Senechianamente
la vita, giusta
o ingiusta, scorre
inesorabile e veloce
ed è guidata
da occulte mani.
|
|
Il romanzo sperimentale I treni nasce dopo un lungo periodo di
elaborazione e scrittura, che va dal 12 marzo 1967 al 24 febbraio
1968, e un’altrettanto lunga fase di copiatura e revisione
che si estende pressappoco dalla fine della redazione all’estate-dicembre
1969.
L’opera, letta ancora manoscritta dal figlio diciottenne (che
annotò alcune osservazioni di cui l’autore tenne conto),
circolò poi dattiloscritta in una ristretta cerchia di amici,
fra i quali Nicola Carducci, Michele Tondo e Arcangelo Leone De
Castris. Nella stesura originaria compariva una citazione di Samuel
Beckett che Nicola Carducci, dopo aver letto il dattiloscritto,
aveva consigliato all’autore di inserire nel foglio di guardia:
|
…io cito nell’ordine
pressappoco la mia vita ultimo stadio quel che ne resta frammenti
la sento la mia vita la imparo più o meno nell’ordine
io cito un dato momento lontano dopo un tempo enorme poi a cominciare
da qui da questo momento e seguendo l’ordine naturale dei
tempi enormi… |
Questa citazione viene definita da Alfio Pasqua «illuminante».
Affermazione che va condivisa pienamente in quanto l’opera
del premio Nobel per la letteratura 1969 nasce in un uguale contesto
di sfiducia per le «magnifiche sorti e progressive»,
in un periodo in cui, dallo slancio ottimistico del dopoguerra,
si era passati alla visione apocalittica della condizione umana
del nouveau roman e all’esasperazione dell’esistenzialismo
del teatro dell’assurdo, del quale Beckett è appunto
il principale interprete.
Solo nel 1986 l’autore fece avere ad Aldo Bello, direttore
della Rassegna Trimestrale della Banca Popolare Pugliese Apulia,
il romanzo. Nella sua pubblicazione in quattro puntate, avvenuta
in occasione del venticinquesimo anniversario della rivista, non
compare però la suddetta citazione.
Questa opera di non facile lettura ha incontrato fin dagli inizi
una difficoltà oggettiva di pubblicazione a causa della evidente
discrasia tra gusti del pubblico, tendenti al romanzo disimpegnato,
e la difficile fruibilità di un romanzo intellettualmente
involuto. Tuttavia la incontestabile qualità artistica ha
fatto sì che fosse subito notato dal pubblico letterariamente
più smaliziato e soprattutto dalla critica, con la pubblicazione
di alcune sue pagine su Prosatori e narratori pugliesi del Novecento,
un’antologia del 1969 a cura di Ulivi e Accrocca.
Il riconoscimento più prestigioso l’ha ottenuto però
nel 1971 al nono Premio letterario per narrativa inedita “Rapallo
- Prove”. L’autorevole giuria, composta fra gli altri
da Giorgio Barberi Squarotti e Giuliano Manacorda e presieduta da
Maria Bellonci, fece solo due segnalazioni, una delle quali andò
appunto all’opera di Bernardini. L’anno successivo comparvero
alcune pagine de I treni, accompagnate da una premessa dell’autore,
anche nel numero della rivista fiorentina Quasi.
I treni ha una particolare importanza in quanto ha costituito un
magma dal quale col tempo lo scrittore ha tratto sia racconti sia
poesie. Questa paziente opera di estrapolazione e trasformazione
ha dato i primi frutti fra il 1979 e il 1980 con la redazione di
quasi tutte le poesie presenti poi nella sezione Segni del diluvio,
la più consistente e importante parte della raccolta omonima
del 1981. Su ventisei poesie che costituiscono la sezione solo sei
(La capretta, Rinfresco, A Paolo che parte soldato, Segni del diluvio,
Concorrenza e Psicofarmaci) non appartengono al coacervo de I treni,
partecipando tuttavia alla stessa atmosfera e derivando da una stessa
ispirazione di fondo.
I racconti derivati dal romanzo hanno avuto invece un iter letterario
diverso, in quanto sono nati da una volontà (oltre che necessità)
di “normalizzazione” perché almeno una parte de
I treni potesse essere pubblicata in volume. I racconti, nati dallo
«sbroglio della matassa» dell’intreccio e dalla
sua linearizzazione, sono: Allegoria (semiseria) del Viaggiatore,
L’agguato e Epilogo di Colomba e di Ego suo pronipote, riuniti
poi in Allegoria (semiseria) del Viaggiatore e altri epiloghi del
1984. Gli altri due racconti compresi nella raccolta, Lento con
duolo e Probabile ritratto d’autore, invece, non sono tratti
dalla stessa fonte ma derivano anch’essi da uno stesso “ambiente”
di fondo.
