Un progetto di una complessità mai affrontata
prima d’ora nel mondo, una sfida
che qualcuno
ha definito
semplicemente inaudita.
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Narra il mito che
Polycrite, magistrato a Etoli, sposò una donna del popolo
dei Locri, e tre giorni dopo morì, lasciandola incinta di
un bambino. Quando il piccolo nacque, si scoprì che era ermafrodito.
I sacerdoti si consultarono su questo prodigio, e decisero: la nascita
sarebbe stata foriera di guerra fra i due popoli. Per evitare questa
terribile evenienza, decisero di bruciare sia la madre sia il figlio.
Mentre si accingevano a compiere il rito sacrificale, comparve lo
spettro di Polycrite, il quale, dopo aver intimato al suo popolo
di non commettere il duplice assassinio, cominciò a divorare
il figlio. E lo divorò fra le grida e le preghiere della
gente, tutto consumandolo, ad eccezione della testa.
Incerti sul da farsi, i sacerdoti stavano per intraprendere un viaggio
alla volta di Delfi, per consultarvi l’oracolo, quando la testa
incominciò a parlare, predicendo loro una serie di disastri
e di sciagure immancabilmente poi avveratesi.
La storia è raccontata nel bel volume di François
Noël, Dictionnaire de la fable, pubblicato a Parigi nel 1803,
a sua volta citato da Massimo Pettorino e da Antonella Giannini
nel loro originale libro Le teste parlanti. I due ricercatori, esperti
di fonetica e di fonologia, sono stati affascinati dall’esistenza
di una tradizione, appunto, di teste parlanti, che risale alla tarda
antichità e giunge fino al XIX secolo; tradizione che ha
a che fare con i tentativi dell’uomo di imitare la voce umana.
Prodigi, meraviglie, miracoli costellano l’intero arco della
storia umana. I Caldei usavano le teste dei cadaveri per la divinazione;
come si ricorda nella Bibbia, vere e proprie “macchine parlanti”
erano in rapporto con le forze oscure che governano il nostro destino.
Una delle più celebri teste parlanti dell’antichità
è quella di Orfeo, situata nella grotta di Antissa, sacra
a Dioniso, a mo’ di oracolo. Il successo di questa statua-mobile
(la statua è il simulacro della testa vera e propria, mentre
la testa staccata dal corpo è in definitiva una statua che
si anima) provoca l’invidia dello stesso Apollo, dal momento
che nessuno si rivolgeva più all’oracolo di Delfi, come
narra Filostrato nella Vita di Apollonio di Tiana. Sarà proprio
la testa di Orfeo a rivelare a Ciro il Grande il suo destino: finirà
col capo mozzato.
Tuttavia, il racconto delle teste parlanti non riguarda tanto e
solo i culti sacrificali esercitati nel passato dai popoli guerrieri,
ma anche le grandi statue rituali, prime fra tutte i celebri colossi
di Memnon, gigantesche statue in posizione seduta e con le mani
posate sulle ginocchia, alte venti metri, costruite nel XIV secolo
prima di Cristo nella piana di Tebe, di fronte al tempio del faraone
Amenophi III. A causa di un terribile terremoto, nel 27 prima di
Cristo, le statue si inclinarono e per circa due secoli i colossi
spezzati in due furono centro di uno strano pellegrinaggio, di cui
restano ancora oggi le testimonianze letterarie, oltre che le iscrizioni
incise dai pellegrini sul fianco stesso delle statue. Le ragioni
dell’attrazione esercitata dai colossi risiedevano nel suono
che emettevano durante le prime ore del mattino, quando il sole
le colpiva. Ne parlano Pausania, Tacito, Plinio. Fino al giorno
in cui Settimio Severo non pensò bene di restaurarle. Allora
il fenomeno ebbe termine, e i pellegrinaggi cessarono. Gli autori
seguono le tracce di questo lontano episodio miracoloso, ipotizzando
varie soluzioni, dalla vibrazione dei materiali all’uso di
un qualche marchingegno nascosto. E nel frattempo ci presentano
analoghi episodi di pietre sonanti dell’antichità, chiamando
in causa le macchine di Erone alessandrino, matematico e meccanico,
l’unico uomo che nel mondo antico era in grado di costruire
un congegno che producesse suoni.
La storia delle teste parlanti non è che un episodio particolare
della storia degli automi, in cui mito e scienza, stanze delle meraviglie
e gabinetti scientifici sono sovrapponibili, così come magia
e illusionismo hanno a che fare col sapere costruttivo e meccanico:
la meraviglia e lo stupore sono all’origine del processo conoscitivo.
I falsi Adami, come li ha definiti Gian Paolo Ceserani in un celebre
studio edito verso la fine degli anni Sessanta, sono l’antecedente
dei mostri cibernetici della contemporaneità e danno forma
al sogno dell’uomo di realizzare per via artificiale le diverse
facoltà umane: voce, movimento, abilità manuali, persino
abilità intellettuali. Questa storia è raccontata
in modo avvincente da Mario G. Losano, studioso d’informatica,
in Storie di automi. Dalla Grecia alla Belle Epoque.
