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            Nel Cristianesimo, alcune componenti del culto 
              della Dea confluiscono  
              in quello  
              della Vergine, che viene collegata con le sorgenti curative, i germogli 
              e i fiori. 
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             Nel momento in cui la civiltà di Roma incominciava a percorrere 
              la sua curva discendente, uno scrittore africano geniale e originale, 
              Apuleio, scrisse unopera che è stata giudicata il primo 
              romanzo in lingua latina: lAsino doro. Era 
              la storia di un giovane, di nome Lucio, al quale capitavano le più 
              singolari avventure: trasformato in asino, sarebbe tornato infine 
              alla forma umana mangiando un cespo di rose. 
              Ebbene, al culmine della sua disgrazia, Lucio invocò la grande 
              dea Iside, egiziana di origine, ma affermatasi in tutto il mondo 
              romano. Iside gli apparve e si definì in questo modo: «Io, 
              madre di tutte le cose, signora di tutti gli elementi, principio 
              di tutte le generazioni nei secoli, la più grande tra i numi, 
              la regina dei Mani, la prima dei celesti, archetipo immutabile degli 
              dèi e delle dee, ai quali concedo di governare col mio assenso 
              le luminose volte del cielo, le salutari brezze del mare, i lacrimati 
              silenzi degli inferi; io, la cui potenza, unica se pur multiforme, 
              tutto il mondo venera con riti diversi, con diversi nomi». 
              Questa splendida citazione potrebbe assumersi a sintesi di unimponente 
              indagine che Marija Gimbutas intitolò a suo tempo Il linguaggio 
              della dea. Mito e culto della dea madre nellEuropa neolitica. 
              E tanto più la citazione è valida, in quanto essa 
              riflette la continuità di un culto irradiato ben oltre lepoca 
              attribuita alla sua fioritura, che è lEuropa dellultima 
              preistoria, allincirca tra il 7000 e il 3500 prima di Cristo. 
              Cera dunque per davvero, nellEuropa di quel tempo, una 
              religione così definita, così organica e dominante? 
            Poiché allepoca non esisteva la scrittura, gli studiosi 
              hanno sempre fatto ricorso alle immagini, vale a dire alle figurazioni 
              dipinte o incise su pareti di roccia, e alle statuette in pietra, 
              in avorio o in terracotta che ci sono pervenute. E quasi senza esclusione 
              ammettono che a prima vista si sono trovati dinnanzi come a un gigantesco 
              puzzle, denso di simboli molto spesso difficili a interpretarsi. 
              Ma avevano fiducia che quel rebus potesse comporsi, come avevano 
              fiducia che le immagini preistoriche potessero essere interpretate. 
              Orbene, dalle figurazioni reali e simboliche hanno visto emergere 
              una figura femminile preminente, sulle cui caratteristiche hanno 
              approfondito quindi lindagine. 
             Dispensatri-ce della vita, espressione della terra che si rinnova, 
              simbolo dellenergia delluniverso: queste sono le connotazioni 
              primarie, differenziate ma interconnesse, della Grande Dea o Grande 
              Madre. Esse risultano in parte da elementi figurativi di immediata 
              evidenza, come laccentuazione delle parti del corpo che qualificano 
              la figura femminile; e sono suggerite in altra parte da elementi 
              integrativi meno evidenti perché in funzione simbolica, come 
              lacqua dispensatrice della vita e gli animali che di essa 
              venivano ritenuti espressione, quale, per citare un esempio soltanto, 
              il serpente che muta pelle e che, di conseguenza, si rigenera. 
              Fino a questo punto il discorso resta contiguo a quello da parecchio 
              tempo noto sulla Dea Madre, il grande elemento femminile creatore 
              e dominatore delluniverso, al quale si rifanno in gran numero 
              le società preistoriche. Ma il discorso si sviluppa e cambia 
              quando alle prerogative della Dea viene aggiunta quella di Signora 
              della Morte, una realtà dello stesso universo che è 
              laltra faccia della vita, con essa indissolubilmente congiunta. 
              Si ricordino (per limitarci anche in questo caso ad un esempio) 
              le maschere della dea della morte che, sulla metà del V millennio 
              prima di Cristo, ce la presentano con bocca larga, zanne sporgenti 
              e lingua pendula. 