I treni non sono un insolito e tardivo esperimento, nascono dopo
un lungo iter artistico di prove, tentativi e sperimentazioni di
nuovi orizzonti letterari e di nuove ipotesi di scrittura. Questo
romanzo, pur costituendo un notevole distacco dal passato, in realtà
non rappresenta il primo esempio di scrittura sperimentale di Bernardini.
Egli si era già cimentato in precedenza in esperimenti stilistici
che si allontanavano dalla sua più conosciuta maniera classica
e composta di scrivere, nonché dalla tematica meridionalista.
In questi saggi di stile, nei quali però era la tematica
psichica ed esistenzialistica ad essere maggiormente in risalto,
seguiva d’altronde la sua consueta vena di inquieto esploratore
di nuovi campi narrativi.
Ad esempio nel racconto Una sera in città5 del 1960, con
un delicato scavo psicologico, delinea con rara finezza la figura
di un inetto incapace di adeguarsi al mondo circostante.
In Altri giorni, che è invece del 1962, il classico triangolo
moglie (Angela), marito, amante amica della moglie (significativamente
chiamata Eva), si apre a una rappresentazione intimistica, a un
diario interiore del protagonista. «Saggio di approfondimento
e di ampliamento della tematica esistenziale» nel quale il
monologo interiore, quasi flusso di coscienza, si sviluppa in una
serie di brevi frasi che si susseguono paratatticamente, sorta di
macchie di un quadro impressionista.
Sempre del 1962 è Queste sere disperate prima redazione di
Lento con duolo nel quale «il lettore è inchiodato
al fascino di quella che gli appare una trasposizione oggettiva
delle tensioni del sentimento e dell’inconscio, in cui ognuno
può riconoscersi e rispecchiarsi». Racconto dell’epilogo
di un amore strettamente legato all’aura de I treni, soprattutto
per la comune rappresentazione claustrofobica di atmosfere “ferroviarie”.
Un’ulteriore prova la dà in Quest’inverno ti racconterò,
racconto composto nel 1966 ma pubblicato la prima volta nel 1985,
nel quale un’evidente figura autobiografica di insegnante viene
colta durante la lezione da un improvviso ricordo di un’esperienza
di lotta partigiana. Gli studenti seguono assorti il racconto del
professore esitante per il riaffiorare di vecchi dolori, forse di
vecchi amori appena accennati.
Peraltro il primo abbozzo di Quest’inverno ti racconterò
è costituito da uno scritto del 1962, rimasto inedito per
molti anni e pubblicato in due puntate solo nel 1984. Tardivo esercizio
di stile (e la sua seconda parte: Insistenza nel tardivo esercizio
di stile) rappresenta il vero punto di congiunzione fra la scrittura
moderatamente sperimentale di Quest’inverno ti racconterò
e lo sperimentalismo più spinto de I treni, contenendo spunti
e immagini elaborate poi in entrambi.
Quindi negli anni Sessanta pur continuando il nostro autore a pubblicare
opere nelle quali come in Provincia difficile è al centro
la tematica meridionalista e lo stile segue la consueta poetica
realista, non smette tuttavia di tentare nuove strade. Profondamente
influenzato dal dibattito intellettuale contemporaneo, la strada
che era ovvio imboccasse era appunto quella del romanzo sperimentale.
Infatti, caduti gli equilibri politici del dopoguerra con la crisi
della sinistra del 1956, e messi in discussione i modelli letterari
neorealistici, che subivano una costante involuzione e perdita di
significato in un contesto radicalmente mutato, la letteratura italiana
si avviava verso un profondo mutamento. Si rifiutava ormai la letteratura
populistica e volgare del tardo neorealismo e si passava da una
rappresentazione brutale ma disimpegnata della realtà ad
una volontà di incidere sulla stessa attraverso la sperimentazione
di nuovi linguaggi. Questa forma di critica e di volontà
di cambiamento del vecchio concetto di letteratura radicalizzandosi
è divenuta poi agli inizi degli anni Sessanta, con la corrente
neoavanguardistica e con il Gruppo 63, rifiuto totale.
I treni nasce in questo contesto e risponde a pieno titolo a queste
esigenze, attraverso il rifiuto della comunicazione rappresenta
implicitamente una critica spietata della civiltà consumistica:
«un’operazione tutta giuocata sul filo di una scrittura
al limite rischioso del grado zero e del non sense».
Analizzando il romanzo scaturisce soprattutto la sua strutturazione
in blocchi, in unità narrative nelle quali i personaggi agiscono,
sorta di quadri separati dagli spazi vuoti di un muro o di atti
di una tragedia. In questi quadri o atti i personaggi, principali
o secondari, recitano il proprio copione non comunicando però
mai veramente fra di loro, pronunciando parole che non sono proprie.
A volte, però, la suddivisione risulta attenuata dall’anticipazione
di azioni del blocco successivo nel punto di transizione fra una
unità narrativa e l’altra. Peraltro questa suddivisione,
che assumeva maggiore risalto nel dattiloscritto, è ulteriormente
attutita dall’inserimento nell’edizione a stampa di fotografie
che rimandano all’atmosfera narrativa del passo.