E’ il Medioevo il baricentro temporale della ricerca della
voce artificiale. Autori di teste parlanti furono persino un papa,
Silvestro II, al secolo Gilbert d’Aurillac, ma anche Alberto
Magno, Gerberto, Roberto Grossatesta – grande studioso della
luce e del colore –, Ruggero Bacone. Grandissimo sapiente,
Alberto Magno aveva costruito un androide che San Tommaso, recatosi
da lui per apprendere i segreti della filosofia, ruppe con un calcio
perché lo importunava con il suo chiacchiericcio, impedendogli
di concentrarsi nella lettura.
I libri del Sette e dell’Ottocento raccontano cose meravigliose
di questa macchina parlante: apriva la porta ai visitatori, si informava
delle ragioni della loro visita, riferiva al padrone di casa, intratteneva
gli ospiti. Se nell’antichità le teste parlanti –
mozzate o no, poco o nulla importa – erano preziosi oggetti
dotati di poteri sacrali, in grado di comunicare col mondo dell’invisibile,
nel Medioevo cristiano la loro carica diabolica veniva reputata
una realtà con la quale era molto pericoloso avere a che
fare, pena la morte corporale e spirituale. Nel libro scorrono i
nomi di filosofi e maghi come Giovan Battista della Porta, e quello
che è uno dei più affascinanti personaggi barocchi,
il padre gesuita Athanasius Kircher, nato in Germania all’inizio
del Seicento, realizzatore presso il Collegio romano della più
celebre Wunderkammer di tutti i tempi, (il suo ritratto, per niente
fantastico, è stato tracciato dallo scrittore olandese Anton
Haakman nel romanzo Il mondo sotterraneo di Athanasius Kircher).
Tra le tante cose, Kircher studia i problemi di acustica, e in una
serie di tavole del suo Musurgiae universalis mostra come realizzare
tubi che imitano il condotto auricolare umano per portare le voci,
raccolte in spazi aperti, nelle bocche di statue parlanti che muovono
le labbra, gli occhi e la lingua.
Con il Settecento entrano in scena una serie di inventori, a metà
strada tra l’illusionismo e la ricerca scientifica vera e propria,
come l’abate Mical, costruttore di automi che suonavano il
flauto e della macchina parlante di cui restano alcune illustrazioni
che ritraggono due teste barbute dentro un tempietto, tra colonnine
e iscrizioni esplicative. E insieme a questi strampalati e fervidi
ecclesiastici appaiono i ventriloqui, che tra il Settecento e l’Ottocento
incantarono e suggestionarono le corti e i teatri dell’intera
Europa, al modo della bambola parlante costruita in Portogallo,
che, sottoposta al vaglio dell’Inquisizione, rispose correttamente
e ottenne una patente di ortodossia.
Ma il culmine è raggiunto col barone von Kempelen, che occupa
un capitolo a sé nella vicenda della costruzione degli automi,
per essere il creatore del favoloso Turco, automa in costume che
giocava a scacchi e che vinse, tra gli altri, Napoleone Bonaparte.
Al Turco, Edgar Allan Poe dedicò un racconto, “Il giocatore
di scacchi di Maelzel”, scritto ben sessantasette anni dopo
la sua apparizione.
Il barone von Kempelen, che era teologo, giurista e uomo politico,
decise di riprodurre la voce umana. Il suo è uno dei pochi
tentativi di realizzare macchine parlanti di cui si hanno testimonianze
e prove certe, anche perché, a differenza del Turco, di cui
non volle mai svelare il segreto, della macchina parlante esiste
una minutissima descrizione.
La più importante intuizione di Kempelen fu quella di capire
che «i suoni venivano più facilmente distinti dall’orecchio
se posti in contrasto l’uno con l’altro e che di conseguenza
andavano uniti e ascoltati in successione». L’orecchio
umano si tara su certe frequenze e soltanto grazie alla differenza
tra i loro rapporti riesce a distinguere un suono dall’altro.
Il passaggio è importantissimo, perché dall’idea
di imitare la voce delle teste parlanti dell’antichità
si passa all’imitazione dell’udito, che aprirà
poi la strada al fonografo e ai moderni strumenti di registrazione
del suono, che paradossalmente imitano l’udito, e non la voce.
Tuttavia, la macchina di Kempelen non avrà mai un volto,
non sarà mai una testa parlante. A questo punto si separano
decisamente la storia degli androidi parlanti e quella delle macchine
sonore. I primi diventeranno materia di illusionisti e maghi –
il mago Houdini è uno di questi –, le altre di ricercatori
e di studiosi. Nel 1879 Thomas Edison sta lavorando al fonografo,
strumento che ci introduce all’epoca della voce riprodotta.
Ora è la voce artificiale ad essere un modello cui quella
naturale tende sempre più a conformarsi. Che è come
dire: la voce non è più un carattere distintivo di
un uomo!
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