            Il contesto economico e sociale in cui il culto della Grande Madre 
              si afferma è quello dellagricoltura, che successe alla 
              raccolta del cibo con mezzi naturali. Luomo impara a produrre 
              gli alimenti, diventa sedentario, dà vita ai villaggi e quindi 
              alle città: il mondo gli appare allora come un grande organismo 
              vivente, guidato da forze arcane e meravigliose che egli può 
              esplorare, evocare, chiamare a guidarlo e ad illuminarlo. La scienza 
              intesa a ricostruire questa fase del processo umano viene generalmente 
              definita archeomitologia, perché comprende sia 
              i dati archeologici sia linterpretazione mitologica. 
              Definita in tal modo la nascita del culto della Grande Madre, si 
              pone il problema di quando e perché esso muore. Intorno al 
              3500 avanti Cristo, con linizio della scrittura e quindi della 
              storia, compaiono nuove religioni, nelle quali lelemento maschile 
              ha maggiore spicco: o si affianca a quello femminile, oppure lo 
              sovrasta come principio generatore delluniverso. La Grande 
              Dea si trasforma allora in sposa o in figlia: così Era greca 
              è la sposa di Zeus, sommo dio. In ogni parte dEuropa, 
              la Terra Madre perde la capacità di generare la vita delle 
              piante senza lapporto del Dio del Cielo. 
            Nel Cristiane-simo, alcune componenti del culto della Dea confluiscono 
              in quello della Vergi-ne, che viene collegata con le sorgenti curative, 
              i germogli e i fiori, i frutti e i raccolti. Nei Paesi cattolici 
              il culto della Vergine è talvolta più intenso, a livello 
              popolare, di quello stesso di Gesù. Ma la componente della 
              morte è ormai scomparsa, anzi viene respinta nel segno delle 
              streghe da scoprire, condannare, annientare. Diverso è il 
              caso delle credenze popolari, dove la tradizione si sedimenta per 
              riaffiorare nei secoli e nei millenni. Ed ecco una serie di favole, 
              soprattutto nellEuropa settentrionale, in cui lantica 
              Grande Madre svolge in nuove vesti un ruolo dominante, per la vita 
              come per la morte: si pensi a Frau Holla, dei fratelli Grimm. 
              Che gli studiosi, e con essi la Gimbutas, considerino la decadenza 
              della Grande Madre come una decadenza della società, che 
              essi guardino al mondo preistorico ricostruito nella luce di quella 
              fede come a una sorta di età delloro, lo indicano alcune 
              loro conclusioni: la Grande Madre o Grande Dea gradualmente si ritirò 
              nel profondo delle foreste o sulle vette delle montagne, e in quegli 
              eremitici luoghi sopravvisse fino ai nostri giorni nelle credenze 
              e nelle fiabe. Seguì lalienazione delluomo dalle 
              radici vitali della vita terrena, e i risultati possono essere ben 
              colti  tanto sono evidenti  persino nella società 
              contemporanea. 
            
              
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                   Ora soffia il vento dellEst 
                  Ci sono grandi aree del pianeta che nella nostra cartografia 
                    mentale appaiono sfumate, grigie, popolate da gruppi umani 
                    indistinti. Questo accade per terre lontane, delle quali conosciamo 
                    assai poco, o conosciamo per stereotipi; ma altrettanto accade 
                    per luoghi vicini, o relativamente vicini a noi, anche se 
                    sono diversi per tradizioni. Poi accade qualcosa che ci costringe 
                    a prestare unattenzione maggiore, e allora scopriamo 
                    che anche gli altri sono portatori di caratteristiche complesse, 
                    di tratti specifici, di storie antiche. 
                    Quel che sta accadendo da qualche tempo a questa parte nei 
                    Paesi dellEst è uno di quegli avvenimenti di 
                    cui dicevamo, e la conseguenza è che dobbiamo scoprire 
                    in fretta (e non senza unimbarazzata sorpresa) che, 
                    anche involontariamente, avevamo alzato una cortina più 
                    o meno spessa non soltanto sul passato recente, ma anche sul 
                    passato remoto di quelle terre. Riscopriamo, sia pure sommariamente, 
                    la storia come operazione di bonifica personale 
                    non inutile; anche perché incontriamo fenomeni e conquiste 
                    culturali che sono alla base della nostra stessa civiltà. 
                    Una delle più singolari testimonianze di quellantico 
                    vento dellEst sopraggiunge dalle località di 
                    Mezin e di Meziric, in Ucraina, dove sono stati scoperti resti 
                    di villaggi paleolitici risalenti a circa 15 mila anni fa, 
                    con capanne costruite utilizzando mandibole, zanne e femori 
                    di mammut. In una delle abitazioni di Mezin è stata 
                    scoperta la più antica raccolta di strumenti musicali 
                    fabbricati con gli ossi del pachiderma, che doveva essere 
                    alla base delleconomia e della cultura degli uomini 
                    paleolitici in questa zona del continente asiatico. Si tratta 
                    di una scapola, di due mascelle inferiori e di un frammento 
                    di osso pelvico con tracce di decorazioni dipinte, cui si 
                    aggiungono un martelletto di corno di cervo e un mazzuolo. 
