|       Tiro, Antiochia e Alessandria,
 più tardi, furono
 i terminal
 allaltro capo
 di questo
 lunghissimo
 percorso, lungo il quale circolarono merci, ma anche idee...
 |  | La lunga età di Giustiniano 
            (527-565 dopo Cristo), limperatore che sedette a Costantinopoli, 
            è generalmente ricordata dagli storici come il periodo di massima 
            espansione della potenza bizantina e, nello stesso tempo, costituì 
            lestremo tentativo di ricostruire lunità politica 
            del Mediterraneo sotto un unico scettro, erede della potenza di Roma. 
            Ma va anche ricordato che proprio in quel torno di anni si verificò 
            un evento che avrebbe cambiato profondamente gli equilibri commerciali 
            e politici fra Oriente e Occidente. Fu allora, infatti, che alcuni 
            monaci svelarono allimperatore il segreto per la produzione 
            della seta. A tramandare lavvenimento sono due dei principali autori fra 
            quelli che costituiscono il corpus delle fonti per la storia di Bisanzio. 
            La versione riportata da Procopio di Cesarea di Palestina nel suo 
            De bello gothico è la più attendibile e ha, oltre tutto, 
            il pregio di essere contemporanea allaccaduto. Lepisodio 
            risulta però più intrigante nelle Cronache di Teofane, 
            dove il monaco ricorda il trucco grazie al quale i preziosi bachi 
            giunsero nella città sul Bosforo: nascosti nel cavo di un bastone 
            da viaggio, molto probabilmente una canna di bambù.
 Il fatto che Teofane  il quale scrisse la sua opera dall810 
            all814  abbia sentito la necessità di riferire 
            con ricchezza di particolari un fatto apparentemente secondario, verificatosi 
            poco meno di tre secoli prima, dimostra indirettamente quanta importanza 
            venisse conferita al commercio del prezioso filo. Daltra parte, 
            è sufficiente rammentare le lamentele di Plinio il Vecchio, 
            che da una parte si doleva perché le vesti di seta minavano 
            la moralità delle belle romane, evidenziandone le forme sontuose, 
            e dallaltra si preoccupava per lingente perdita di denaro 
            patita dallimpero per acquistare la seta dai commercianti parti.
 La seta entrò nellambito della cultura romana intorno 
              alla metà del primo secolo avanti Cristo, proprio grazie 
              ai rapporti non sempre di buon vicinato con i parti; e sembra, secondo 
              una tradizione non comprovata, che i romani fossero affascinati 
              dalle insegne seriche della cavalleria partica che combatteva Crasso 
              e dalle vesti fruscianti dei signori di quelle terre. Fatto sta, 
              che la seta non impiegò molto a diventare un tipo di merce 
              assai richiesto, e nello stesso tempo una sorta di status symbol, 
              e in quanto tale ricercato tanto dalla nobiltà come dalla 
              classe media, che per averla non esitavano a pagare somme ingenti, 
              contribuendo così a far andare in rosso la bilancia dei pagamenti 
              dellimpero. La stoffa tessuta con il filo del magico 
              baco si andava infatti ad aggiungere alla già lunga lista 
              dei beni di lusso, come le spezie (e fra queste va ricordato il 
              pepe, indispensabile per la conservazione delle carni in unepoca 
              che non conosceva certamente i frigoriferi), le pietre preziose, 
              le pietre dure, gli animali esotici, che contribuivano sicuramente 
              a fare del lontano Oriente una terra favolosa nellimmaginario 
              collettivo, ma provocavano anche non pochi problemi ai conti dellerario 
              imperiale. La situazione al tempo di Giustiniano non era, da questo punto 
              di vista, mutata di molto. Al posto dei parti, in Persia regnavano 
              adesso i sasanidi adoratori del fuoco, ma gli equilibri politici 
              ed economici erano sostanzialmente i medesimi e i romàioi, 
              i romani, come erano soliti chiamarsi gli abitanti dellimpero 
              di Bisanzio, continuavano a comprare da loro le preziose stoffe 
              per vestire limperatore e gli alti dignitari di corte. Così, 
              dopo i parti, i sasanidi gestivano lopulento mercato della 
              seta, avendone praticamente il monopolio. Si capirà bene, 
              allora, il motivo per cui gli annali bizantini registrino con tanto 
              entusiasmo la scoperta del segreto della seta. Questo significava, infatti, la possibilità di liberarsi 
              da una schiavitù economica che andava ad aggravare la già 
              pesante situazione delle casse statali, che dovevano sopportare, 
              proprio con i sasanidi, il prezzo di una pace mantenuta a suon di 
              monete doro.
