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Strafexpedition |
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Ada
Provenzano, Giorgia Cordier, Bruno A. Cordero
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"L'impiego
dell'artiglieria austriaca in questa offensiva è gigantesco.
Un uragano di proiettili di tutti i calibri si abbatte senza interruzione
sulle nostre linee dalla notte scorsa. Sono più di duemila bocche
da fuoco che sopra un fronte di una quarantina di chilometri danno l'assalto
alla nostra muraglia, che battono alle porte d'Italia per aprire un
varco alla truppa": così scriveva Arnaldo Fraccaroli, uno
dei più celebri cronisti della Grande Guerra, parlando del grande
attacco scatenato dall'esercito austriaco tra la valle dell'Adige e
quella del Brenta nella tarda primavera del 1916. Poco meno di ottantadue
anni fa iniziava la Strafexpedition, la "Spedizione punitiva"
lanciata dalla monarchia absburgica contro l'Italia traditrice che,
voltate le spalle alla Triplice Alleanza, nella guerra contro Vienna
si era schierata al fianco della Francia, della Russia e dell'Inghil-terra.
Fu la più grande battaglia di montagna di tutti i tempi: combattuta
per due mesi, considerando anche il successivo contrattacco italiano,
tra il Pasubio e l'Altopiano di Asiago, da soldati e ufficiali ancora
nel pieno delle energie, non ancora frustrati né stremati dalla
logorante guerra di posizione che poi avrebbe caratterizzato il primo
conflitto mondiale.
Fu anche una dura lezione per il nostro Comando Supremo. Solo per un soffio le truppe di Cadorna riuscirono a bloccare sulle Prealpi vicentine la poderosa offensiva nemica, che, in caso di successo, avrebbe consentito all'esercito imperiale di penetrare nella pianura veneta, aggirando il grosso del nostro esercito, attestato sulle rive dell'Isonzo. Tagliate fuori, accerchiate e senza rifornimenti, le armate dei Savoia si sarebbero trovate sotto scacco. E, con esse, l'intero Paese. Per questa ragione la Strafexpedition rappresenta, insieme con lo sfondamento di Caporetto, un momento cruciale della guerra. "L'Italia - scrisse dieci anni dopo il generale Pompilio Schiarini, storico della Prima Armata, che subì l'impatto frontale dell'esercito austriaco - corse in quella tempestosa primavera un pericolo mortale, al pari e forse più di quello corso nell'autunno 1917". Fu i1 Capo di Stato Maggiore dell'esercito absburgico, il feldmaresciallo Franz Conrad von Hötzendorf, implacabile nemico dell'Italia, a volere a tutti i costi la Spedizione punitiva, che agognava sin dai tempi in cui era un semplice tenente. Ma dopo il 24 maggio del '15 quell'idea era diventata per costui un'ossessione. Bisognava impartire una severa lezione all'Italia, "nemica fedifraga", sferrando una massiccia offensiva contro le difese italiane sull'Altopiano di Asiago, per sfociare in pianura con un'imponente massa d'urto di uomini e di mezzi lungo le direttrici Schio-Thiene-Bassano. Nel dicembre 1915 Conrad comincia a preparare operativamente la Strafexpedition. Ma il Capo di Stato Maggiore tedesco, Eric von Falkenhayn, dopo settimane di febbrili discussioni con i comandi austro-ungarici, che confidano pienamente nel sostegno del potente alleato, boccia il piano. In quel secondo inverno di guerra, infatti, egli ha ben altro in cima ai suoi pensieri: la grande offensiva contro la piazzaforte di Verdun, che la Germania lancerà il 21 febbraio 1916, con l'obiettivo di imprimere una svolta decisiva alla guerra sul fronte occidentale. Conrad, testardo, decide di andare avanti da solo. Dapprima strappa l'approvazione di Francesco Giuseppe. Lo stesso anziano imperatore confiderà