Mentre l'economia
e il mercato
cercano a tutti i costi gli immigrati,
la società
non li ama.
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Gli stranieri finiranno per cambiare il volto del nostro Paese?
C’è chi lo pensa. Di fatto, sono sempre di più
gli immigrati in Italia: aumentano gli arrivi, grazie alle norme
sui ricongiungimenti familiari, ma sono le nascite il fenomeno che
registra la maggiore espansione. Gli immigrati sono cresciuti nel
giro di un anno del 13,8 per cento, e del 23 per cento per quanto
riguarda i soli minorenni. Le nascite, nello stesso periodo, sono
state 21.175.
Secondo i dati dell’Istat, nell’ultimo decennio il numero
degli immigrati è passato da 800 mila a oltre un milione
270 mila: oggi gli uomini, che sono 690.236, superano di poco le
donne, che sono 580.317. Ci sono poi quasi 230 mila bambini e ragazzi
fino ai diciotto anni, che rappresentano il 18,1 per cento della
popolazione di immigrati residenti. Sono aumentati anche i decessi:
1.929, oltre il 10 per cento in più rispetto al periodo precedente.
Ed è grazie agli immigrati se la popolazione italiana ha
registrato un seppur modesto 1 per cento di incremento.
Nonostante l’aumento delle presenze, per numero complessivo
di immigrati l’Italia resta in fondo alla classifica europea:
il 2,2 per cento sul totale della popolazione (era l’1,7 per
cento nel periodo precedente), che è molto lontano dal 9
per cento del Belgio e della Germania e in parte anche dal 3 per
cento dell’Irlanda.
E’ il Nord-Ovest, col suo tessuto connettivo industriale, ad
attirare il maggior numero di stranieri: opera fra la Lombardia,
il Piemonte e la Liguria il 33,1 per cento degli immigrati, mentre
un altro 22 per cento è assorbito dalle aree del Nord-Est.
Numerose (28,6 per cento) le presenze anche nelle regioni centrali,
mentre nelle regioni del Mezzogiorno vivono soltanto sedici stranieri
su cento. Secondo i ricercatori Istat, fra gli immigrati si sta
ripetendo il fenomeno che caratterizzò l’Italia degli
Anni Cinquanta, quello della migrazione interna dal Sud verso le
aree industriali del settentrione. Nel 1999, su mille stranieri
già residenti nella Penisola, 21 si sono trasferiti nelle
regioni nord-orientali, mentre altri 10,8 hanno scelto il Nord-Ovest.
Gli immigrati preferiscono in genere i comuni piccoli, dove la vita
è più tranquilla e magari meno costosa. Sempre secondo
gli esperti, si tratta di una tendenza in aumento, anche se il 46,6
per cento degli stranieri continua ad abitare nei comuni capoluogo,
dove vive soltanto un terzo dell’intera popolazione.
Ma se molti stranieri in Italia hanno trovato una relativa tranquillità,
molti altri premono per trasferirsi definitivamente. Ed è
a questo punto che emergono le zone d’ombra. Infatti, i dati
dell’Istat si riferiscono agli immigrati in regola con i permessi
di soggiorno, i quali hanno colmato nello spazio di un mattino le
63 mila caselle previste per l’intero 2000. Ma secondo l’Osservatorio
di Milano almeno 180 mila altri immigrati vivono in clandestinità,
dislocati in modo particolare nelle grandi aree urbane: 30 mila
a Roma, 20 mila a Milano, altri 20 mila a Napoli e a Torino. E non
si tratta solo di manovalanza generica. In non pochi casi si scoprono
ingegneri meccanici, operai siderurgici, ma anche specialisti nella
lavorazione artigianale del cuoio o del legno o dei metalli preziosi,
come l’oro e l’argento, oltre che delle pietre dure e
pregiate.
Percentuale di
immigrati
sul totale della popolazione
|
|
Germania |
9,0% |
|
Belgio |
9,0% |
|
Irlanda |
3,0% |
|
Italia |
1,7% |
|
Grecia |
1,6% |
|
Spagna |
1,6% |
|
Finlandia |
1,5% |
Dal Mezzogiorno sempre più povero rispetto al resto d’Italia
per le occasioni di lavoro regolare gli immigrati si spostano verso
le terre settentrionali ormai prossime alla piena occupazione. Ed
è così che per molti stranieri le regioni meridionali
rappresentano una specie di limbo, di luogo di attesa nel percorso
che dalla clandestinità li può portare, magari di
sanatoria in sanatoria, verso l’ambita regolarizzazione. Il
passaporto è necessario per poter rispondere positivamente
alle offerte di impiego sempre più pressanti che provengono
da numerose imprese del Nord e in particolare del Nord-Est.
