|   Fu la sua unica ribellione: fece un gran falò 
              di tutte le poesie giovanili e decise di diventare un poeta africano. |  | Senghor della negritudine Questafricano nero parlava latino e citava Tacito. Sarebbe 
              bastato solo questo per sorprendere gli italiani degli anni 50 
              che avevano ancora nelle orecchie i versi di Faccetta nera. 
              Ma quel nero, anzi quel negro, come si diceva allora, 
              aveva in serbo altre sorprese. Era un poeta, o meglio, un grande 
              poeta, un professore, un deputato del Parlamento francese e, pochi 
              anni dopo, quando tornò in Italia, venne ricevuto dal Presidente 
              della Repubblica col picchetto donore: era diventato anche 
              lui un Capo di Stato. Léopold Sédar Senghor, il profeta della negritudine, 
              è morto vecchissimo, come si addice alluomo-simbolo 
              di una grande tribù. Celebrità della cultura mondiale, 
              uno degli immortali dellAccademia di Francia, 
              veniva in effetti dallAfrica tribale, da un ignoto villaggio 
              del Senegal, dovera nato (presumibilmente) nel 1906. Mezzo 
              secolo dopo, fu il primo Presidente del suo Paese, quando la Francia, 
              nel 1960, gli concesse lindipendenza. Lo guidò per 
              ventanni esatti, rieletto più volte democraticamente 
              e, cosa singolare, proprio lui cattolico in un Paese al 97% musulmano; 
              e, cosa ancora più singolare, in un continente affollato 
              di generalissimi che regnavano con la pistola in pugno.Sicuramente era stato fortunato. Suo padre possedeva mille mucche, 
              molti terreni e quattro mogli. Era cattolico anche lui, ma gli piaceva 
              vivere allafricana. Mise al mondo trenta figli (e i buoni 
              missionari se ne fecero una ragione), ma li mandò tutti quanti 
              a scuola a imparare a leggere e a scrivere il walof, una delle lingue 
              del Senegal, e il francese, la lingua della potenza occupante. Così 
              fece anche con Léopold. Prima a Dakar, nella capitale; poi 
              a Parigi, nella supercapitale.
 Al Liceo, il giovane africano finì in classe con un ragazzo 
              che si chiamava George Pompidou, futuro presidente della Repubblica 
              francese. Leggeva Teilhard de Chardin, un paleontologo gesuita che 
              aveva inventato una parola nuova: negritudine. Si laureò 
              alla Sorbona, conobbe e frequentò Sartre e Camus, diventò 
              professore e si mise a scrivere poesie. Ne scriveva furiosamente, 
              a dir la verità, da quando aveva quindici anni.
 
               
                | DONNA 
                    NERA Donna nuda, donna 
                    neraVestita del tuo colore che è vita, della tua forma 
                    che è bellezza!
 Nella tua ombra sono cresciuto; la dolcezza delle tue mani 
                    bendava i miei occhi.
 Ed ecco nel cuore dellestate e del meriggio ti scopro, 
                    dallalto dun
 [colle calcinato, Terra Promessa
 E la tua bellezza mi fulmina il cuore come il lampo di unaquila.
 Donna nuda, donna oscura
 Frutto maturo dalla polpa soda, estasi buia del vino nero, 
                    bocca che fai lirica la mia bocca
 Savana dai limpidi orizzonti, savana fremente alle ardite 
                    carezze del Vento dellEst...
 |  A Parigi incontrò un altro poeta nero, Aimé Cesaire, 
              che veniva da una colonia ancora più lontana, la Martinica. 
              Insieme fondarono una rivista e un movimento culturale.Negritudine era parola che piaceva ai sudditi doltremare. 
              Piaceva a Senghor, ma non aveva niente a che fare con le sue poesie. 
              Rilesse i quaderni di versi accumulati negli anni, e si accorse 
              che erano francesi, pallide imitazioni della cultura 
              dei colonizzatori. Fu la sua unica ribellione: fece un gran falò 
              di tutte le poesie giovanili e decise di diventare un poeta africano. 
