Una fuga in grande stile, per difendersi, almeno
in parte,
dai crolli provocati dalla recessione
negli Stati Uniti.
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Meno azioni italiane, più estero e più reddito fisso
nei portafogli delle famiglie. La svolta è sopraggiunta lo
scorso anno: dopo quattro anni di feeling, dicono i numeri dell’Istituto
di Emissione, i risparmiatori hanno voltato le spalle a Piazza Affari.
In cifre, fa 41 mila miliardi in meno rispetto al 1999, quando gli
investimenti sui listini nazionali erano cresciuti di 5 mila miliardi.
Tramontato il boom di privatizzazioni (o privatizzazioni all’italiana),
finita la crescita degli utili, è cominciato il riflusso
sui titoli di Stato, ma non sul breve termine, sui Bot che il Tesoro
ha continuato ad offrire con rendimenti bassi: le famiglie hanno
preferito il medio-lungo termine.
Un grosso balzo per i prodotti del settore: 56.294 miliardi raccolti
in un anno, mentre il breve termine ne perdeva oltre 8 mila. Il
“salto” sulle Borse estere ha fatto il resto: mentre azioni,
fondi, obbligazioni e derivati italiani perdevano in complesso 7
mila miliardi, le piazze straniere ne attiravano 34.300 più
del ‘99. E la decisa frenata sui titoli ne ha innescato un’altra
sui Fondi, dove gli investimenti delle famiglie hanno prodotto un
aumento di 39 mila miliardi, contro i 176 mila dell’anno precedente.
Una fuga in grande stile, per difendersi, almeno in parte, dai crolli
provocati dalla recessione negli Stati Uniti. Lo scorso anno si
è cominciato a diversificare, senza però uscire del
tutto dalla Borsa: la famiglia italiana resta leader degli investimenti.
Tra la fine del 1995 e il 1999, la sua quota di azioni e Fondi in
portafoglio è aumentata di 27 punti percentuali (dal 18 al
45,6 per cento). E’ il tasso più elevato nel confronto
con gli altri Paesi dell’Unione europea, degli Stati Uniti,
del Giappone e del Regno Unito.
Non è neanche il solo primato: la famiglia italiana si segnala
anche per la scarsa propensione a far debiti. Sempre tra il ‘95
e il ‘99, ha aumentato le passività dal 22 per cento
al 28 per cento del Prodotto interno lordo, ma resta sempre a un
livello inferiore di Germania e Spagna. Una media, nello stesso
periodo, di 19 famiglie indebitate su 100 in Italia, a fronte delle
43 in Germania e delle 74 negli Stati Uniti. Soldi quasi sempre
investiti nel mattone, visto che il fattore fondamentale di indebitamento
è rappresentato dall’acquisto e dalla ristrutturazione
di immobili (per il 60 per cento delle famiglie proprietarie, la
casa, sebbene colpita dal più medioevale dei balzelli, l’Ici,
dichiarata incostituzionale altrove in Europa e nel mondo, rappresenta
il 75 per cento del patrimonio).
Non è un quadro rassicurante, perché nell’ultimo
decennio è cambiata radicalmente la propensione al risparmio
ed è aumentata la tendenza a investire all’estero: a
fine 2000, il patrimonio netto dei Fondi comuni risultava composto
per il 53 per cento da attività estere, e per le azioni la
quota era del 75 per cento. Il saldo dei movimenti di portafoglio
dal 1995 si è progressivamente deteriorato e nel 2000 è
risultato negativo per 51 mila miliardi. Più “formiche”
di noi si sono dimostrati francesi e giapponesi: nel 2000 il rapporto
fra risparmio e reddito è sceso all’11,3 per cento (17,2
per cento nel ‘93), contro il 15,6 per cento della Francia
e il 12,8 per cento del Giappone. Soltanto in Germania (10,1 per
cento) e nel Regno Unito (3,9 per cento) è più basso,
mentre si è annullato negli Stati Uniti.
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