| Il passo degli ATTI 
        DEGLI APOSTOLI: 28, 2-6 in cui Luca racconta l'episodio della echidna 
        (serpe velenoso, vipera) vinta da Paolo è uno fra i più 
        chiosati e controversi. Si è molto discusso della vipera maltese, soprattutto da parte 
        delle due schiere di contendenti la paternità dell'isola, perchè 
        questo argomento, a seconda delle soluzioni, 'poteva essere a parer loro 
        estremamente importante per la dimostrazione delle proprie tesi.
 Coloro che sostenevano il naufragio di Paolo essere avvenuto nell'isola 
        di Mljet in Dalmazia - il Giorgio, capofila - erano interessati a dimostrare, 
        producendo infinite prove e testimonianze di autori dell'antichità 
        e loro contemporanei, che in Malta africana non sarebbe stato possibile 
        alcun miracolo non essendovi mai esistiti serpenti velenosi, nè 
        prima del presunto naufragio di Paolo in quell'isola nè dopo. I 
        loro oppositori, producendo anch'essi infinite testimonianze e sostenuti 
        dall'ardore della fede, sostenevano giusto l'opposto dicendo che proprio 
        in Malta africana, prima di Paolo, vi erano stati serpenti velenosissimi 
        che ben si adattavano alla vegetazione allora presente, al paesaggio pietroso 
        e al clima eccessivamente caldo e che il miracolo di Paolo, e quindi il 
        naufragio, sarebbe potuto benissimo avvenire nella loro isola, anzi, sicuramente 
        era avvenuto.
 Si rilegga quanto dice Luca negli ATTI:
 "Usciti 
          dal pericolo, sapemmo che l'isola raggiunta si chiamava Malta. Gli abitanti ci trattarono con tanta
 cortesia; accesero un gran fuoco per asciugarci le ossa
 bagnate e ristorarci dal freddo.
 Anche Paolo raccolse una bracciata di rami secchi e,
 mentre li buttava sul fuoco, svegliata dal calore, ne
 sbucò fuori una vipera che gli si attaccò alla mano. Gli
 isolani, vedendo la bestia penzolargli dal polso,
 pensavano: "Costui dev'essere un poco di buono se,
 appena scampato dal naufragio, la giustizia (divina) non
 gli permette di vivere". Ma Paolo scosse la mano, e la
 bestia finì sul fuoco, senza che lui ne avesse avuto il
 minimo danno. E s'aspettavano di vedergli la mano
 gonfiarsi per la morsicatura e lui cadere a terra e morire.
 Visto che non gli accadeva nulla, cambiarono opinione e
 dissero: "Costui dev'essere un dio" (1)
 Dunque, secondo 
          una lettura realistica del passo, Paolo, subito dopo il naufragio a 
          Malta, con l'intento di alimentare il fuoco che gli isolani avevano 
          acceso per ristorare i naufraghi dal freddo, raccolse una bracciata 
          di rami secchi da cui, mentre li buttava sul fuoco, svegliata dal calore, 
          sbucò fuori una vipera che gli morse una mano.Luca questo serpe lo chiama echidna. Quasi tutti i traduttori latini, 
          italiani e di altre lingue, sono d'accordo nel tradurre il termine greco 
          con la parola vipera o, più precisamente, serpe velenoso sottolineando 
          così l'attributo essenziale dell'animale. Quindi a Malta, al 
          tempo del naufragio di Paolo, esistevano serpenti velenosi. Lo dice 
          Luca che, essendo medico, se ne doveva intendere, e lo conferma ancora 
          la reazione degli isolani i quali, vista la bestia pendere dalla mano 
          di Paolo e quindi - per l'esperienza che ne avevano - individuato il 
          genere, pensarono che Paolo presto sarebbe caduto a terra morto.
 Qualcuno ha sostenuto che la vipera poteva non essere maltese ma, sgusciata 
          via da una nave straniera o da una delle tante navi granarie africane 
          giunte nell'isola, importata (2). Questo non sposta per niente la questione 
          del miracolo però; se così fosse stato, è certo 
          che gli isolani, non abituati a vedere animali simili, non l'avrebbero 
          immediatamente riconosciuta per velenosa e quindi non avrebbero avuto 
          la reazione che ebbero e che Luca descrisse.
 Paolo, con la semplicità e l'essenzialità dei grandi gesti 
          destinati a rimanere, scosse la mano e la bestia finì sul fuoco 
          senza che lui ne avesse avuto il minimo danno. Gli isolani a quel punto, 
          vedendolo incolume, pensarono che Paolo doveva essere un dio. E furono 
          proprio loro i primi a credere che quello stesso dio, che poi impararono 
          a conoscere nei tre mesi successivi come l'Apostolo, dominando la vipera, 
          avesse concesso la grazia, all'isola di essere immune dai serpi velenosi 
          e, alla sua terra, di essere medicamentosa contro tutti i veleni. Credenza 
          questa che è giunta fino ai nostri giorni, per via di una solida 
          tradizione orale e di una nutrita serie di scritti.
 Prescindendo però da ogni diatriba di ordine morale e religioso, 
          rimane il fatto, comunque, che oggi, nell'isola di Malta, delle quattro 
          specie di serpi classificate dai naturalisti nessuna è veramente 
          pericolosa. Soltanto il serpente gatto (Tarbophis fallax) possiede veleno; 
          ma la sua potenza è appena sufficiente per uccidere la preda 
          di cui si nutre: lucertole, altre serpi e piccoli mammiferi (3).
 Contro la pretesa immunità territoriale dai serpi velenosi, vantata 
          dai maltesi, si pronunciò il Giorgio, nella Diatriva 1a della 
          sua voluminosa opera, sostenendo che la terra dell'isola di Malta è 
          "naturalmente" medicinale, che i suoi serpi "senza miracolo" 
          sono privi di veleno e che nulla è da attribuire, per quanto 
          concerne Malta africana, all'opera della divina beneficenza. Per avvalorare 
          le sue idee fece gli esempi di altre terre simili a quella maltese e 
          allora molto note: la Samia, la Chia, la Lemnia, la Gozzitana, la Galatese, 
          l'Armenica ecc., tutte curative e tutte prive di serpenti velenosi e, 
          per conferma, produsse ancora le testimonianze di Solino, Plinio, Lucrezio 
          ecc. La mancanza di veleno nei serpenti di Malta l'attribuì con 
          Aristotele al genio dei luoghi, con Beda alla salubrità dell'aria, 
          con Cardano alle parti bituminose esistenti nel terreno e poi ancora 
          alle esalazioni marine, alle aspirazioni saline e alle miniere di metalli. 
          Bonaventura Attardi gli si oppose decisamente obiettando: "Che 
          forse la Sicilia non abbonda ancor essa di miniere de' metalli, di particole 
          bituminose, d'esalazioni maritime, d'aspirazioni saline? Pure velenosissimi 
          sono i suoi serpenti; già si disse di sopra: ciò ch'è 
          natura in un luogo esser grazia o privilegio in un altro" (4).
 Per venire a capo della questione i contendenti di entrambe le parti 
          si sfrenarono, con gli argomenti e gli strumenti propri del Secolo dei 
          Lumi, nelle ricerche e difese più estenuanti; spaccarono, come 
          si dice, il capello in quattro analizzando con la ragione le parole 
          del racconto di Luca ma, forse proprio per l'uso di questo solo strumento, 
          non giunsero ad una conclusione accettabile. Finirono quindi con il 
          contestare, anche per non essere presenti negli ATTI e, quindi, non 
          testimoniate da Luca, tutte le tradizioni dei privilegi maltesi. In 
          effetti l'Evangelista, come si è visto, non ha fatto cenno dell'immunità 
          concessa ai maltesi da Paolo con il dominio sulla vipera, delle qualità 
          miracolose di sanare dai veleni elargite alla terra di Malta e di aver 
          tolto il veleno dalle bocche dei serpenti, nè, forse, aveva particolare 
          interesse a farlo. Il suo racconto, probabilmente, non andava interpretato 
          alla lettera, con estrema razionalità, ma andava letto semplicemente 
          come una grande allegoria, i cui termini erano rappresentati da Paolo, 
          simbolo della nuova religione, e dal serpente, simbolo delle vecchie 
          credenze pagane: da Paolo rappresentante di Cristo e dal serpente rappresentante 
          di Satana. A Luca interessava soprattutto raccontare, e con termini 
          inequivocabili per la loro semplicità, la vittoria strepitosa 
          riportata dall'Apostolo sul demonio e la conversione degli isolani alla 
          vera religione.
 Ma, nell'isola di Malta, all'epoca del naufragio di Paolo, devono esserci 
          stati veramente serpenti velenosi; anzi l'isola deve verosimilmente 
          essere stata infestata da essi, se gli abitanti ebbero un culto speciale 
          per Ercole - quel dio che, ancora nella culla, fece fuori due orribili 
          serpenti sprizzanti veleno - e se a lui dedicarono un tempio bellissimo, 
          situato nella parte meridionale dell'isola, nei pressi di MarsaxIokk. 
          Di tale tempio danno notizie e Cicerone e Claudio Tolomeo. Marcantonio 
          Hasciac, ancora nei primi del '600, riferendosi al tempio di Ercole, 
          così scrive: "sontuosissimo era per li vestigii che oggi 
          appaiono" (5).