              Ricominciò da capo e si accorse di far politica scrivendo 
              dellAfrica, delle tradizioni, delle leggende, dei riti e delle 
              lacrime degli schiavi, che gli cantavano  quando era piccolo 
               le sue quattro madri. La negritudine era lì (come 
              si vedrà nelle raccolte poetiche Ostie nere, Canti dombra, 
              Notturni, ecc.). Sartre gli dedicò il saggio Orfeo negro 
              e lo incoraggiò a entrare in politica.
 Nel 49 venne eletto alla Costituente francese in rappresentanza 
              del Senegal. Fece una rapida carriera, e nel 60 fu il primo 
              Presidente della ex colonia. Con una moglie bianca, francese, e 
              tre figli, governò da filosofo, mescolando Teilhard, un vago 
              marxismo e la sua personale fede cattolica. La sua via africana 
              al socialismo fu moderata. Nel Senegal dei nomadi e delle grandi 
              carestie, fece quello che poté. Ma almeno la sua cultura 
              umanistica garantì la democrazia.
 Non fosse altro che per questo, potrebbe essere ricordato come il 
              primo Presidente africano che (a scorno degli italioti contemporanei) 
              impose nelle scuole linsegnamento del greco e del latino accanto 
              alle sei lingue principali del Paese. Aveva capito che solo uomini 
              completi potevano e possono difendere la propria cultura e 
              la propria identità.
 Era allambasciata italiana a Dakar come Addetto culturale 
              Florio Santini, quando venne letteralmente scoperto 
              da Senghor. E si deve proprio a Santini se, tra le lingue straniere 
              facoltative studiate a scuola, fu inserita anche quella italiana. 
              Tra i due scrittori si stabilì un nobile sodalizio, forse 
              perché entrambi ritenevano la poesia un atto damore: 
              verso qualcuno o qualcosa, verso la natura, verso luomo, verso 
              gli altri, verso luniverso intero; e dunque un moto interiore 
              e una presa di consapevolezza planetaria, senza i quali luomo 
              completo non può essere, non è.
 Di Santini riportiamo qui di seguito un breve saggio, in francese, 
              scritto anni fa, e comunque di piena attualità, oggi che 
              Senghor ha varcato la linea polare della vita e abita i cieli allo 
              zenith del suo vergine Senegal.
 aldo bello   Quand les chiens hurl 
              ent et les tambours battent Bien 
              nombreux sont ceux qui ont essayé de définir la poésie 
              de Léopold Sédar Senghor de façon plus complète 
              et dans un cadre qui dépasse celui de la divulgation et, 
              ce qui est plus important, ils étaient bien plus qualifiés 
              que moi pour le faire. Dailleurs, cette tâche est difficile, 
              car il sagit là de définir beaucoup plus que 
              de la poésie. Toutefois, sans être ni critique, ni 
              académique, jessaierai ma définition, puisque 
              mon travail ressent, de jour en jour, ce climat spécial que 
              sa présence poétique engendre et dont les desseins 
              deviennent de plus en plus clairs, même aux non-Africains. 
              Une définition, en effet, pour ceux qui aiment la poésie 
              concrète. Oui, concrète, ainsi que le prouve la citation 
              suivante de lidée de base doù vient  
              je dirais même sécoule  la poésie 
              de Léopold Sédar Senghor. 
               
                |  | En parlant de NEGRITUDE, je parle 
                    dune civilisation où lart est, à 
                    la fois, technique et vision, artisanat et prophétie, 
                    où lart exprime, comme laffirmait Ogotemnéli, 
                    LIDENTITE DES GESTES MATERIELS ET DES FORCES SPIRITUELLES. 
