
Marzo 2003
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Le Giravolte |
AA.VV. |
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Ci si rende conto che il
Salento possiede una sua storia e unità, una sua facies,
che lo rendono visibilmente diverso dal resto della regione.
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Il
mio cinquantennio salentino
Tra la messe di libri in circolazione sul Salento, spicca un interessante
volume, nella collana del Centro Servizi Educativi e Culturali di
Lecce (Regione Puglia), a cura di Ennio Bonea e con unintroduzione
di Dora Cosmo, dal titolo Il mio cinquantennio salentino, in cui
dieci personaggi della cultura e della politica si interrogano sullultimo
cinquantennio del secolo appena trascorso (1950-2000).
Si tratta di personaggi illustri che, in qualche modo, hanno fatto
la storia del Salento in generale e della città di Lecce
in particolare e che, in questa circostanza, si sono interrogati
sulla loro storia personale e sul loro vissuto esistenziale,
in uno stimolante intreccio tra esperienza pubblica ed esperienza
privata.
I loro nomi compongono una bella corona di spiriti che hanno dato
lustro allavvocatura, alle lettere, allarte, alla politica,
alla medicina in un rapporto che, certo, appare sbilanciato in favore
degli studia humanitatis, comè del resto nella tradizione
salentina, ma che avrebbe potuto contemplare nomi appartenenti ad
altre nobili discipline: la matematica, le scienze, lingegneria,
lagraria, linformatica.
Vittorio Aymone, Vittorio Balsebre, Ennio Bonea, Nicola Carducci,
Giorgio De Giuseppe, Franco Della Tommasa, Luciano De Rosa, Mario
Marti, Giacinto Urso e Donato Valli hanno ricostruito il complesso
mosaico della società salentina dal 1950 alle soglie del
terzo millennio con una tale lucidità di idee, ricchezza
di dati e di riferimenti ma anche di riflessioni critiche da consegnare
ai posteri uno studio articolato e pensoso delle vicende storico-politiche
e culturali affrontate. Le loro testimonianze, proprio perché
svolte da personaggi di alto livello culturale e professionale,
nonché ispirati da unalta tensione morale, costituiscono
un prezioso contributo alla ricostruzione storica per il ruolo da
loro svolto nelle aule del Parlamento, delluniversità,
della scuola, dei tribunali, per lattenzione mai superficiale
rivolta agli eventi esterni e spesso le dirette implicazioni con
le vicende e i processi narrati.
Ne viene fuori unimmagine più ricca e nel contempo
variegata di quella vera e propria regione o, se si vuole, subregione
che è il Salento, sin da quando esso si impegnò attivamente
per la realizzazione di unautonoma realtà regionale
(per la verità poi fallita), la creazione delluniversità,
lo sviluppo di una società civile più avanzata e di
una fisionomia culturale più moderna e aggiornata: tutte
condizioni utili e necessarie per rompere lo stato disolamento
e per collegare il Salento al resto del Paese, specie quello più
maturo e meglio organizzato.
Ci si rende conto perciò che il Salento possiede una sua
storia e unità, una sua facies, che lo rendono visibilmente
diverso dal resto della regione Puglia e che, nel concerto delle
aree meridionali, si colloca con una precisa identità e mentalità.
Laddove per identità e mentalità deve intendersi lattaccamento
ai valori della tradizione, ma anche lapertura al nuovo, il
senso del dovere e del lavoro al servizio della collettività,
il senso profondo della giustizia, il rispetto e lamore per
la cultura intesa come strumento di elevazione morale e sociale.
