|  
               
              
            Poesia piena di voci, di grida udite  
              e scordate o serbate nel fondo più fondo del ricordo, di 
              volti persi, dispersi. 
             | 
            | 
          
           
             Il volto ha la bellezza 
              del dolore: la bellezza assoluta dellassoluto dolore che si 
              stringe, si raggruma tutto dentro la pupilla, quella bellezza spaurita 
              dal dolore del tempo, delluomo, della memoria, della follia, 
              della ragione perduta, della parola che fiotta, che scende nellabisso, 
              che svetta verso orizzonti possibili solo ai poeti, a quelle creature 
              che avvertono sulla propria pelle, nella propria mente lo stupore 
              e il tremore di vivere, ogni istante. 
            Una casa sul Naviglio. Il manicomio di Milano. Dal Paolo Pini entra 
              ed esce. Dopo la prima volta, ogni volta che sente salire londa 
              del delirio, si presenta da sola al cancello dellinferno. 
              Schizofrenia, dicevano i medici. Lei dice che non è stato 
              vero. Mai. Era nevrosi, esaurimento, dice. Ma per Alda Merini la 
              follia è una delle cose più sacre che esistano sulla 
              terra. E dolore che purifica; sofferenza come quintessenza 
              della logica; è la madre, il padre, la casa; può prendere 
              il posto di un amore. «Non si può portare allesterno 
              una figura così carismatica, bella, di sogno comè 
              il delirio, perché verrebbe distrutto, inghiottito dal quotidiano. 
              La follia va invece allevata in un ambiente adatto, e allora può 
              dare alla luce cose straordinarie». 
              Cose straordinarie: che sfondano i confini dellordinario, 
              che sfidano, violano lordinarietà del senso, la banalità 
              del senso. Che deragliano dai consueti tracciati del pensiero. Che 
              scardinano le categorie rassicuranti della logica. Lampi nel buio. 
              Eclissi nel chiarore. Ossimori che catturano lindicibile, 
              limpensabile. Che provocano vertigini. 
              Cose straordinarie: come una poesia di Dino Campana; come una poesia 
              di Alda Merini. Poesia che è luogo in cui si rinnova il caos 
              originario, dove reale e irreale si contaminano, si sovrappongono, 
              si confondono fino a rendersi indistinguibili, fino a diventare 
              indecifrabili, indefinibili. Così la poesia diventa luogo 
              del nulla. Forse del nulla che è tutto, comè 
              il mito per Fernando Pessoa: del tutto racchiuso nellevento 
              del logos. 
            Poesia. Follia. Poesia e follia polverizzano qualsiasi macigno 
              del reale, qualsiasi cosa visibile, tangibile; annullano i nessi 
              logici; consentono la regressione, la catarsi, labbandono. 
              Hanno il potere di trasformare la realtà, di raggrumarla 
              in un simbolo, di dare ad essa un senso nuovo. Tutto quello che 
              rientra nella sfera della scrittura e della follia abbandona il 
              senso originario per caricarsi di un altro senso, spesso indicibile, 
              a volte persino incomprensibile. E un vascello sulle rotte 
              dellignoto, uno scandaglio di pensieri radicali. 
              Ancora: poesia, follia. Ancora: amore. Dolore. Parole estranee ad 
              ogni assonanza. Tenute insieme soltanto dalla disarmonia, dallo 
              stridore del vivere, dallo squilibrio dei giorni che oscillano freneticamente 
              tra una percezione di felicità intensissima e breve e unangoscia 
              di incommensurabile durata. 
              Poesia che si genera dalle viscere come gravidanza, creatura che 
              nasce da un atto damore, da un sentire le cose, le stagioni, 
              gli altri dentro di sé. 
              Poesia come un pulsare del sangue, una ferita sul cuore, come un 
              dono incredibile, un altro tra i tanti suoi amori, come un altro 
              dolore tra i tanti dolori. 
              E una narrazione dellio profondo: dellio che si 
              espande e abbraccia ogni altro io; è un ascolto dellaltro, 
              un parlare ad un altro, un dialogare infinito. 
              E un sentire e un dire che qualcuno cè al di 
              là di te, che comincia dove finisce il tuo corpo, il tuo 
              pensiero, la tua miseria duomo, il giorno che attraversi, 
              lansia che ti invade, la paura che ti assale per una ragione 
              che non sai riconoscere, che non riesci a capire. 
              Pesante come un ricordo, leggera come un racconto, slegata da tutto 
              e da tutti ma avvinta ad ogni occasione: a unemozione, uno 
              sguardo, un silenzio, un tremore. Poesia che nasce comunque: dalla 
              memoria e dal sogno, da una fantasia e da un bisogno, da un abbandono, 
              un delirio, un mistero; tra i barboni del Naviglio, sotto il cielo 
              di Milano, tra le vite crocefisse nelle stanze di un manicomio. 
               
              Poesia piena di voci, di grida udite e scordate o serbate nel fondo 
              più fondo del ricordo, di volti persi, dispersi. 
              Figure. Sono figure fragili, tenere, quelle che si aggirano per 
              i versi di Alda: figure che seguono un sogno, che rifiutano il sonno, 
              creature spaurite che domandano a Dio le ragioni del dolore, della 
              morte: di quellallungarsi dombre sugli uomini e le cose, 
              di quel silenzio che le assedia o le sorprende. Hanno paura di quel 
              niente che a un certo punto attraversa la vita. 
              Poesia è riattraversare la vita per raccontarla così 
              comè stata e anche come lei, Alda Merini, avrebbe voluto 
              che fosse: e avrebbe voluto che fosse più leggera, lavrebbe 
              voluta meno aggrovigliata. Sa che la vita è niente ma sa 
              pure che è lunica che ha, e allora si aggrappa ad essa, 
              la trasforma in parole perché duri di più, per catturare 
              ogni istante di allegria, di erotismo. 
              Ha detto Thomas Mann da qualche parte che Eros è il compagno 
              e la guida nella strada verso la bellezza. 
              Per Alda Merini leros è anche questa tensione conscia 
              o inconscia verso la bellezza, ma, più di questo, è 
              bisogno di sentire che qualcuno le appartiene e di appartenere a 
              qualcuno. 
              Semplicemente, giocosamente, allegramente. Anche se il gioco e lallegria 
              sono spesso avvelenati da un rimpianto più o meno segreto 
              e dalla scoperta inquietante che il tempo passa anche per i poeti, 
              e travolge. 
              Alda Merini lo scopre, fa finta di scoprirlo, perché in realtà 
              è una cosa che ha intuito, come tutti o quasi tutti hanno 
              intuito, qualche istante dopo essere nata. Ma come tutti, o quasi 
              tutti, finge di non pensarci. O ironizza. Ironizzare è un 
              po come convincersi che quel che trova e quel che perde appartiene 
              a lei solo a metà e che solo su quella metà potrà 
              contare in ogni caso: la metà finta, sognata, inventata, 
              la metà che è favola della vita, che ti permette di 
              rispecchiarti nellacqua del fiume del tempo, e qualche volta 
              anche di innamorarti di te, delle tue stesse parole. 
              Ma cosa cè di più malinconico del narcisismo, 
              del guardarsi essere con la consapevolezza che non si sarà 
              mai più così, che non si sarà comunque. 
            Poesia come consapevole triste illusione. 
              Poche illusioni ha consentito la vita ad Alda Merini o forse una 
              sola: quella di potersi sottrarre alloblio, alla voragine 
              del tempo, consegnandosi senza condizioni al richiamo delle sillabe 
              di un verso. 
           |