Analogamente, vediamo crescere in maniera esponenziale il numero
dei bambini immigrati nelle scuole del Settentrione. Nel nostro
Paese, pur essendo inferiori di numero rispetto ad altri Stati europei,
gli immigrati sono sopraggiunti in un arco di tempo assai ristretto
e si stanno insediando a gran velocità. Non c’è
dubbio che proprio questa dinamica possa essere alla base, almeno
in parte, dell’angosciosa contraddizione nella quale si dibatte
una parte crescente della nostra pubblica opinione. L’evidenza
dei fatti è difficile da cancellare: mentre l’economia
e il mercato cercano a tutti i costi gli immigrati, la società
non li ama. In molti casi li teme, e addirittura li rifiuta. Un
paradosso reso ancora più inquietante dal fatto che se fino
a ieri si riteneva che questo tipo di conflitti fosse dovuto alla
competizione tra immigrati e nazionali per la spartizione di risorse
scarse (la cosiddetta “guerra tra poveri”), oggi vediamo
invece che questi esplodono più sordi e pericolosi proprio
nelle aree di maggiore ricchezza e di indiscutibile opulenza. Ciò,
soprattutto nelle aree più produttive del Centro-Nord, nelle
quali alcuni vorrebbero che gli immigrati esistessero soltanto nei
luoghi di lavoro e mai fuori dell’orario di produzione. Essi
dovrebbero lavorare, ma al tempo stesso non esistere!
La verità – è stato notato – è che
l’Italia in passato ha sofferto a lungo di una scarsa capacità
di governo delle istituzioni e di molta ideologia degli attori politici,
e solo da poco ha trovato il passo e l’autorità giusti
per cominciare a mettere un po’ di ordine e ad usare la necessaria
severità di fronte ad un fenomeno che ha rischiato più
volte di finire fuori controllo.
GLI SCENARI POSSIBILI
|
Anno
|
Totale
immigrati
|
% sulla
popolazione
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2000
|
1.270.000
|
2,2
|
2007
|
1,9 - 2,5 milioni
|
3,2 - 4,2
|
2017
|
2,6 - 3,5 milioni
|
4,5 - 6,2
|
• Il prossimo decennio. Continuerà l’afflusso
di immigrati dagli attuali Paesi d’origine, soprattutto
dall’area mediterranea.
• Dal 2010 al 2020. E’ attesa una crescita della
pressione migratoria da parte dell’Africa subsahariana.
•I trend discendenti. Riguardano quelle zone nelle quali
si assisterà a un calo della popolazione giovane: Europa
dell’Est, Africa del Nord e Medio Oriente.
Fonte: Ministero Affari Sociali - Istat.
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In sintesi: l’immigrazione, lentamente ma inesorabilmente,
sta cambiando l’Italia assai più velocemente e in profondità
di quanto fino a ieri soltanto si potesse persino immaginare. I
dati rivelano che un segmento crescente della nostra popolazione
è formato, e sempre più lo sarà, da coloro
i quali hanno deciso di lasciare la propria terra per cercare da
noi un futuro migliore per sé e per i propri figli.
Di fronte a un Paese che invecchia e che non vuole o non sa più
fare figli, l’immigrazione funziona dunque come un possente
meccanismo di riequilibrio esistenziale: una sorta di assicurazione
sulla vita per l’Italia del terzo millennio.
Analizzando le statistiche, colpisce la conferma del paradigma,
ben noto agli esperti, in base al quale l’immigrazione, da
noi come altrove, funziona come una cartina di tornasole dei vizi
e delle virtù di una nazione. Si limita ad esaltarne i pre-esistenti
tratti economici, culturali, istituzionali. Così, osserviamo
con curiosità che, in base ai dati riguardanti i saldi immigratori
interni, anche per l’immigrazione straniera si sta mettendo
in moto un fenomeno già sperimentato dall’immigrazione
nazionale durante il “boom” del secondo dopoguerra: i
viaggi unidirezionali dal Sud verso il Nord, dal “contenitore”
iniziale del Mezzogiorno alla diaspora verso le zone ricche del
Paese e verso l’Europa.
Ma quali sono le comunità più numerose, per unità
regolarizzate? Queste, le cifre dei primi dieci Paesi di provenienza:
Marocco |
146.491
|
Albania |
115.755
|
Filippine |
61.004
|
Jugoslavia |
54.698
|
Romania |
51.620
|
Stati Uniti |
47.568
|
Cina |
47.108
|
Tunisia |
44.044
|
Senegal |
37.143
|
Germania |
35.372
|
Diverso il discorso su curdi, afghani, iraniani, iracheni, che
fuggono da zone di guerra (o di guerriglia) e da regimi dispotici,
e pertanto rientrano tra gli esuli che chiedono asilo politico.
