|     Per fare leurotrotter, per lo studio, il lavoro,
 la residenza, ci vuole preparazione
 e ci vuole coraggio.
 Un milione
 di europei ha già
 dimostrato di avere queste doti.
   |  | Europa amica, Europa dei cittadini, Europa 
              in linea: sono, questi, alcuni dei titoli dei programmi con 
              cui, si può dire, lUnione europea tende la mano ai 
              376 milioni e 455 mila di uomini e donne che, secondo le ultime 
              stime di Eurostat, costituiscono la popolazione dei 15 Paesi di 
              cui è composta. Con questi programmi, diffusi via Internet, 
              con spot televisivi e radiofonici, pubblicazioni varie, lUnione 
              vuole dimostrare di essere non solo un grande progetto politico 
              ed economico (la comunità oggi di 15 Stati membri e in un 
              prossimo futuro allargata ad altri 12-13 Paesi, leuro, eccetera) 
              ma anche un efficace strumento per migliorare le condizioni di vita 
              dei suoi cittadini.Ma sta avendo successo questoperazione promozionale? Sì 
              e no. Secondo dati recenti di Eurobarometro, si è ridotto 
              a un misero 13 per cento del totale il numero degli europei che 
              non gradiscono la partecipazione del proprio Paese allUnione. 
              Ma le percentuali di dissenso salgono se le indagini si spostano 
              dalladesione generica ai particolari del rapporto di fiducia 
              (o di sfiducia) tra lEuropa e i suoi cittadini. Alla fine 
              di ottobre dellanno passato, ad esempio, ancora un terzo degli 
              abitanti adulti di Eurolandia (larea dei 12 Paesi in cui è 
              appena entrato in circolazione leuro) considerava come una 
              iattura il vicinissimo avvento della moneta unica. A questo dato, 
              pure fornito da Eurobarometro, se ne aggiungevano altri non meno 
              preoccupanti. Ben il 40 per cento tra gli abitanti dellUnione 
              non si sentivano cittadini europei. Il 31 per cento dichiarava di 
              ritenere che ladesione allUnione avesse portato al loro 
              Paese e a loro stessi più svantaggi che vantaggi. Il 34 per 
              cento rispondeva poco o niente alla domanda su che cosa, 
              di positivo, avesse fatto lUnione dalla sua nascita (nel 58, 
              con lentrata in vigore dei trattati di Roma) fino ai nostri 
              giorni.
 I critici, anche se minoritari, sono dunque un buon numero. Ma 
              a torto. Perché è fuori dubbio che lUnione europea 
              è una somma di molti risultati positivi raggiunti e di altri 
              promessi per il futuro. Da quando esiste, assicura la pace in unarea, 
              quella in cui si collocano i 15 Paesi che la compongono, dove per 
              secoli e millenni si sono combattute guerre a ripetizione. E 
              sempre più spesso un fattore di equilibrio internazionale. 
              Sta unendosi economicamente (tra laltro con leuro già 
              in circolazione in 12 Paesi). Ultimo, ma non minore: è impegnata 
              per migliorare le condizioni di vita dei suoi cittadini. E 
              dunque anche utile.DellEuropa utile abbiamo già parlato nei nostri precedenti 
              articoli pubblicati su questa Rivista, segnalando, tra laltro, 
              quanto, da parte dellUnione, viene fatto a tutela dei consumatori, 
              per sfruttare sempre più e meglio le risorse naturali (quelle 
              offerte dal mare, ad esempio), per portare il benessere in aree 
              che, come molte regioni montagnose, fino a tempi recenti erano condannate 
              allarretratezza. Continuiamo il discorso sullo stesso argomento 
              occupandoci, su questo numero, delle iniziative dellUnione 
              in tema di mobilità, cioè, precisiamo, per rendere 
              possibile ai cittadini europei che lo desiderano di lavorare, studiare, 
              trasferirsi in un Paese diverso da quello dove hanno la loro abituale 
              residenza.
 Sulla carta questa facoltà è operante da nove anni, 
              da quando, con listituzione  dal primo gennaio 93 
               del Mercato Unico Europeo, è stato riconosciuto 
              a tutti i cittadini dei 15 Paesi il diritto di scegliere allinterno 
              dellEuropa Unitaria il luogo dove lavorare, studiare, risiedere. 
              Ma quanti e come hanno utilizzato questopportunità? 
              Non molti, ma neppure pochissimi. Detto in altre parole, lEuropa 
              della mobilità nel campo del lavoro, dello studio e della 
              residenza è partita: ma con lentezza e anche qualche incertezza, 
              dovute peraltro, la prima e la seconda, a una serie di cause che 
              sarà possibile  se lo si vorrà  rimuovere 
              almeno in buona parte, rendendo realizzabili, se questo avverrà, 
              migliori risultati in un prossimo avvenire.
