|     Per alcuni Paesi,lentrata nellUnione è una sorta di premio per 
              avere felicemente superato
 la transizione dal
 regime comunista al sistema democratico, per quanto questo appaia 
              talvolta
 ancora fragile.
 |  | Esiste, e da quando, unidentità europea? E può 
              essere così evidente da farci cambiare anche il modo di raccontarla, 
              superando la nostra e le altrui visioni nazionali? Secondo alcuni, 
              le nostre prospettive di ricerca sono inevitabilmente condizionate 
              dal presente. Allo stato attuale, con lunità economica, 
              ricercare le radici dellEuropa è più urgente 
              di quanto sia stato in passato. E gli storici devono adeguarsi. 
              Certo è che un viaggio a ritroso verso le origini corre il 
              rischio di far emergere una visione parziale della storia europea, 
              coincidente di fatto con quella dellEuropa occidentale. Il 
              discorso, dunque, andrà allargato anche allEst europeo. Cè chi considera decisivi i decenni a cavallo del 
              Settecento. Nel 1751 Voltaire descriveva il continente come «una 
              specie di grande repubblica, divisa in molti Stati, alcuni monarchici, 
              altri misti, ma tutti simili tra loro». Ventanni dopo, 
              Rousseau annunciava che «non esistono più francesi, 
              tedeschi e spagnoli, ma soltanto europei». Nel 1796 Edmund 
              Burke sosteneva che «nessun europeo può essere un vero 
              esule in alcuna parte dEuropa». Eppure, malgrado tutto 
              questo, in assenza di una struttura politica comune, la civiltà 
              europea può essere definita solo secondo criteri culturali. 
              Impostazione che è condivisa da alcuni studiosi, secondo 
              i quali è vero che la storia dellEuropa unita è 
              cominciata da appena mezzo secolo e si può ritenere che sia 
              ancora ai primi passi, ma è innegabile che le radici affondino 
              nel mondo antico. E, se vogliamo seguire il filo di una tradizione 
              civile che possa considerarsi alla base del nostro presente, è 
              al mondo greco-romano che dobbiamo rifarci.Su queste basi, non si può condividere del tutto quel filone 
              della storiografia che individua in Carlomagno il padre della moderna 
              Europa. E dallaltra parte, sul tema dei Padri tra gli storici 
              ci sono ancora divergenze di vedute. Nel senso che, comè 
              stato scritto, i figli dellEuropa non sono mai figli né 
              di una sola madre né di un solo padre. Lassorbimento 
              dellEuropa cattolica nellImpero di Carlomagno è, 
              sì, un momento fondante, ma rapidamente svanito nella sua 
              forma politico-istituzionale. Rimane tuttavia vivo il senso dellappartenenza 
              dei popoli e dei Paesi europei a una stessa cornice etica e politica, 
              civile e religiosa. In realtà, la nozione moderna dellEuropa 
              si è sviluppata attraverso ampliamenti progressivi verso 
              Oriente, il Nord, il Mediterraneo, superando i limiti di quellEuropa 
              carolingia, senza tradire però il germe della vocazione iniziale.
 Alessandro Barbero ha dedicato allImpero carolingio il volume 
              Carlo Magno: un padre dellEuropa; un saggio che, attraverso 
              una molteplicità di prove e di segnali, vuole dimostrare 
              come in quegli anni si siano poste le basi della rinascita demografica 
              ed economica del continente: «Con la conquista carolingia 
              nasce la percezione dellEuropa come la concepiamo oggi. Perché 
              un altro tema importante è che cosa sta dentro lEuropa».LImpero carolingio è uno spazio politico unitario che 
              va da Amburgo a Benevento, da Vienna a Barcellona, il cui asse commerciale 
              sono il Reno e i porti del Mare del Nord, uno spazio profondamente 
              diverso da quello dellImpero romano, che aveva al centro il 
              Mediterraneo e si spingeva fino al Nordafrica e allAsia Minore. 