                    La particolare usura riscontrata in specifici punti dei grandi 
                    ossi ha consentito di concludere con ragionevole certezza 
                    che si tratti di strumenti a percussione: il primo complesso 
                    musicale del mondo. 
                    Un altro oggetto di particolare interesse rinvenuto nella 
                    stessa area è una scheggia davorio sulla quale 
                    sono incise diverse immagini che raffigurerebbero laccampamento 
                    stesso e il fiume che scorreva ai suoi margini. Se linterpretazione 
                    è giusta, si tratta della più antica rappresentazione 
                    paesaggistica conosciuta. 
                    Altri cacciatori di mammut, ancora più antichi (26 
                    mila anni) li incontriamo a Dolni Vestonice, non lontano da 
                    Brno, in Cecoslovacchia. Qui gli ossi di un centinaio di mammut 
                    vennero usati per bonificare una palude in prossimità 
                    dellabitato che ha restituito, fra laltro, il 
                    più antico materiale artificiale creato dalluomo. 
                    Tra i resti di un forno sono state infatti ritrovate diverse 
                    figurine in terracotta ottenute cuocendo un impasto di terra 
                    e di polvere dosso. Sono rappresentazioni di unantica 
                    Grande Madre, probabilmente la principale divinità 
                    del pantheon del paleolitico superiore. 
                    Dal paleolitico al neolitico. E in Bulgaria scopriamo un altro 
                    primato: il primo oro dEuropa. Viene dalla necropoli 
                    di Varna, sulle sponde del Mar Nero, dove la diversa ricchezza 
                    dei corredi funerari indica una società del IV millennio 
                    prima di Cristo già strutturata in classi sociali. 
                    Fatto singolare è che alcuni dei corredi più 
                    ricchi doro provengono da tombe simboliche (senza inumato), 
                    di cui non si comprende ancora la funzione. 
                    Altro enigma ancora in Bulgaria, dove alcune tavolette 
                    di terracotta, databili al 3000 prima di Cristo, (ma alcuni 
                    sostengono che siano nettamente più antiche), sono 
                    incise con segni che fanno pensare a una struttura ideografica 
                    correlata al culto di una divinità femminile. Finora 
                    tutti i tentativi fatti per interpretare le tavolette 
                    di Tartaria sono andati a vuoto e gli archeologi sono 
                    divisi tra lipotizzare contatti con la Mesopotamia (dove 
                    la scrittura comparve poco prima del 3000 prima di Cristo), 
                    o ammettere che anche nei Balcani si sviluppò un embrione 
                    di scrittura quasi un millennio prima che comparisse tra i 
                    Sumeri. 
                    Per molti specialisti queste tavolette sono attribuibili alla 
                    cultura di Vinca che tra il 4500 e il 3500 prima di Cristo 
                    si estese dalla Jugoslavia allUngheria, dalla Bulgaria 
                    alla Romania. La località che ha dato il nome a questa 
                    cultura ha restituito una serie stratigrafica di dieci metri 
                    di spessore dove sono state trovate oltre duemila statuette 
                    della Dea Madre, simbolo di fecondità. 
                    Divinità più misteriose compaiono invece in 
                    unaltra importante stazione preistorica jugoslava: Lepenski-Vir, 
                    un villaggio del 5500-4600 a.C., situato nella gola delle 
                    Porte di Ferro del Danubio. Il dio di questa comunità 
                    di pescatori mesolitici è rappresentato da sculture 
                    in cui si mescolano teste umane e corpi di pesce. Singolari 
                    immagini, che oltre a rappresentare il più antico complesso 
                    monumentale dEuropa, testimoniano il grado di elaborazione 
                    culturale raggiunto da pescatori sedentari, mentre in altre 
                    parti del Continente si andava affermando lagricoltura. 
                    Alla cultura di Cucuteni, in Romania, (4700-2700 a.C.), che 
                    si estese quasi fino a Kiev (dove prende il nome di cultura 
                    Tripolye), dobbiamo unaltra conquista fondamentale per 
                    lo sviluppo della civiltà europea: la domesticazione 
                    del cavallo. Anche in questa civiltà, come in molte 
                    altre del neolitico balcanico, la vita spirituale ruotava 
                    intorno al culto della Grande Madre e della fecondità; 
                    ma sia le grandi ceramiche decorate con episodi mitologici 
                    (come la scalata al cielo dei Titani), sia i numerosi modellini 
                    di case-tempio, rivelano un universo mitico molto articolato, 
                    che sembra fare da prologo a quello della civiltà ellenica. 