L’autore non inserisce i personaggi in un’azione comune
lineare e compiuta ma li fa muovere separatamente, senza che al
di fuori del lettore nessuno di loro sappia dell’esistenza
dell’altro, finché incontrandosi non interagiscono fra
di loro intrecciando le proprie storie.
Questi ultimi, sorta di marionette impazzite in balìa dell’autore,
non hanno dei nomi propri ma vengono chiamati semplicemente con
il sostantivo che ne individua il tipo, che definisce la funzione
che questi hanno nel romanzo. Creando così dei pirandelliani
“personaggi in cerca d’autore” e inquadrandone una
volta per tutte i tipi e i caratteri ad essi associati, ne accentua
ancora di più la spersonalizzazione e lo straniamento all’interno
di un contesto senza spazio e senza tempo, in un’atmosfera
da incubo. Si ha così la “Ragazza”, che è
nella costante ricerca di un anello, la “Madre” (ad essa
associata) che insegue incessantemente i treni, il “Giovane-polizza”
che è vittima evidente della disumanizzazione della società,
poi il “Viaggiatore”, ironico spettatore di questo sfacelo
e l’“Ex-ragazzo” che per lo stesso motivo si rifugia
nel ricordo dell’infanzia. Compaiono personaggi apparentemente
secondari come i “Direttori” (n. 1 e 2), spietati esponenti
della classe dirigente che abusano della propria posizione con la
Ragazza loro dipendente, e il “Casellante” con relativo
“Aiuto-casellante”, cinici profittatori delle situazioni.
Fra tanti personaggi minori scaltri o malvagi, l’unico umano
è quello dell’“Infermiera Magra” che accudisce
disinteressatamente il “Giovane-polizza” e l’“Ex-ragazzo”.
Chiari simboli della completa decostruzione di senso della società
industriale e consumistica, i personaggi «si esprimono con
i loro gesti come in un rito assurdo, sentono l’inutilità
dell’agire», si affannano incessantemente a fare «sebbene
ognuno sappia non esserci nulla […] da fare». Le loro
azioni, pur compiendosi in un paesaggio irreale e amorfo, direttamente
o indirettamente hanno comunque sempre a che fare con i treni, ovvero
metaforicamente con la vita.
Senechianamente la vita, giusta o ingiusta (invero più spesso
spietata), scorre inesorabile e veloce ed è guidata da occulte
mani che muovono invisibili fili a cui tutti siamo attaccati.
I treni sono però anche una esplicita metafora del progresso
che, inarrestabile al suo passaggio, non esita a calpestare i deboli
che non riescono ad adeguarvisi. A chi vorrebbe che i controllori
li fermassero viene risposto: «– Non si può. Noi
almeno non lo possiamo. / – Allora vedete che tutto è
inutile nonostante la buona volontà? / – Siamo spaventosamente
condizionati […]». E poi, col gioco dello scarica barili
tipico dell’ambiente burocratico: «Quando la macchina
si mette in moto non è facile bloccarla. Soltanto un capostazione
può farlo, che sia veramente un Capostazione».
L’immagine del treno e della stazione compare molte volte nelle
opere di Bernardini; infatti, oltre ad essere già apparsa
come primo abbozzo de I treni nel già citato Tardivo esercizio
di stile e ad assumere valenze esclusivamente autobiografiche in
Una partenza e nel primo capitolo de Il profumo dei gelsomini, compare
come analogia della vita e con significati più attinenti
a quelli de I treni in Stazioni.
E, semplificando le azioni dei personaggi principali nell’intreccio
del romanzo: la “Ragazza”, che abita in vicinanza della
stazione con sua “Madre” ed è impiegata in una
fabbrica d’insegne pubblicitarie, è nella costante ricerca
di un fantomatico anello, che l’autore stesso conferma apertamente
essere «indizio di un amore perduto». Simbolo della
perdita non solo dell’amore ma soprattutto delle illusioni
giovanili e dell’innocenza, l’anello peraltro apparirà
anche ne Il cofanetto.
La Ragazza, imbattendosi, nella ricerca affannosa e vana di un altro
amore, nell’interessamento libidinoso dei datori di lavoro,
smarrisce appunto «l’anello nel sottobosco torbido dei
due Direttori», cinici profittatori del crollo delle illusioni
e della posizione subalterna della stessa. Il frutto di questa violenza
peraltro non viene mai alla luce per un aborto causato da una ben
retribuita esplorazione con sonda fotografica del feto (assurda
smania scientifica). Un esame fatto per cupidigia di denaro in un
momento di profonda sfiducia e scoramento, in una fase di totale
disinteressamento per la vita, tanto che grottescamente si dice
che «La Ragazza ha scoperto che non vale più la pena
e ride».