                    Cest le même vieux nègre qui précisait, 
                    un autre jour: LE TISSERAND CHANTE EN JETANT SA NAVETTE, ET 
                    SA VOIX ENTRE DANS LA CHAINE, AIDANT ET ENTRAINANT CELLE DES 
                    ANCETRES. Quest-ce à dire sinon que tout art 
                     tissage, sculpture, peinture, musique, danse  
                    est, en Afrique noire, parole, mieux VERBE, je veux dire POESIE!... 
                    Elle accomplit, ainsi, laction du Créateur, parce 
                    que, la renouvelant, elle la prolonge par lart, qui, 
                    encore une fois, fait ETERNELLE la vie des choses, des êtres, 
                    en la vivifiant, en la magnifiant. (L.S.S., Sénégal daujourdhui 
                    - Spécial Festival, n. 30, avril 1966) |  Poésie de la résurrection, sans fin, jajouterais.Poésie qui est invitation socratique, telle que la secousse 
              salutaire de la torpille, à un dialogue toujours valide...
 Poésie descendue dans lhistoire, si on lentend 
              comme révélation continue. Et, par conséquent, 
              poète inépuisable, éducateur inébranlable, 
              baptiste dune époque nouvelle.
 Un poète donc éternellement jeune, riche en modèles 
              sacrés, mystique sans mysticisme; un poète pour des 
              gens en pleine renaissance et pour des choses redevenues vivantes; 
              poète de lecteurs, de fils, délèves, 
              de disciples qui conçoivent la foi comme un engagement pour 
              laction.
 Madressant uniquement à ceux qui lont lu et qui 
              ont vécu en Afrique, jaimerais donc le définir: 
              poète situé, tout en sachant que le mot 
              est loin dêtre satisfaisant.
 En effet, il est là, toujours là, omniprésent 
              comme la conscience, apôtre dun long combat humain et 
              civil, projeté au delà de son continent même, 
              un continent qui, grâce à lui, se fait toujours plus 
              connu et ouvert à une disponibilité intégrale. 
              Vers les autres, tous les autres, non pas contre!
 Un poète toujours valable, même du point de vue morale, 
              mais quil faut lire avec lhumilité  dailleurs 
              très rare de nos jours  de celui qui découvre 
              sa propre grandeur ancienne, après tant de siècles, 
              grâce à ce prophète quon attendait depuis 
              longtemps. Poète qui nous demande, tout en chantant, de marcher 
              vers des buts paisibles, au nom de lesprit et du coeur; poète 
              de la paix ubiquitaire, soufferte mais définitive.
 Pour quelques-uns, alors, poète impoétique, 
              pour dautres, poète politique.
 Rien de tout cela. Il suffira de dépasser nos égoismes 
              déjà bien ancrés et de sefforcer de comprendre 
              ce poète dans le cadre qui lui est propre: le village, la 
              brousse, la pirogue, le masque aux différentes couleurs, 
              et même la poussière venue du désert, chaude 
              comme le sang, sèche comme la faim du midi, humide comme 
              la nuit  quand les chiens hurlent et les tambours battent 
              , jaune comme la soif.
 En effet, on peut aisément comprendre sa poésie, inexorable 
              dans son accusation et son pardon, expression dune justice 
              vraie; vers avides de progrès, au nom de lesprit et 
              du coeur enfin réunis.
 Le lecteur sensible, non pas le chasseur dextravagances plus 
              ou moins exotiques, fait vite à comprendre que dans la poésie 
              de Léopold Sédar Senghor, chaque état desprit 
              est un fait: un fait qui vient de loin, sil se passe de nos 
              jours, qui se fait actuel, sil vient de la nuit des temps.
 Cela est insolitement possible parce quil sagit  
              je le répète  de vers situés 
              dans le réel concret, nés dans ce dernier, pour et 
              grâce à ce dernier.
 Il na jamais été un poète insolite, même 
              pas à Paris ou durant son emprisonnement, même pas 
              quand il était enfant, dans son village sur la Côte, 
              là où on vit et meurt parmi les coquillages les plus 
              primitifs que jamais un européen naurait pu découvrir.
