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            Se non cè  
              anarchia,  
              cè solitudine  
              e confusione nella coscienza civile, che si esprimono spesso in 
              forma di ribelle individualismo. 
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             Cè una rivalità antica, vissuta sottopelle, 
              che si va trasformando in una gridata rivalità 
              infinita, tra politica e finanza, tra Nord e Sud, tra compiti e 
              competenze istituzionali. La letteratura sul federalismo devessere 
              in crisi se la realtà che si cerca di modificare si colora 
              ogni giorno di grottesco, non riuscendo più a distinguere 
              un oroscopo da un embrione di laboratorio nei prodotti serviti o 
              immaginati. Sono lontani i tempi in cui i tycoon della politica 
              e delle istituzioni parlavano a monosillabi, privilegiando il linguaggio 
              felpato dei documenti ufficiali. Adesso le regole sovrane della 
              comunicazione impongono la babele delle lingue e accentuano labitudine 
              al radicalismo verbale che rende più difficile la sintesi 
              delle idee. 
              Così una questione seria, la questione federale, viene esposta 
              a frequenti manipolazioni genetiche, portata avanti con risicate 
              maggioranze parlamentari che non accreditano alcuna vittoria reale, 
              sponsorizzata da testimonial di un processo a velocità variabile 
              dal difficile e incerto esito finale (già sintravede 
              un centralismo regionale che vuole sostituirsi al centralismo statale). 
              Mentre le aspettative della società civile, da tempo immerse 
              in uno stato di panne strutturale, restano contaminate dal dubbio 
              di non riuscire a modificare il passato e tantomeno a costruire 
              il futuro. 
              Un paradosso salta subito agli occhi. In un periodo in cui si dà 
              tanto credito alle lobbies e alle clientele, sul tema non si è 
              mai aperto un tavolo ufficiale di concertazione o consultazione 
              (la Confindustria ha elaborato recentemente una sua ricetta di decentramento 
              proposta allattenzione dei governatori che si 
              apprestano a modificare gli statuti regionali, mentre ha attivato 
              una Commissione per la riforma del suo statuto. Anche i sindacati 
              hanno dato segnali di un dibattito interno centrato al momento più 
              sulle passioni che sugli interessi). 
            Il vecchio orso cade nella vecchia trappola. Non è casuale 
              che il federalismo sia vissuto tutto in chiave politica, appannaggio 
              esclusivo di una politica ondivaga, intrisa di disastri e tranquillanti 
              annunciati. Eppure, si potrebbero aprire spazi significativi allinterpretazione 
              e maturazione della società italiana se si promuovesse un 
              dibattito capillare sulle ipotesi attuative di un federalismo costituzionalizzato 
              e istituzionalizzato. Un dibattito civile condotto al di là 
              del certificato di battesimo, della notarile pubblicazione di una 
              legge sulla Gazzetta Ufficiale. Ragionando in modo pragmatico e 
              distaccato dagli umori degli exit polls. 
              In omaggio alla memoria storica occorre ricordare che la domanda 
              federalista è nata e lievitata al Nord, alacremente sostenuta 
              dalla parte più ricca e dinamica del Paese, smaniosa di liberarsi 
              del centralismo statale portatore di una pressione fiscale ritenuta 
              ossessiva, al punto da costituire per le imprese un forte elemento 
              destabilizzante nella quotidiana dialettica competitiva. Un approccio 
              molto riduttivo rispetto ad un riordino istituzionale motivato da 
              valori e ragioni di democrazia federale, sintetizzati nella necessità 
              di portare il livello decisionale quanto più è possibile 
              vicino alla gente. Università, fondazioni, associazioni e 
              centri di cultura di varia estrazione potrebbero dare contenuto 
              e forma ad una cultura istituzionale innovativa rispetto al retaggio 
              imperante di un antico dogmatismo illuminista (è ancora attuale 
              il pregiudizio secondo cui tutto ciò che è pubblico 
              è statale). 
              La domanda chiave (dando per scontata la poliarchia, alternanza 
              di governo nella gestione democratica delle moderne democrazie industriali) 
              riguarda la definizione di una struttura decisionale duttile e affidabile, 
              per rendere possibile una convinta partecipazione popolare ad un 
              modello di sviluppo sostenibile. Trovare cioè meccanismi 
              istituzionali condivisi, che consentano una concordia discordante 
              tra i cittadini, confortata da una sintesi e da una guida inconfutabili. 
              Facendo appello ad una forte dose di fantasia creativa occorre coinvolgere 
              la società nel suo complesso in una grande lezione di democrazia 
              dal significato quasi pedagogico, per mettere punti fermi terminali 
              allattuale scompiglio delle anime e alla confusione delle 
              urne e delle idee. Adottanto un Bignami delle regole elementari, 
              al di fuori e al di sopra delle tesi partigiane e consociate della 
              politica politicante. 
            Il modello istituzionale appartiene in via prioritaria alla società 
              civile, esprime la proiezione del suo modo di vivere e dei suoi 
              standard di efficienza. Un esempio. E possibile immaginare 
              un referendum in cui i cittadini siano chiamati ad esprimersi sullaumento 
              o la riduzione di imposte statali o regionali? In tutti gli scenari 
              immaginabili lesito sarebbe scontato (e delegittimato) perché 
              manca labitudine al coinvolgimento diretto del cittadino nei 
              programmi di governo.  