 Tale circostanza chiarisce senza equivoci la seguente frase degli ATTI 
          che altrimenti trova difficile spiegazione: "Costui dev'essere 
          un poco di buono se, appena scampato dal naufragio, la giustizia (divina) 
          non gli permette di vivere". I maltesi cioè videro nel serpente 
          che mordeva Paolo lo strumento di punizione attraverso il quale il loro 
          dio Ercole, noto per essere giusto e punitore dei malvagi, castigava 
          il naufrago straniero; ma il naufrago non morì e vinse così 
          la vecchia religione decretando il trionfo della nuova, che da quel 
          momento cominciò a predicare nell'isola.
 L'episodio della vipera debellata, per i maltesi, diventa quindi l'atto 
          di fondazione della loro nuova religione.
 Questa interpretazione del passo viene confortata dalla ricchissima 
          iconografia che rappresenta il santo con la vipera cadente dalla mano, 
          o con la vipera accanto, o ancora con la vipera tra le fiamme vicine 
          ai suoi piedi. Tutte le immagini conosciute tendono a porre in evidenza 
          la vittoria dell'Apostolo sul demonio; vittoria che portò alla 
          conversione dei maltesi. E di questo sono pienamente convinti anche 
          tutti gli abitanti dell'isola.
 E infatti: "Che cosa significa la vipera col suo veleno? Che cosa 
          significa il fuoco? Nella vipera io vedo figurato Satana, che viene 
          superato da Paolo; nel fuoco io ravviso l'inferno, dove Satana viene 
          relegato, per dare luogo al vero Dio". Così si esprime Mons. 
          Can. P. Gauci, pubblicamente, nel 1900, in occasione della commemorazione 
          del naufragio paolino in Malta (6).
 E ancora. Sintesi sublimata dell'episodio della vipera si trova nel 
          simbolo della Chiesa di Malta: uno scudo con una vipera attorcigliata 
          alla spada di San Paolo e un ramo di palma; questo per ricordare a tutti, 
          e sempre, il dominio del santo sulla vipera, sul dragone infernale snidato 
          da Malta con la conversione dei suoi abitanti. Lo stesso concetto è 
          presente nella poesia popolare e colta. "L'idra fatal per sempre 
          e sempre giacque" si dice in un verso di un poeta maltese al quale 
          fa eco il coro del sacerdote Jos. Zammit:
 " Tu che 
          togliesti all'angue La bava del veleno,
 Spegni 'l maligni spirito
 A quanti e' rugge in seno,
 Ferme per Te trionfino
 Religione e Fe'".
 San Paolo, dunque, 
          vincitore sulla vipera concede, secondo quanto, da sempre, dice la tradizione, 
          alle zone sottoposte al suo patronato l'immunità da tutti gli 
          animali velenosi.Si ha notizia di due importanti aree sacrali ancora oggi ritenute immuni: 
          quella di Malta, ovviamente, e quella di Galatina in provincia di Lecce. 
          Per il passato, probabilmente, ne sono esistite molte altre, anche nella 
          stessa Puglia, oltre quelle sparse nel resto d'Italia. Si ricordi per 
          tutte quella di Solarino in Sicilia.
 A questo punto viene spontanea la domanda: "Perchè, di tutte 
          le aree sottoposte al patronato di San Paolo, solo alcune godono dell'immunità 
          dai serpenti velenosi mentre le altre devono accontentarsi di una generica 
          protezione?". Si ritiene che la risposta sia da cercare nelle condizioni 
          reali, fisico-economiche, delle zone in oggetto. Non bisogna mai dimenticare 
          infatti, come si è già detto, che alla base di ogni credenza 
          vi sono esperienze reali connesse alla vita di tutti i giorni. Se a 
          Malta si è potuta affermare la tradizione dell'immunità 
          dai serpenti velenosi per interecessione di San Paolo e se prima ancora 
          c'era stato il culto di Ercole, è solo perchè questi animali 
          un tempo erano veramente esistiti mettendo in pericolo, di continuo, 
          la vita quotidiana degli abitanti, sia in senso fisico che psichico. 
          Lo stesso discorso può essere fatto per l'area pugliese dove 
          esiste il "feudo" sacro di Galatina immune dal morso della 
          taranta. Oggi il tarantismo, fenomeno mitico-culturale ben definito, 
          è considerato non riducibile al latrodectismo ma certo non è 
          indipendente da esso, in quanto il latrodectismo deve essere considerato, 
          come dice Ernesto De Martino, "una importante condizione storica 
          ed esistenziale per la genesi del tarantismo". Il simbolismo della 
          taranta si è cioè "reso autonomo, nel corso di una 
          certa storia culturale e religiosa, dai reali episodi di latrodectismo 
          relativamente frequenti durante i lavori agricoli estivi (forse un tempo 
          più frequenti di quel che non siano oggi)" (7).
 Le aree di immunità furono presenti quindi, e in parte lo sono 
          ancora, laddove condizioni storico-fisiche obiettive resero possibile 
          la loro esistenza.
 Il tema "dell'immunità eroicamente garantita dai santi cristiani 
          ha - come dice Alfonso M. di Noia - una notevole frequenza agiografica, 
          così da apparire... come il calco di un locus classicus di diffusione 
          europea" (8).
 San Paolo infatti non fu l'unico campione fra i santi a concedere ai 
          fedeli la protezione dai serpenti e l'immunità ad aree ritenute 
          poi sacrali. Per interventi vittoriosi di santi si riscontrano, nelle 
          vaste agiografie medievali, moltissime aree che godono il privilegio 
          d'essere state liberate dai serpenti (9). Nella contea di Somerset in 
          Inghilterra - racconta F. Giacomo Buonamici - si crede che la S. Vergine 
          Hilda abbia scacciato le serpi dal territorio e che alcune di queste 
          si siano pietrificate nella fuga e le si trovi scavando, e siano "senza 
          testa per esserglisi rotte precipitandosi dalle balze" (10). La 
          stessa grazia fu concessa - secondo quanto scrive Vincenzo Caruana - 
          ad altri paesi:
 "Ai tempi 
          dell'Imperatore Diocleziano S. Proto vieneesigliato nell'isola di Ercole, piena di animali feroci e
 velenosi, per essere dagli stessi divorato, ed egli colle
 sue orazioni ottiene di liberare l'isola e la vicina
 Sardegna fino ai giorni nostri di tutti gli animali velenosi:
 suis precibus impetrasse dicitur, ut omnes noxiae ferae
 in ea Insula ac vicina Sardinia usque in praesentem diem
 extinctae omnino fuerint" (11).
 Si può portare 
          ancora l'esempio dell'Irlanda:
         "dove parimenti 
          nè vi nasce animal velenoso nè altronde portato puoi vivere. Di Candia nella quale Eliano
 conferma per esperienza... esser senza veleno le serpi...
 D'Ivizza la cui terra similmente scaccia ed uccide i
 serpenti. Dell'isola Majorca e Minorca" (12).
 Si potrebbe continuare 
          a lungo e citare S. Winwaleo, abate nella Bretagna che, pregato dai 
          fedeli, ottenne da Dio la grazia di liberare dai serpenti tutta quella 
          regione, e ancora San Foca Martire (13) e San Vito (14); ma l'elenco 
          diverrebbe inutilmente lungo e non lascerebbe spazio sufficiente per 
          produrre gran parte dei documenti della tradizione scritta che nei secoli 
          hanno provveduto a mantenere desta la tradizione maltese e a maggiormente 
          consolidarla.La più antica notizia circa l'immunità goduta da Malta, 
          la si trova in quella che passa per essere la prima descrizione dell'isola 
          che ci sia pervenuta, scritta da Giovanni Quintino Eduo e pubblicata 
          nel 1536.
 In essa si legge:
 "Inoltre 
          a Malta nessun genere dannoso di serpente nasce nè nuoce portatovi da altro luogo" (15)
 e ciò ovviamente 
          grazie al miracolo di San Paolo.Nell'ARCHIVIO DELLA CORTE SUPREMA di Malta e precisamente nel Registrum 
          Actorum originalium (vol. 15, anni 1570-1572) vi sono due fogli non 
          numerati, con la data 26 marzo 1571, di estrema importanza sia per l'ufficialità 
          che rivestono sia per la loro data sia per la serie di notizie in essi 
          riportate. Di questo documento avremo modo di parlare ancora quando 
          tratteremo della terra di Malta. Ora ci interessa semplicemente notare 
          che anche in esso vi è coscienza dell'immunità visto quanto 
          vi si dice:
 " Facemo 
          fede como in tutta la insula di Malta et del Gozza niuna specie di Animali venenosi (c'è) et che
 fussino venuti da fuor di Malta quelli venero in essa
 subito perdino la lor primitiva et mortifera virtu, et per
 loro morso non amazano, et saranno senza alcuni
 remedij excepta per la gratia divina et intensa virtù per la
 intercessione di esso glorioso san paulo apostolo".
 Altre due notizie 
          cinquecentesche ci provengono da due manoscritti: uno della Biblioteca 
          Nazionale Centrale di Firenze e uno dalla Biblioteca Nazionale di Parigi. 
          Nel primo, anonimo, datato 1598, in una BREVE DESCRIZZIONE DELL'ISOLA 
          Di MALTA è scritto: "Non vi sono serpi di sorte alcuna, 
          e si vi si portano, perdono il veleno" (16). Nel secondo, anch'esso 
          contenente una DESCRITTIONE DELL'ISOLA Di MALTA CON L'ASSEDIO Di SOLIMANO, 
          di Anonimo, più o meno vi si ripete lo stesso concetto.
         "Non nasce 
          in questo luogo niuno animale o serpe velenoso e portatovi d'altrove subito perde il veleno, il
 che dicono che glielo tolse San Paulo, sendo quivi
 morsicato da una vipera" (17).