 Nacquero in questo modo i primi laboratori serici bizantini, posti 
              direttamente sotto il controllo imperiale. Essi, fra laltro, 
              suscitarono lammirazione di unambasceria turca, primo 
              passo verso unalleanza turco-bizantina, fondata proprio sul 
              comune interesse per la seta, ai danni del monopolio persiano. Ma 
              se larea di cultura greco-romana riuscì ad affrancarsi 
              dalla dipendenza economica del mercato sasanide, altrettanto non 
              può dirsi per quel che riguarda la diffusione dei motivi 
              decorativi persiani, che furono adottati tanto in quellarea 
              quanto nella lontana Cina, dove queste sete erano più richieste 
              di quelle centro-asiatiche. Il viaggio lungo il rilucente filo di 
              seta conduce ancora oggi alla scoperta di ununità culturale 
              sorprendente e inaspettata per noi, facendoci ripercorrere le tappe 
              salienti di unavventura lunga quasi ottomila chilometri.
 La Via della Seta, secondo la fortunata definizione 
              di von Richthofen, autore di una monumentale opera sugli itinerari 
              commerciali dellAsia interna, aveva il suo punto di partenza 
              a Changan (lodierna Xian), anche se i prodotti 
              delle regioni centro-orientali della Cina si raccoglievano ancora 
              più verso est, nella città di Luo-yang, sulle sponde 
              dellansa meridionale del Fiume Giallo. Da identificarsi, probabilmente, 
              con la Sera Metropolis di Tolomeo, Xian fu la capitale dellimpero 
              Han (206 a.C.-221 d.C.). Nelle sue immediate vicinanze fu rinvenuto 
              il mausoleo di Qin Shihuang-ti, fondatore della potenza cinese, 
              che affidò la propria memoria a centinaia di statue in terracotta, 
              a grandezza naturale, che rappresentavano cavalieri e dignitari 
              di una corte eterna. Ma Xian costituiva anche il punto darrivo 
              per lo smistamento delle merci che provenivano da Occidente: era 
              insomma il corrispettivo orientale di città-terminal, quali 
              potevano essere, nel bacino mediterraneo, Alessandria o Antiochia.
 Procedendo verso ovest, il sito più importante che si incontrava 
              lungo questo primo tratto della carovaniera era sicuramente loasi 
              di Dunhuang. La sua importanza non risiedeva soltanto nel fatto 
              che, da qui, litinerario si divideva in due percorsi, uno 
              settentrionale e laltro meridionale, ma perché qui 
              sorsero alcuni celeberrimi monasteri buddisti. Per un periodo lungo 
              quasi un millennio, le pareti delle 496 grotte di Mogao Ku, a venticinque 
              chilometri dal centro abitato, si ricoprirono di magnifiche pitture 
              murali, fino a quando, nel XIV secolo, la città non piombò 
              in un lungo isolamento, dovuto alla scelta dei mercanti di arrivare 
              in Occidente via nave, piuttosto che a cavallo o per cammello. Ma 
              le pitture di Dunhuang, popolate di Apsaras musicanti e di figure 
              del Buddha o di Bodhisattva, testimoniano anche della produzione 
              serica cinese, come nel caso delle donatrici della grotta numero 
              61 o del re Uygur dipinto nella grotta numero 409: la sua veste 
              in seta, appunto, è decorata da elegantissimi draghi che 
              si annodano in circolo sulla stoffa nera.
 Il percorso settentrionale passava per Turfan, centro monastico 
              altrettanto famoso e cerniera fra regioni di influenza persiana, 
              mongola e cinese.
