Poco meno di un
anno fa, in occasione di una conferenza presso la Wharton School,
un economista di Wall Street distribuì un grafico che illustrava
le posizioni dei vari Paesi-chiave nelle diverse fasi dell'attuale
ciclo economico. In prima fila, figuravano gli Stati Uniti, con timidi
sintomi di una ripresa sostenuta. Nelle previsioni, la ripresa americana
sarebbe stata seguita da inversioni di tendenza apprezzabili in Canada,
Australia e Regno Unito. In posizione arretrata rispetto agli altri
raggruppamenti, Giappone, Germania e altri Paesi dell'Europa continentale,
peraltro non ancora entrati in piena recessione.
Nel frattempo, la ripresa americana ha perso vigore, sia pure senza
precipitare in una recessione-bis, e la gente, in molti Paesi, ha
cominciato a disperare che l'economia uscisse infine dal tunnel. Da
molti mesi, dunque, è in atto un rallentamento mondiale, mentre
altri Paesi registrano un calo del prodotto reale nazionale. Gli economisti,
dimentichi di quel grafico che illustrava chiaramente le sequenze
delle riprese, hanno cominciato a segnalare il pericolo di una crisi
economica su larga scala.
Negli Stati Uniti, invece, l'economia incomincia a dare nuovi segnali
di ripresa: le spese di consumo e l'edilizia abitativa hanno in qualche
modo reagito all'allentamento del credito deciso dalla Federal Reserve
a seguito del quadro venutosi a configurare nel dicembre scorso. All'orizzonte
si profila un modesto aumento dell'inflazione americana.
Canada e Regno Unito, inoltre, non sono riusciti a sostenere la ripresa
e dalla fine dell'anno scorso registrano un calo dell'economia.
Il quadro è ulteriormente complicato dal Giappone e dalla Germania,
le cui economie sono in netta flessione. I giapponesi parlano apertamente
di recessione, anche se le previsioni indicano un prodotto annuale
leggermente positivo. Il fatto è che la contrazione del prodotto
verificatasi nell'ultimo periodo è evidenziata solo dalle variazioni
dei dati trimestrali. In Giappone, poi, anche le condizioni del mercato
del lavoro danno segni di allentamento. La Germania, il cui prodotto
lordo è calato in due fasi successive, rifiuta ostinatamente
di parlare di recessione, probabilmente imbarazzata dalla tenacia
con cui persegue una rigida politica monetaria.

Tutti i Paesi europei ammettono visibilmente che le rispettive politiche
monetarie dovranno uniformarsi alle indicazioni di Berlino. Ora, non
c'è chi non veda come, fino a quando sarà la politica
monetaria tedesca a stabilire la rotta all'interno dei criteri-guida
previsti dal Sistema di tassi di cambio europeo, sarà impossibile
per Paesi che vogliano uscire dalla recessione, come la Gran Bretagna,
o per Paesi che vogliano contenere tendenze depressionarie, come Francia,
Italia, Spagna, varare misure monetarie significative.
Non si tratta, in questo caso, di coordinamento politico, ma di abdicazione
politica per tutti, ad eccezione della Germania. Ciò dovrebbe
indurre alcuni Paesi a ben ponderare l'opportunità di rinunciare
ad una parte della propria sovranità economica per aderire
ad una unione monetaria pienamente operante nello spirito dell'Europa
1992.
Persino Paesi all'esterno dei confini formali del Mercato Comune,
come Svizzera, Svezia e Finlandia, sono alle prese con la recessione,
incapaci di adottare contromisure efficaci e praticamente costretti
a seguire il leader europeo, perché tutti gli altri lo fanno
e loro non intendono essere emarginati.
Quali sono le prospettive dell'economia mondiale? Gli Stati Uniti
segnalano una modesta ripresa, ma la ricostruzione della Germania
dell'Est e dei Paesi dell'ex Patto di Varsavia pone una sfida formidabile
al progresso economico mondiale. i trasferimenti in atto ad Ovest
ad Est sono, in qualche caso, a spese dei Paesi in via di sviluppo.
E' probabile che il 1992 si riveli alla fine un anno mediocre per
il mondo intero, con delusione (quando si faranno i conti di questi
dodici mesi) di quanti si attendevano un rilancio alla vigilia del
Mercato unico.
Dalla Russia, intanto, continuano ad arrivare dati economici negativi:
il calo del 15-20 per cento registrato dal prodotto dello scorso anno
rappresenta una flessione formidabile da sopportare per qualunque
Paese. E un altro calo si preannuncia per il prossimo anno. Il Paese
dispone ancora di forniture di prodotti alimentari, ma il sistema
di distribuzione non è né equo né agevole. A
Mosca i giovani cercano di vendere prodotti semilussuosi o di cambiare
valuta e rifiutano il lavoro produttivo organizzato. Il morale degli
adulti è basso e la produttività ne risente. Può
darsi che il processo di riforma economica riesca a consolidarsi,
ma è difficile che all'orizzonte si profili una ripresa economica
prima del 1994 o del 1995.
Maggiori progressi si registrano negli ex Paesi satelliti, anche se
per nessuno di loro si può parlare di una fase di crescita
solida. La regione orientale tedesca, che ha beneficiato di massicci
trasferimenti dall'ex Germania Ovest, dovrebbe essere la prima ad
entrare in una ripresa che si annuncia apprezzabile già da
ora, visti i segnali incoraggianti che giungono. Per i prossimi mesi,
anche Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia (di più la Boemia,
di meno la Slovacchia, unite o divise che siano) potranno contare
su un miglioramento economico, malgrado le difficoltà incontrate
fino a questo momento. La cosiddetta "terapia shock" non
ha dato grossi risultati laddove è stata applicata (particolarmente
in Polonia). Come ha brillantemente sintetizzato un diplomatico cinese
nel corso di una recente riunione a New York: gli shock ci sono stati,
e sono stati molti; ma la terapia?
Il rallentamento che ha colpito i principali centri industriali del
Nordamerica, dell'Europa occidentale e del Giappone ha contagiato
il mondo in via di sviluppo, dove l'esportazione ha risentito della
debolezza economica dei Paesi avanzati. In America Latina e nell'area
del Pacifico, altre economie in crescita hanno invece continuato ad
espandersi e a migliorare le condizioni di vita. La Cina, in particolare,
se l'è cavata assai meglio dei suoi ex colleghi socialisti.
Altri rilanci economici potrebbero verificarsi quanto prima in Sudamerica
e nell'area del Pacifico.
A giudicare dall'attuale andamento dell'economia mondiale, le prossime
notizie favorevoli dovrebbero venire dagli Stati Uniti: la politica
di un anno elettorale si traduce sempre in un certo stimolo per l'economia.
Il che non è abbastanza per cinquanta o più economisti,
i quali con una lettera aperta inviata al Presidente hanno chiesto
l'adozione di misure di politica fiscale - finanziamento per le strutture
pubbliche oltremodo necessarie, investimenti pubblici a livello di
governo statale e locale - più un'agevolazione del credito.
Staremo a vedere quel che accadrà nei prossimi mesi.