Per quanto riguarda gli afflussi di cinesi, il problema si complica:
per molti versi, infatti, si tratta di esponenti delle “triadi”,
le mafie cinesi, di Canton e di Hong Kong, che sfruttano il lavoro
nero. Migliaia di elementi si sono ammassati nelle aree dell’ex
Jugoslavia, e in gruppi consistenti raggiungono il nostro Paese,
(soprattutto le città di Roma e Milano e i loro hinterland),
dove nessun cinese muore mai: nel senso che i documenti (generalmente
falsificati) di un defunto passano ad un altro clandestino, con
nome e cognome praticamente perpetuato.
Ma se i rapporti con l’ex Jugoslavia rimangono difficili per
l’Italia e per l’Europa, altra piega dovrebbero prendere
i dialoghi con la Grecia, con la Turchia e con l’Albania. Atene
e Ankara non hanno intenzione di collaborare con Roma, malgrado
i buoni propositi pubblicamente espressi, sicché dai porti
greco-turchi continuano a salpare i bastimenti, le carrette e le
mezze bare galleggianti che poi raggiungono le coste pugliesi e
calabresi. Le mafie di Valona e di Durazzo, inoltre, malgrado la
vigilanza italiana, continuano a trasferire in Italia clandestini,
armi e droga. Si è recentemente scoperto che i clan albanesi
sono in grado di raffinare l’eroina a seconda del mercato europeo
cui è destinata. Non per niente la cupola schipetara fornisce
gratuitamente alcuni clan italiani, per agevolare le connivenze,
mentre tratta direttamente con le mafie turca e colombiana per l’acquisto
delle materie prime, eroina e cocaina, che, una volta lavorate,
giungono nel nostro Paese, sono distribuite in Europa e affidate
a manovalanze tedesca, svizzera, francese, terzomondista.
Al di là, comunque, di questi fenomeni patologici, che mettono
in allarme la società, la radiografia dell’immigrazione
regolare vede scaglioni di crescita molto diversi: se le comunità
marocchina e filippina sono ormai tendenzialmente stabili e quella
tunisina sta addirittura decrescendo, la comunità rumena
supera tutte le altre quanto a tasso d’incremento (‘99
rispetto al ‘98): 65,5 per cento. Seguono gli immigrati provenienti
dall’ex Jugoslavia (col 59,3 per cento), dall’Albania
(50,5 per cento) e proprio dalla Cina (47,4 per cento).
Ma che cosa fanno gli altri Paesi per fermare i clandestini e per
tenere sotto controllo l’immigrazione? A quali mezzi o sistemi
fanno ricorso?
Prendiamo l’esempio della Spagna. In gergo militare si chiama
“Sive”, Servizio integrale di vigilanza esterna. E’
un gigantesco “grande fratello anti-immigrati” impenetrabile,
il più tecnologicamente sofisticato del mondo, che blinda
coste per centinaia di chilometri, quasi tutte quelle della meridionale
Andalusia e l’intero arcipelago africano delle Canarie. La
“impermeabilizzazione” sarà completata entro il
2002, con un costo di 300 miliardi. E’ affidata alla Guardia
Civil, corrispondente ai nostri carabinieri. Il “muro elettronico”,
che funziona in tempo reale, non è stato scelto a caso: nei
primi sei mesi di quest’anno, in quel braccio di 12 chilometri
che separa l’Africa dall’Europa, sono stati catturati
600 “ilegales” tra marocchini e sub-sahariani. 50 mila
i rimpatriati dalla Spagna nel ‘99.
Il muro elettronico si basa su tre punti: la “presenza anticipata”,
cioè il superamento del concetto tradizionale di vigilanza
dalla linea della costa; l’ “avvistamento precoce”,
con una zona cuscinetto sottomessa a vigilanza permanente per l’intervento
immediato delle unità di intercettazione sulle coste; il
Centro Operativo di Comando (Cos), che coordina tutto il “Sive”.
La novità del Big Brother consiste nel combinare in un unico
sistema di avvistamento sia sensori termici radar che individuano
il calore di due corpi umani in uno scafo di sei metri per due ad
una distanza di 10 chilometri dalla costa (meno della lunghezza
delle “Colonne d’Ercole”) sia videocamere a raggi
infrarossi infallibili fino a 5 chilometri. Ambedue sono installate
su gigantesche torri d’acciaio, ma anche su elicotteri e camion.
I dati di avvistamento giungono al Cos, che fa intervenire subito
le teste di cuoio della Guardia Civil con unità elicotteristiche,
aeree, terrestri. Per i clandestini, il sogno dell’Eldorado
finisce così prima ancora di cominciare. A regioni come la
Catalogna, che intendevano gestire in proprio il fenomeno clandestini,
è stato risposto picche: il problema è di competenza
del governo centrale.
