Un impasto
di orgoglio nazionale e di ricette
keynesiane può far uscire gli Stati Uniti dalla recessione.
E, insieme con essi, anche il resto
del mondo.
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Abbiamo assistito (più che altro, grazie ad una televisione
araba) ad una guerra di tipo nuovo, tanto nuovo che si è
litigato persino sull’interpretazione della parola. E ancora
oggi si discute su interventi militari, operazioni internazionali
di polizia, e quant’altro. Ma l’economia non ha pazienza
di aspettare la soluzione delle sottigliezze dei filologi della
diplomazia. La finanza allora ha detto: era ed è guerra.
E, avendo scelto il campo, ha posto in atto misure di risposta per
impedire che la finanza e l’economia siano economia e finanza
di guerra. E la prima cosa è stata impedire che sia l’una
sia l’altra fossero dominate dall’emotività tremenda
che la parola suscita. Si trattava e si tratta di impedire che quel
colpo orrendamente bellico distruggesse e distrugga le conquiste
liberali della civiltà globale. Così le autorità
del mercato hanno fatto prima dei generali e hanno adottato interventi
eccezionali di protezione tecnica e di tagli simultanei. In tal
modo, la Federal Reserve e la Banca centrale europea hanno quasi
evitato la catastrofe. Ma, purtroppo, non è stato del tutto
sufficiente.
E’ una magra consolazione, dinnanzi all’ecatombe. Ma i
terroristi puntavano anche a far crollare il castello delle carte
figurate e delle valute. Le quali, finendo in polvere, non trascinano
nella disperazione soltanto gli operatori finanziari (molti se lo
meriterebbero), ma fanno morti reali tra chi nemmeno sa che esistano
azioni quotate in Borsa; alla fine della fiera, infatti, ci rimettono
sempre gli anelli più deboli e infelici della catena alimentare,
com’è in natura e come vige anche tra gli uomini. Lo
scopo era anche quello di buttar giù, di radere al suolo
le Borse. C’erano complici di alto rango. Il fine non era soltanto
di mettere in ginocchio l’America e l’Occidente, con l’esibizione
in fondo antica di distruzione materiale del nemico. Colpendo lì,
in quel punto insieme simbolico e reale delle Torri Gemelle, si
mirava a trascinare nel sepolcro la possibilità stessa di
continuare a lavorare, a commerciare. Il mercato si regge sull’etica,
in fondo sulla fiducia: tu rispetterai il patto, tu vuoi guadagnare,
ma non miri a fregarmi. La guerra fa saltare questa etica, chiude
la globalità in piccole sfere, dove manca l’aria. Ci
sono state strane speculazioni. Vedremo i risultati delle analisi
e delle investigazioni degli specialisti. La risposta a questo terrorismo,
che è stato un atto di guerra, ha imposto misure di guerra
per impedire che si arrivi ad una finanza e ad un’economia
in balia della guerra e del terrorismo. Dobbiamo attenderci successivi
cambiamenti forti dei nostri modi di vita, drastiche riduzioni di
mobilità in un mondo sempre più instabile e meno sicuro.
Che fare? Mi vengono in mente i consigli di John Maynard Keynes.
Amava le provocazioni. La più celebre dice che perché
l’economia giri e tutti si possa star meglio, si possono impiegare
i lavoratori a scavare buche, pagandoli poi per riempirle. Dirò
una cosa in apparenza orrenda e cinica, ma chi provi a riflettere
dovrà dare atto che è proprio la diffusione di una
simile consapevolezza che impedirà tracolli devastanti e
portatori di ulteriori vittime. Ed è questa: la guerra crea
buchi che vanno riempiti. La guerra è una condizione in cui
l’economia americana è sempre, paradossalmente, cresciuta.
Per esempio, un’escalation militare come quella del Golfo nel
1991 non ha provocato alcun cataclisma dell’economia: anzi,
proprio durante il conflitto si è definitivamente avviato
il grande boom americano. Insomma, a voler chiamare le cose con
il loro nome, e senza ricorrere ad espedienti semantici o a circonlocuzioni
ambigue: un impasto di orgoglio nazionale e di ricette keynesiane
può far uscire gli Stati Uniti dalla recessione. E, insieme
con essi, anche il resto del mondo.
La fiducia nell’economia, comunque, anche in momenti così
difficili può rendere la guerra meno devastante e luttuosa.
Niente panico, allora, anche nel nostro Paese, un po’ di patriottismo
e di riforme strutturali ci faranno vincere anche la guerra del
risparmio. Il buon padre di famiglia si preoccupa della sicurezza
e della libertà dei propri figli. Ed essa passa per la sconfitta
dei terroristi dovunque si annidino, persino in Borsa.
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