La “Madre”, che accompagna quasi sempre quest’ultima,
è maniacalmente attratta dai treni e, inseguendoli a ogni
loro passaggio, aspira costantemente a salirci nonostante venga
disillusa dai direttori e dal casellante, simboli del potere e del
braccio operativo di quest’ultimo. Trasfigurazione letteraria
di un desiderio represso di evasione da una terra isolata e arretrata
(che ha perso appunto il “treno del progresso”) e di fuga
da una esistenza frustrante, la madre è ossessionata dalla
voglia di partire. L’autore rende propria e patisce quella
stessa sensazione d’isolamento che aveva espresso Bodini in
Finibusterrae (e ricordiamo quanta importanza ha avuto questo poeta
nella sua formazione) e la trasferisce quindi anche nel personaggio
della madre che vuole a tutti i costi andare via da
|
[…] questi umili luoghi
dove termini,
meschinamente, Italia, in poca rissa
d’acque ai piedi d’un faro. […] |
La madre infatti è consapevole della segregazione mortificante
che si vive in una terra che tiene lontani dalla storia e dalla
società. E’ questo quasi il contraltare della figura
ben più solida e coraggiosa di madre che ne Il profumo dei
gelsomini, in maniera più rispondente alla realtà
biografica, aveva rinunciato a malincuore, ma con profondo senso
del dovere, a fuggire dalla patria adottiva e quindi dalle proprie
responsabilità.
Personaggi non protagonisti ma importanti sono il «Direttore
n. 1» e il suo subordinato «n. 2», simboli a volte
ironici della classe dirigente senza scrupoli, compiaciuti capi
di una fabbrica d’insegne pubblicitarie che fra le tante idee
conturbanti ha quella di affiggere un’insegna che promette
“Un cielo violarancio che per voi diventa un cielo di silenzio
e solitudine”.
La loro è una fabbrica dalle inquietanti fisionomie di “Grande
Fratello” di orwelliana memoria, simbolico esempio di come
in una civiltà mercificata non solo si può vendere
ogni cosa, ma addirittura si può far desiderare agli altri
qualsiasi cosa si voglia.
Il “Casellante” col sottoposto “Aiuto-casellante”
sono invece i tipici esemplari di una ottusa burocrazia al servizio
del potere scrupolosamente ligia al proprio dovere. Tutti comunque
accomunati, oltre che dall’opportunismo e dalla mancanza di
umanità, per cui «un cane va trattato da bestia, una
donna da femmina, un uomo non sempre da uomo», da un linguaggio
inconsapevolmente “burocratese”.
Nel romanzo i personaggi che vivono a contatto con i treni sono
quindi o le vittime del progresso o gli inconsapevoli carnefici,
indifferenti e lontani da questi sono invece i crudeli mandanti.
I personaggi-chiave del romanzo sono però il “Viaggiatore”,
il “Giovane-polizza” e l’“Ex-ragazzo”,
tre manifestazioni diverse di uno stesso personaggio latente: l’autore.
Il primo è protagonista di una’“Allegoria (semiseria)
del Viaggiatore”, per usare il titolo del racconto di cui costituirà
parte fondamentale, di un lungo viaggio in treno (diamo per scontato
che si tratta del viaggio terreno) attraverso un mondo che assume
i connotati di un gigantesca farsa.
Il treno tocca la natia Pescara, «la città dove un
giorno sei nato, un giorno ed è come non esserci mai nati»
e attraversa l’Abruzzo dal quale spicca poeticamente il gruppo
del Gran Sasso, cioè «la Bella Addormentata che i pastori
chiamano così e badano di non svegliare». La dolce
figura della Bella Addormentata accompagna tutto il viaggio, «emblema
dell’infanzia e di una pace perduta, nell’incalzare delle
vicende quotidiane, simboleggiate dal ritmo ossessivo dei treni».
Con ironia tagliente ed amara il viaggiatore discute, con i compagni
di viaggio che si susseguono ad ogni fermata, di progresso, di guerre
e di assurdi ritrovati scientifici. «E’ la vita l’oggetto
della conversazione, la vita col suo groviglio di problemi: la condizione
dell’uomo moderno esaltato dal progresso e dallo stesso progresso
minacciato».
Con profondo sarcasmo è favorevole alla creazione di capsule
per l’ibernazione dei cadaveri dei condannati a morte, per
una successiva eventuale riabilitazione e conseguente resurrezione
in tempi migliori. «Considerate le tante riabilitazioni post
mortem cui abbiamo assistito» l’invenzione risulterebbe
estremamente utile per l’umanità. L’unico problema
rimarrebbe il costo elevato dell’operazione, ostacolo superabile
con un aumento delle guerre e con un conseguente incremento della
«produzione di capsule surgelanti e quindi il loro calo-prezzo,
il che in ultima analisi è opera quanto mai filantropica».