 Bien nombreuses et compliquées sont les définitions 
              élaborées données à cette poésie 
              simplement évangélique. On pourrait, peut-être, 
              mentionner ici une phrase bientôt inactuelle du grand Miguel 
              Angel Asturias, tout en renversant sa signification originaire: 
              pour ce dernier, la douleur la plus profonde soufferte par lAfrique 
              entière «est celle de la perte, ou de langoisse 
              davoir perdu, pour toujours, la mémoire de son propre 
              ethos, tué par le plus abominable génocide de lhistoire 
              humaine» (Préface aux Poèmes Africains, Rizzoli 
              ed., page IX, 1971).
 Non! La poésie de Senghor est joie solennelle qui ressemble 
              à la douleur et, pourtant, énonce dune voix 
              africaine toute fraîche lavènement de valeurs 
              jamais tristes, jamais perdues, simplement jamais dites avant lui.
 Auparavant, cétait le silence, non pas le vide, dAfrique. 
              Joserais dire, alors, que «la joie la plus forte éprouvée 
              de nos jours par lAfrique est dans la redécouverte, 
              ou dans le bonheur davoir redécouvert pour toujours, 
              la mémoire de son propre ethos, ressuscité du génocide 
              entre temps oublié, etc...». Cest comme cela 
              que jentends la voix magique et évoquante de ce poète 
              porte-drapeau.
 Vers de résurrection, jai dit.
 Poésie qui est en même temps témoignage de mémoire-évocation-renaissance.
 Elan missionnaire, syncrèse plutôt que synthèse, 
              poésie qui se fait esprit.Poésie qui se fait esprit et vivifie les hommes, la nature, 
              les plantes, les animaux, le climat, le ciel et la mer, le ciel 
              et la terre, le tout par une dialectique religieuse de choses et 
              de gens; bref, anthropologie culturelle jamais abstraite, plutôt 
              surhumaine en tant que vraiment humaine, à linstar 
              de chaque moment historique. Prophète de nos jours, Senghor 
              dédie ses chants (et bien de ses poèmes veulent être 
              des chants, et ils le sont, au point que Robert Pageard, après 
              avoir vérifié le rôle essentiel de la musique 
              dans la poésie de Senghor, écrivit: «Des éditions 
              accompagnées dune étude adéquate de la 
              musique africaine ainsi que des disques montrant comment le poème 
              peut, en wolof ou en français, devenir chant, nous paraissent 
              souhaitables») à son peuple non plus humble, pour quil 
              devienne, grâce à lui et avec lui, conscient du monde, 
              dans un monde plus grand, meilleur et plénier, comme si lon 
              sortait dun moyen-âge de croissance lente pour souvrir 
              enfin à la joie dun travail libre.
 Je ne veux pas donner de titres.
 Ils sont tous des vers enchantement-vigueur-symphonie, 
              tous monotones car  le poète lui-même la 
              dit, à Strasbourg, le 24 Septembre 1954  cest 
              justement cette monotonie qui fait la distinction entre poésie 
              et prose, qui est la marque de la négritude et lenchantement 
              pour pénétrer la vérité des choses essentielles: 
              les forces du Cosmos.
 On est en présence dun néo-humanisme pas tellement 
              contemporain mais plutôt éternel, si on considère 
              la négritude comme une catharsis cyclique, si on pense que 
              chaque homme est vrai quand il est noir, non pas à cause 
              de sa peau, mais pour son attitude à ressusciter de la douleur, 
              tout en chantant. Ainsi que les plantes immortelles dAfrique 
              et le bois indestructible du baobab, le message de Senghor est vivant, 
              il engendre la vie. Il est la goutte de bonne pluie qui fait tout 
              pousser, qui soffre et sourit, qui donne et remercie de lacceptation, 
              comme le fait le jeune étudiant dans sa nouvelle école 
              avec son professeur étranger, étourdit par le soleil 
              qui tombe sur la cour grouillante.