 La tradizione dell'immunità 
          di Malta è stata trasmessa anche attraverso il commento di moltissimi 
          studiosi al cap. 28 degli ATTI DEGLI APOSTOLI. Per tutti, si riporta 
          il brano dell'autorevole studioso belga Cornelis Cornelissen van den 
          Staen (1567-1637) noto meglio come Cornelio A. Lapide. Questi certamente 
          conobbe il testo del Quintino tanto da riferirlo pedissequamente nel 
          corpo della sua nota. Qui la citazione è da noi messa in corsivo.
         "Dal tempo 
          in cui Paolo in Malta scosse via la vipera, all'isola fu concesso dal cielo che in essa tutti i serpenti
 siano privi di veleno e per quanto mordano qualcuno non
 rechino per niente danno; gli isolani chiamano questa
 concessione la grazia di San Paolo, il quale in questo
 modo li compensò abbondantemente per la loro
 accoglienza e ospitalità. A Malta dunque nessun genere
 dannoso di serpente nasce nè nuoce portatovi da altro
 luogo... Alcuni vogliono che questa immunità dai veleni
 sia naturale a Malta... ma sbagliano; infatti gli abitanti di
 Malta rimasero meravigliati che San Paolo toccato dalla
 vipera non si gonfiasse e non morisse come avevano
 visto accadere ad altri. Dunque prima di San Paolo Malta
 non era immune dai veleni, a Paolo, di conseguenza,
 deve questa immunità" (18).
 Da questo brano, 
          ma non solo da questo, risulta che l'immunità concessa dall'Apostolo 
          i maltesi la chiamano grazia di San Paolo ovvero gratia Sancti Pauli. 
          In tale formula, come risulta da altri luoghi, è compresa sia 
          l'immunità dai serpenti sia la terra di San Paolo utile contro 
          i veleni. Giovanni Francesco Buonamici, comunque, pare convinto, da 
          medico, che la grazia di San Paolo consista proprio nella virtù 
          medicamentosa di tutta la terra dell'isola e che l'immunità dai 
          serpenti velenosi sia solo una naturale conseguenza. Così scrive:
         "Anzi io 
          direi, salvo migliore parere, che il primo e principal miracolo operato allora per mezzo dell'Apostolo
 fu aver dotata questa terra della virtù alessifarmaca, e
 che quello di spogliar le serpi del veleno fu un effetto
 necessariamente consecutivo dell'altro, poichè le serpi
 pascendosi, o almeno lambendo, come sogliono, la terra,
 questa resa già alessifarmaca veniva in conseguenza a
 trar loro il veleno. Muovemi a creder ciò perchè ovunque
 le terre sono naturalmente alessiterie le serpi sono
 altresì senza veleno e trasportatevi d'altronde o lo
 perdono, o muoiono, come si legge d'Evisa isola di
 Spagna, della Galita in Africa, di quella di Faros
 nell'Egitto ecc." (19).
 Nel BULLARIUM CAPUCINORUM, 
          sotto il titolo Custodia Melitensis, si ricorda la particolare grazia 
          di cui gode l'isola di Malta per l'intervento del santo, il quale operò 
          in modo "ut Serpentes omnes veneno carerent, et quantumlibet aliquem 
          morderint nihil prorsus inferant detrimenti" (20). Marcantonio 
          Hasciac infine, oltre a riportare nella sua RELAZIONE la solita notizia 
          quasi cristallizzata in formula, aggiunge che i serpenti addirittura:
         " ... se 
          da poi fuor di questa isola di nuovo sono portati la malignità de' loro veneni come prima si ripigliano" (21).
 E si potrebbe continuare 
          ancora a produrre citazioni di documenti per dimostrare quanto la notizia 
          dell'immunità di Malta fosse diffusa nell'intera Europa ed ancor 
          oggi lo sia; ma ciò non aggiungerebbe nulla perchè tutti 
          gli altri riscontri rinvenuti in più luoghi (22), dalla metà 
          del '700 ad oggi, non fanno altro che ripetere, come un vero e proprio 
          calco, quanto finora si è già detto.L'episodio in cui si esplica il dominio di San Paolo sulla vipera costituisce 
          anche il mito di fondazione del potere di quanti, in suo nome e per 
          grafia gratis data da lui, operino liberando dal veleno dei serpenti 
          - nei confronti dei quali hanno grande dimestichezza - con l'ausilio 
          della terra di Malta e, in particolare, della terra della grotta di 
          Rabat, resa curativa contro i veleni dalla presenza stessa del santo, 
          che in detta grotta soggiornò per i tre mesi di sua permanenza 
          nell'isola. Tale prodigiosa facoltà, secondo una tradizione popolare 
          notissima, fu ereditata in modo particolare da una famiglia di consanguinei, 
          di discendenti diretti di San Paolo, che ebbe ramificazioni in Sicilia 
          e in Puglia e, inoltre, dai nati nella notte della Conversione.
 Per quanto riguarda l'isola di Malta non esistono notizie esplicite 
          di tradizioni orali o scritte circa operatori che abbiano agito in nome 
          del santo e che abbiano costituito un vero e proprio gruppo, o meglio 
          "clan", vista la loro discendenza divina, come invece è 
          accaduto in Italia. L'unica notizia che si ha per Malta è tarda 
          e viene fornita da Giovanni Quintino Eduo, il quale attribuisce la capacità 
          di maneggiare serpenti senza danno a tutti indistintamente gli abitanti 
          dell'isola e sin dalla nascita, se - come lui dice -, ancora bambini, 
          giocano con gli scorpioni e, da adulti, addirittura li mangiano. Secondo 
          Quintino, che fu testimone oculare di quanto scrive, i maltesi terrorizzavano 
          i serpenti, e ciò non è incongruo visto che godevano del 
          favore del santo. Ecco quanto scrive nella sua DESCRIZIONE DELL'ISOLA 
          DI MALTA:
 "Sunt indigenae 
          quasi terrori serpentibus. Scorpiones, dirum alibi animal, inter manus
 lascivientium puerorum conspiciuntur innocui, vidi qui
 manderet. Quod Paulo viperam admorso pendentem
 digito citra noxam excutienti ferunt acceptum" (23).
 I maltesi quindi 
          avevano l'attitudine a maneggiare gli ofidi indenni. Non si sa invece 
          quando scoprirono la virtù curativa della terra di Malta e come, 
          e in che modo poi se ne servirono, visto che nessun abitante dell'isola 
          poteva rischiare di morire avvelenato per il morso di un serpente, dal 
          momento che serpenti velenosi, per l'immunità concessa all'isola 
          dal santo, non vi potevano esistere. Non è improbabile che queste 
          loro virtù alcuni intraprendenti isolani - è un'ipotesi 
          - abbiano potuto esplicarle emigrando in altre terre meno fortunate 
          della loro. E dove per prima, se non nella vicinissima Sicilia in cui 
          sicuramente erano presenti rettili velenosi? Ed è proprio da 
          quest'isola infatti che giungono le prime attestazioni della presenza 
          di uomini di San Paolo comunemente chiamati cirauli. Giuseppe Pitrè 
          scrive che nelle Pandette dell'antico Protomedicato di Sicilia (secolo 
          XV) - riformate e commentate da G.F. Ingrassia nell'opera CONSTITUTIONES 
          ET CAPITULA, NECNON ET JURISDITIONES REGII PROTOMEDICATUS OFFICII (Palermo 
          1564) - a pagg. 6 e 7 si dice che nel '400 erano soggetti al protomedicato 
          anche i Psilli "quos chiraulos vulgo nuncupamus (nisi ex pura Divi 
          Pauli Apostoli virtute sibi a natalitiis indita, sine medicamentis operentur)" 
          (24).La convinzione che erano esistiti, e potevano ancora esistere, uomini 
          che maneggiavano indenni i rettili e che avevano poteri speciali contro 
          i veleni non appartiene quindi solo all'ambito popolare, ma anche all'ambito 
          colto e alla classe egemone dell'epoca. E' proprio quest'ambiente ufficiale 
          anzi, a cui certo non difettava la conoscenza di opere di storici e 
          naturalisti di età classica, che crea la saldatura tra i nuovi 
          serpari di ascendenza paolina e le vecchie stirpi di Psilli, Ofiogeni 
          e Marsi e sostiene, almeno per un certo tempo, la loro figura magico-religiosa. 
          La spia che suggerisce tale ipotesi la si può individuare proprio 
          in quanto dicono le Pandette del Protomedicato di Sicilia, prima citate, 
          quando uniscono in maniera indissolubile gli Psilli ai cirauli: "Psylli 
          quos chiraulos vulgo nuncupamus". Ma non solo. Analogo innesto 
          della tradizione dei sanpaolari a quella dei Psilli e dei Marsi viene 
          operato, alcuni secoli dopo, anche da Ignazio Giorgio nel paragrafo 
          IX della IV diatriba, considerazione III, in cui traccia le false origini 
          degli uomini di San Paolo e, fatto molto importante che convalida la 
          nostra ipotesi, e dice della protezione che essi goderono da parte di 
          certi uomini dotti, protezione che procurò loro la fiducia anche 
          dei più cauti fautori dell'autorità e, di conseguenza, 
          un certo carisma.
 Il Giorgio così si esprime:
 "Tandem 
          Psyllorum, Marsorumque familiam in sanctius nomen mutarunt: cumque Divum Paulum, nossent post
 morsum viperae in Melita incolumem superfuisse,
 tanquam, ea virtus Apostoli foret naturalis, atque
 haereditaria, quaeque in posteros per propaginem
 dilataretur, sese haec nefaria mendicabula, irrisoresque
 Superorum, ex Pauli familia, et cognatione dixerunt;
 sacrae appellationis obtentu fraudibus fidem conciliari,
 et facilius aeruscula e plebe corradi posse arbitrantes.