 Attraversando la Fergana e superando il Syr Darya, la Via della 
              Seta giungeva a Samarcanda, la città amata come una bella 
              donna dal Tamerlano (Timùr Lenk, ovvero Timùr lo Zoppo), 
              il quale, fra il 1380 e il 1405  anno della sua morte  
              riunì un immenso impero, che andava dai confini della Cina 
              allIndia, alla Persia e alla Georgia, giungendo fino in Crimea. 
              Nel Khorasan, ormai in territorio persiano, i due itinerari della 
              carovaniera si riunivano: quello a nord, che abbiamo sommariamente 
              seguito, e quello meridionale, che da Dunhuang, passando per il 
              lago salato di Lop Nor, giungeva a Miran, culla della pittura dellAsia 
              centrale, i cui affreschi (conservati a Berlino e a Nuova Delhi) 
              testimoniano linfluenza classicheggiante ereditata dalla grande 
              scuola del Gandhara.
 Di là si doveva affrontare la grande depressione desertica 
              del bacino del Tarim per giungere nelloasi di Khotan, celebre 
              per le sue miniere di giada. Da qui, tra laltro, proviene 
              una tavoletta votiva in legno, che mostra la Principessa della 
              seta (ora al londinese British Museum). Databile al VII secolo, 
              il pezzo in questione mostra una figura a quattro braccia, che reca 
              in mano gli strumenti per la lavorazione della preziosa stoffa.
 Attraversando la catena montuosa del Pamir e lOxus, si giungeva 
              poi a Balkh, lantica Bactra che dà il nome allintera 
              regione, la Battriana, e che, conquistata nel 328 prima di Cristo 
              da Alessandro Magno, divenne subito il centro strategico più 
              importante dellimmenso dominio del Macedone verso Oriente.
 Giunta nel Khorasan, la carovaniera si avviava verso Ecbatana (oggi 
              Hamadan), ricordata da Erodoto per le sette cinte murarie colorate 
              e concentriche. Da lì si proseguiva verso Baghdad, la città 
              delle Mille e una notte, e poi verso Palmira, importantissimo centro 
              del dominio partico, distrutto dai sasanidi nel 295 dopo Cristo. 
              Ma il centro, la cui funzione commerciale rimase inalterata per 
              secoli e il cui nome è indissolubilmente legato alla storia 
              della seta, è Damasco, ove si produssero stoffe fiorate e 
              decorate tra le più famose del mondo.
 Tiro, Antiochia e Alessandria, più tardi, furono i terminal 
              allaltro capo di questo lunghissimo percorso, lungo il quale 
              circolarono merci, ma anche idee; lungo il quale si annodarono fedi 
              diverse e si contaminarono immagini prodotte da civiltà diversissime, 
              agganciate luna allaltra dal filo di seta. Così, 
              il motivo decorativo della rota (ossia di dischi delimitati 
              da una fascia ornamentale larga e piatta, costituita da fiori stilizzati 
              o da borchie, allinterno della quale sono sistemate 
              figure di animali o scene vere e proprie) si trova tanto in Giappone 
              quanto nella Spagna. Limmagine della fenice, infatti, campeggia al centro delle 
              rotae di una stoffa sasanide del VII secolo, realizzata 
              per il mercato nipponico (Nara, Tesoro dello Shôso-in); mentre 
              in Occidente il motivo delle rotae accoglie la Natività 
              o lAnnunciazione nelle celebri sete sargie siriane 
              dellVIII secolo, conservate presso i Musei Vaticani. Ma anche 
              motivi più specificamente persiani sono accolti dalla produzione 
              di area mediterranea, come quello dellelefante o del senmurv 
              (lanimale fantastico con il corpo di leone alato e la coda 
              di pavone) che incontriamo su una seta bizantina dellVIII 
              secolo (Bruxelles, Musée dArt et dHistoire), 
              o su unaltra, spagnola dellXI secolo, conservata presso 
              il Museo del Bargello di Firenze.
