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ELETTRICITĄ E MISURA DEL TEMPO
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GLI OROLOGI DI GIUSEPPE CANDIDO |
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Enzo
Panareo
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Gli
orologi elettrici realizzati - e perfettamente funzionanti, fino al
25 ottobre del 1937 - da Mons. Giuseppe Candido (1) a Lecce, rappresentarono
per quei tempi (1868-1887: gli anni cioè entro i quali s'inscrive
la loro messa in opera) talmente una sorpresa da suscitare negli scienziati
dapprima una superficiale attenzione o, addirittura, una non troppo
celata, se pur non malevola, forma di scetticismo, e poi, a mano a mano
che gli anni passavano, ed i congegni mostravano di resistere allo scorrere
del tempo ed agli assalti continui delle intemperie, una sconfinata
ammirazione. Situazione, questa, nella quale venne a trovarsi il gesuita
P. Angelo Secchi (2), il quale avrebbe descritto ed illustrato tutti
gli apparati che l'intelligenza fervida del Candido aveva concepito
e realizzato.
Il gesuita - principale esponente ecclesiastico della cultura scientifica italiana del sec. XIX, fondatore della moderna Astrofisica sperimentale -dirigeva allora a Roma l'Osservatorio del Collegio Romano eretto sulla Chiesa di S. Ignazio. Egli era interessato al problema degli orologi elettrici, allo scopo di applicare il ritrovato al suo Meteorografo (3). Questo, costruito dalla Ditta Brassart di Roma per l'Esposizione Universale di Parigi del 1867, rappresentò in materia di tecnologia degli strumenti di misura indispensabili alle osservazioni astronomiche - preceduto dal pireliometro per la misura della radiazione solare - un qualcosa di veramente avanzato. Tanto che Napoleone III volle insignire di sua mano, con la Croce della Legion d'Onore, il suo ideatore. Nell'arco di tempo, comunque, che va dal 1871 al 1877 lo scetticismo del P. Secchi, manifestato in un primo incontro con il leccese Cosimo De Giorgi, che era andato a rendergli visita, s'era trasformato, avendo nel frattempo il gesuita ricevuto buone notizie sugli orologi del Candido, in calorosa ammirazione. Della quale pur partecipando, allora e dopo, moltissimi altri scienziati italiani e stranieri, sembra che, strada facendo, gli echi non fossero destinati a giungere fino a noi. Infatti, alcuni degli orologi sono rimasti abbandonati ed i loro congegni sono stati lasciati deperire, qualche altro è stato smembrato e disperso (proprio quello che, allestito sul Sedile, allora Corpo di Guardia, trasmetteva gli impulsi agli altri, opportunamente dislocati su edifici pubblici della città), ed ancora, durante l'ultimo conflitto mondiale fu distrutta una delle campane degli orologi del Candido, fusa nel 1587 dal gallipolino Sandro Patitari e dal Candido utiIizzata (4). Eppure, l'applicazione dell'elettricità alla misura del tempo, mediante gli orologi elettrici, era stata ripetutamente tentata, ma sempre con insuccesso o con scarso successo, prima che il Candido se ne occupasse, in diverse città dell'Europa. Nel 1839 il Re di Baviera aveva concesso allo Steinhel di fabbricare orologi elettrici. Il Whentstone ne aveva costruiti in Gran Bretagna; il Garnier, l'Houdin, il Nollet, il Detouche, il Colin, il Breguet, il Froment in Francia, nel Belgio e nella Svizzera. Gli apparecchi costruiti da questi scienziati si fondavano sul principio della magnetizzazione temporanea del ferro dolce al passaggio di una corrente elettrica nelle elettrocalamite. Ma il principio non aveva retto alla prova dei fatti, in quanto gli orologi, una volta attivati, richiedevano spese non comuni per la manutenzione e per il grande consumo di elettricità. Tanto che, quasi ovunque, gli orologi affidati al principio dell'elettricità furono presto abbandonati. E intanto progrediva l'applicazione del telegrafo elettrico, che accorciava notevolmente le distanze ed il tempo di comunicazione tra gli uomini e le città. D'altronde, il Candido non aveva limitato le sue indagini scientifiche al l'applicazione, fruttuosa, dell'elettricità agli orologi, in maniera da ottenere una perfetta sincronia tra più orologi nell'indicazione del tempo. Ché egli applicò l'elettricità anche alla segnalazione dell'orario del meridiano leccese, nel momento in cui il Sole, passando a mezzogiorno preciso sulla città, produceva con il calore dei suoi raggi un impulso su una pila termoelettrica. Da questa si sprigionava una