 Erexere cristas, ubi doctorum quorundam hominum
 patrocinium nacti sunt. Quippe hinc factum est, ut
 ingenitae suis corporibus pharmaceutices, quam pridem
 solis mulierculis et infimae multitudini insusurrabant,
 apud quosdam etiam prudentiores ex fautorum autoritate
 fidem invenirent" (25).
 Lo stesso Ignazio 
          Giorgio poi, uno dei più accaniti oppositori della gratia gratis 
          data ai sanpaolari, in altro passo della sua opera non mette certo in 
          discussione l'esistenza di uomini idonei a ricevere in sé il 
          beneficio suddetto. Nega assolutamente però che tale beneficio 
          sia stato ricevuto dagli uomini di San Paolo: "affermo la possibilità 
          - dice - non anche il fatto" (26).A questo punto, prima di verificare quanto la stirpe dei sanpaolari 
          si sia sovrapposta anzi, meglio, abbia ereditato l'immagine di antiche 
          stirpi' che, come dice Plinio, "incutevano terrore ai serpenti", 
          è opportuno forse dare qualche cenno su quelle etnie che tanto 
          fecero parlare di sé gli antichi e si potrebbe dire fantasticare, 
          per le qualità quasi sovrumane loro attribuite.
 Psilli, Ofiogeni e Marsi furono molto noti nel mondo antico, almeno 
          in epoca romana, per l'attitudine che possedevano di trattare serpenti 
          pericolosi senza riportare nocumento alcuno e per la facoltà 
          che avevano, per natura, di guarire i morsicati da animali velenosi.
 Prima notizia dei Psilli pare si trovi in Erodoto, ma già al 
          suo tempo (484-406 a.C.) sembra fossero scomparsi da un pezzo. Lo storico 
          greco così descrive la loro fine anche se poi, da quanto riferisce, 
          con un inciso prende le distanze:
 "Vicino 
          ai Nasamoni c'è il paese dei Psilli... Il vento Noto soffiando disseccò loro le cisterne delle
 acque, e il paese loro che è all'interno della Sirte, era
 tutto senza acqua; essi allora, tenuto consiglio, di
 comune accordo marciarono contro il vento (dico quelle
 cose che dicono i Libici), e quando furono nel deserto, il
 Noto spirando li seppellì" (27).
 La storia dei Psilli 
          comincia dunque con la loro fine. Tutto ciò che di essi si dirà 
          nei secoli successivi ha, quindi, obiettività e verità 
          molto relative, per l'assenza di testimonianze sincrone. Varrone (116 
          a.C. - 27 d.C.), qualche secolo dopo, ci lascia intendere che Psilli 
          e Ofiogeni facevano parte di un'unica stirpe d'uomini: i Parii, "i 
          quali vengono chiamati Ofiogeni e, in Africa, Psilli" (28).Strabone (66 a.C. - 24 d.C.) degli Ofiogeni racconta che erano "imparentati 
          con i serpenti" (29) e che il loro potere antiofidico veniva trasmesso 
          ai soli maschi della famiglia.
 Per gli Ofiogeni si può avanzare l'ipotesi che costituissero 
          un vero e proprio clan; ma la stessa ipotesi in verità può 
          essere estesa ai Psilli e ai Marsi. Varrone conforta questa nostra idea 
          rivelando la tecnica di controllo che essi usavano per verificare la 
          purezza della razza:
 "Se pensano 
          ci sia nella stirpe qualcuno di loro non puro, lo espongono perchè il serpente lo morda: se non
 è, muore appena viene morso; vive, se discende dalla
 stirpe" (30)
 La stessa tecnica, 
          secondo quanto testimonia Plinio, fu utilizzata dai Psilli anche se, 
          apparentemente, solo per verificare la fedeltà delle donne:
         "Questi 
          avevano per costume quando nascevano figli di esporli (ai più 
          velenosi serpenti) per provare la fedeltà delle loro donne: davanti 
          ai
 figli adulterini i serpenti non fuggivano" (31).
 Ulteriore conferma 
          di questa tecnica si trova ancora in Eliano (32), scrittore greco vissuto 
          a Roma nel 3° secolo d.C.Psilli, Ofiogeni e Marsi avevano, per natura, notevoli qualità 
          antiofidiche e curative; essi, secondo Plinio, provocavano la guarigione 
          dei morsicati "con il solo toccamento o con un piccolo succhio 
          della ferita" (33). Degli Ofiogeni, in particolare, Plinio dice 
          che erano "capaci di sanare con il contatto il morso dei serpenti 
          e, imponendo la mano, di estrarre i veleni dal corpo" (34). Eliano 
          riferisce una interessante e particolareggiata notizia circa la tecnica 
          di guarigione in uso presso i Psilli. Essi, dice,
 "avrebbero 
          giovato ai morsicati tutte le volte che avessero sputato saliva sulla ferita: o, se il veleno fosse
 penetrato profondamente nei corpi, tutte le volte che
 avessero dato da bere al morsicato acqua per lungo
 tempo rigirata nella loro bocca e con la quale si fossero
 lavate le mani, e infine, se il tenace veleno avesse
 resistito, tutte le volte che avvicinati al ferito, avessero a
 lui aderito ponendosi sopra nudi al nudo" (35).
 L'uso della saliva 
          per guarire il morso dei serpenti velenosi era attribuito da Plinio, 
          oltre che agli Ofiogeni e ai Psilli, anche ai Marsi; a proposito di 
          questi ultimi scrive:
         "Simile 
          è la stirpe dei Marsi che dura ancora in Italia. Dicono di aver preso origine dal figlio di Circe e di
 possedere una certa virtù naturale. Infatti ogni uomo ha
 un antidoto contro i serpenti: questi fuggono via quando
 sono colpiti dalla saliva dell'uomo, come al contatto di
 acqua bollente: e se questa saliva penetra nelle loro
 fauci muoiono, soprattutto se è saliva della bocca di
 uomo a digiuno" (36).
 I Marsi inoltre 
          riuscivano ad addormentare i serpenti per mezzo del canto e del suono. 
          Sono molte le fonti in proposito. Una tecnica di addormentamento degli 
          ofidi sicuramente possedevano anche gli Ofiogeni (37) e i Psilli i quali, 
          in particolare, avevano nel loro corpo un veleno mortale per i serpenti 
          perchè il solo odore li faceva addormentare (38).Se questi erano, in brevi tratti, i Psilli, gli Ofiogeni e i Marsi secondo 
          le fonti di alcuni scrittori classici, vediamo ora come è giunta 
          a noi, attraverso la tradizione, l'immagine dei serpari nostrani - in 
          particolar modo di quelli che sostenevano discendere direttamente dallo 
          stesso San Paolo o che a lui in qualche modo si riallacciavano - conosciuti 
          in particolare con il termine di sanpaolari e in genere come cirauli, 
          ceravoli, ciaralli, ciarmari, ciarmatori e ceraldi. Per quanto concerne 
          l'area abruzzese, i serpari assunsero il nome di sandomenicari, costituendo 
          un'altra potente famiglia sottoposta però al patronato di San 
          Domenico.
 Un primo accenno all'origine della particolare virtù di guaritori 
          dei sanpaolari si trova nelle già citate Pandette dell'antico 
          Protomedicato di Sicilia (secolo XV). In esse si dice che gli uomini 
          di San Paolo traggono la loro forza di medicare dal giorno dei loro 
          natali. E Giuseppe Pitrè riferisce appunto di alcune antiche 
          credenze molto diffuse in Sicilia, secondo le quali "chi nasce 
          nella notte di San Paolo ha virtù soprannaturali non comuni a 
          nessun altro mortale". E aggiunge:
 "Egli è 
          forte e prosperoso, maneggia impunemente le vipere, le aspidi, i serpenti, i rettili velenosi d'ogni
 genere, se li può attorcigliare addosso, riporseli in seno,
 fa fronte ai licantropi, e se passa la lingua su' morsicati
 da codesti animali, subitamente li guarisce. La quale vis
 medicatrix deriva in lui dall'aver sotto la lingua un
 muscoletto in forma di ragno" (39).
 E' senza dubbio 
          molto difficile individuare con sicurezza l'area di provenienza dei 
          sanpaolari. Pare ragionevole comunque pensare, come già si è 
          detto, che se essi hanno avuto origine in Malta, certo in Sicilia, nel 
          Medioevo, hanno completato la loro formazione, trovato l'area di più 
          facile diffusione e forse anche mistificazione. Non bisogna dimenticare, 
          allo scopo, che Malta e Sicilia hanno avuto per secoli la stessa sorte 
          politica, da quando Ruggero I di Normandia, conte di Sicilia, sbarcò 
          a Malta nel 1090 approfittando del malcontento che vi si era creato 
          negli ultimi anni della dominazione araba e la conquistò con 
          un attacco a sorpresa. Le prime notizie, ormai storiche, sull'esistenza 
          di uomini che hanno dimestichezza con ofidi e che non mettono in dubbio 
          la serietà e la sincerità dei maneggiatori di rettili 
          riguardano dunque proprio i due territori prima citati. Per quanto concerne 
          l'isola di Malta in particolare bisogna fare poi una breve considerazione. 