 In attesa che questo secondo tempo arrivi, vediamo intanto alcuni 
              dei risultati già raggiunti. Nel periodo 1987-1999, grazie 
              a una serie di programmi europei  Socrates, Leonardo da Vinci, 
              Gioventù, Marie Curie, tra gli altri  più di 
              un milione di giovani, insegnanti, ricercatori e addetti alla formazione 
              hanno fatto esperienze di studio, di tirocinio, di specializzazione 
              professionale, in taluni casi anche di lavoro in Paesi europei diversi 
              da quello dove risiedono. Alcune altre centinaia di migliaia di 
              persone appartenenti a queste categorie di cittadini (i dati precisi 
              non sono ancora disponibili) hanno avuto lopportunità 
              di fare analoghe esperienze nel 2000 e nel 2001.Lette senza fare confronti, queste cifre  1 milione più 
              alcune altre centinaia di migliaia  possono dare limpressione 
              di un notevole successo. Questimpressione però si modifica 
              se accanto ai dati della mobilità si mette quello del totale 
              delle persone teoricamente coinvolte, gli oltre 376 milioni di uomini 
              e donne che costituiscono la popolazione dellUnione Europea. 
              Se lo si fa, risulta che i fruitori dellofferta di mobilità 
              sono stati 1 ogni 376 o 374-375, lo 0,3 per cento; o poco più 
              se si mettono nel conto anche le decine di migliaia di persone (il 
              dato preciso, pure in questo caso, non è ancora noto) che, 
              per iniziativa dei singoli interessati, si sono trasferiti, per 
              periodi più o meno lunghi, in altri Paesi europei.
 Poco: anche se il bilancio sui primi anni della mobilità 
              europea non si misura soltanto con i numeri degli spostamenti per 
              lavoro, studio, cambio di residenza. Secondo fonti della Commissione 
              Europea i giovani che hanno fatto unesperienza di studio in 
              un Paese diverso da quello di abituale residenza quando tornano 
              in patria hanno probabilità maggiori (rispetto ai loro coetanei) 
              di trovare rapidamente unoccupazione e in qualche caso hanno 
              buone chances per intraprendere carriere in organismi internazionali, 
              quelli europei compresi. Le imprese, le stesse istituzioni pubbliche 
              hanno fame di ricercatori. 8.600, con altrettante borse di studio 
              Marie Curie, saranno forniti dallUnione europea 
              entro la fine di questanno. Testimonianze raccolte dai mezzi 
              dinformazione, dalla stessa Commissione europea documentano 
              che in un certo numero di casi  non molti per la verità 
               giovani disoccupati hanno trovato, in altra zona dellUnione 
              europea, il tipo di lavoro che avevano inutilmente cercato nel loro 
              Paese.
 Pur tenendo docchio, per un giudizio complessivo, linsieme 
              di questi elementi, resta il fatto che numericamente il progetto 
              mobilità non ha dato finora grandi risultati. Avviene per 
              una serie di ragioni, tutte degne di attenzione. In testa, secondo 
              gli esperti della Commissione europea, cè il fattore 
              psicologico. Tra i giovani  lo dice una ricerca di Intercultura, 
              una delle più importanti tra le organizzazioni non pubbliche 
              che, in Italia, da molti anni, organizzano scambi tra studenti europei 
               sono pochissimi (non più dell11 per cento) coloro 
              che considerano un soggiorno in un altro Paese dellUnione 
              come unutile esperienza di studio. Per il rimanente, la maggioranza, 
              è puro turismo, o piacere di stare con altri giovani.
 Fanno riflettere altre notizie, queste riferite a persone che usufruiscono 
              del diritto alla mobilità per ragioni di lavoro. Secondo 
              dati raccolti dalla società NetExpat tra i lavoratori distaccati 
              dalle loro aziende, per periodi più o meno lunghi, in altri 
              Paesi dellUnione, un numero non indifferente (oscilla tra 
              il 15-25 per cento) chiede di tornare a casa prima della scadenza 
              stabilita.
 Naturalmente i problemi psicologici non nascono a caso, per capriccio. 
              Sono affiancati, talvolta in modo determinante, da serie difficoltà 
              di carattere pratico. Cè, per ragazzi e adulti, la 
              lontananza dalle famiglie e dagli amici. Ci sono gli ostacoli linguistici. 
              Cè infine, per moltissimi, la delusione per non vedere 
              realizzate, del tutto o in parte, le aspettative che avevano fatto 
              scattare la voglia di partire  per studio o lavoro  
              verso un altro Paese europeo.
