in breve, come si presenta la situazione culturale del paese nel quale si colloca la storia privata di Maria. Come nella maggior parte dei paesi salentini e, se vogliamo, dei paesi d'Italia, anche nel paese di Maria non si riscontra un'omogeneità di cultura. Di essa, schematizzando, si possono notare agevolmente almeno tre differenti livelli: partendo da una piuttosto compatta e minoritaria cultura folklorica e passando attraverso una disgregata e diffusa cultura di tipo tradizionale, si giunge ad una compatta cultura di massa, sedicente progressista e nuovamente minoritaria. E' ovvio che, non vivendo in ghetti, le varie fasce sociali soggette ai tre diversi livelli di cultura non sono impermeabili ad una trasmigrazione di idee e realizzano tra di loro una continua osmosi. Maria appartiene al gruppo mediano e di tale gruppo, a causa della suddetta disgregazione culturale, vive tutte le contraddizioni produttrici di solitudine e insicurezza. Anche nel vicinato, che rispecchia a sua volta la situazione generale del paese, Maria non trova comprensione e solidarietà. E' sola, quindi, sia in seno alla propria famiglia, della quale non condivide il comportamento, sia in seno al vicinato che, in situazione di omogeneità culturale, costituiva invece un nucleo saldissimo per rapporti sia di carattere economico che umanitario. Maria quindi è assolutamente sola e nella sua solitudine rischia di perdersi. Avvertendo tale rischio tenta l'inserimento in un'altra collettività, quella tenuta insieme dalle comuni idee religiose che vive all'ombra della chiesa, e che domina la sua vita culturale, riesce a giungere perfino al cuore di tale collettività per poi rimanere, per un caso accidentale - il trasferimento della famiglia del prete -nuovamente sconfitta. Solo a questo punto, e nell'impossibilità culturale di operare altre scelte, scrive. Povertà dunque, disgregazione culturale e isolamento - in una scala discendente di conseguenze - sono paradossalmente origine e causa dei suoi scritti. Mia amata S.
Paola POESIA A' GESSU' Mio Reverendo
Padre legendo questa lettera dammi tu una risposta giusta è vera.
Dami tu un po' di conforto e di amore verso te e verso Dio quanto vorrei
starti senpre vicino come in questo momento, e di darmi tu un pò
di conforto che delle volte mi sento di in'pazire e mi sfocherò
con il libro della medidazione Mio amatissimo Padre tu che mi sei Qui
presente aiutami tu vorrei dirti tante cose che forse sono senpre le
stesse ma io non faccio senpre preghere mi rivolgo a Dio ma quello non
mi risponde tu che sei un Dio perchè legendo questa lettera non
mi dai una risposta o pure un pò di aiuto ti suplico dimi qual'cosa
tu che ormai sai tutto della mia famiglia è del mio comportamento
in qui mi trovo tu che ormai da tantti anni che mi conosci perche non
cerchi di aiutarmi in quanche modo vorrei esertti vicina e lavorare
per voi è per la chiesa vorrei lavorare per la mia amata S.P.
vorrei starti senpre vicina e lavorare, Pregare, è amare Dio
è il mio prossimo, ti supplico dimi qual'cosa aiutami tu almeno
con la preghera se non puoi fare altro come dite voi, Ma pure un Sacerdote
si poteva pure in pegnare e da aiutare quelle che anno bisogno ne parla
tanto il libro che sto leggendo che davero mi viene à piangere
che alle volte dovro smettere di leggere per un pò. la barca senza
remi non può 2 un uccellino
vorrei 3 Quando la 1°
stella in cielo tu 4 un pesciolino
vorrei diventare Gentile Reverendo
Padre. Dalla lettura di
questi scritti risulta che Maria Salentina, nel tentativo disperato
di uscire dal suo isolamento, con un procedimento classico della mentalità
popolare, cerca di realizzare nell'aldiquà tangibile quel rassicurante
Regno di Dio astratto promesso dalla religione cristiana per l'aldilà.
A questo scopo vede nel sacerdote e in sua sorella Paola l'immagine
stessa di Dio; la casa del prete diventa simbolo della Casa del Signore
nella quale vorrebbe vivere. Stare lontana dall'abitazione della signorina
Paola è come stare lontana da Dio e dalla Chiesa. |
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