          La notizia fornita da Quintino Eduo, già citata, risulta essere, 
          come si è detto, anche l'unica e comunque, bisogna sottolinearlo, 
          riguarda tutti gli isolani e non solo un gruppo di essi. Non esiste 
          infatti in Malta, e pare non sia mai esistita, una tradizione orale 
          o scritta riguardante particolari uomini che, immuni dai morsi di serpenti 
          velenosi, operino guarendo per naturali loro virtù coloro che 
          dai morsi dei rettili siano stati avvelenati. Queste qualità 
          curative i maltesi credevano, e in molti ancora oggi credono, risiedessero 
          esclusivamente nella terra della Grotta di Rabat dove il santo naufrago 
          abitò per tre mesi, e nelle glossopietre. La loro fede, alquanto 
          ortodossa, non ha mai permesso troppe fantasie magico-religiose che 
          comunque, in Malta, non sarebbero state possibili, anche perchè 
          in contrasto con l'altra credenza molto radicata: quella sul godimento 
          generale dell'immunità.Altri centri di diffusione e irradiazione di serpari sono stati l'Abruzzo 
          e la Puglia, con zona di massima frequenza il Salento (40). Per quanto 
          riguarda l'area abruzzese, la loro presenza appare giustificata dall'antica 
          tradizione marsa sulla quale poi si è innestato, come si è 
          già detto, il quadro subalterno cristiano-popolare legato al 
          culto di San Domenico. Per l'analisi del ramo abruzzese dei serpari 
          si rimanda al saggio, informatissimo e illuminante, di Alfonso M. Di 
          Nola (41). Per quanto riguarda invece il Salento, la presenza dei serpari 
          è difficilmente comprensibile, se non si ipotizza come molto 
          antico il culto di San Paolo in Galatina e non si tiene presente il 
          continuo afflusso di siciliani, e quindi della loro cultura, in Puglia 
          ai tempi di Federico II. E' proprio per loro tramite, infatti, che si 
          sarebbe potuta diffondere la figura sociale dell'incantatore di serpenti 
          e guaritore.
 Proseguendo nel delineare la figura e la storia possibile dì 
          questi affascinanti personaggi, ci si accorge ben presto, in base alla 
          notevole mole di informazioni che ci sono giunte-tutte tendenti a smascherare 
          furberie e inganni -, di trovarci di fronte a una figura diversa da 
          quella incontrata in principio di quasi medici e molto simile, al contrario, 
          a quella di veri e propri ciarlatani di piazza. Accanto ai detrattori, 
          furono in molti comunque a continuare a credere fermamente all'esistenza 
          di un gruppo di uomini di San Paolo autentici, sinceri e operanti senza 
          imbrogli. Ma che cosa era accaduto nella realtà? La figura dei 
          sanpaolari guaritori deve aver goduto di fascino, di carisma enorme 
          e di grande fortuna presso le masse popolari, soprattutto contadine, 
          inermi e desiderose di protezione, se ben presto mutuarono la loro immagine 
          imbroglioni disperati, che con il rischioso mezzo della simulazione 
          cercarono di risolvere il problema della fame quotidiana.
 Le condanne morali e le denunce d'inganni rivolte ai sanpaolari d'epoca 
          moderna, come vedremo, non costituiscono però un fenomeno nuovo; 
          stesse condanne e stesse denunce vennero rivolte anche alle vecchie 
          stirpi dei Marsi, dei Psilli e degli Ofiogeni. Anche l'immagine mitica, 
          ma certo con riscontri nella realtà, di questi antichi operatori 
          deve essersi ben presto deteriorata, doppiata da imbroglioni (circulatores, 
          nugivendi, nebulones ecc.), se già il famoso medico Galeno (138 
          - 201 d.C.), nel suo DE THERIACA AD PISONEM, così si esprime 
          smascherando la loro arte di catturare i serpenti e di maneggiarli indenni 
          senza trucco alcuno:
 "Questi 
          dopo aver preparato con furberia le vipere, ingannano quelli che stanno a guardare. Prendono infatti
 le medesime in un momento adatto, molto tempo dopo
 che sono uscite dai loro covi, quando non hanno più
 forza. Dopo averle catturate ed averle abituate alla loro
 presenza, non le nutrono con i consueti alimenti, ma con
 la carne. Costrette a morderla, fanno uscire il veleno che
 tengono nella bocca. Alcuni fanno mangiare alle vipere
 delle focacce, che, ostruendo i fori dei denti, rendono
 innocui i loro morsi: è questo che fa tanto meravigliare
 gli spettatori, ignari delle arti che costoro adoprano per
 mascherare il loro inganno" (42).
 Alla condanna di 
          Galeno, che poi peserà su tutti i serpari per secoli, si aggiunge 
          una nota di Arnobio (morto nel 327 d.C.), non meno pesante, nella quale, 
          oltre la condanna esplicita degli inganni, si può notare chiaramente 
          che Psilli e Marsi non sono più termini etnici designanti una 
          funzione sacrale, ma banali nomi comuni parificati a quelli correnti 
          di institutores e plani:
         "Contro 
          gli assalti nocivi e i morsi dei serpenti velenosi spesso cerchiamo rimedi e ci proteggiamo anche con le
 lamine (amuleti) che vendono i Psilli, i Marsi e altri
 ciarlatani e saltimbanchi" (43).
 L'immagine predominante 
          dei sanpaolari che ci perviene attraverso i testi scritti del XVI, XVII 
          e XVIII secolo è soprattutto un'immagine negativa. Ma già 
          nei medievali STATUTI MEDIOLANENSES, secondo quanto ci riferisce Piero 
          Camporesi, venivano classificati come "Avantatores corregiolae, 
          pulverae, dantes gratiam Sancti Pauli, aut Sanctae Apolloniae, aut praedicantes 
          brevia pro febribus": (44) avantatores, ciarlatani cioè. 
          Però è nello SPECULUM CERRETANORUM di Teseo Pini, scritto 
          intorno al 1485, più di un secolo prima cioè della notissima, 
          anche in questo senso, PIAZZA UNIVERSALE dei Garzoni, che si trova una 
          vera e propria denuncia e accusa delle raffinatissime simulazioni e 
          delle astuzie dei sanpaolari e dei vari ciarlatani che dicono discendere 
          dalla "Casa di San Paolo". Riportiamo qui, per intero, il 
          capitolo XXVII, che ha per titolo De' Pauliani, da IL VAGABONDO di Rafaele 
          Frianoro, il quale altro non è che la traduzione secentesca del 
          testo latino dei Pini:
         "Questi 
          dicono trar l'origine da San Paolo Apostolo, il che è falsissimo, essendo noi obbligati a credere più 
          a
 San Girolamo e ad altri autori che scrissero la vita di
 questo Santo Apostolo, che a questi furbi, poichè egli,
 sebbene ebbe stimoli della carne, tuttavia li superò con
 l'aiuto di Dio, non avendo dunque avuto moglie, né perso
 il fiore della verginità. Nondimeno li pauliani dicono di
 discendere da lui, e in segno di ciò scacciano i serpenti
 e bevono e mangiano cose velenose senza nocumento:
 qual grazia dicono che ottenesse San Paolo da Dio per
 sé e i suoi successori nell'isola di Melite, ovvero Malta,
 quando fu morsicato da una vipera.
 Mentre ch'io ero giovinetto in Roma, mi ricordo aver
 sentito dire con le proprie orecchie da un saltimbanco
 gran ciurmatore che San Paolo aveva concesso grazia
 alle persone d'una casa dell'isola di Malta, che fusse
 sicura con tutti i suoi discendenti da' veleni, e che con
 certa terra data a bere potessero risanare e preservare
 ciascheduno da' morsi de' serpenti. E in segno che egli
 era un de' discendenti di quella casata, mostrava sopra
 le spalle il segno di un serpe, quale io vidi con gli occhi
 propri. Ma perché ho scoperto che questo segno è
 artificiale, non naturale, però acciò si veda la lor malizia,
 descriverò il modo. Prima disegnano sopra il braccio
 o spalla un serpe, poi con la punta d'un sottilissimo aco,
 fanno piccolissime punture sopra di quel disegno, le
 fregano dopo con fuliggine o polvere di carbone ovvero
 con sugo d'altre erbe, e imbevendosi la carne per le
 punture della forata pelle di quel colore, resta
 perpetuamente il segno e le macchie negre in forma di
 serpe nella pelle bianca; il che mostrando a tutti
 pubblicamente, fanno credere con questa fraude alle
 genti inesperte che sia vero quanto dicono.
 Li serpi che maneggiano e si circondano al collo con
 tanto stupore della plebe ignorante, son presi da loro al
 tempo dell'inverno quando hanno poca forza e veleno, li
 purgano e macerano con gran digiuno; dopo li dànno a
 mangiare crusca o semola con butirro, e li empiono il
 ventre alle volte per forza con questa materia, qual non
 potendo in sé ritenere a vomitandola, con essa ancor
 vomitano il veleno e perdono la malignità che hanno
 dentro il sé; onde poi né anche assicurandosi di queste
 bestie, essendosi prima armati in casa con buona triaca
 e in pubblico bevendo di quella lor pietra che dicono di
 San Paolo, quale ha naturale proprietà contro veleni
 (sebbene alle volte da lor finta), si fanno mordere e
 pungere da' serpi senza pericolo della vita; e con tal
 mezzo vendendo quella pietra e ciurmando questo e
 quello, raccolgono più danaro in un mese ch'io non farei
 con l'esercizio mio in due anni.