              Negli Stati Uniti (nessuno può dubitare che siano ad un tempo 
              Nazione e Federazione) il sondaggio della pubblica opinione con 
              lo strumento referendario è prassi costante. In contemporanea 
              con le ultime elezioni presidenziali, gli abitanti del Massachusetts 
              hanno votato con referendum a favore della riduzione delle imposte 
              statali (un cavallo di battaglia dei repubblicani). Si noti che 
              lesito di questo voto non è sempre a senso unico, ha 
              un sostanziale valore consultivo ed esprime un momento significativo 
              della dialettica amministrativa, tenuto in grande conto dalle forze 
              politiche di governo (di solito lo rispettano e si adeguano). 
              Ci sono molte crepe nella nostra società civile che meritano 
              attenzione preventiva in vista dellattuazione di un progetto 
              federale (una democrazia giacobina e centralista è 
              cosa ben diversa da una democrazia federale e decentrata). 
              Cè una cultura dellillegalità ampia e 
              radicata che rende palpabile la scarsa percezione della giustizia 
              e del suo potere intimidatorio. Si pensi ai concorsi truccati, alla 
              storia infinita dellabusivismo edilizio, alla corruzione documentata 
              e non, ai caschi e alle cinture di sicurezza ignorati, alle macchine 
              lanciate a 180 lora sulle autostrade, alla diffusa microcriminalità 
              quotidianamente subita. Cè uno spirito corporativo 
              ben cementato (dagli ordini professionali ai maggiori centri del 
              potere economico e istituzionale). Cè ancora uneccessiva 
              sudditanza della burocrazia dalla classe politica poiché 
              manca il filtro formativo di una Scuola della Pubblica Amministrazione 
              che accrediti valori etici e tecniche di gestione. In particolare, 
              cè una burocrazia economica prodiga di incontri collegiali 
              e avara di responsabilità decisionali (dallo Stato francese 
              abbiamo preso il modello organizzativo ma non quello formativo). 
              Anche lidem sentire della comunità nazionale appare 
              fortemente assottigliato (ci sono divisioni profonde su temi cruciali 
              come fisco, scuola, giustizia, sicurezza, immigrazione). Si ha la 
              sensazione che al di là delle dispute centro-periferia sia 
              venuto meno quellethos condiviso che dà forza e vigore 
              al comportamento civico e allimpegno economico di una comunità 
              (i desideri negati e le paure represse della società italiana 
              sono ben fotografati dal Rapporto Censis 2000). 
            Due esigenze risultano prioritarie. La ricerca di sinergie tra 
              imprese, università e istituzioni per rendere coniugabile 
              la conquista storica dellunità nazionale con lefficienza 
              economica e la promozione civile di una democrazia liberale; la 
              ricerca di forme possibili di coabitazione istituzionale 
              per temperare con contrappesi decentralizzati levoluzione 
              spontanea della volontà generale (tornano in bacheca le riflessioni 
              di Cattaneo e di Spinelli). 
              Churchill una volta ebbe a dire che il sistema funziona quando a 
              decidere sono in due e uno è indisposto. Oggi il concetto 
              di sovranità è caratterizzato da tratti di marcata 
              collegialità che lo configurano come un potere primo, 
              con responsabilità di sintesi rispetto a numerosi altri centri 
              di potere con diritto di voce o di voto. 
              Proprio dalle difficoltà di sintesi nascono i disagi odierni, 
              i segnali palesi della doppia crisi che investe la sovranità 
              e la rappresentanza. Se non cè anarchia, cè 
              solitudine e confusione nella coscienza civile, che si esprimono 
              spesso in forma di ribelle individualismo. Mentre sul terreno politico 
              la dialettica tra interessi nuovi e antiche ideologie produce una 
              sorta di palinsesto new age dove gli alieni convivono con le amazzoni. 
               
              Pensata in questo clima surreale, la riforma federalista anziché 
              produrre certezze istituzionali e chiudere una fase di riflessione 
              sugli strati profondi e vitali della società italiana, apre 
              un altro caso-monstre, una stagione di scontri tra poteri che allarga 
              le maglie del contenzioso legale. 
              Intanto, la contesa centro-periferia si arricchisce di nuovi contenuti. 
              A Barcellona si è tenuto recentemente il primo incontro dei 
              presidenti di una quarantina di regioni europee con potere legislativo, 
              appartenenti a dieci Stati diversi. Si è convenuto di rafforzare 
              lo spirito di cooperazione e di chiedere il riconoscimento di un 
              proprio organo permanente allinterno dellassetto istituzionale 
              della Comunità (si pensa ad un Comitato delle regioni con 
              poteri consultivi). 
              Tornando a casa nostra, è sotto gli occhi di tutti la crisi 
              di un sistema scheggiato. Di concreto cè solo uno Stato 
              destrutturato, senza che siano venuti meno i cromosomi statalisti 
              che allignano nella società. Il rischio conseguente è 
              che si producano nuove alienazioni, con la società civile 
              che pone domande al presente e riceve risposte al condizionale. 
              Da parte nostra rinnoviamo una domanda antica ad ogni politico impegnato 
              negli esercizi di ingegneria istituzionale: «Eccellenza, whats 
              periferia?». 
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