                    Lungo le aride coste del Mar Nero, tra la Romania meridionale 
                    e la Bulgaria settentrionale, incontriamo la cultura di Hamangia, 
                    databile tra la fine del V millennio e il 3700 prima di Cristo. 
                    Rappresenta la più antica cultura dedita allagricoltura 
                    conosciuta in questa regione delle steppe, ma è nota 
                    soprattutto per le imponenti dimensioni delle sue necropoli, 
                    dove sono state rinvenute statuette di marmo o di terracotta 
                    raffiguranti uomini e donne spesso senza volto o con misteriose 
                    maschere, evidentemente destinate a nascondere (e rivelare 
                    nello stesso tempo) lidentità divina del personaggio. 
                    Celebre è quella detta Il pensatore, seduto 
                    e col mento appoggiato sulle mani, che evoca unumanità 
                    impegnata a interrogarsi sui misteri di un mondo che preparava 
                    il cammino alle grandi civiltà dellepoca classica. 
                    Questo, mentre mancavano almeno tremila anni alla nascita 
                    di Roma. 
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            (E non soltanto in Europa, o nei Paesi del bacino mediterraneo 
              vive  e sopravvive  il mito della Grande Madre. Non 
              è da meno lAsia, che con lAnatolia si protende 
              nel Mare Nostrum, come a farsi ponte e terra di saldatura tra i 
              due continenti. Ancora oggi, in Cappadocia, terra profondamente 
              matriarcale, le donne confezionano bambole di pezza o tessono figure 
              femminili nei tappeti, quasi per riaffermare la propria preminenza 
              di questisola in mezzo al fiume della misoginia islamica. 
              Del resto, Anatolia significa Terra di Levante, ma anche 
              Madre Piena, che è tutto dire. E percorrendo 
              gli altipiani anatolici si ha modo di riflettere che da Cibele alle 
              fantoline di pezza cappadocia permangono una subdola continuità, 
              unidea ribadita ad alta voce, e labdicazione negata, 
              come nei disegni-stemmi orditi nelle trame dei tappeti che le donne 
              portano in dote e che segretamente fanno tessere alle proprie figlie 
              perché costoro, a loro volta, ne tramandino le inaccessibili 
              tecniche alle generazioni  
              successive: vi compaiono forme antropomorfe esclusivamente femminili, 
              di Madri Dee, definitivamente stilizzate, di donne non come semplici 
              compagne della vita o signore dello spazio domestico, né 
              come vivi amuleti scaramantici, ma proprio come eredi delle femminili 
              divinità che avevano signoreggiato agli albori della civiltà, 
              come tralci del ceppo primigenio, innestati, innervati nellindole 
              ribelle delle discendenze). 
            E tuttavia, qualche dubbio resiste, qualche mistero attende ancora 
              di essere  se possibile  svelato. Certo, la costruzione 
              imponente dellantica religione europea o euroasiatica è 
              per tanti aspetti affascinante, per altri invece sembra discutibile. 
              Se lidea di fondo, che del resto si collega, pur modificandola, 
              a quella tradizionale della Dea Madre, è difficilmente contestabile, 
              lappassionata reductio ad unum di una quantità 
              immensa di figurazioni preistoriche, largamente irradiate nel tempo 
              e nello spazio, lascia non pochi coni dombra: e si è 
              portati a chiedersi se sia mai possibile che per tutto valga la 
              stessa, inalterabile interpretazione. 
              Per riprendere unimmagine di Joseph Campbell, non pochi studiosi 
              avrebbero decodificato larte preistorica come Champollion 
              decodificò i geroglifici. Ma vien fatto di osservare che 
              Champollion ebbe nel senso articolato, differenziato e convincente 
              delle traduzioni la prova piena della validità della sua 
              opera; laddove nellinterpretazione del materiale figurativo 
              emerso in tante regioni la spiegazione rigidamente univoca non può 
              dare unanaloga certezza. 
            Resta, ciò posto, il grande merito di uno scavo 
              tanto approfondito nel mondo e nel pensiero della preistoria, che 
              sarà senzaltro punto di riferimento indispensabile 
              per coloro i quali si dedicano tuttora a questi studi e ricerche 
              su unepoca e su una mentalità che è 
              allorigine della nostra civiltà e della nostra cultura. 
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