              Quella di Carlomagno, cioè, è proprio la parte più 
              originaria dellEuropa stessa. O almeno di una delle Europe 
              possibili. «Perché il continente non si ferma ai Quindici», 
              sostiene Nicola Tranfaglia, «cè lEuropa 
              occidentale, quella orientale, quella mediterranea. Lidea 
              di Carlomagno come Padre è un po una leggenda. Ci sono 
              personaggi che, secondo me, hanno contribuito molto di più 
              a questa realtà. Penso a Erasmo da Rotterdam, in ambito culturale. 
              O ad alcuni politici, soprattutto dopo il 1945».
 Anche Rosario Villari afferma che «Carlomagno ha certamente 
              avuto una funzione importante, è una condizione su cui, a 
              un certo punto, si è innestato il processo di formazione 
              dellEuropa, ma essa ha radici più antiche». Villari 
              vede nella nascita della città il vero spartiacque: «E 
              in quel periodo, con il grande sviluppo degli agglomerati urbani, 
              soprattutto nellItalia centro-settentrionale, nelle Fiandre, 
              nella Francia del Nord, sulle coste tedesche del Baltico, che si 
              sviluppa anche una rete europea di comunicazione e di scambi». 
              Ma questo, per Villari, non significa che lItalia sia il centro 
              dellEuropa: «In un certo momento storico, quello comunale 
              e rinascimentale, può avere avuto un peso maggiore, ma altri 
              Paesi nel corso del tempo hanno dato il loro contributo».Lattuale clima internazionale ha rimosso un problema urgente 
              e importante che era nellagenda europea: lallargamento 
              dellUnione verso alcuni Paesi dellEst (tra cui Polonia, 
              Slovenia, Croazia, Repubblica Ceca). Lallargamento in effetti 
              solleva grosse questioni di ordine economico e sociale (adeguamento 
              dei parametri economici, armonizzazione dei sistemi fiscali, norme 
              per la libera circolazione della forza-lavoro, redistribuzione dei 
              fondi strutturali, ecc.). Ma ripropone soprattutto problemi di natura 
              culturale e identitaria. Riporta in primo piano il nesso tra confini 
              e memorie. Cioè, lesistenza di frontiere che per decenni 
              sono state motivo di controversia e hanno forgiato polemicamente 
              memorie e identità antagoniste. E un punto che non 
              va eluso. Il nesso confini-memorie è tuttuno con quella 
              rielaborazione critica e solidale del passato europeo che in parte 
              è già stata compiuta nellOccidente europeo, 
              in coincidenza con la nascita e lo sviluppo della Comunità 
              europea, ma in parte è rimasta sospesa. Il motivo principale 
              che ha spinto i responsabili dellUnione europea a mettere 
              nellagenda lallargamento è la convinzione che 
              lintegrazione diventa un potente fattore di stabilizzazione 
              socio-politica dei Paesi interessati. Viceversa, sarebbe pericoloso 
              avere ai confini dellUnione Paesi in preda a crisi destabilizzanti. 
              Nel caso della Polonia, della Cechia, della Slovenia e dellEstonia 
              si aggiunge anche che lentrata nellUnione è una 
              sorta di premio per avere felicemente superato la transizione dal 
              regime comunista al sistema democratico, per quanto questo appaia 
              talvolta ancora fragile. Incidentalmente viene usato anche largomento 
              che i Paesi nominati appartengono storicamente alla cultura e allarea 
              europea, e quindi si tratterebbe di un ritorno a casa. E un 
              punto che meriterebbe un approfondimento proprio in vista di quella 
              riscoperta e rielaborazione di una cultura e identità europea 
              che è meno scontata di quanto si creda.
 Quando si parla di identità europea si oscilla 
              tra laffermazione della sua presunta esistenza (rintracciata 
              nelle lontane e profonde radici storiche del continente) e lesigenza 
              che tale identità sia costruita. Magari con un processo che 
              segue la falsariga della costruzione delle identità nazionali 
              tradizionali.
 E un processo di ricostruzione e rimemorizzazione storica. 