Credo che proprio da questo humus siano stati nutriti i personaggi
pocanzi nominati e che in virtù di tali valori abbiano
voluto resistere in questa terra o comunque voluto rientrare, quando
le alterne vicende della vita e degli studi li avevano sospinti
lontano, in altre zone del Paese. Perché la forza di attrazione
del Sud e del Salento è stata sempre molto forte e, anche
quando molti suoi figli sono stati costretti a viverne lontani,
non hanno mancato di mantenere saldi vincoli con la terra dorigine
e di provarne unacuta nostalgia. Si pensi ad esempio a Raffaele
Carrieri per Taranto o, nella fattispecie, ad Oreste Macrì
che, da Firenze, città eletta per i suoi studi, ha continuato
a tessere come un ragno inestricabili fili con Lecce e il Salento,
coinvolgendo studiosi di altra terra e di altri lidi che con il
Salento hanno stretto fecondi rapporti e stabilito quasi un foedus
di inattaccabile fedeltà.

Se Vittorio Aymone ha da par suo ricostruito la tradizione salentina,
voglio dire la davvero grande tradizione, degli uomini di legge
e degli avvocati, mostrando il nesso tra avvocatura e società
civile, tra forza della norma e coerenza nella sua applicazione,
ripercorrendo il cammino dallultimo scorcio dellOttocento
fino alla fine del XX secolo attraverso i maestri esemplari;
Ennio Bonea, Nicola Carducci, Luciano De Rosa, Mario Marti e Donato
Valli hanno, ciascuno dal suo angolo visuale, dalla sua prospettiva
ideologica e culturale, dalla specificità della propria esperienza
umana e civile, ricomposto il quadro della vicenda culturale del
secondo dopoguerra, soffermandosi sui momenti cruciali e significativi
della storia del Salento: la nascita dellUniversità
e soprattutto di una temperie culturale, che vide lintrecciarsi
di politica e cultura e laffermarsi di una nuova figura di
intellettuale (che potremmo definire democratico), di una nuova
letteratura e di nuove riviste, al centro delle quali giocarono
un ruolo di primo piano figure come Vittorio Bodini, Vittorio Pagano
e Girolamo Comi, ma pure figure minori (almeno per il grande pubblico)
di notevole spessore, come Ernesto Alvino, Giovanni Bernardini,
Francesco Lala, Tommaso Santoro, Cesare Massa.
Vittorio Balsebre si sofferma invece sulla storia dellarte
e della critica in terra salentina, almeno a partire dalla metà
degli anni Sessanta, mostrando come il cammino di una sensibilità
volta a comprendere i fenomeni dellarte, e in particolare
laffermarsi di una cultura artistica capace di andare al di
là della produzione figurativa e di dare il giusto peso alle
forme artistiche legate alla ricerca e allavanguardia, sia
stato lungo e non sempre facile. E, comunque, bisogna dargli atto
che il suo impegno critico, accanto a quello di altri avveduti operatori
e studiosi, non è andato disatteso e che oggi Lecce si è
conquistata un posto importante come sede aperta e attenta alle
novità non effimere della ricerca, grazie anche allazione
efficace delle sue Accademie e Istituti e gallerie darte.
Franco Della Tommasa, un medico serio e provveduto, geriatra e cardiologo,
nonché cultore di storia e di mitografia, ha ripercorso il
suo impegno umano e professionale specie in campo geriatrico, nel
quale ha prodotto non pochi sforzi non solo sul piano scientifico
ma anche su quello della legislazione regionale, a partire dalla
creazione dellEnte Regione (1970). Certo, mi permetto di dire
che se la politica tenesse un po più in considerazione
gli apporti della nostra migliore intellettualità, molte
cose andrebbero meglio sia sul piano dellorganizzazione sanitaria
che su quello dei risultati pratici, come le ancora attuali vicende
legate al piano di riordino ospedaliero ci insegnano.