 Non voglio ora stare a raccontare come si preparino
 avanti che piglino i veleni, col mangiare alcune erbe o
 cibi conditi con olio, grasso, butirro, fegato, trippa e
 simili. Né come invece di solimato, risogallo, antimonio,
 arsenico e simili veleni, che mostrano pigliare
 pubblicamente per le piazze, mangiano amido ovvero
 zucchero. Né meno conviene por qui le cantilene e
 parole che dicono per fermare, prendere e incantare i
 serpi, perchè essendo proibito il dirle è anche più 
          vietato
 il scriverle e insegnarle. Al tempo di Paolo III in Roma,
 un villano sagace per far un bel colpo, portò chiuso
 dentro una pignatta un aspide velenoso ad uno di questi
 pauliani che in piazza pubblicamente vendeva e ciurmava
 con la sua pietra, mostrando il segno del serpe che
 aveva nelle spalle a tutti gli uomini poco pratichi: questo,
 promettendo molto di se stesso, si fece mordere nella
 lingua, ma l'animale, che niente era purgato, l'avvelenò
 in modo, che di subito gonfiandolo tutto in breve ora
 scoppiò, senza trovarsi rimedio a quel veleno. La virtù
 dunque predicata di San Paolo in lui scesa per tante
 generazioni, non li apportò in quel frangente alcuno
 aiuto; e perchè era falso quanto diceva, il tempo, padre
 della verità, lo scoprì (45).
 E' da ritenere, 
          come si è detto che non ci sarebbe stato un così forte 
          accanimento nello smascherare i ciarlatani di piazza, se non ci fossero 
          state altre figure di sanpaolari, vaganti per i borghi e i villaggi 
          d'Italia e di gran parte d'Europa, da difendere perchè ritenuti 
          i veri portatori della grazia di San Paolo e i propagatori della terra 
          di Malta. Chi se non loro, quelli autentici si intenda, ha diffuso sino 
          nelle Indie la notizia della ottima e arcifamosa terra melitensis? Un 
          fatto comunque rimane: in base ai documenti conosciuti, molti credevano 
          veramente all'esistenza di uomini capaci di maneggiare serpenti e di 
          curare i morsi dei rettili velenosi. Alcuni religiosi, naturalisti e 
          medici del '600 e del '700, se da un lato erano pronti a condannare 
          i falsi sanpaolari, dall'altro credevano fermamente, anzi testimoniavano, 
          di aver loro stessi visto di persona o aver avuto racconti di prima 
          mano dagli interessati, nell'esistenza di uomini singoli o di intere 
          famiglie che, per discendenza o per iniziazione, riuscivano a guarire 
          i morsicati da ofidi velenosi in nome del santo che a Malta debellò 
          la vipera.Uno di questi studiosi, oltre il Giorgio già visto, fu il Mattioli 
          il quale, dopo aver fatto una lunga e dura requisitoria contro questi 
          ciarlatani smascherandoli in tutte le loro misere astuzie e nei loro 
          inganni, affermò quanto segue:
 "... non però 
          per questo dirò io, che non si ritrovino alcuni, che per una certa virtù del cielo acquistata per
 alcuno influsso delle stelle fisse nell'hora della lor
 generatione, non habbiano propria virtù di non poter
 essere morsi da i serpenti" (46).
 poi passò 
          a narrare addirittura l'incredibile storia del romito, molto suo amico, 
          che curava nei pressi di Roma tutti coloro che erano morsi da serpenti 
          velenosi e persino a distanza:
         "Subito 
          dunque, che qualch'uno era morso, mandava un messo al romito, da cui intesa la cosa, gli addimandava,
 se voleva tor la medicina per colui, che era stato
 percosso: et se rispondeva di sì, gli si faceva mettere il
 piede destro nudo in terra, et con un coltello lo
 circondava tutto per intorno, di modo che la forma
 rimanesse; dopo al che, fatto levar via il piede, scriveva
 in detta forma con la punta del coltello queste parole:
 "Caro caruze, sanum reduce, reputa sanum, Emanuel
 Paracletus". Poscia rastiava con la terra, fin che tutte le
 lettere fussero disfatte: et metteva quella polvere in una
 scudella d'acqua, et lasciatala andare al fondo la colava
 con la camicia del messo: et poscia, fattovi sopra il
 segno della croce, gliela dava a bere. Dopo al che si
 ritrovava per cosa certa, che in quell'hora si risanava
 l'ammalato" (47).
 Al Giorgio e al 
          Mattioli si aggiunsero, ancora più espliciti, Tommaso Fazello 
          (48), Bonaventura Attardi (49) e Michel Ettmüller. Quest'ultimo, 
          dopo aver riferito delle capacità che possedevano certi uomini 
          di uccidere i serpenti e le vipere con la saliva e di sanare dai morsi 
          di animali velenosi, asserì:
         "Un amico 
          degno di fede mi riferì che un tale dono è elargito dal cielo e che è proprio di certi uomini in Italia
 che, nati nel giorno della festa di S. Paolo, abbiano un
 segno di serpe o di vipera sotto la lingua o in altra parte
 del corpo. Di ciò lealmente (il mio amico) affermò di
 essere testimone oculare" (50).
 Non è una 
          donnicciuola ad esprimersi così. E' il grande medico e fisico 
          che tanta fama ebbe in tutt'Europa nel XVII secolo.Continuando a costruire l'immagine del sanpaolaro, importante è 
          senz'altro la testimonianza di Ignazio Giorgio, il quale riunì 
          in sei punti le frodi dei ciurmatori. Si riporta qui la traduzione che 
          del passo dà Bonaventura Attardi:
 "I - Che 
          spacciano la virtù loro più efficace, e più vigorosa 
          ne' giorni di Mercoledì, è di Venerdì, che non 
          sia tale negli altri giorni.Il - Che posto a confronto un ciarmatore con l'altro, chi di loro possiede 
          maggior virtù, impedisce, e ritarda la virtù del suo Competitore.
 III - Ancorchè non si fussero tra di loro veduti, conoscersi 
          l'un l'altro, e l'altro con l'uno.
 IV- Mancare la virtù loro, qualora due Ciarmatori s'unissero 
          a pranzo insieme.
 V - Che il pane morsicato da Ciarmatori, divenga medicinale.
 VI - Che il loro tatto sia agl'infermi salutifero". (51)
 Appare chiaro, da 
          quanto finora si è detto, che la figura tradizionale del sanpaolaro 
          si è in parte plasmata sulla figura degli antichi Psilli, Ofiogeni 
          e Marsi. Gli uomini di San Paolo infatti - come le stirpi specializzate 
          dell'antichità - vantavano ascendenze divine e caratteristiche 
          etnicoclaniche, godevano dell'immunità per trasmissione ereditaria, 
          guarivano i morsicati con la saliva e con il tatto e incantavano i serpenti 
          con l'uso di speciali formule (52). Si è detto "in parte" 
          perchè molte furono le loro caratteristiche dovute, come abbiamo 
          visto, proprio all'ascendenza paolina (la terra di Malta fu l'elemento 
          più vistoso) o ad invenzioni e suggestioni autonome suggerite 
          da situazioni contingenti di supremazia nei confronti di gruppi di serpari 
          concorrenti, che godevano di altri patronati, o di falsi serpari della 
          genia dei ciarlatani. La loro figura, con il tempo, si arricchì 
          anche di caratteristiche presenti in famiglie particolari, che esistevano 
          da tempi molto antichi e che, dichiarando particolari ascendenze, ritenevano 
          di possedere facoltà prodigiose di guarire certe malattie.Giuseppe Pitrè, in un suo breve saggio, (53) dà notizia: 
          della famiglia del Potenzano, che poteva guarire ferite varie e malattie 
          di ogni tipo; della famiglia de' Grassellini, alla quale fu concesso 
          di guarire con la sola saliva le malattie cutanee; di quella dei Cirauli, 
          che curavano i morsi di animali velenosi; di una famiglia di Cancelli 
          e di molte altre ancora. Tali famiglie privilegiate non erano presenti 
          solo in Italia. In Spagna venivano chiamate genericamente Salutatores 
          o Sanatores; in Italia alumni S. Catherinae, se avevano per simbolo 
          la ruota; in Belgio filii Parasceves, se nati il Venerdì di Passione. 
          Tutte queste famiglie possedevano una vis medica e per essa godevano 
          di particolare prestigio. Il sistema di trasmissione del potere era 
          ereditario. Anche il primogenito della Casa d'Aumont, in Borgogna, aveva 
          la prerogativa di sanare malati e anche i Re di Francia, i quali dal 
          Delfino in poi, cui Dio concesse per primo tale privilegio, ereditarono 
          la facoltà di guarire la scrofola. Grande celebrità godettero 
          in passato anche i Cavalieri di S. Uberto di Ardenne, sempre in Francia, 
          i quali si vantavano di discendere da S. Uberto, appunto, e di guarire 
          i morsi dei cani arrabbiati. Poteri speciali aveva anche il settimo 
          di sette figli tutti maschi.
 Per tornare alle famiglie dei sanpaolari ecco un passo di Bonaventura 
          Attardi, in cui si parla della famiglia dei Cirauli di S. Filippo di 
          Agira e delle sue particolari prerogative. Da notare che il nome comune 
          ciaulo qui è diventato un vero e proprio cognome. E' un segno 
          di decadenza della famiglia dei serpari?
