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            Quel che colpisce nella Mosca doggi 
              è, almeno per quel 
              che è visibile  
              e percepibile, uno spaventoso vuoto culturale. 
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             Un mio recente soggiorno a Mosca  vi mancavo da circa dieci 
              anni  con giornate intense, (colloqui, visite, un vasto giro 
              insomma, tesi a capire e a scoprire che cosa cè di 
              nuovo nella politica e nella società), mi induce a fermare 
              su carta impressioni e osservazioni per aiutare a capire la nuova 
              Russia. 
              Ho rivisitato Mosca il più possibile in lungo e in largo, 
              di giorno e di notte, dal Cremlino allArbat, il vecchio quartiere 
              popolare dove ci sono ancora alcune case di legno e ricordi di una 
              gloria artistico-letteraria e di una vitalità sociale ormai 
              sopite. Sono stato in chiese, musei, ho rivisto la mummia di Lenin 
              e la tomba di Stalin nella Piazza Rossa, ho conversato a lungo con 
              professori universitari, operatori turistici, due o tre piccoli 
              operatori economici, qualche diplomatico, con italiani residenti 
              a Mosca, alcuni da molti anni. 
              Avevo programmato di saggiare quanto cè di nuovo, dieci 
              anni dopo. Il passato è sempre lì, pesa sul presente 
              e forse peserà ancora molto sul futuro. Mosca appare oggi 
              il centro della convulsione, della disgregazione e della disperazione 
              di un grande Paese che vede ridotto del cinquanta per cento il proprio 
              tenore di vita, con salari che sì e no superano le centomila 
              lire al mese, pensioni che sono sì e no la metà, la 
              maggior parte delle dimore al freddo, tanto accattonaggio, centinaia 
              di ragazze che si prostituiscono e sono, si può dire, schiave 
              di boss mafiosi, professori universitari che si adattano a servizi 
              umilianti, persone colte e di libero pensiero costrette a sperare 
              che Putin, ex capo del Kgb, dia una svolta autoritaria al potere 
              politico, perché solo così si può ipotizzare 
              una ripresa istituzionale capace di ridare qualche certezza. 
            La Russia sta attraversando una crisi gigantesca sotto tutti gli 
              aspetti: politici, economici, militari, strutturali, culturali e 
              morali. Forse non basterà una generazione per superarla. 
              Lex impero russo è entrato nel terzo millennio con 
              un volto altamente drammatico: le istituzioni sono in dissoluzione 
              e impotenti (i poteri regionali spesso rifiutano collegamenti col 
              potere centrale); le forze armate, in fase di smantellamento, è 
              come se non esistessero, tranne alcuni corpi speciali, come quelli 
              utilizzati in Cecenia o addetti alle strutture di potere (Cremlino, 
              ministeri, depositi nucleari); la flotta è quasi tutta bloccata 
              nei porti per mancanza di sostentamento, molte navi sono state vendute 
              o sono in vendita! Quanto alle strutture, quelle di un tempo sono 
              vecchie e non curate, tanto meno aggiornate; quelle ritenute necessarie 
              per ammodernare il Paese non hanno possibilità di realizzazione 
              per mancanza di investimenti. 
              Si direbbe che il Paese stia crollando, mi ha fatto osservare un 
              economista. Basti pensare allo stato di degrado degli oleodotti, 
              della rete elettrica, di strade, ponti, ferrovie, ospedali. E 
              un fatto incontestabile: le infrastrutture sono al collasso. Del 
              resto, molte in passato furono mal costruite ed ebbero sempre scarsi 
              interventi di manutenzione. I servizi pubblici sono disastrosi. 
              Leconomia è povera, poverissima, sicché gli 
              stessi esperti russi parlano del 2001 come di un anno di «sicura 
              miseria». Basti pensare che il bilancio statale russo è 
              pari a quello del Belgio. Anche se Putin si affanna a dichiarare 
               lo ha fatto durante una sua recente visita a Milano, per 
              esempio  che i conti sono in attivo (ovviamente egli parla 
              degli impegni previsti nel bilancio, perché quelli veramente 
              necessari, che sono di grande portata e innumerevoli, non sono affrontabili 
              economicamente), la realtà è che la Russia è 
              in stato di depressione. 
              Putin ha sostituito Eltsin nellagosto del 1999: a più 
              di un anno e mezzo il suo bilancio politico non registra luci ma 
              colossali ombre. Per questo, nonostante si sforzi di apparire democratico 
              agli occhi dellOc-cidente, non è da escludere che egli 
              attui una svolta autocratica, come del resto pare preferiscano non 
              pochi russi alle prese addirittura con il problema del pane quotidiano. 