Con estrema disinvoltura e leggerezza il viaggiatore discute semiseriamente
delle «magnifiche sorti e progressive» che si prospettano
per l’umanità. Il tono ironico è sintomatico
del disincanto ma anche della mancanza di esperienza del personaggio,
che rappresenta una trasfigurazione letteraria dell’autore
in età non ancora matura, sorta di «ritratto dell’artista
da giovane».
La responsabilità comincia a sentirla più in là
con la nascita del figlio, infatti prima si sentiva «così
sicuro, ilare quasi ed anzi soprattutto ironico», dopo si
rende conto che non «è possibile più essere
un viaggiatore maiuscolo, parlare di capsule ibernanti, suggerirle.
Che cosa è cambiato? Se non questo Figlio cresciuto a cui
abituarsi è molto difficile».
Il “Giovane-polizza” è la rappresentazione di un’altra
fase dell’uomo Bernardini, quella della maturazione e della
definitiva caduta delle illusioni giovanili, della sfiducia nel
presente.
Trovato malridotto sui binari dal “Casellante” e dal suo
“Aiuto” nel corso della loro ossessiva opera di controllo,
sulle prime, caratteristico del disinteresse che li contraddistingue,
non viene identificato quale uomo. E’ stato malmenato da qualcuno
ed è ubriaco: «ha voglia di birra, adesso birra dopo
tanto vino e liquori», desiderio sempre negato dai presunti
soccorritori finché non afferma di poter devolvere loro un
quarto della sua assicurazione sulla vita. Opportunisticamente soccorso
e rifocillato, viene caricato su un treno merci diretto verso la
stazione Nord, per essere poi ricoverato nello stesso ospedale nel
quale si trova l’“Ex-ragazzo”. E’ poi dimesso
dopo le amorevoli cure prestate dall’“Infermiera Magra”,
con la quale a scapito della nascente amicizia con l’“Ex-ragazzo”
tenta un approccio, infatti «assente l’Infermiera il
rapporto fra costoro fiorirebbe allo stato puro, raro rapporto d’amicizia
nato e cresciuto da diversa esperienza di dolore».
Tornato alla vita quotidiana, lo assale incessantemente il rimorso
di aver demolito la vecchia casa di Colomba, sua mitica prozia.
I passi che descrivono frammentariamente e in modo sempre allusivo
questa vicenda saranno poi riuniti nell’Epilogo di Colomba
e di Ego suo pronipote, altro racconto tratto da I treni e confluito
poi nell’Allegoria (semiseria) del Viaggiatore e altri epiloghi.
Peraltro, l’argomento è strettamente autobiografico
in quanto l’autore, all’incirca negli stessi anni di redazione
dell’opera, dovette realmente ricostruire dopo dolorose esitazioni
la malridotta casa paterna. La demolizione della vecchia casa corrisponde
al definitivo crollo del passato, alla profanazione delle memorie
lariche da parte di un pronipote (poi chiamato Ego) destinato anch’egli
ad un inevitabile epilogo. La morte, bestia orribile, arriverà
dopo un lungo appostamento e L’agguato (prosa che verrà
anch’essa inclusa nell’Allegoria (semiseria) del Viaggiatore)
è appunto il titolo della descrizione di questa attesa.
La terza fase, corrispondente alla descrizione di un improbabile
quanto amaro futuro dello scrittore, coincide con la storia dell’“Ex-ragazzo»,
estrinsecazione della presente disperazione totale e del conseguente
rifugio nel ricordo e nel sogno «in quella forma del dormire
piena d’immagini ch’è un altro modo di vivere più
vero del vivere». La sua condizione di malato bisognoso delle
materne cure dell’infermiera e il suo continuo sognare o fantasticare
il passato, il suo ricordare quando da ragazzo «camminava
lungo i binari per fare il treno, lui in testa, dietro gli amici»
è il frutto di una regressione nell’infanzia causata
dal rifiuto del presente e dalla paura del futuro.
Il “Viaggiatore” e l’“Ex-ragazzo” sono
accomunati da un doloroso passato fatto di ricordi di guerra e da
un presente che ruota direttamente o indirettamente intorno ai treni.
I ricordi di guerra sono drammatiche testimonianze tratte dall’esperienza
personale di Bernardini nel corso della seconda guerra mondiale.
Una frase inclusa in un passo raccontato dall’“Ex-ragazzo”
è addirittura tratta da una lettera in linguaggio cifrato
ricevuta all’epoca e presente in un suo diario inedito:
|
Erano mesi bigi e lunghi
di terrore, grida alte nelle strade e il richiamo delle ciliegie.