in quei giorni al suo aiutante di campo: "Mi sono deciso a stento, perché sono certo che non andremo molto lontano". Poi fissa le direttive della grande offensiva: alleggerimento di truppe dal fronte orientale, da destinare alle due armate dell'Arciduca Eugenio, cui viene affidato il comando delle operazioni, e massiccio trasferimento di artiglieria dietro gli altipiani del Sud Tirolo. Tutto deve essere pronto per metà aprile. Ma la neve e il maltempo costringono Conrad a rinviare l'attacco di un mese: un imprevisto che contribuirà in modo determinante al fallimento della Strafexpedition. E gli italiani? Concentrati sul fronte Giulia, dove Cadorna a metà marzo, su richiesta dei francesi, duramente ingaggiati a Verdun, dà inizio alla quinta battaglia dell'Isonzo, sembrano ignorare le nubi minacciose che si vanno addensando sul saliente trentino. D'altronde, lo stesso Stato Maggiore italiano, in perfetta sintonia con von Falkenhayn, esclude categoricamente la possibilità di un attacco sulle Prealpi vicentine. Sta di fatto che l'esercito italiano si presenta all'appuntamento col nemico nella stessa situazione di confusione tattica e strategica che, diciassette mesi dopo, risulterà fatale nella rotta di Caporetto. Le nostre difese sono scarse e male organizzate, disposte su una linea troppo avanzata e priva di efficaci capisaldi, insufficienti a contenere la valanga di ferro e di fuoco che gli austriaci si preparano a scaricare tra Adige e Brenta, forti di una schiacciante superiorità di artiglieria e di un inequivocabile vantaggio numerico. In più, l'esercito imperiale ha dalla sua l'effetto sorpresa. L'ineffabile Cadorna se ne rende conto di persona soltanto a metà aprile, quando va in ricognizione sull'Altopiano. Ma non ordina la rettifica del fronte difensivo su posizioni più idonee a reggere l'urto con l'esercito imperiale. Urto che appare quanto mai certo il 26 aprile, quando un ufficiale ceco disertore rivela l'esistenza di un'offensiva imminente, la Strafexpedition appunto, di cui i comandi italiani sentono parlare per la prima volta. Al generale Alberto Brusati, comandante della Prima Armata, non resta che chiedere rinforzi. Mal gliene incoglie: 1'8 maggio, con uno dei suoi tipici colpi di testa, Cadorna decide di silurarlo e di sostituirlo col generale Guglielmo Pecori Giraldi. Una settimana dopo si scatena l'inferno. Conrad lancia all'assalto il fior fiore dell'esercito imperiale. All'alba del 15 maggio, dopo ore di preparazione di fuoco d'artiglieria, che distrugge e annichilisce le difese italiane, i reparti scelti di Kaiserjäger e le truppe di montagna di Landeschützen attaccano tra Rovereto e il margine occidentale dell'altopiano di Folgaria. Obiettivo: forzare le posizioni nell'Alta Val d'Astico e aprirsi la via verso Schio e Thiene. Questione di ore, e il Comando Supremo austro-ungarico avvia anche la "fase due" della manovra a tenaglia, per scardinare l'impianto difensivo italiano: l'offensiva contro il margine settentrionale dell'Altopiano di Asiago, tra Cima Portule e la Valsugana, in direzione di Bassano. La sorpresa è grande, l'impatto travolgente. Superate agevolmente le prime linee, sconvolte dai bombardamenti e con le trincee traboccanti di cadaveri, gli austriaci dilagano, conquistano Asiago e Arsiero, si insediano su cime di grande importanza strategica, dalle quali l'artiglieria può battere a vista le nostre linee arretrate. A Cadorna resta da giocare una sola carta: spostare il più rapidamente possibile parte delle forze concentrate in Friuli sul fronte trentino. Dal 17 maggio al 22 giugno la pianura alle spalle dell'acrocoro si trova avvolta costantemente in una