Infine, Giorgio De Giuseppe e Giacinto Urso, due padri della
patria, parlamentari che hanno goduto del consenso popolare
per molti lustri (anche in virtù delle personali qualità
e del forte rapporto con lelettorato) e che hanno dispiegato
unintensa azione politica, hanno offerto un interessante contributo
alla ricostruzione delle vicende personali nonché di quelle
politiche dalla nascita del centro-sinistra al compromesso storico
e oltre, mostrando gli inevitabili intrecci fra problematiche nazionali
e riflessi locali, fra centro e periferia, fra logiche di potere
e aspettative democratiche.
alberto altamura
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Questa forma di Project Work ha dato la possibilità
ai corsisti di muoversi allinterno di un iperspazio aziendale,
prendere decisioni, conoscere più da vicino i vari ruoli
aziendali, relazionarsi.
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Nellazienda
virtuale
La tecnologia è sempre stata per molti croce e delizia,
così come tante altre cose ad essa collegate. Tra i suoi
figli più recenti, ad esempio, è ormai
famoso quello nato dallincontro con 1Apprendimento:
la Formazione a Distanza, conosciuta anche come FAD. Si tratta di
una creatura relativamente giovane, ma sicuramente in costante crescita.
Quello della Formazione a distanza è un argomento ormai molto
dibattuto, cè chi ne esalta i pregi e chi invece la
demonizza per i suoi limiti. Ma prima di esprimersi nelluno
o nellaltro senso è indispensabile sperimentare.
Tra le caratteristiche principali che un formatore dovrebbe avere,
cè la flessibilità e la capacità di adattarsi
ai tempi e alle situazioni, e non solo allinterno dellaula.
E per questo che personalmente ho ritenuto valido fare un
po di esperienza anche in questo senso, addentrandomi in unaula
virtuale un po particolare.
Ho sempre amato laspetto relazionale della formazione: essere
a contatto con le persone e interagire direttamente ritengo sia
fondamentale. Per tale motivo, pur interessandomi e leggendo materiale
relativo alla FAD, pur cercando di sapere di più sui pacchetti
e le piattaforme destinate allinsegnamento e alla formazione,
non mi ero mai cimentata realmente con essa. «Troppo fredda,
mi son sempre detta dove va a finire la possibilità
di un confronto diretto e immediato?».
E vero che esiste ormai la possibilità di dialogare
apertamente in un iperspazio/aula, mediante apposite chat, e che
ci si può vedere allinterno di una classe virtuale
mediante delle web cam, tuttavia non ho mai considerato questi aspetti
come veri vantaggi.
Eppure, lo confesso, ho ceduto alla seduzione tecnologica, alle
lusinghe della sperimentazione e alla fine ho deciso di avventurarmi
in unesperienza di Formazione a distanza tutta mia. Niente
piattaforme e attrezzature ipertecnologiche, solo un po di
fantasia e delle caselle di posta elettronica.
Ora vorrei condividere con cultori e scettici questa mia esperienza.
Qualche mese fa, una scuola di formazione di Bari mi ha chiesto
di formulare un Project Work da assegnare ai corsisti come prova
finale del loro Master in Giuristi di impresa. I ragazzi
avrebbero potuto scegliere tra due tracce: una in tema legale e
una riguardante la gestione del personale. Ho quindi proposto alla
responsabile della formazione un Project Work un po diverso
dal solito per larea Risorse Umane, e credo anche del tutto
innovativo e unico in questo tipo di corsi. Volevo che i ragazzi
avessero la possibilità di applicare veramente ciò
che avevo trattato in aula con loro, e non soltanto che scrivessero
una tesina in merito.
Mi sono accorta infatti che sono sempre i discenti che hanno voglia
di sperimentare, provare davvero, fare della pratica, se pur limitata
allo spazio protetto dei role play.
Ed è così che ho deciso di creare un mega
role play a distanza. Un gioco di ruolo simile a quelli a sfondo
avventuroso, a cui si divertono attualmente a giocare moltissimi
ragazzi grazie a Internet, solo che il mio aveva un carattere...
aziendale.
Ho fornito personalmente le regole ai partecipanti il giorno dellassegnazione
del progetto, facendo presente che si trattava di un Project Work
ideato per essere svolto in maniera interattiva.