«Oggi è tempo di ciliegie. Se vuoi venire a coglierle
ti aspetto alle due precise», ma non veniva il ragazzo
corso giù verso la caserma saccheggiata e i vagoni pieni
di farina. |
Il “Viaggiatore”, mentre legge sui giornali della guerra
in corso in Israele, torna con la memoria ai giorni in cui durante
l’ultima guerra mondiale Pescara fu bombardata dagli Alleati
per impedire la ritirata dei tedeschi:
|
31 agosto, il ponte restò
indenne nonostante ripetuti tentativi dei bombardieri. Era scritto:
dovevano essere mine testadimorto a farlo saltare. Ponte bianco
e largo donde la città vecchia scompariva in coltre lattiginosa[…]. |
Episodio ricordato anche in un brano che darà poi vita alla
drammatica poesia Bombardamento: «Volavano a quota 2000, /
obiettivo il ponte, / 31 agosto, ore 13.[…]».
A conferma della coincidente identità fra i personaggi questi
sono gli stessi ricordi che vengono attribuiti all’“Ex-ragazzo”:
|
Queste cose raccontava l’Ex
ma le ricordava anche il Viaggiatore: 31 agosto, ore tredici.
Il ponte restò al suo posto nonostante quell’iradidio.
Dalla pineta vedono le bombe precipitare a grappoli, le case
fendersi e scomparire […]. |
Tutte testimonianze che trovano poi riscontro nella realtà
biografica dello scrittore, come possiamo costatare dalla lettura
di un suo articolo:
|
Pescara, mia città
natale, cominciò ad essere bombardata dalle fortezze
volanti che miravano a tagliare la ritirata ai tedeschi ma in
effetti producevano danni enormi alle abitazioni e alla popolazione
civile. Allo scopo di stare un po’ al sicuro i miei ed
io ci eravamo rifugiati nel cascinale d’una famiglia amica
a metà strada fra Porta Nuova e la Pineta dannunziana. |
Come abbiamo già detto i personaggi principali sono legati
da un destino comune e a volte si incontrano o si sfiorano soltanto.
Molto importante è anche il rapporto che questi hanno con
la “Ragazza”, costantemente in cerca dell’amore perduto.
Dopo una considerazione filosofica di quest’ultima sul concetto
dell’oggi, secondo la quale «solo nel presente si è.
[…] Quindi noi siamo in momenti successivi ognuno dei quali
costituisce di volta in volta il presente», l’autore,
volendo riassumere le eventuali discussioni in proposito tra la
Ragazza e i tre personaggi, in realtà definisce i rapporti
fra di loro:
|
[…] il rapporto Viaggiatore-Ragazza,
se rapporto è lecito chiamarlo, si configura nei pochi
istanti durante i quali il treno su cui il Viaggiatore continua
a viaggiare diretto al nord ha sfiorato la casa presso la ferrovia
dove la Ragazza abita insieme alla madre […] Più
probabile una discussione del genere con l’Ex-ragazzo ricoverato
in uno degli ospedali cittadini, se di questo personaggio ella
non ignorasse perfino l’esistenza. Altra possibilità
offerta alla Ragazza, non prendendo lei in considerazione un
dialogo con la Madre, è stata quella di rintracciare
il corpo svenuto del Giovane-polizza […]. |
Eccettuato a priori un incontro con l’“Ex-ragazzo”
che, arrivato anch’egli all’epilogo della sua vita prolungherà
l’idillio con l’“Infermiera Magra” anche nell’aldilà,
morti «non insieme però, distanziati dello spazio di
pochi giorni, anzi pochissimi, a suon di trombe d’argento e
angioli dorati» , l’unico incontro possibile sarà
quello con il “Giovane-polizza”. Avverrà presso
i binari dove è stato ritrovato, ma il rapporto non avrà
al momento seguito perché la “Ragazza” presagli
la mano «subito l’abbandona fredda com’è
senz’anello (un attimo l’ha sperato)». Non avendo
ancora smesso di cercare il mitico quanto illusorio Amore, questa
rimanderà il contatto ad un prossimo futuro. Rinvierà
il rapporto a quando, perse tutte le speranze nel “sottobosco”
dei Direttori («forse dacché ha riconosciuto che un
anello la cui esistenza è mantenuta sul bilico di un’ipotesi
non serve a salvarla»), costatato che si può andare
avanti solo «con un briciolo di senno e due di demenza»,
perso anche il bambino «nato morto quasi per riluttanza istintiva
a venire al mondo», si avvicinerà anch’essa al
vizio dell’alcool. E’ l’ultimo approdo verso la disperazione
quando
|
Ormai si è capito
come stanno le cose. La Ragazza trangugia whisky appollaiata
sul piano, contorta e disforme. Nessuno danza a quella musica
del disco nero-luttuoso, la voce lontana, già arcaica,
[…] |
e allora
|
Le parole non trovano eco,
tutti continuano a masticarsi in solitudine il silenzio, sebbene
qualcuno si appoggi all’altro e dovrebbero avere l’aria
di amarsi molto. E’ stabilito che alle parole non vale
la pena dare eccessivo peso. Si ingoia whisky pertanto e ci
si aggomitola quanto più possibile, anche a ritmo serrato.