 Toute rencontre est possible en Afrique, lAfrique des merveilles: 
              avez-vous écouté les notes, si on peut les appeler 
              notes, dune kôra ou dun balafong? 
              Avez-vous écouté le son et le rythme dun gorong 
              ou dun sabar, ou encore la voix dun vieux 
              mabo chanteur de fables?
 Enchantement, tel que les coquillages de Joal cendrée, enchantement 
              qui nous fait revenir à la source du chant-ode-poème, 
              à la source du woi africain. Nimporte quelle 
              poésie de Léopold Sédar Senghor nous fait lire 
              et écouter le même enchantement.
 
               
                |  | Nuits Alizés du Royaume 
                    dEnfance, qui chantiez à Joal Jusquau milieu de lhivernage  mouraient 
                    moustiques
 et moutou-moutou.
 Jai besoin de vos palmes pour 
                    continuer mon chant, refroidir ma poitrine la gorge.
 Je chante dans mon chant tous 
                    les travailleurs noirs, et tous les paysans pêcheurs pasteurs
 Qui déchantent au chant de la moisson.
 (Elégie des Alizés) |  Bref, poésie quil faut entendre comme un amalgame 
              de sentiment et dimage, comme un signe évident dun 
              sens intérieur; poésie qui participe  pour y 
              employer un terme déjà expliqué par Senghor, 
              le 17 Janvier 1969, à lUniversité de Louvain 
               du vitalisme symbolique qui caractérise 
              lontologie négro-africaine.Pour ma part, jajoute: poésie de lespoir viril, 
              poésie-témoignage-défi, poésie 
              philosophique, oui, et en même temps, philosophie poétique, 
              si on aime faire du scepticisme, et pourtant jamais pendue à 
              une étoile, mais se composant de mots creusés par 
              le feu vengeur de la bonté ancienne, laisés intacts 
              dans le mystère africain, prêts à sortir du 
              mythe.
 On trouve dans la poésie de Senghor une sorte desprit 
              prométhéen, mais jaimerais précieser: 
              une fois, Jupiter châtia les hommes orgueilleux, cette fois-là, 
              ce sont seulement les Alizés, comme des anges venus dîles 
              lointaines, qui ont apporté la révolution chez les 
              hommes doux, pour parvenir à une conquête pacifique 
              de la vraie humanité, finalement épurée de 
              tout blasphème. Celui qui, parmi nous, a perdu sa foi, quil 
              vienne ici, en Afrique, pour la chercher.
 florio santini (Addetto culturale presso lAmbasciata dItalia 
              e Direttore dellIstituto Italiano di Cultura a Dakar. 1972-1976)
   | 
        
          |   Basta guardare questa città nelle ore 
              in cui è meno popolata, ed ecco che ai più sensibili 
              fa il dono di diventare palcoscenico. |  | Otranto sublime Ci sono delle città che destano meraviglia per la curiosità 
              di quello che si è sentito dire su di loro, per la storia 
              che si portano dietro, o semplicemente perché sono assolutamente 
              belle a guardarsi e basta. Otranto è queste due cose messe 
              assieme, due tipi di bellezza: quella più facile comincia 
              appena si cammina dentro e si scorre sui viottoli ricoperti di sanpietrini 
              in continua salita e discesa che spesso nascondono deliziose piazzette 
              di inaspettata eleganza e compostezza; così come è 
              data dallentusiasmo dellammirare il romanico della cattedrale, 
              il bizantino esuberante di San Pietro, quel che resta del castello 
              medioevale
 e, non ultime, fanno la loro bella figura le lunghe 
              spiagge aperte ad un mare invidiabile. Queste sono cose che si apprezzano 
              da subito, ma basta guardare questa città nelle ore in cui 
              è meno popolata, più silente, ed ecco che ai più 
              sensibili fa il dono di diventare palcoscenico di immaginazione.Se ci si ferma a pensare, non è difficile guardare virtualmente 
              scene delle quali si è letto più volte, così 
              la città si popola
 di fantasmi. Allora non diventa 