 "Vi fu nella 
          mia Patria S. Filippo d'Agira, una famiglia da me conosciuta, e conosciuta ancora da tutti i miei
 Cittadini, chiamata colà volgarmente la casa de Cirauli,
 aveva questa famiglia, sì Uomini, come Femine virtù tale
 contro il veleno de' Serpenti, che appena toccava con la
 Saliva le morsicature, che oprava portentose meraviglie;
 anzi ove più cresce lo stupore, che trovandosi ancor
 lontani i poveri morsicati in certa tale distanza, con il
 disseccamento della Saliva in bocca, conosceva quella
 famiglia il vicino arrivo de' morsicati, Di più tutte le
 Femine di questa famiglia possedevano tale virtù in
 stato verginale, passate dopo a stato di matrimonio, la
 perdevano; Ed io di questa famiglia ho conosciuto un
 sacerdote, chiamato D. Antonino Ciraulo, ed una sua
 Sorella di cui non sò il nome, ma tutti i miei Cittadini
 possono fare piena fede". (54)
 Più in là, 
          poi, continua dicendo:
         "Tanto in 
          Palermo, come in Sircausa, in Noto ed in Foligno, ritrovansi queste persone, o famiglie, che hanno
 ottenuta da Dio a riflesso de' meriti di San Paolo questa
 grazia, e non avere contro Serpenti quell'orrore, ch'anno
 gl'altri, Li maneggiano senza timore, e li trattano
 senz'offesa; Ed io ch'ho parlato qui in Palermo con una
 Signora Sorella di un Confratello Religioso, chiamata
 Signora Paola, nata la notte della Conversione di San
 Paolo a 25 Gennaro, m'ha confessata tale dimestichezza,
 e di non aver de' Serpi nessun orrore, anzi m'aggiunse
 d'averla pratticata questa virtù, e portarne sotto la lingua
 un Ragno per contrassegno". (55)
 Nonostante questa 
          testimonianza ed altre simili, la figura dei sanpaolari, che affiora 
          dalle tante opere letterarie e scientifiche dell'epoca, è comunque 
          e soprattutto un'immagine negativa. Si può affermare, con buone 
          probabilità di non errare, che già dal XVI secolo al sanpaolaro 
          si è sostituito, quasi completamente, il ciarlatano sedicente 
          sanpaolaro. Tommaso Garzoni (56), Ulisse Aldrovandi, (57) Martin del 
          Rio, (58) Thomas Coryat, (59) Bernardo Cesio, (60) Scipione Mercuri, 
          (61) P. Gaspar Schott (62) ed altri scrittori europei è di lui 
          che parlano. E sono proprio questi autori che, spesso citandosi a vicenda 
          a riferendo veri e propri topoi, costruirono per noi, con pennellate 
          non lievi, il personaggio del ciarlatano sanpaolaro che, essendo gemello 
          delle vipere, strombazzava a piena voce di essere della stirpe di San 
          Paolo. Per suscitare la meraviglia degli uomini ingenui nelle fiere, 
          nei mercati e nelle piazze di città e borghi, egli portava in 
          giro esibendoli serpenti addomesticati che descriveva come mortiferi 
          rettili; serpenti che, invece di catturare in Africa, come diceva, catturava 
          in terre meno assolate, meno lontane, più domestiche e in epoca 
          di letargo, premunendosi comunque con antidoti contro i morsi e cospargendosi 
          con accortezza le mani con qualche unguento sperimentato per tale tipo 
          di caccia. Per essere più convincente ancora e per dimostrare 
          la sua virtù, dava spettacolo facendosi mordere in più 
          parti dal serpente che portava con sé, al quale in precedenza 
          aveva tagliato con forbicine le ghiandole velenifere o tolto il veleno 
          con altri sistemi. E tutto questo per poter infine spacciare un po' 
          di falsa terra di Malta e guadagnare pochi soldi. Attore consumato, 
          per mostrare ad un pubblico attonito ed impaurito la sua autentica ascendenza 
          paolina, arrivava persino a sfidare spavaldamente i serpari concorrenti 
          apparsi sulla stessa piazza, specialmente se sandomenicari, allo scambio 
          delle vipere, facendosi mordere poi sulla lingua o in altre parti del 
          corpo dal rettile dell'avversario. Queste disfide spesso si concludevano 
          tragicamente, con la morte di uno o di entrambi i contendenti, per un 
          ennesimo inganno: quello di aver dato nello scambio all'avversario un 
          rettile non preparato, ma veramente velenoso. Non c'erano formule magiche, 
          o pastiglie cotte o pezzi di pietra o terra di San Paolo venuta direttamente 
          dalla Santa Grotta che tenessero, quand'era così. La morte non 
          guardava in faccia i disperati e definitivamente li condannava. E condannati 
          venivano anche, sia dalla Legge, che non tollerava le loro disfide, 
          sia dalla Chiesa.
         "Nel LIBRO 
          DELLE CONDANNAZIONI del Magistrato degli Otto di Firenze, si trova, sotto la data del 4 giugno
 1451: M.°' Ferrante di M.° Francesco di Leccio
 ciurmatore per aver morto con le serpi M.° Alessandro
 ciurmatore fu condannato a essergli mozzo il capo in su
 la porta del Bargello e confiscati i beni. Poi in nota è
 scritto: per gratia di S.E. fu liberato". (63)
 Altre condanne venivano 
          inferte loro perchè spesso non avevano la licenza di esibirsi 
          in pubblico nelle piazze. I sinodi li perseguitavano, (64) e la fame 
          li mordeva. Per difendersi, si unirono in vere e proprie compagnie di 
          vagabondi che, "come il calzolaro, il sarto, l'orefice et SimiIi" 
          (65), lavoravano secondo la loro arte. Si hanno notizie di una di queste 
          compagnie detta degli "Imbonitori, che sono quelli che vendono 
          li anelli falsi et la terra della gratia di S. Paolo, et ingannano li 
          villani stupendamente". (66) Degli uomini di San Paolo, se mai 
          sono esistiti, ormai non c'era quasi più traccia. Predominavano 
          i che sfruttavano la loro immagine. E sempre, come prima s'è 
          visto, sotto la scarica delle condanne dei laici.Nessuna testimonianza invece si ha di condanne subite dalle famiglie 
          (prima citate) di reali, di cavalieri e di gentiluomini. Esse facevano 
          parte della classe dirigente, di un ambiente che non era possibile mettere 
          in discussione. Ancora una volta il mondo egemone contrapposto pesantemente 
          al mondo subalterno. Un mondo di signori, che non accettava lo sforzo 
          fatto da tutta una sorta di emarginati per risolvere il quotidiano problema 
          della sopravvivenza, la battaglia più spietata che l'uomo possa 
          combattere. Saltimbanchi, giocolieri, ciarlatani, sanpaolari, cui non 
          sempre le loro interminabili peregrinazioni per feste e mercati procuravano 
          il pane, si avvicinarono sempre di più alla figura dei mendicanti. 
          Come questi, trovavano vitto o alloggio per una notte in qualche pagliaio, 
          o si intrufolavano in esso senza permesso e poi ripartivano trascinandosi 
          dietro le loro chincaglierie; nel nostro caso: cassettina con i rettili 
          e sacchettini di terra comune spacciata per terra di Malta.
 Generalmente, sempre più perseguitati, non riuscirono a campare 
          con il loro mestiere - frutto sublime di immaginazione, fantasia e rischio 
          - di veri artisti e furono costretti alla mendicità. Questa precarietà, 
          questo vagabondaggio, minaccia costante per la loro stessa vita, divenne 
          poco a poco minaccia alla sicurezza dei ricchi, di coloro che vivevano 
          "a pancia piena". Ciarlatani e vagabondi vennero strettamente 
          collegati a banditi e ad assassini per quel tramite che li apparentava: 
          la fame. Un'ombra sinistra calò così sulla figura di questi 
          finti-sampaolari e di tutto quel mondo fantasioso di pezzenti finti-storpi, 
          finti-ciechi, finti-attarantati; un'ombra che fece svanire la loro estrosa 
          immagine nel nulla. E noi, che oggi indaghiamo sulla loro esistenza, 
          li troviamo più presenti nei documenti d'archivio, nei verbali 
          d'interrogatorio, implicati in processi, che nei libri.
 Ma, nell'Ottocento, dopo la bufera del XVI, XVII e XVIII secolo, si 
          riaffacciò nuovamente, anche se per breve tempo, la figura del 
          sanpaolaro. Lo si poteva trovare ancora in qualche piazza di Roma o 
          ramingo per le campagne: solo, sfigurato, malinconico, a chieder l'elemosina 
          mostrando una cassettina con dentro una povera biscia e dando da baciare 
          un'immaginetta consunta di Paolo, il glorioso suo antenato, che a Malta 
          debellò la vipera.
 Dell'antica figura magico-religiosa ormai non esisteva più niente.
 NOTE
 1) Atti degli Apostoli, traduzione di Cesare Angelini, Torino, 1967, 
          pgg. 177-179.
 2) GUIDO G. LANFRANCO, Was poisonous viper an accidental visitor?; in 
          The Sunday Times of Malta, 27 maggio 1956, pag. 4; RONALD KNOX, nella 
          nota di commento agli Atti degli Apostoli.
 3) GUIDO G. LANFRANCO, Reptiles, amphibians of the maltese islands; 
          in Year Book, Malta, 1955, pgg. 198-200.
 4) BONAVENTURA ATTARDI, Bilancia della verità. Risposta al libro 
          intitolato PAULUS APOSTOLUS in Mari, quod nunc Venetus sinus dicitur, 
          Naufraghus, del P.D. Ignazio Giorgio Benedettino della Congregazione 
          ragusina; Palermo, 1738, pag. 72.
 5) MARCANTONIO HASCIAC, Relazione della nuova e grandissima Devozione 
          introdotta nella Santa Grotta di S. Paolo Apostolo nell'isola di Malta 
          con una breve raccolta delle cose più notabili ed antichità 
          di detta Isola, N.L.M.; manoscritto n. 515, f. 7r. Prima di lui, nel 
          1558, TOMMASO FAZELLO, De rebus siculis, decades duae; Palermo, 1558; 
          trad. usata: Storia di Sicilia. Deche due; Palermo, 1830, libro I, cap. 