[…] |
Il “Giovane-polizza” però vuole instaurare un
dialogo con lei, andare oltre il banale rapporto fisico:
|
La ragazza parla. Ma quando
ha conosciuto questa ragazza? ma dove? come mai in questa festa?
trovarsi a ballare, per dire che cosa, per fare? Certo, per
fare. Bisogna dopotutto, in sì giovane età. |
Lui che non vorrebbe aprire totalmente gli occhi sulla realtà,
desidererebbe infine parlare della vita e dell’amore con chi
a sua volta non ne vede più il senso:
|
– L’amore difatti
è un’ardua conquista.
– Pressoché impossibile. Se n’è accorto?
– Non vorrei accorgermene. |
Tutti i personaggi principali sono estremamente pessimisti sul
futuro dell’uomo, secondo il “Viaggiatore” per salvarsi
bisognerà
|
[…] distinguere con
saggezza fra i valori pericolanti per gettarne alcuni in pattumiera,
altri acquisirli alla nostra vita se non altro a scopo di darsi
illusione tutto proceda ottimamente in mezzo a un mucchio di
cocci. |
Perché ormai «camminiamo su rasoio tanto affilato
che finiremo col tagliarci piedi gambe e a dir poco i testicoli».
Secondo l’“Ex-ragazzo” invece «non riusciremo
proprio a salvarci se non proveremo di nuovo gusto alle favole».
Tutti pessimisti dunque (oltre che accomunati da un comune destino
di morte) ad eccezione della “Madre”, che rappresenta,
in tanto profondo scoramento, l’unica apertura verso una speranza
seppur lieve in un futuro:
|
[…] non corre, travalica
con passo dignitoso il binario, accende in sé nuovi lidi
e speranze, smoccola i grandi ceri verticali e solenni in attesa
d’una camera ardente dove collocarsi e su di sé
gemere e imprecare, indi placata accogliere il tempo senza battere
palpebra, coordinare l’atto del mattino con quello della
sera, dare alla vita senso non d’accatto e querimonia,
bensì di volitiva e fiduciosa azione. |
Lo stile usato da Bernardini ne I treni è estremamente vario,
avendo usato (o felicemente imitato) con disinvoltura vari linguaggi
che vanno dal medioevo ai giorni nostri. I suoi registri stilistici
quindi spaziano dall’imitazione di un italiano antico e aulico
alla Iacopone da Todi, fino alla caricatura della moderna prosa
lirica:
|
Il mare tace, si mangia –
rimangia la sponda senza rumore, chiaroscurale, un’apertura
a oriente, dove s’infila a un tratto una fetta rossa, l’orizzonte
fiata silenziosa lontananza, la fetta rossa vi balza su in groppa,
al galoppo verso gli ormai prossimi confini del giorno. |
O all’ironica contraffazione televisivo-pubblicitaria della
mitologia della letteratura classica:
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I cavalli dell’alba
dopo aver rincorso il treno tutta la notte lo sorpassano facilmente,
ciascuno raccapezza una saponetta e può in rigoglio di
spirito e corpo, asciugamani al collo, uscire dalla ritirata
pettinandosi. |
Da un uso ironico del linguaggio freddo e distaccato usato dalla
saggistica:
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In quei paesi dove ancora
vige la pena di morte, allo scopo di ovviare a meno infrequenti
di quanto si creda errori giudiziari, l’uso di capsule
ibernanti dovrebbe essere imposto dalle leggi anche per rendere
ai giudici meno tempestosi i sonni. |
Alla mimesi di un linguaggio popolare a metà strada tra
l’italiano e il dialetto:
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– A noi la terra si
apriva sutta alli piedi ch’era uno di quelli tremuoti mai
sentiti da sessant’anni a sta parte, ca quandu ci ccappanu
nu ssai si esci vivu e hai voglia a preare tutti li santi, a
chi tocca tocca, scampu nu esiste. |
Dal pungente sarcasmo con il quale imita il “burocratese”:
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Il suo lieve ritardo, quattro
minuti forse, viene debitamente rilevato e puntualmente notificato
all’interessata con lettera raccomandata a mano prot. n.
