|           Stockhausen ha ritenuto
 di dover dichiarare,
 compiaciuto, che gli attentati alle Torri di New York sono stati 
              la più grande opera darte di tutti
 i tempi.
 |  | Non era mai accaduto che negli Stati Uniti un qualunque editore 
              rifiutasse di pubblicare un testo di Gore Vidal, di Susan Sontag, 
              di Noam Chomsky, di James Hillman, o persino del palestinese Edward 
              Said. La sinistra liberale aveva avuto sempre porte aperte, anche 
              quando una Sontag scrive sul coraggio dei kamikaze che hanno colpito 
              le Torri Gemelle e sulla speculare vigliaccheria dei piloti dei 
              B-52: opinioni sue, semmai buone per far dibattito o polemiche su 
              giornali e riviste, in unAmerica che non ha mai censurato 
              nessuno e che si è sempre confrontata con chiunque. Ma laggressione 
              selvaggia e ghignante di Vidal a un Paese avvolto nella sua bandiera, 
              ferito, oltraggiato da torbide menti teocratico-terroristiche, non 
              ha avuto ascolto. Ostracismo senza appello. Cè sempre 
              una prima volta, evidentemente, anche oltre Atlantico. Vidal ha 
              trovato asilo politico (si fa per dire) in Italia, non soltanto 
              a Ravello, dove di solito va in villeggiatura, ma anche presso un 
              editore, che metterà nero su bianco quanto ha scritto con 
              la sua intelligenza sboccata e intrattabile.E non è tutto. Forse memore dei suoi trascorsi maoisti, poi 
              diluiti nel misticismo germanico, Karlheinz Stockhausen ha ritenuto 
              di dover dichiarare, compiaciuto, che gli attentati alle Torri di 
              New York sono stati la più grande opera darte di tutti 
              i tempi: «Proviamo a immaginare quel che è successo. 
              Gente straordinariamente concentrata su una recita, e poi cinquemila 
              persone che vengono cacciate nella Resurrezione in un momento. Al 
              confronto, noi compositori non valiamo niente».
 Dichiarazione, in un momento di resipiscenza, parzialmente riveduta, 
              («Ma dove mi ha portato Lucifero? Non è terribile quel 
              che mi è improvvisamente venuto in mente?»), e in seguito 
              addolcita sul suo sito con una cervellotica elucubrazione, rifilata 
              per dichiarazione dintenti, del genere estetica sublime. 
              Ammorbidimenti che non gli hanno evitato, da parte degli scandalizzati 
              enti organizzatori, lannullamento di una serie di concerti.
 Personaggio più che singolare, Stockhausen. Non un pazzoide, 
              come una parte della stampa internazionale lo ha definito, dopo 
              linfelice uscita post-Towers. Ma sicuramente gaffeur, imprudente, 
              istintivo affabulatore, che ha perso loccasione di tacere. 
              E infatti un fior di musicista, ammirato da colleghi molto 
              più austeri nellatteggiamento (da Pierre Boulez a Maurizio 
              Pollini); e anche un artista congenitamente provocatore, per il 
              quale è pressoché impossibile concepire le produzioni 
              al di fuori dello sperimentalismo più estremo e, in qualche 
              caso, persino imbarazzante.
 Nel ciclo Aus den Sieben Tagen, ad esempio, abolisce 
              gli spartiti per gli orchestrali, utilizzando soltanto testi verbali. 
              In Ylem, i diciannove esecutori debbono ricercare un 
              rapporto telepatico ad occhi chiusi, mentre il direttore dorchestra, 
              al centro della sala, ascolta senza fare alcun gesto.
 In Sternklang, tutti i modelli musicali sono correlati, 
              nel ritmo, nei timbri e negli intervalli, alle costellazioni celesti 
              classiche. In Tierkreis, il materiale di base è 
              invece una raccolta di dodici melodie, esattamente una per ogni 
              segno zodiacale. E fra la sua produzione recente cè 
              un quartetto darchi che concerta con quattro elicotteri.
 Ora, dallalto dei suoi settantatré anni, Stockhausen 
              può ben dirsi una celebrità.
 
              
                | I 
                  restauri che uccidono la musica
 S. B. Il grido dallarme lo ha 
                    lanciato Uto Ughi: «Sta succedendo una cosa terribile 
                    in Italia, negli ultimi anni: si sta sistematicamente distruggendo 
                    lacustica dei nostri teatri. Stanno assassinando i nostri 
                    naturali musei della musica, stanno rovinando il nostro patrimonio 
                    culturale. Nessuno ne parla. Io ho scritto al ministro della 
                    Cultura, ma non ho ancora ricevuto risposta. E dunque lancio 
                    questo appello, sperando che qualcosa succeda».Ai musicisti, che girano per concerti in tutte le sale del 
                    mondo, capita di tornare in teatri dove in passato avevano 
                    già suonato e di non ritrovare più il colore 
                    che conoscevano: di colpo hanno limpressione di trovarsi 
                    chiusi in scatole sorde, dove il suono non passa, 
                    non corre, non vibra, non risponde più ai loro strumenti. 