          I, pag. 32, a proposito del tempio di Ercole scrive: "Si vedono 
          ancora oggi le reliquie, degne, veramente, d'esser rimirate e considerate 
          con meraviglia".
 6) VINCENZO CARUANA, La vipera maltese in relazione col naufragio di 
          S. Paolo. Considerazioni critiche; Malta, 1911, pag. 60.
 7) ERNESTO DE MARTINO, La terra del rimorso; Milano, 1968, pag. 53.
 8) ALFONSO M. DI NOLA, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna 
          italiana; Torino, 1976, pag. 78.
 9) Un primo elenco di queste aree lo si trova in A.M. DI NOLA, op. cit., 
          pag. 79.
 10) F. GIACOMO BUONAMICI, Relazione della Grazia di S. Paolo; N.L.M. 
          Library, ms. 15 datato 1667, f. 135v
 11) VINCENZO CARUANA, Op. Cit., pag. 55.
 12) F. GIACOMO BUONAMICI, Op. Cit., f. 138r.
 13) VINCENZO CARUANA, Op. Cit., pag. 56.
 14) BONAVENTURA ATTARDI, Op. Cit., pag. 75.
 15) GIOVANNI QUINTINO EDUO, Insulae Melitae descriptio ex commentariis 
          rerum quotidianarum; Lione, 1536, paragrafo XXI. Testo orig. della cit.: 
          "Praeterea Melitae nullum maleficum serpentis genus neque nascitur 
          neque nocet aliunde invectum".
 16) Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze, G.7. 1003.
 17) Bibliothèque Nationale, Fond italien, Parigi, ms. 254, f. 
          314v.
 18) CORNELIO A. LAPIDE, Commento agli Atti Apostolici, apud V. Caruana; 
          Op. cit., pag. 44.
 19) GIOVANNI FRANCESCO BUONAMICI Lettera missiva... diretta ad Agostino 
          Scilla; Malta, 1668, pag. 34.
 20) BULLARIUM CAPUCINORUM variis notis et scholiis elucubrata a P. F. 
          Michaele A Tugio in Helvetia; tomo III Roma, 1745, pag. 299. Questo 
          passo, come si vede, è desunto quasi letteralmente dalla nota 
          di Cornelio A. Lapide prima citata.
 21) MARCANTONIO HASCIAC, Op. Cit., f. 10r.
 22) Vedi: MICHELE ACCIARD, La congiura del Bascià di Rodi; Malta, 
          1751, pag. 36; PATRICK BRYDON, Viaggio in Sicilia e a Malta 1770; Milano, 
          1968, pag. 152; TOMMASO FAZELLO, Op. cit., I,1 pgg. 35 e 36; JOSEPH 
          CASSAR-PULLICINO, Studies in Maltese Folklore; Malta, 1976, pag. 192; 
          e tutti coloro che si occuparono della controversia a favore di Malta 
          africana e persino le moderne guide turistiche: J. MANDUCA, Tourist 
          Guide to Malta and Gozo, edita in Italia con il titolo Malta, Firenze, 
          1977, pag. 58.
 23) GIOVANNI QUINTINO EDUO, Op. cit., XXI. Trad.: "Gli indigeni 
          incutono terrore ai serpenti. Gli scorpioni, altrove animali funesti, 
          appaiono innocui nelle mani dei ragazzi che con essi giocano. Si racconta 
          che questo sia un dono elargito da Paolo che scosse via senza danno 
          la vipera appesa al dito con il morso".
 24) GIUSEPPE PITRE', Spettacoli e feste popolari siciliane; Palermo, 
          1881, pgg. 331 e 332.
 25) IGNAZIO GIORGIO, D. Paulus Apostolus in mari, quod nunc Venetus 
          Sinus dicitur naufragus et Melitae dalmatensis insulae post naufragium 
          Hospes sive De genuino significatu duorum locorum in Actibus Apostolicis. 
          Cap. XXVII e Cap. XXVIII. Inspectiones anticriticae, Venezia, 1730, 
          Inspect. III, Diatriba IV, paragrafo IX, pgg. CLXXV e CLXXVI.
 26) IGNAZIO GIORGIO, Op. Cit., Inspect. III, Diatr. IV, paragrafo X, 
          pag. CLXXVII.
 27) ERODOTO, Le storie, IV, 173.
 28) VARRONE, Antiquitates rerum humanarum et divinarum, I. 29) STRABONE, 
          Geographica, XIII, I, 14.
 30) VARRONE, Op. Cit., I.
 31) PLINIO, Naturalis historia, VII, 2.
 32) ELIANO, De natura animalium, I, 57.
 33) PLINIO Op. cit., XXVIII, 3.
 34) PLINIO, Op. cit., VII, 2.
 35) ELIANO, Op. cit., I, 57.
 36) PLINIO, Op. cit., VII, 2.
 37) PLINIO, Op. cit., XXVIII, 3.
 38) PLINIO, Op. cit., VII, 2.
 39) GIUSEPPE PITRE', Op. Cit., pag. 331.
 40) Vedi: FERDINANDO PONZETTI, Libellus de venenis; Roma, II, 5; GIROLAMO 
          MARCIANO DI LEVERANO, Descrizione, origini e successi della Provincia 
          d'Otranto; Napoli, 1855, pgg. 158 e 182-183; NICOLA CAPUTO, De tarantulae 
          anatome et morsu; Lecce, 1741, pag. 228; ANDREA CORSINI, Medici ciarlatani 
          e ciarlatani medici; Bologna, 1922, pag. 47, nota; TOMMASO FRANCESCO 
          ROTARIO, Apparatus universae theologiae moralis, pro examine confessiones 
          a Tyronibus sustinendo, parte II, sez. I ; Venezia, 1738, pag. 124; 
          ERNESTO DE MARTINO, Op. Cit., pgg. 107 e 108; PIETRO ANDREA MATTIOLI, 
          Pedacii Dioscoridis de materia medica libri VI, interprete Pietro Andrea 
          Mattioli cum ejusdem, commentariis, Venezia, 1544. Edizione usata: I 
          discorsi... nei sei libri di Discoride; Venezia, 1568, pag. 1513.
 41) ALFONSO M. DI NOLA, Op. Cit.
 42) GALENO, De theriaca ad Pisonem, cap. XII. Edizione e traduzione 
          utilizzata: E. COTURRI, Firenze, 1959, pag. 80.
 43) ARNOBIO, Contra gentes, II, 32.
 44) PIERO CAMPORESI, Il libro dei vagabondi; Torino, 1973, pag. CXI, 
          nota.
 45) La citazione è da Piero Camporesi, op. cit., pag. 151 e sgg.
 46) PIETRO ANDREA MATTIOLI, Op. Cit., pag. 1513.
 47) PIETRO ANDREA MATTIOLI, op. cit., pag. 1513.
 48) TOMMASO FAZELLO, Op. Cit., I, 1, pgg. 35 e 36.
 49) BONAVENTURA ATTARDI, op. cit., Bilancio X, pgg. 86-94.
 50) MICHEL ETTMÜLLER, Opera omnia medico-phisica theoretica et 
          practica, tomo II, disp. 3, Venezia, 1700.
 51) BONAVENTURA ATTARDI, op. cit., pag. 92.
 52) E' da ascrivere all'area culturale dei serpari la seguente quartina 
          tradizionale (oggi passata nella sfera ludica infantile) da dire, per 
          protezione, trovandosi in presenza di qualsiasi rettile: "Pe' san 
          Pavlu e santu Roccu / no' mme toccare ca no' te toccu/se me tocchi ieu 
          te stoccu / pe' san Pavlu e santu Roccu".
 53) GIUSEPPE PITRE', Mirabili facoltà di alcune famiglie di guarire 
          certe malattie; in Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, 
          vol. 14, 1, genn.-marzo 1895.
 54) BONAVENTURA ATTARDI, Op. Cit., pag. 88.
 55) BONAVENTURA ATTARDI, Op. Cit., pag. 89.
 56) TOMMASO GARZONI, La piazza universale di tutte le professioni del 
          mondo; Venezia, 1589, pag. 747 e sgg.
 57) ULISSE ALDROVANDI, Serpentum et Draconum Historiae libri duo; I, 
          1, Bologna, 1640, pag. 21.
 58) ANTON MARTIN DEL RIO, Disquisitiones magicae libri VI; libro I, 
          cap. 3, quest. 3.
 59) THOMAS CORYAT, Crudezze; Milano, 1975, pgg. 294-295.
 60) BERNANDO CESIO, Mineralogia, sive naturalis philosophiae tesauri; 
          Lugduni, 1636, III,14.
 61) SCIPIONE MERCURI, Degli errori popolari d'Italia; Padova, 1645, 
          pgg. 280-281.
 62) P. GASPAR SCHOTT, Physica curiosa, sive Mirabilia naturae et artis 
          libri XII comprehensa; Herbipoli, 1662, XII, 12.
 63) ANDREA CORSINI, Op. Cit., pag. 47, nota.
 64) CORRAIN C. - ZAMPINI P., Documenti etnografici e folkloristici nei 
          Sinodi diocesani italiani; Bologna, 1970, pag. 37, nota; pag. 125 e 
          nota.
 65) IL DILETTEVOLE ESSAMINE de' Guidoni, Furfanti o Calchi, altramente 
          detti Guitti nelle carceri di Ponte Sisto di Roma nel 1598 ecc., apud 
          PIERO CAMPORESI, op. cit., pag. 356.
 66) IL DILETTEVOLE ESSAMINE ecc., op. cit., pag. 357.
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