Il loro ruolo era quello di neo-responsabile dellArea Legale,
in unazienda con delle problematiche interne. Il compito,
quello di realizzare, insieme al responsabile dellArea R.U.,
un sistema di valutazione delle prestazioni e di monitoraggio della
people satisfaction, ma per arrivare a questo dovevano verificare
lesatta situazione in cui si trovava lazienda.
Il Project Work, quindi, consisteva sia nel compiere tutti i passi
necessari per giungere alla progettazione dei due sistemi, sia nel
presentare alla Dirigenza un prototipo di entrambi.
Ciò che i ragazzi avevano a disposizione al principio era
una descrizione della società, la fantomatica Marson, per
cui tutte le ulteriori informazioni (compresa lopportunità
di visionare lorganigramma aziendale) potevano essere reperite
dialogando con i due soci titolari o con altro personale.
In che modo? Come il master di un gioco di ruolo io
interpretavo vari personaggi: ad esempio, il presidente e il vicepresidente
della società, a cui potevano rivolgere domande, o le diverse
persone presenti in azienda, da cui potevano acquisire informazioni
in base alle scelte strategiche da loro effettuate. Tutto ciò
avveniva giornalmente tramite e-mail.
A seconda della persona che volevano intervistare, i ragazzi mettevano
in oggetto alla e-mail il nome o il ruolo (es: Per il Sig.
Martinelli o Per il Presidente della Marson).
Per simulare luso di strumenti di monitoraggio diversi dallintervista,
quali questionari o focus group, potevano invece intitolare le-mail
come la metodologia da utilizzare (es: Questionario
o Focus).
Nel primo caso mi veniva inviato il modulo con gli items, ed era
indicata larea di appartenenza dei dipendenti a cui intendevano
somministrare il questionario (es.: Questionario per larea
Produzione). Nel secondo caso ricevevo la composizione del
focus e il numero dei partecipanti, con una breve lista delle domande
stimolo che avrebbero rivolto ad essi.
Il Project Work poteva essere svolto individualmente o a gruppi,
ed era comunque consentito a tutti i partecipanti di scambiarsi
opinioni. Ma solo opinioni, e non anche informazioni, quelle dovevano
essere reperite solo attraverso i personaggi in gioco.
Alcune delle e-mail potevano essere intestate anche a me, come tutor-coordinatore
del progetto, per qualsiasi chiarimento o consiglio.
Durante la discussione finale del progetto presso la scuola di formazione,
i discenti dovevano presentare unanimazione in Power Point,
che spiegava come si era svolto lintero lavoro e come avevano
realizzato i due sistemi previsti dal Project Work. Unitamente a
questa, una breve tesina.
Con ognuno dei ragazzi o gruppi, il tempo impiegato per la parte
virtuale è stato di circa venti giorni. Quello
complessivo a loro disposizione, comprendente anche lelaborazione
di diapositive e tesine, era di circa due mesi.
Ovviamente, grazie ad Internet, lo scambio di informazioni tra il
master e i vari partecipanti può avvenire in
contemporanea. Nel senso che non ci si dedica, ad esempio, per venti
giorni solo a una persona o a un gruppo, e il lavoro non richiede
moltissimo tempo, basta preparare in precedenza i ruoli dei personaggi
chiave.
Ma il bello di un simile role play è che comunque ogni allievo
partecipante avrà un suo diverso stile di approccio allazienda,
e una diversa modalità nelluso e nella realizzazione
degli strumenti utilizzabili. E per questo che, al formatore
che conduce il gioco, occorre una discreta dose di flessibilità
perché, pur essendovi profili aziendali e aspetti caratteriali
dei personaggi ben definiti, ci si trova dinanzi alle capacità
individuali di ciascuno dei ragazzi, ed è necessario adeguarsi
ad esse.