4506 a firma Direttore n. 2, […] il tempo è denaro
nel senso più tangibile della parola e quattro minuti,
anche se scarsi, hanno valore equipollente a L. tot che a fine
mese, a norma dell’art. 42 del contratto di lavoro, saranno
defalcate dallo stipendio della S.V. alla quale si raccomanda
più scrupolosa osservanza orari d’obbligo. |
All’uso di una parlata informale e sboccata:
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[…] nel mondo di là
io conto d’incontrare mia zia Viria, zoppa dalla nascita,
e spero con tutto il desiderio possibile di vederla raddrizzata
sulle gambe, e il mio bisnonno in pace con le sue tre successive
mogli e i ventiquattro figli ai quali, grandi e piccoli, prima
del saluto notturno ordinava con voce imperiosa “Olà,
pisciate tutti!” e ciascuno obbediva dentro il suo pitale. |
Fino all’imitazione di un discorso con la erre moscia:
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La bionda afferma questi
aevei le fanno pauva e si lascia affondare la mano nella scollatura
fino al seno. Le fanno molta pauva ma si capisce la guevva sta
pev finive. Allova questi uccellacci non passevanno sulle teste
mai più o almeno non ci savà pevicolo pev la vita
e pev l’amove. |
Unico denominatore comune è, oltre all’abilità
di spaziare attraverso diversi stili, l’uso ironico e deformato
del linguaggio, la volontà nascosta di superare il suo pessimismo
di fondo con un uso beffardo della parola. Tuttavia questa tendenza
all’uso straniato del linguaggio deriva anche da quella fondamentale
base di amarezza e di incredulità per la condizione della
società, che lo fa poi spesso scivolare nell’espressione
amaramente sarcastica.
Parimenti il lessico si adatta ai vari registri usati, da quello
alto, aulico delle espressioni latine: “libido vivendi”,
“in conspectu omnium”, “angor matutinus”; delle
parole dotte e ricercate: “umo”, “cogitativo”,
“augello”, “onninamente”; dei composti classicheggianti
come “nottivago”, “omicidiale” o “acutangolo”;
e dei neologismi come “agguatatore” per indicare chi tende
un agguato.
A volte fa uso di un registro medio tramite parole straniere: “movimiento
señores”, “desaparecidos” e attraverso parole
moderne come “robot”, “tecnocrazia”, “teledipendenti”
o di uno basso attraverso parole scurrili come “cogliomberi”,
“porca”, “maiala” e tramite onomatopee come
“glo-glo” e “tum-snuff”.
Quest’ultima evidente predilezione a giocare con il linguaggio
gli fa creare dei giochi di parole come nel “parole sole ole
le e” nel quale imita l’eco, o dei brani in cui giocosamente
rifà il treno:
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Poi solleva una mano, l’Ex,
poggia sulla spalla del compagno, stantuffa locomotiva qual
è, alza i piedi con ritmo, ginocchia, gambe-angolo retto,
stropicciano corrono i piedi a-più-non-posso-a-più-non-posso-a-più-non-posso
sui binari dell’infanzia. |
I treni sono un incredibile e inesauribile serbatoio di citazioni,
esplicite o meno. Si va dalle evidenti reminiscenze scolastiche
del virgiliano «vasto gurgite», alla ironica citazione
di Carducci de Il bove con «verde il silenzio del piano»,
alla doppia citazione della poesia In morte del fratello Giovanni
di Foscolo: «deluse a voi le palme tende» e la modificata
«non altro di tanta speme oggi gli resta». Dal riadattamento
di un verso della Divina Commedia (Inf. I, 83): «Non solo
il lungo studio, ma anche il grande amore», al ricordo dell’Odissea
mediato da Dante in:
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Non c’è tempo
di fermarsi, bisogna correre, dal finito all’infinito,
superare i grigi confini della Terra, ascoltare il canto delle
sirene. Non mettere cera nelle orecchie né farsi legare
all’albero maestro. […] |
Dalla citazione di Quasimodo con «ed è subito sera»
e da quella dell’amatissimo Bodini con le famose «case
di calce da cui uscivamo al sole come numeri / dalla faccia di un
dado», alle «magnifiche sorti e progressive» dell’altrettanto
diletto Leopardi. Fra le tante meno esplicite compare un possibile
dubbio amletico-shakespeariano: «se proprio sia vivere questo
camminare e discorrere o soltanto sognare», e un’auto-citazione
in «Vanno i pastori in coda delle greggi / per i lunghi declivi
umidi e molli. / Passano accanto ai muri dove foschi / stanno i
cipressi», versi tratti da un’inedita poesia giovanile.
Collegata a quest’ultima è un lungo passo che sembra
vagamente ispirato al D’Annunzio bucolico e a quello de La
pioggia nel pineto:
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Ebbene corrono, lei stranamente
ride, s’alza in punta di piedi per non lasciar segno ma
poi ricominciare più in là. Insieme stampano orme
dopo orme, in ogni direzione ma sperdute sempre nella vasta
solitudine. Ride la Ragazza a quel gioco da lei voluto. Sulla
spiaggia deserta viene con la sera odore amaro di pini. Talvolta
accade anche d’incrociare il grido risonante dall’alto
delle colline, il richiamo lamentoso dei pastori che sospingono
i greggi verso la Bella Addormentata. |
L’autore quindi dimostra la padronanza di una vasta gamma
di registri stilistici ai quali attingere nelle diverse situazioni,
caratteristica peculiare di ogni scrittore che come lui fa della
sperimentazione stilistica e della creatività il fulcro principale
della scrittura.
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