              Dal punto di vista della democrazia non cè dubbio che 
              rispetto allepoca di Eltsin questa di Putin registra arretramenti 
              per quanto riguarda i diritti e le libertà e suscita grandi 
              inquietudini. 
              Comè possibile che un Paese che ha immense e illimitate 
              ricchezze naturali  petrolio, gas, oro, uranio, un territorio 
              vastissimo con mille possibilità di investimenti  viva 
              momenti così cupi di angosciante depressione? Nonostante 
              la fine dellURSS, che lha amputata di 120 milioni di 
              abitanti e di oltre 5 milioni di chilometri quadrati di territorio, 
              ci vogliono ancora quasi due volte il territorio degli Stati Uniti 
              e 56 Italie per fare la grandezza geografica della Russia di oggi, 
              che conta 150 milioni di abitanti. La sua regione più vasta, 
              la Siberia, è due volte lEuropa occidentale. 
              Ce la farà la Russia a scrollarsi di dosso il passato, a 
              mandare al macero una burocrazia che con procedure ancora staliniste 
              (ma ora senza controlli, sottopagata, frustrata e assolutamente 
              impreparata di fronte alle esigenze della nuova società e 
              delleconomia libera) la tiene lontana dallOccidente, 
              ad abbattere quella sorta di muraglia cinese che reprime ogni potenzialità, 
              a far sì che il respiro del Paese sia più forte della 
              mala ventura che le è toccata e la porti sulla strada della 
              ripresa economica e sociale? Comè possibile che un 
              popolo che ha subìto tante delusioni (Kruscev, Gorbaciov, 
              Eltsin), che ha sofferto tanta illibertà, sopporti quasi 
              con fatalismo momenti così drammatici, così tragici 
              addirittura? 
              Quel che colpisce è che non si avvertono neppure piccoli 
              segni endogeni di rinnovamento culturale. Cè una demoralizzazione 
              generale a tutti i livelli sociali e politici, che è impressa 
              sui volti della gente, a Mosca soprattutto, dove almeno tre quarti 
              della popolazione vive sulla soglia della povertà. Manca 
              oggi in Russia uno scrittore che racconti dallinterno il dramma 
              della vita russa, come Dostoevskij raccontò quello dellultimo 
              Ottocento e Solgenitsyn quello degli anni Quaranta-Cinquanta del 
              Novecento. Anche questa mancanza di grandi testimoni segnala linvoluzione 
              russa, che in taluni momenti sembra addirittura andare verso limbarbarimento, 
              come nel caso della nonna arrestata a Mosca, lanno scorso, 
              mentre vendeva il nipotino ai mercanti di organi umani, o nei comportamenti 
              di una mafia sfrontata e crudele che nella capitale controlla la 
              prostituzione e altri sordidi affari. 
              Di ritorno dalla Russia mi ha colpito, procurandomi una certa emozione, 
              unintervista concessa a Vittorio Strada da Aleksandr Solgenitsyn, 
              che vive oggi nei dintorni di Mosca, dopo un lungo periodo trascorso 
              in esilio in Occidente, principalmente negli Stati Uniti. Ho trovato 
              nelle sue parole la conferma delle impressioni ricevute nel corso 
              del mio recente viaggio. I suoi giudizi sullattuale condizione 
              della Russia sono durissimi. Parla di «situazione tremenda»: 
              «Siamo rimasti  dice  senza niente, in rovina, 
              spinti verso il Terzo Mondo, in via di estinzione. Ecco la cosa 
              più terribile: siamo in via di estinzione». 
            Le dichiarazioni di Solgenitsyn meritano qualche considerazione, 
              soprattutto di carattere culturale. Il Premio Nobel del 1970 parla 
              di «caos» nella vita russa e di uno «stato di 
              decadimento» della cultura, dovuti ad una «nomenklatura 
              fatta di caporioni del Komsomol e del partito comunista totalmente 
              privi di idee, mentre gli uomini del 1917 erano guidati dalle idee». 
              Quel che colpisce nella Mosca doggi (nove milioni di abitanti) 
              è, almeno per quel che è visibile e percepibile, uno 
              spaventoso vuoto culturale. Solgenitsyn ipotizza, e può darsi 
              che abbia ragione, che la cultura si sia «ritirata allinterno 
              della Russia, nelle zone periferiche, sfuggendo al crollo generale, 
              e forse lì accumula quellenergia che le darà 
              la possibilità di risorgere». 