                    Perché? Per quelle terribili norme anti-incendio che 
                    hanno stravolto tutto. Da quando sono state varate, in Italia 
                    è stato tutto un affaccendarsi di restauri nei vecchi 
                    teatri. Dice Ughi: «Ma i lavori, anziché affidati 
                    a tecnici competenti, sono stati messi in mano a persone senza 
                    professionalità, e soprattutto prive delle minime competenze 
                    acustiche». Di conseguenza, sono stati modificati i 
                    palcoscenici e sono state alterate le delicate misure che 
                    proprio secondo precisi rapporti matematici reggevano le risonanze 
                    e le sonorità degli interni. «E poi in abbondanza 
                    tutto è stato ricoperto di moquette, tende, tappeti... 
                    Quei lavori fatti per proteggere i teatri dagli incendi in 
                    realtà li hanno completamente distrutti». Li 
                    hanno snaturati, perché hanno tolto loro il suono. 
                    Se si porta via alla musica il suono, è come togliere 
                    a un quadro il colore. «E così, non solo in Italia 
                    negli ultimi cinquantanni non sono state costruite nuove 
                    sale da concerto, ma i nostri bei teatri (che erano dei gioielli, 
                    gli stranieri venivano per ammirarli) sono stati assassinati».
 Ughi fa il paragone con la Spagna: lì non solo ogni 
                    città, ma ogni piccolo centro urbano negli ultimi anni 
                    ha visto nascere un proprio auditorium. Saragozza, Murcia, 
                    Valencia, Santander e ovviamente Madrid e Barcellona, sono 
                    state dotate di nuove sale da concerto: bellissime, dallacustica 
                    perfetta. Hanno chiamato dei tecnici giapponesi, tutto è 
                    giunto in porto in tempi rapidi e senza bisogno di correzioni 
                    successive. Per i musicisti è un incanto suonare nelle 
                    sale spagnole, è come suonare nella Philharmonie di 
                    Berlino!
 Per Ughi, i nostri auditori sono dei cinematografi, i teatri 
                    non ci sono più. Nomi? Cremona, Trieste, Ravenna, Messina, 
                    Perugia... Ce ne sono decine: «Quando sento parlare 
                    di lavori di restauro, ormai penso solo: addio, anche quel 
                    teatro è perso». Legno imbottito di cemento, 
                    parquet con sotto venti centimetri di polistirolo, impediscono 
                    di fare delle note, assorbono la metà delle sonorità. 
                    Ora è la volta della Scala di Milano. Vigili Muti, 
                    musicista sensibile al suono. Altrimenti sarà catastrofe.
 |  Eppure, non gli è stato facile arrivare. Visse linfanzia 
              in campagna, nei dintorni di Colonia. Non ancora adolescente, rimase 
              solo: il padre, un povero e sobrio insegnante elementare, partì 
              volontario in guerra e trovò la morte in Ungheria, nel 1939. 
              La madre, malata di mente, scomparve nei labirinti manicomiali e 
              molto probabilmente venne soppressa dal regime nel 1941.Al fronte prestò la sua opera in un ospedale militare. Dopo 
              il conflitto mondiale, praticamente in miseria, ebbe la forza di 
              continuare a studiare. I quattrini per pagarsi i libri li otteneva 
              facendo il bracciante in una fattoria, o suonando il pianoforte 
              nei night club, (accompagnava gli spettacoli di un mago). A venticinque 
              anni ottenne il primo diploma. Studiò poi con Frank Martin, 
              a Colonia, perfezionandosi con Darius Milhaud a Parigi. Finché 
              divenne Direttore dei Corsi estivi di Darmstadt, praticamente uno 
              dei padri dellavanguardia musicale.
 Dopo il periodo razionalista e filo-sessantottino che lo accomunò 
              a Boulez, dopo qualche incursione nella cultura pop (si può 
              trovare il suo nome nellalbum dei Beatles Sgt. Peppers 
              Lonely Hearts Club Band), allinizio degli anni Settanta 
              avviene la sua svolta mistica. La filosofia orientale, Meister Eckhart 
              e Jakob Böhme diventano le sue nuove stelle polari. Glenn Gould, 
              che quanto a spirito caustico non era secondo a nessuno, scrisse 
              che ormai gli ricordava una via di mezzo tra un guru del sufismo 
              e un personaggio venuto fuori dalla penna di Hermann Hesse.
 In questi ultimi anni, a interessarlo più di ogni altra cosa 
              è la «ritualità spirituale infusa nellevento 
              artistico», insieme con «la musica fatta risuonare nelluniverso»: 
              il compositore non è più un creatore, ma «il 
              canale attraverso cui le forze del cosmo impersonalmente si manifestano». 
              Esplosioni delle Twin Towers comprese!
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