Rebus sic stantibus,
il fenomeno della crescita demografica nei Paesi in via di sviluppo
par rappresentare il maggiore ostacolo allo sviluppo economico degli
stessi. E, al contempo, non si ritiene credibile come una strategia
di contenimento della crescita della popolazione possa in qualche
modo prescindere dall'adozione di strumenti di intervento economico
in grado di favorirne la realizzazione.
I neomalthusiani concorderebbero nel ritenere che detto binomio abbia
una sua valenza inconfutabile, laddove l'effetto depauperativo dell'incremento
demografico sulle risorse economiche è fenomeno viepiù
palese nelle realtà sottosviluppate o in via di sviluppo. I
dati in nostro possesso inducono a previsioni non certo ottimistiche
confortando sostanzialmente detta asserzione. La popolazione mondiale,
infatti, supererà molto presumibilmente la soglia del sesto
miliardo nell'anno 2000 (v. quadro), con un incremento di ben 900
milioni di individui in appena 10 anni: i Pvs registreranno il maggior
incremento (833 milioni), ovvero, in termini di tasso medio di variazione
annua, il 18,9 per mille, contro il 5,5 per mille nei Psa. Occorreranno
appena 25 anni perché la popolazione mondiale superi gli 8
miliardi di individui, con un incremento rispetto al 2000 di ben 2.177
milioni di unità, di cui 2.058 milioni solo nei Pvs. Di contro,
la crescita demografica sarà molto più lieve nei Psa,
che nello stesso periodo 2000-25 registreranno un tasso medio annuo
di variazione della popolazione del 3,6 per mille contro il 14,2 per
mille nei Pvs. A conti fatti, nel 2025, l'83,2% della popolazione
mondiale sarà concentrata nei Pvs contro il 16,8% nei Psa.
Tenendo, altresì, in considerazione che l'incremento demografico
nei Paesi in via di sviluppo si associa a un costante abbandono delle
aree rurali, alle migrazioni verso le grandi città, all'inurbamento
selvaggio, alla crescita dei settori informali e paralleli delle economie,
a forme indotte di inquinamento urbano e industriale, a sempre più
precarie condizioni igienico-sanitarie, all'insufficienza delle risorse
agricole, alla riduzione dell'offerta di manodopera nei settori agrari,
al degrado ambientale ("degrado ad avvio lento", condizionato
da forme critiche di interazione tra forze umane e risorse economiche
nel lungo periodo), alla progressiva riduzione delle riserve idriche
per l'aumento dei consumi d'acqua e della siccità (fenomeno
tipicamente africano), non possiamo che constatare quanto particolarmente
forte ed evidente sia il legame fra una crescita critica della popolazione
e le patologie di sistema (inteso come habitat umano).
Sembrerebbe, a ben vedere, un insieme di relazioni tra variabili di
natura diversa che, per semplicità concettuale ed empirica,
possiamo provare a enucleare in una identità causale del seguente
tipo: crescita demografica (CP) - involuzione economica (IE) - degrado
ambientale (DA). Variabili che, in termini di funzione, possiamo sostanzialmente
descrivere secondo le seguenti relazioni in un unico sistema:
Considerando, infatti che IE = f(CP) e DA = g(CP), in cui entrambe
le funzioni sono espresse in relazione alla variabile indipendente
(CP), e DA = h(IE), ne deriva che DA = i (CP; IE).

Non si ritiene, purtuttavia, che detta simbiosi corrisponda alla regola
ferrea di un generico modello di sviluppo terzomondista, sebbene ne
rappresenti un carattere fortemente distintivo; simbiosi le cui ragioni
sono sia di natura endogena (anomalie di sviluppo dei Pvs, specie
nel rapporto risorse umane/tecnologie) che di natura esogena (carenza
di freni correttivi ai modelli di sviluppo dei Psa, generanti segnatamente
squilibri concorrenziali e distributivi nei mercati mondiali).
I meccanismi riequilibratori dello sviluppo, attualmente funzionali
al divario di crescita economica tra Psa e Pvs, hanno denotato un'insufficiente
efficacia e una sostanziale fallacia valutativa, arenandosi spesso
in eccessi burocratici e presunzioni politiche. Una costante di questi
meccanismi è rappresentata, infatti, da giudizi di valore che,
informandosi ai rapporti di forza intercorrenti tra gli Stati membri
della Comunità internazionale, ne determinano sostanzialmente
le necessità fondamentali e le modalità di attuazione.
Queste ultime, pertanto, non possono che rispondere alla determinazione
impositiva dei Paesi erogatori - notoriamente i Psa - che detengono,
in virtù della propria capacità contributiva nelle stesse
organizzazioni internazionali (FMI, Banca Mondiale, etc.), posizioni
politiche e ragioni filosofiche di imperante rilievo operativo.
Le stesse raccomandazioni in materia di contenimento della crescita
demografica dell'Onu e della Banca mondiale - senza nulla togliere
alla loro obiettività e positività -risultano formulate
in termini "impositivi" di modelli comportamentali tipici
dei Paesi avanzati, ovvero di quei Paesi che sono riusciti a sperimentare
un "credibile" modello di sviluppo a crescita demografica
contenuta e benessere economico sostenuto. Gli elementi che, tuttavia,
vengono in rilievo sono costituiti tanto da una non sempre ottimale
valutazione delle diversità fra i modelli a confronto, quanto
da una esasperata applicazione degli approcci normativi "avanzati",
trascurando, difatti e molto spesso, i profili culturali e sociali
che contraddistinguono i Pvs. La diversa propensione a procreare,
le cui implicazioni fondamentali sono sì legate a un diverso
status socio-economico, ma anche a componenti di altra natura, quali
l'identità religiosa, l'appartenenza culturale, il tessuto
sociale primordiale, gli atteggiamenti psicologici individuali e collettivi,
senza trascurare le caratteristiche geo-economiche del territorio,
quali la natura geografica, le dimensioni, la fertilità, etc.
Di fronte a ciò, i Paesi a sviluppo avanzato non possono limitarsi
all'adozione di strategie d'azione o alla continua elaborazione di
linee di pensiero che assumono la "positività" sperimentata
dei propri modelli come elemento di valutazione delle esigenze da
affrontare nei Paesi meno avanzati.
Cionondimeno, le linee di condotta di quelle che possiamo definire
"strategie dello sviluppo" devono ispirarsi a obiettivi
di "ottimalità" delle scelte, ciò significando
che le politiche demografiche nei Pvs potranno svolgersi sulla base
di valori di riferimento rivelatisi o rivelantisi positivi, ovvero
indicativi di uno sviluppo sostenibile. L'ottimalità dovrà
misurarsi in termini reali, tenendo conto cioè di uno scenario
globale, in cui le variabili demografiche tanto nei Pvs che nei Psa
non hanno finora mostrato di interagire con quelle economiche e ambientali
onde garantire un corretto equilibrio popolazione-risorse-ambiente.
Le difficoltà di interazione potranno, perciò, essere
meglio affrontate secondo un approccio sistemico, contemperando tanto
negli uni quanto negli altri le insopprimibili esigenze legate alla
tutela dell'ambiente e alla connessa capacità di garantire
la disponibilità di risorse per le generazioni future.
Ottimalità e globalità, ovvero sviluppo sostenibile
e concertazione delle scelte: rispetto delle esigenze di identità
e di espressione socio-culturale come via ottimale nella ricerca e
nella realizzazione in termini di corretta efficienza delle reciproche
potenzialità di sviluppo dei Paesi meno e più avanzati.
Sarà questo il binomio della crescita degli anni 2000?