gigantesca nuvola di polvere, sollevata dal vorticoso movimento di treni e di camion, che nell'arco di un mese trasferiscono dall'Isonzo agli altipiani 540 mila soldati, 74 mila quadrupedi, 34 mila carri e oltre 800 pezzi d'artiglieria. Grazie all'immane sforzo logistico, l'equilibrio con le forze imperiali viene ristabilito, consentendo a Cadorna di bloccare l'avanzata nemica quando dall'alto dei monti le truppe austro-ungariche scorgono ormai i campanili delle città venete. In quel momento, ricorderà in seguito Conrad, l'Italia era "un naufrago aggrappato con le mani a una tavola di salvezza, al quale sarebbe bastato mozzare d'un colpo le dita per farlo precipitare nei flutti". Ma l'Italia resta a galla anche grazie a due circostanze concomitanti. Da un lato, lo sfondamento in profondità ha allungato eccessivamente le linee absburgiche, ora su posizioni troppo avanzate, su un terreno impervio, quasi totalmente privo d'acqua e difficile da rifornire per la mancanza di strade. Ma, soprattutto, il massiccio attacco russo sferrato il 4 giugno dal generale Brussilov in Bucovina e nella Galizia costringe Conrad a spostare improvvisamente ingenti forze dal Sud Tirolo e dall'Isonzo sul fronte orientale. Così, il 16 giugno, dopo aver tentato vanamente l'ultimo colpo di coda per forzare le difese italiane in Val d'Astico, il Comando Supremo austriaco ordina all'Arciduca Eugenio di arrestare l'offensiva. Nello stesso tempo dispone il ripiegamento del fronte sul fortissimo bastione difensivo Pasubio-Monte Cimone-Val d'Assa-Monte Interrotto-Zebio-Ortiga-ra: un bastione contro il quale, dopo la controffensiva di giugno e di luglio, che consente a Cadorna di riconquistare Asiago rasa al suolo e qualche chilometro di fronte, gli italiani cozzeranno senza successo fino alla ritirata sul Piave del novembre 1917. Sulla Strafexpedition cala il sipario. Terminava così quella violentissima battaglia che, tra maggio e luglio del '16, vide protagonisti quasi un milione di uomini che per la prima volta nella storia combatterono tra le vette, contendendosi cime, passi montani, valli e alpeggi secondo i criteri della moderna guerra di movimento. Un grande conflitto di manovra, che mise fuori combattimento 230 mila soldati - 147 mila italiani e 83 mila austro-ungarici - tra morti, dispersi e prigionieri nell'offensiva absburgica e nel successivo contrattacco italiano. "Il nostro inseguimento era dunque finito - racconta Emilio Lussu in Un anno sull'Altipiano. Il nemico si era definitivamente fermato. Non vi potevano essere dubbi. Gli austriaci [...] dall'offensiva erano passati alla difensiva. Ora non si sarebbe più trattato di combattimenti di pattuglie e d'avanguardie. Una nuova fase cominciava. Fase di battaglie di masse sostenute dall'artiglieria. Ciò avrebbe richiesto del tempo [...]". La Grande Guerra d'Italia tornava nel fango delle trincee.
A sud della vecchia
linea di confine tra il Regno e l'Impero ora come allora c'è
"la piccola Svizzera d'Italia": così Giovanni Papini
ha chiamato l'Altipiano dei Sette Comuni, millenaria patria (hoam)
dei montanari Cimbri, i quali ancora alla fine dell'800 si battevano
contro la strada del Costo, che dalla pianura vicentina avrebbe spazzato,
assieme alla guerra, la civiltà orgogliosa delle Regole boschive
e pastorali. A nord si stende un'altra verdissima "terra alta",
quella di Lavarone e Folgaria, sopra Trento. Là, negli anni
Dieci, poco prima della Grande Guerra, villeggiava Sigmund Freud,
l'ascoltatore degli impulsi nascosti che avrebbero portato all'autodistruzione
dell'Austra Felix e della grande borghesia europea.
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