 La fortuna della decorazione a rotae fu enorme, tantè 
              che la ritroviamo sul rosso piviale di seta ricamato in oro che 
              fu di Bonifacio VIII, il pontefice dello schiaffo di Anagni, rimasto 
              sul trono di Pietro dal 1294 al 1303.
 Probabilmente di manifattura siciliana, il manto papale presenta 
              grifoni, pappagalli e aquile bicipiti inserite negli orbicoli di 
              derivazione sasanide lavorati ad opus cyprense, una 
              tecnica che permetteva di aggirare le difficoltà derivate 
              dalluso del filo metallico. I motivi decorativi sono quelli 
              caratteristici del simbolismo regale; in particolare le aquile, 
              che non a caso ritroviamo sulla seta bizantina dellXI secolo 
              che costituisce la stoffa del piviale detto di SantAlboino, 
              conservato presso il Museo Diocesano di Bressanone.
 Ma i motivi derivati dalle sete divengono anche elemento decorativo 
              nelle pitture murali o nei rilievi. E non soltanto quando questi 
              mostrano personaggi vestiti di seta (come accade, per esempio, nelle 
              raffigurazioni di Balalyk Tepe, di Afrasiab, lantica Samarcanda, 
              o negli affreschi delloratorio di San Silvestro ai Santi Quattro 
              Coronati, a Roma, tutti accomunati dal motivo della rota), 
              ma perché essi entrano a far parte anche dei repertori figurativi 
              della grande arte monumentale.
 Così, le formelle del Duomo di Sorrento (vicine alla decorazione 
              delle transenne di SantAspreno a Napoli e ad alcuni frammenti 
              conservati nel Museo Barracco, a Roma) mostrano motivi di derivazione 
              serica, come il senmurv o il cavallo alato, non lontano 
              dal Pegaso con i nastri ripetuto sulla seta sargia bizantina (VIII 
              secolo) conservata in Vaticano.
 Allo stesso modo, le fitte decorazioni murali di Dunhuang altro 
              non sono che immense trine di seta dipinte sulle pareti delle sante 
              grotte. La seta diviene insomma il veicolo culturale privilegiato 
              attraverso il quale corrono motivi decorativi appartenenti a culture 
              distanti migliaia di chilometri, rinsaldando legami che gli eventi 
              storici, in qualche modo, favorivano.
 Infatti, sullo splendido manto di Ruggero II confezionato dalle 
              seterie palermitane nel 1133 e successivamente utilizzato per lincoronazione 
              degli imperatori del Sacro Romano Impero, la scritta che corre lungo 
              il bordo per ricordare con orgoglio il luogo e la data della manifattura 
              è in caratteri cufici. Larabo si sostituisce al latino 
              sui bordi delle sete e lo pseudocufico diviene ornamento delle vesti 
              della Vergine nei dipinti di Simone Martini: come dire che Maria 
              è madre di tutte le genti.
 Ma la scena che costituisce il fulcro della decorazione del manto 
              di Ruggero ripropone leterna lotta fra il leone e lerbivoro, 
              in questo caso un dromedario, alludendo al ciclo della vita e della 
              morte che il sovrano saprà dominare. E, questo, un 
              motivo di origine classica che migra verso Oriente nella cultura 
              araba degli omayyadi (pensiamo al mosaico pavimentale della Sala 
              delle Udienze di Kirbàt al-Mafjàr, dove un leone assale 
              una gazzella), ma che persisteva già nelle scene sasanidi 
              della caccia imperiale, per poi stamparsi nei motivi decorativi 
              delle sete. Lo ritroviamo, infatti, in una scena di caccia che compare 
              sulla seta del rivestimento interno dellaltare di SantAmbrogio 
              a Milano (VIII secolo): il leone attacca lonagro e il sovrano 
              colpisce la fiera. Ingigantito e un po mutato, questo particolare 
              diviene il tema dominante del manto di Ruggero: un ulteriore esempio 
              di come la storia della seta costituisca un filo rosso che, attraverso 
              millenni e spazi immensi, riannoda insieme gli esili frammenti del 
              lungo racconto del mondo e delluomo. |