              straordinario lo stordimento della protagonista del romanzo di Cotroneo, 
              ogni qual volta che, come lei, si cammina nelle strade assolate, 
              che si entra nella cattedrale, che si guarda il faro
 «in 
              questa città sacra, dove tutto è saturo e la luce 
              non ti dà tregua...», si ha limpressione che 
              ci sia una sorta di coro greco che ci svela segreti inimmaginabili, 
              spesso terribili, un tipo di sensazione che non viene dal semplice 
              guardarsi intorno, viene ai sensi lentamente e porta in sé 
              quasi paura. Quella vera di coloro che ebbero le teste mozzate e 
              anche quella inventata che vive nei resti del castello, perché, 
              strano a dirsi ma questo è stato oltretutto palcoscenico 
              di una storia noir, epifania del romanzo gotico: un 
              castello, topos obbligato di tale letteratura, simbolo di forza, 
              dominio, effetto del potere nobile, quello di Otranto, qui in particolare, 
              nella prospettiva del romanzo gotico di Walpole, gioca, invece, 
              un ruolo di primaria importanza nel delineare quellatmosfera 
              di negatività, di orrore (seppure narrato in modo quasi infantile) 
              dato dalla suspense dellattesa di quello che potrebbe accadere, 
              che per Burche è sublime bellezza come è per noi guardare 
              il castello e immaginare la storia antica della dolce fanciulla 
              (tipico personaggio del medioevo di maniera) che esasperata dalle 
              attenzioni non piacevoli del cattivo di turno
 cerca un modo 
              per sfuggire, rifugiandosi nel labirinto del castello stesso: ci 
              porta a suggestioni che lasciano spazio alla fantasia suscitando 
              meraviglia.
 Diventa così facile entusiasmarci al non conosciuto, alle 
              cose celate allo sguardo che lasciano sempre il dubbio di come effettivamente 
              sia andata la storia. Tutta la storia di Otranto provoca tale meraviglia
 Che sia il grido: «non altro Dio allinfuori del nostro!», 
              che sia la misteriosa miscellanea di cristianità e religiosità 
              orientale frammentata nel mosaico della cattedrale o le stanze del 
              castello; se si vuole, si può avere a che fare con la magia 
              dellimmaginazione.
 Otranto è fatta a regola darte.
 Sappiamo tanto di questa città, ma ci sono sempre dei forse. 
              Se abbiamo voglia di capire, assecondando il desiderio di conoscere 
              i segreti, prepariamoci a questa bellezza più invisibile 
              e inquietante, che viene alla mente piano e confonde sempre.
 simona giannini   Divise storiche 
              a Matino Da una ricerca effettuata presso gli Archivi Comunali 
              di Matino, è risultato che in data 17 aprile 1896 il Consiglio 
              Comunale, con atto n. 415, approvava il Regolamento per listituzione 
              delle Guardie Comunali e Campestri, allegando la scheda 
              relativa al vestiario. Le divise storiche rappresentate nella foto 
              rispecchiano fedelmente le caratteristiche riportate nello schema 
              allegato al Regolamento preventivamente approvato a Bari dal Comandante 
              della Divisione Militare, Maggior Generale A. Gandolfi, in data 
              31 agosto 1893.La realizzazione delle divise storiche, voluta dal Consigliere rag. 
              Antonio Costantino, fu apprezzata, sostenuta e varata dallAmministrazione 
              Comunale guidata dal Sindaco, dr. Cosimo Romano. La prima uscita 
              ufficiale in pubblico risale al 23 aprile 1999, in occasione della 
              solenne processione in onore di San Giorgio, patrono della città. 
              Lalta uniforme, esibita in occasioni di prestigio civile e 
              religioso, ha suscitato in tutti i cittadini stupore e ammirazione.
 Gli operatori di Polizia Municipale, ai quali è stato affidato 
              il compito e lonore di indossare la divisa storica del Corpo, 
              sono Cosimo Latino, Gabriele De Matteis e Donato Barone.
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