 Il 2001 è stato proclamato nellUnione e in tutti i 
              Paesi che fanno parte del Consiglio dEuropa (sono 47!) anno 
              europeo delle lingue. Liniziativa, articolatasi con 
              un programma intensissimo di manifestazioni, è nata per sollecitare 
              una più diffusa e migliore conoscenza delle lingue. Non sappiamo 
              quali risultati queste manifestazioni abbiano dato o promettano 
              di dare in tempi non troppo lunghi. Certo, il problema è 
              grosso. Specialmente in alcuni Paesi dellUnione (tra cui lItalia) 
              la conoscenza delle lingue straniere, compresa la più importante, 
              linglese, è poco diffusa e, spesso, superficiale. Nelle 
              stesse istituzioni europee si è costretti a tenere attivo 
              un costosissimo apparato di traduzioni in tutte le lingue ufficiali 
              dellUnione (sono 11!) e, per qualche documento, anche in due 
              altre lingue, il lussemburghese e lirlandese.
 Il problema linguistico, da risolvere non con i corsi serali o 
              domenicali ma con rimedi radicali  ad esempio, usando espressioni 
              di una lingua straniera già per i giochi delle materne o 
              insegnando in questa lingua alcune materie nelle scuole elementari 
              (lo propone lEuropean Language Council)  
              è spesso una vera e propria palla al piede per chi, parlando 
              solo lidioma del proprio Paese, tenta, o vorrebbe tentare, 
              lavventura della mobilità. Ma non è il solo 
              ostacolo.Cè la difficoltà, per gli studenti, di ottenere 
              le borse di studio (sono concesse in numero limitato). Cè 
              lesigenza di integrarle, per far fronte alle spese della trasferta, 
              con sovvenzioni familiari o, se queste non sono possibili, con qualche 
              soldo messo insieme trovando un lavoretto. Cè, restando 
              in argomento di borse di studio, perfino il rischio che in qualche 
              Paese, in applicazione delle norme tributarie locali, si debbano 
              pagare le tasse sui modestissimi contributi ottenuti.
 Non finisce qui la lista dei problemi cui si trova di fronte il 
              giovane eurotrotter fruitore di un programma dellUnione per 
              la mobilità. Per non farla troppo lunga, citiamo solo pochi 
              esempi. Il nostro giovane dovrebbe poter godere di assistenza medica 
              e farmaceutica, di sconti e facilitazioni uguali a quelli di cui 
              usufruiscono i coetanei locali per i trasporti pubblici, i musei, 
              i teatri, gli impianti sportivi. Non sempre avviene. Come non sempre 
              avviene (anche se, per la verità, è più uneccezione 
              che una regola) che unesperienza di studio o addirittura un 
              diploma ottenuti in altra parte dellUnione trovino pieno riconoscimento 
              nel proprio Paese.
 E non va tutto liscio o meglio non va sempre tutto liscio (sono 
              in aumento i casi per cui le soluzioni sono rapide e adeguate) per 
              gli eurotrotters di maggiore età, per coloro che si spostano 
              allinterno dellUnione per seguire corsi di formazione 
              professionale, per fare unesperienza di tirocinio in unazienda, 
              per lavorare, per cambiare la propria residenza. Un disoccupato 
              che segue un corso di formazione in altro Paese europeo per migliorare 
              la propria preparazione professionale e avere, quindi, maggiori 
              possibilità di essere assunto in una fabbrica o in un ufficio 
              perde il sussidio che gli è stato concesso perché 
              persona priva di lavoro se resta lontano dalla patria per più 
              di tre mesi, anche se una trasferta più lunga gli è 
              indispensabile per portare a termine lesperienza offertagli. 
              Inconvenienti, e non da poco, per passare ad altro esempio, si presentano 
              anche per un insegnante che accetta, nel quadro dei programmi europei, 
              di trasferirsi e lavorare, per qualche mese, in un istituto di istruzione 
              di un altro Paese. Ottiene una modesta indennità, ma pochissimi 
              riconoscimenti. Gli può addirittura accadere (in un numero 
              limitato di casi si è verificato) che la sua carriera nel 
              Paese dorigine venga addirittura rallentata.
 Dunque, arrivando alla conclusione, per fare leurotrotter, 
              per lo studio, il lavoro, la residenza, ci vuole preparazione e 
              ci vuole coraggio. Un milione e qualche centinaio di migliaia di 
              europei ha dimostrato di avere queste doti. E hanno aperto la strada 
              a una quantità notevolmente superiore di candidati alla mobilità, 
              che si metterà certamente in viaggio quando le difficoltà 
              e gli ostacoli verranno rimossi o ridotti: prospettiva, questa, 
              che non è impossibile e probabilmente neppure troppo lontana. 
              Per realizzarla è già al lavoro un gruppo di esperti 
              presieduto da funzionari della Commissione europea e composto da 
              rappresentanti di tutti i 15 Stati dellUnione. Ogni due anni 
              renderà noti i risultati raggiunti con un documento. Aspettiamo 
              di leggere il prossimo: nella speranza che sia unaltra prova 
              di vitalità e di efficienza dellEuropa utile. |