corrente che rimetteva le* lancette dei quadranti sul mezzogiorno. Ma il principio dovette essere abbandonato per il rispetto dovuto al principio del tempo medio che regolava, come regola, le attività di un intero Paese. Giuseppe Candido, pittore e dilettante fotografo, era nato a Lecce il 28 ottobre del 1837 da Ferdinando e da Stella De Pascalis, primogenito di sette figli, tre femmine e quattro maschi. Aveva avuto come prozio un uomo di multiforme ingegno, Francesco Saverio Candido (5). D'antica e cospicua famiglia, nel 1847 era entrato nel Reale Collegio dei Gesuiti di Lecce, dove s'era distinto per la grande passione negli studi di Fisica e Matematica (6). Dopo un decennio, era uscito dal Collegio dei Gesuiti, avendo conseguito a pieni voti il diploma e l'attribuzione del Giglio d'Oro, una decorazione che si assegnava ogni anno agli alunni più meritevoli (7). Un saggio delle sue capacità d'intervento scientifico fu evidente la sera del 14 gennaio del 1859, quando, soggiornando a Lecce per pochi giorni Ferdinando II, il Candido collaborò con il suo maestro, il P. Nicola Miozzi, all'illuminazione a giorno del cortile della Prefettura con la prima lampada elettrica a pila Bunsen, allestita in città, la cui luce - "un oceano di luce", scrisse con molta enfasi un giornale del tempo - si diffondeva anche negli ambienti nei quali il Sovrano, insieme con la famiglia, riceveva in un clima di festa l'omaggio delle autorità provinciali (8). Da Lecce il Candido si portò, sul finire del 1860, a Napoli, nella cui Università conseguì la laurea in Fisica e Matematica, e, inoltre, divenne espertissima nella lingua ebraica, in quella greca e si mise in condizione di parlare correttamente il francese. Tornato a Lecce, si dedicò all'insegnamento pubblico, nel R. Liceo Palmieri e nel Seminario diocesano, essendo stato ordinato sacerdote, dopo aver conseguito anche la laurea in Teologia. Tenne anche scuola nella suo casa leccese di Via Regina Isabella 20, dove con pochi mezzi era riuscito ad allestire un attrezzatissimo laboratorio, impiegando l'energia elettrica anche a molti ed utili e curiosi usi domestici. Intanto, all'Esposizione Internazionale di Parigi, nel 1867 - dove figura il Meteorografo del P. Angelo Secchi -, è presentata, ed ottiene una menzione onorevole, la Pila Candido, nata da una modifica della Pila Daniell, detta dal suo inventore pila a diaframma regolatore. Dopo la pila il Candido costruisce il pendolo elettromagnetico sessagesimale che, applicato agli orologi elettrici, oscillando mediante attrazione e repulsione elettromagnetica, batte esattamente i secondi. Ancora, mediante l'elettricità il Candido si mise nella condizione di dimostrare quelli che, nel 1603, erano stati per Galileo Galilei i problemi del moto lungo piani inclinati. Per risolvere questi problemi Galileo aveva studiato l'accelerazione. Era partito da un'idea, subito abbandonata, del Trecento, secondo la quale s'era pensato che nel moto lungo piani inclinati si verificassero piccoli scatti successivi, ciascuno dei quali dava impulso ad una velocità, che rimaneva uniforme fino al prossimo scatto ed era sempre superiore alla precedente. Nel 1604 Golileo trovò un sistema per calcolare le vere grandezze del l'accelerazione. Ne nacque, da parte del Candido, un saggio dal titolo Gravitò, Il piano inclinato elettrico o un'esperienza di Galilei resa evidente dalla elettricità? Una prima notizia degli orologi del Candido fu data, a Lecce, da "La Provincia", a. I, n° 6, 22 settembre 1872, con un lungo articolo, firmato da un altro scienziato, Cosimo De Giorgi, il quale affermava, citando lo stesso Candido, che gli orologi che costui andava allestendo erano "veri telegrafi elettrici, che dispensavano gratuitamente e simultaneamente, ci migliaia di cittadini, 1536 dispacci al giorno, per far sapere a ciascuno il suo momento di tempo ... ". Infatti, è già stata inaugurata sul baroccheggiante Sedile - il 9 ottobre del 1868 - la stazione centrale degli orologi elettrici. Da questa si spandono i comandi che raggiungono i quadranti degli altri orologi. Ed ecco i tempi di allestimento di questi: 5 gennaio 1870, entra in azione il quadrante elettrico del liceo Palmieri, nella Piazzetta degli Studi; 12 giugno 1870, entra in azione il quadrante nell'atrio della Prefettura, 19 ottobre 1870, comincia a funzionare la suoneria elettrica sistemato sulla facciata della Prefettura; 7 settembre 1872, sono attivati i due quadranti elettrici