Passiamo alla Germania. Subito dopo la caduta del Muro, quando
attraverso il confine con la Polonia e con la Cecoslovacchia entravano
in territorio tedesco centinaia di migliaia di clandestini l’anno,
il governo pensò di costruire un “muro elettronico”
lungo la linea di frontiera Oder-Neisse, facendo ricorso ai più
sofisticati strumenti dell’esercito, dai sensori elettronici
ai radar, agli apparecchi a raggi infrarossi per la visione notturna.
Obiettivo: migliorare la localizzazione dei clandestini, che bande
di spregiudicati contrabbandieri facevano entrare in Germania a
prezzi astronomici.
Il governo annunciò anche l’introduzione di un “passaporto
biometrico”, da estendere a tutti i cittadini dell’Unione
europea, che alcune forze politiche definirono «l’avanguardia
di un nuovo sistema di apartheid che dalla Germania contagerà
tutta l’Europa di Schengen», ma che secondo le autorità
germaniche doveva essere, al contrario, una garanzia in più
contro un flusso di clandestini capace di porre gravissimi problemi
sociali alla giovane Germania riunificata e cerniera della nuova
Europa: una sorta di “chiave elettronica” grande quanto
una carta di credito, nella quale memorizzare i dati personali.
Un sensore ottico avrebbe dovuto leggere (sul dito o sul palmo della
mano) i dati biometrici della persona in possesso della scheda.
Solo la perfetta concordanza con i dati memorizzati avrebbe consentito
l’ingresso.
Di questi progetti è rimasto poco: lungo la frontiera Oder-Neisse
sono stati rafforzati i controlli, ma solo grazie all’aumento
delle guardie di confine e all’introduzione dei raggi infrarossi
per la visione notturna. Molti di questi apparecchi sono montati
su elicotteri che, 24 ore su 24, pattugliano i confini orientali
della Repubblica. I risultati sembrano essere soddisfacenti: negli
ultimi tre anni il numero dei clandestini si è ridotto della
metà, anche se operano ancora bande – soprattutto russe
e polacche – specializzate nel trasporto di persone.
I timori tedeschi sono cresciuti con l’avvio del Trattato di
Schengen, e soprattutto dopo la crisi curda esplosa nel ‘97
con lo sbarco in Italia di migliaia di profughi, la maggior parte
dei quali si dirige poi verso la Germania.
Gli Stati Uniti, infine. Una volta si pattugliavano con le jeep
le colline al confine tra San Diego e Tijuana, all’altezza
della Imperial Beach, perché ogni giorno, all’imbrunire,
migliaia di messicani, salvadoregni e guatemaltechi vi si raccoglievano
dietro un reticolato pieno di buchi. C’erano uomini e vecchi,
donne e bambini, rivenditori di tacos e di mariaquis, che suonavano.
Poi calava il buio, e a migliaia iniziavano la pazza corsa verso
“el Norte”, tentavano di entrare illegalmente negli Stati
Uniti. Ogni notte erano migliaia di arresti, ma un numero più
elevato di illegali riusciva a farla franca. E gli arresti in realtà
non arrestavano nessuno: gli “ileegal aliens” venivano
ricondotti oltre il confine e la sera seguente ci riprovavano.
Ma dal ‘95 le cose sono cambiate. La Border Patrol, polizia
di frontiera, ha avviato la “Operation Gatekeeper” e cinque
anni dopo il numero dei suoi agenti è raddoppiato, da 4 mila
a 8 mila. Il reticolato tutto bucherellato è diventato un
muro doppio di metallo alto tre metri. Circa duecento metri di terra
di nessuno sono stati illuminati come uno stadio e ovunque si sono
disseminati telecamere e sensori elettronici che rilevano rumori
e calore. I mille arresti per notte sono diventati una quarantina.
Almeno su questo versante il successo non è mancato.
Ma se il tratto di frontiera col Messico attorno a San Diego è
sotto controllo, le misure adottate da queste parti hanno finito
con lo spostare il problema nelle montagne più ad Est e poi
lungo il confine con l’Arizona, il New Mexico e il Texas: circa
quattromila chilometri di frontiera lungo i quali l’immigrazione
continua come prima, più di prima. Nei cinque anni precedenti
la “Operation Gatekeeper” c’erano stati 5,7 milioni
di arresti; nei cinque anni successivi il numero è salito
a 7,2.
E ci sono morti tragiche. Per entrare illegalmente negli Usa, da
queste parti, non basta più una corsa di un centinaio di
metri nel mezzo della notte. Occorre affrontare fiumi, deserti,
banditi. Nei primi sei mesi del 2000, mentre il mondo strizzava
lacrime per la soap opera di Elian Gonzales, il bambino cubano immigrato
illegalmente in America, e poi restituito, sono morte drammaticamente
lungo il confine con il Messico 200 persone. Sulla stampa e in tv,
silenzio di piombo.
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