Le cassandre
a tutti i costi
fanno paragoni
con il 1980, quando risentimmo dello shock petrolifero
e della scarsa
produttività.
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Per scaramanzia, non voglio parlare di “recessione”,
e meno che mai di “recessione globale”. Parlerò
invece di limbo imprevedibile: siamo tutti in una zona economica
grigia che rischia di diventare ancora più buia. I giapponesi
da qualche anno, noi americani da parecchi mesi e voi europei insieme
con noi: tutti nella stessa barca. Con la crisi di Wall Street che,
nel recentissimo passato, non ha fatto che peggiorare la situazione.
Non è roba su cui scherzare: ci sono andati di mezzo anche
i piccoli risparmiatori, i pensionati, e così via.
A dire la verità, mi aspettavo tutto questo. Vedevo arrivare
il crollo del Prodotto interno lordo del Giappone e temevo un improvviso
aumento della disoccupazione negli Stati Uniti. Chi non se l’aspettava
era la Borsa, che poi ha accusato il colpo e ha perso un altro bel
po’ di miliardi di dollari. Il fatto è che Wall Street
aveva nutrito troppe aspettative sulla nuova economia. Quando ha
cominciato a fare i conti, ha visto che troppe sue aziende non fornivano
più profitti. E così non ha potuto evitare la caduta.
In seguito è arrivata la crisi della vecchia economia, che
aveva accumulato troppi inventari, e che ha dunque impedito alla
Borsa di rialzarsi. Il resto lo ha fatto l’attacco terroristico
a New York.
Malgrado tutto ciò, non intendo parlare di recessione. L’America
è in ristagno. Ma non voglio fare della semantica: la reazione
della gente è importante, c’è stata, e sembra
continuare positivamente. E sinora l’economia è stata
sorretta dai consumi, che non sono scesi più di tanto, anche
se è impossibile prevedere il loro andamento nell’immediato
futuro. Ora, i consumi americani sono fortemente legati all’edilizia,
che è stata salvata dai ribassi dei tassi di interesse della
Federal Reserve: la stragrande maggioranza degli americani deriva
la propria ricchezza dalla casa. Fino a che il mercato edile resterà
forte, i consumi reggeranno. Temo che possano calare, se cambia
la tendenza. La caduta della Borsa ha danneggiato gli investimenti
di capitale un po’ dovunque, e infatti si trova in difficoltà
anche l’industria dei servizi, non più soltanto l’industria
manifatturiera. Il ribasso dei tassi non serve a rilanciare gli
investimenti. Ripeto: serve a difendere i consumi. Chi ha soldi
non se la sente di rischiare in un panorama così incerto.
D’altra parte, la congiuntura internazionale non aiuta. In
Asia sono impantanati anche Singapore e Taiwan, oltre al Sol Levante.
In Europa, la Germania non va benissimo, come del resto la Francia
e il Regno Unito, e l’Italia ha bisogno di riforme strutturali.
L’America Latina perde colpi. Se anche il dollaro continuasse
a deprezzarsi rispetto all’euro, cosa tutt’altro che certa,
non potremmo contare su un aumento delle nostre esportazioni, perché
quasi tutti i mercati globali sono in contrazione.
Come uscirne? Intanto, la Federal Reserve ha continuato ad abbassare
i tassi, anche perché l’inflazione è bassa. La
Banca centrale europea dovrebbe prendere esempio, continuando a
fare altrettanto, perché l’Europa ha altrettanto bisogno,
quanto noi. E deve adottare altre misure espansionistiche. In Italia,
si devono ridurre le tasse sulle piccole e medie imprese. Da noi,
in Usa, potrebbero rivelarsi utili altri sgravi fiscali. Nel migliore
dei casi, otterremo risultati entro i primi quattro mesi del 2002.
Chi aveva previsto riprese miracolose, si era semplicemente illuso.
La china non sarà facile da risalire, anche se è stata
imboccata la strada giusta e si sono fatti i primi, importantissimi
passi avanti.
In questo senso, non è il caso di fare analogie col passato.
Le cassandre a tutti i costi fanno paragoni con il 1980, quando
risentimmo dello shock petrolifero e della scarsa produttività.
Mi sembra eccessivo. C’è il cinquanta per cento di probabilità
che riusciamo ad evitare il peggio. Ma è necessario che,
nei limiti del possibile, coordiniamo le nostre politiche economiche.
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