e la suoneria dello Spedale dello Spirito Santo, di fronte alla Chiesa del Rosario: 20 settembre 1874, è compiuta e messa in azione la suoneria elettrica sulla torre campanaria della Chiesa di S. Francesco, annessa al Liceo Palmieri e sotto il piano dell'Osservatorio Astronomico; 17 settembre 1884, è collocato il quadrante trasparente dell'orologio centrale di Piazza S. Oronzo. La parte meccanica del l'allestimento e della manutenzione degli orologi è affidata ad un solerte artigiano leccese, Cesare Macchia, debitamente istruito dal Candido. Come si vede, per l'installazione degli orologi elettrici del Candido, a Lecce, fu impiegato un periodo di ben diciannove anni e, particolare che va sottolineato, gli enti pubblici - Comune, Amministrazione Provinciale e Congregazione di Carità -non furono chiamati a sopportare alcuna spesa. Tanto che il Consiglio Comunale, essendo sindaco Michele Lupinacci, nella seduta del 30 maggio del 1870 deliberò che in onore del Candido fosse coniata una medaglia artistica d'oro con una iscrizione, nella quale fosse ricordato l'avvenimento che il Candido stava portando avanti. Ma, per varie ragioni, la deliberazione non ebbe seguito e toccò al successore dei Lupinacci, Giuseppe Pellegrino, nel 1899, rendere un riconoscimento all'illustre concittadino, facendo eseguire dallo scultore Antonio Di Laura un ritratto in bronzo del Candido, che fu sistemato nel giovane Museo Civico, allogato in quel tempo nel Sedile. Tenne, per l'occasione, l'orazione Cosimo De Giorgi, con il quale il Candido aveva sempre tenuto affettuosa ed intelligente corrispondenza, nel corso della quale i due scienziati s'erano scambiate idee ed impressioni intorno ai loro studi ed ai loro esperimenti (10). Con accenti commossi, ma obbiettivi, il De Giorgi ripercorse la vicenda esistenziale ed intellettuale del Candido, della cui produzione, copiosa e significativa, tracciò le linee fondamentali da servire a chi avesse voluto, in seguito, approfondire il discorso sullo scienziato leccese. Per questo, inoltre, il discorso dei De Giorgi, tenuto l'11 maggio del 1899 nell'Aula Magna dell'Istituto Tecnico di Lecce, ha il pregio d'essere molto documentato e ricco di sollecitazioni. Comunque, anche se il Candido è ricordato per gli orologi elettrici (e giustamente), va detto ancora che il suo fremente ingegno speculativo non s'indirizzò solo verso l'applicazione dell'elettricità alla misura del tempo. In altre direzioni, sempre nel campo del l'elettricità, egli ancora si mosse per le sue intuizioni, per le sue osservazioni. Per le quali è considerato come l'esponente di un movimento scientifico di livello nazionale ed internazionale. Tanto che il Gigli, citandolo dopo Giuseppe Battaglini, di Martina Franca, così s'esprime: "... E come dimenticare il pio Vescovo leccese, Giuseppe Candido? le sue applicazioni d'elettricità sono oramai conquista della scienza, che varca i ristretti confini di una provincia, e si spande pel mondo..." (11). Infatti, il Candido illustrò con brevi monografie - oltre che sul periodico "La Carità", italiano, sull'altro francese "Les Mondes" - le sue invenzioni, corredando i suoi discorsi, volta per volta, con illustrazioni e tavole estremamente perspicue. Ebbe, inoltre, varie onorificenze, tra le quali va ricordato l'attestato dalla Pontificia Accademia dei Nuovi Licei. Di questa fu nominato socio corrispondente, il 18 febbraio dei 1900, mentre la salute l'andava abbandonando ed egli rassegnatamente accettava il degrado fisico. Leone XIII lo aveva nominato, nel 1881, Vescovo titolare di Lampsaco e coadiutore del Vescovo di Nicastro. Diocesi che assunse nel 1882. Ma nel 1888 fu nominato Vescovo della Diocesi di Ischia, della quale prese possesso nell'agosto del 1889. Qui si rese benemerito per tutta una serie di iniziative, prese con lo scopo di migliorare i destini della diocesi. Sanò le piaghe prodotte dal terremoto del 1883, promosse il restauro dell'Episcopio e della Cattedrale, poi anche del Seminario, del quale, mediante una cura costante, incrementò gli studi, portandosi egli stesso in cattedra per insegnare la Matematica e la Fisica. Benemerito fu del Seminario, anche perché ebbe agio di applicare le sue vaste conoscenze scientifiche alla illuminazione interna ed esterna dell'edifizio. In seguito ad una grave malattia, rinunziò alla corica di Vescovo il 18 aprile del 1901. Morì ad Ischia il 4 luglio del 1906. (12)
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