              Sta di fatto che dalloscurantismo staliniano, che fu una lunga 
              penitenza culturale, la Russia sembra discesa in un incredibile 
              torpore. Nel suo bel Diario di Mosca Enzo Bettiza annota icasticamente 
              quel che rappresentò culturalmente la lunga tirannide di 
              Stalin con limpedimento di importare idee e testi e addirittura 
              di conoscere le lingue straniere. Fu, dice, unignoranza pianificata 
              col terrore, che quasi azzerò lo splendore raggiunto dalla 
              cultura russa nel diciannovesimo secolo fino agli inizi del Novecento. 
              Incredibilmente, oggi potrebbe addirittura valere la notazione di 
              de Maistre nel suo Les soirées de Saint-Pètersbourg 
              (1821): «La Russia è come un cadavere congelato, che 
              puzzerà terribilmente quando si disgelerà». 
              Il regime staliniano, in effetti  e dalla morte del dittatore 
              sono passati ben 48 anni  ha decimato le energie e le intelligenze 
              russe, le ha depresse e umiliate nel profondo, si direbbe sfibrate 
              e disossate. Dunque, come dice Solgenitsyn, era inevitabile che 
              «luscita dal comunismo assumesse il carattere di un 
              caos ingovernabile». 
              Bettiza, che fu a Mosca negli anni kruscioviani, nel suo Diario 
              testimonia che alla morte del tiranno ci fu come un impatto liberatorio, 
              un momento di vitalità nuova, di ripresa di creatività 
              artistica, di fermenti occidentalizzanti. Egli paragona gli anni 
              Cinquanta-Sessanta della destalinizzazione a quel che accadde dopo 
              la morte dello zar Nicola I nella prima metà dellOttocento. 
              Come Stalin, Nicola impose un regime poliziesco, promulgò 
              leggi di ferro (fu lui stesso a definirle così) 
              proibendo limportazione di libri e giornali stranieri, dichiarò 
              addirittura illegittima labiura dalla religione ortodossa. 
              Contro di lui, comè noto, si rivoltarono i decabristi 
              nel dicembre (da qui il nome) del 1825, che furono spazzati a colpi 
              di cannone. 
              Dalla denicolizzazione dopo la morte dello zar isolazionista 
              e liberticida (che però impose una certa modernizzazione 
              al Paese) la cultura russa trasse vigore, divenne più emancipata 
              e rivoluzionaria. LOttocento russo, soprattutto il secondo 
              Ottocento, fu splendido intellettualmente e artisticamente, produsse 
              una letteratura fascinosa: Lermontov, Gogol, Turghienev, Tolstoj, 
              Dostoevskij, Cechov, Puskin, agitatori culturali come Herzen e Belinskij, 
              i quali furono i maîtres à penser che, si può 
              dire, allevarono la gioventù rivoluzionaria dei moti del 
              1905 e in qualche modo posero i germi della rivoluzione dottobre. 
              Non accadde così con la destalinizzazione. Kruscev, che pure 
              aveva suscitato speranze, fu una delusione; deluse più tardi 
              anche Gorbaciov. Il periodo di Eltsin  dice Solgenitsyn  
              è stato caratterizzato da un saccheggio «di proporzioni 
              incredibili», anche se, almeno così è parso 
              dalla sponda dellOccidente, il corvo bianco ha 
              certamente impedito che tornassero al potere i bolscevichi. 
              No, non è uscita dalle tenebre la Russia. E neppure la sua 
              cultura sè risvegliata. Sono stati archiviati scrittori 
              che riuscirono a sopravvivere allepoca di Stalin, difesi in 
              realtà dalla propria compiacenza verso il regime: Erenburg, 
              Solokov, Majakovskij, Bulgakov. Resistono Pasternak e la poetessa 
              Achmatova, anchessi però ricordo, grande ricordo del 
              passato; resiste lambiguo Evtuscenko, molto appannato in verità; 
              splende solo la stella di Solgenitsyn, tornato in patria dopo lesilio 
              americano del 1974, ma egli assiste, testimone del passato, demoralizzato, 
              allannichilimento del suo Paese, che considera addirittura 
              «in estinzione». 
            Chi oggi va a Mosca o, per esempio, anche a Kiev, la città 
              che nei secoli iniziali del secondo millennio diede vita ad una 
              cultura che sembrava mettere in ombra lOccidente, ne riparte 
              deluso, depresso, preoccupato per il futuro di quella parte dEu-ropa 
              che per quasi due secoli ha coltivato lambizione dessere 
              la sede della terza Roma. 
              Mi fermo qui. Unosservazione è irrinunciabile, perché 
              fortemente obiettiva: eccoli, i disastri di settantanni di 
              comunismo e di economia programmata e diretta. 
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