              A tuttoggi però siamo molto in ritardo nellelaborare 
              una storiografia europea che integri le componenti le differenti 
              storie nazionali costitutive delle rispettive identità. Manca 
              una storiografia europea integrata che sia al tempo critica e solidale: 
              critica degli aspetti degenerativi delle singole nazioni, ma insieme 
              solidale nel riconoscere errori comuni. Soprattutto convinta della 
              necessità di trasformare quegli errori in motivi di cooperazione 
              odierna. Tutto ciò frena la creazione di unautentica 
              identità europea.
 La Comunità/Unione europea ha dissolto al suo interno lantagonismo 
              nazionale ostile, inteso non solo come strumento di confronto politico, 
              ma come fattore di identità di un popolo (unidentità 
              ritagliata appunto sulla contrapposizione del francese contro il 
              tedesco o litaliano, ecc.). Come sottoprodotto di questa riuscita 
              operazione si è definitivamente sdrammatizzato il problema 
              dei confini allinterno dellOccidente europeo. Ora lallargamento 
              verso Oriente riguarda nazioni e popoli con i quali ci sono stati 
              fino a non molto tempo fa seri contrasti di confine e di connessa 
              memoria collettiva. Mi riferisco alla frontiera polacca verso la 
              Germania sullOder-Neisse una volta per tutte accettata, con 
              qualche esitazione, dai tedeschi soltanto nel 1990, in occasione 
              della loro riunificazione. Nella Repubblica Ceca il problema dei 
              Sudeti ha lasciato strascichi giuridici e simbolici con gruppi di 
              popolazione tedesca espulsi nel lontano 1945. Quanto alla nostra 
              vicina Slovenia, sappiamo quanta fatica è costato arrivare 
              ad unintesa, a una comprensione reciproca.
 Ora, è straordinariamente positivo che confini controversi 
              stiano per diventare confini interni di una sola Unione politica. 
              E straordinario, ma sarebbe ingenuo pensare che la problematica 
              connessa sparisca dincanto, senza contrattempi e senza resistenze. 
              Nessun funzionalismo e automatismo economico potrà assorbire 
              residui di memoria ostile accumulatasi in decenni. E dunque 
              necessario che ci si attrezzi, che ci si prepari. Sarà un 
              modo molto concreto di affrontare e risolvere questioni di identità 
              neo-europea e di recuperare culture rimaste ai margini dellesperienza 
              comunitaria. Attrezzarsi: anche perché non è che allinterno 
              dellUe tutte le questioni, comprese quelle degli orgogli nazionali, 
              siano state del tutto superate. Si veda il caso del vertice di Gand, 
              quando lItalia e la Spagna, oltre al Benelux e ad altri Paesi, 
              vennero escluse e ne fecero un problema di prestigio, oltre che 
              di correttezza politica. Il problema era la Francia. Da quando la 
              Germania riunificata si è accresciuta di un terzo in popolazione, 
              di un quarto in Prodotto interno lordo e di dieci volte in peso 
              politico, la Francia, che fino a dieci anni prima era stata (o si 
              era sentita) il centro indiscusso del continente, va cercando una 
              nuova identità.  Cosa difficile sempre, ma difficilissima per chi della propria 
              supremazia politica e culturale è sempre stata profondamente 
              persuasa. Lattacco alle Twin Towers, poi, aveva aggravato 
              le cose, mettendo in evidenza il talento politico di Blair, lalto 
              grado di efficienza dellapparato militare britannico e la 
              forte coesione nazionale del Regno Unito. Stretta tra Germania e 
              Gran Bretagna, la Francia teme di finire su un gradino più 
              basso. Per questo convoca vertici ai quali invita Londra e Berlino, 
              e non invita Roma o Madrid. Che poi servano o no, poco conta. Non 
              è una questione di sostanza, ma di forma: ed è grave, 
              in unEuropa che ogni tanto rischia di ritornare alla prevalenza 
              degli interessi nazionali su quelli collettivi. A meno che, come 
              ci si augura, non si tratti degli ultimi sussulti e grida prima 
              che le diverse identità, tutte di uguale caratura, diano 
              un nome definitivo allidentità continentale europea. |