Questa forma di Project Work, inoltre, ha dato la possibilità
ai corsisti di muoversi allinterno di un iperspazio aziendale,
confrontarsi direttamente con alcune problematiche, prendere decisioni,
conoscere più da vicino i vari ruoli aziendali, relazionarsi
con persone aventi ognuna la propria caratterizzazione
e le proprie difficoltà. Tutte cose che in un Project Work
di approccio tradizionale non sarebbero realizzabili.
Inoltre in questo modo al master-coordinatore è
consentito effettuare delle valutazioni concrete sulloperato
dei ragazzi passo per passo, e capire come hanno appreso e assimilato
le tematiche affrontate in aula.
Vorrei concludere riportando dei commenti particolarmente rappresentativi,
forniti da uno degli allievi partecipanti a questa sperimentazione.
«E la mia prima esperienza in questo senso dice
Michele D.T. ma mi è piaciuta molto sia per il modo
in cui è stata realizzata, sia per il riscontro che ho avuto.
Ho potuto verificare che le cose di cui si è parlato durante
le lezioni sulla gestione integrata del personale sono vere e non
solo belle parole. Considerando anche che nella simulazione si faceva
riferimento ad un caso reale, credo che il Project Work mi abbia
insegnato molto su come si opera in azienda, specialmente nellarea
del Personale».
ilaria ferramosca
Implacabili indovinelli
Lingua dei miei avi
Lingua, nascosta radice
che affondi con dolcezza,
a volte tumulto infinito,
sei la mia segreta essenza.
Lingua dei miei avi,
neve perenne
e antico canto di armonia,
alte le tue parole mi offri,
ed io, per un attimo felice,
animo e pensieri a te affido,
libera di esistere con la tua voce.
Locchio mare
Locchio vede, osserva, fissa
può guizzare come un pesce,
ma il suo mare è solo un liquido,
così piccolo, che si perde.
Incosciente sei del tempo,
benché ogni attrito con la vita
ti indurisca come pietra,
voce bassa, un solo sguardo
sguardo unico, lucente,
un occhio solo che scintilla
mentre laltro, il non vedente,
spalancato sulla terra
castamente si inverdisce
in un mare che più non cè.
Roma destate
Il semaforo tondo della luna,
alta sublime,
inonda Roma ormai notturna;
cè chi si sofferma su di un ponte,
chi guarda da una terrazza
o più in basso
dalla finestra di un terzo piano;
passano macchine e uomini.
Osservo smarrita il cielo,
chi sei, anima delluniverso?
Il coro
Mi chiamano voci invisibili:
un mormorio indistinto
impercettibile eppur concreto,
voci dei trapassati e del mondo.
Il coro incalza
diventa vento di foresta
sciabordio di acque
fra le pareti della stanza.
Sorrido al loro insolito richiamo,
verrò mi dico
ma devo ancora scrivere, scrivere.
Implacabili indovinelli
Non voglio essere
un suonatore di piffero,
il pifferaio di Hamelin anche se celebre.
La vita ruota fra le rosse
macchie della disperazione,
singola o collettiva,
sale verso lincognita del tempo,
e fra gli entusiasmi essiccati
da invisibili frecce,
mi chiedo cosa ho fatto realmente?
Altera la Storia ritorna
e, come sfinge indugiando, porge
i suoi implacabili indovinelli.
Lettere in
Direzione
Egregio Direttore,
Sono un vecchio cliente della Banca Popolare di Parabita, oggi Banca
Popolare Pugliese, e, per questo, attento e appassionato lettore
della rivista Apulia, della quale non posso non apprezzare,
oltre alla eleganza della veste grafica e la preziosità delle
illustrazioni, lalto contenuto scientifico, economico, storico
e culturale che grandi firme di scrittori, saggisti e studiosi di
chiara fama nazionale e internazionale hanno reso, a mio parere,
unica nel suo genere e particolarmente interessante per gli appassionati
della storia, della cultura e delle tradizioni della terra di Puglia
e dei suoi figli più illustri.
Le scrivo, non soltanto per un doveroso apprezzamento della Rassegna
da Lei diretta, ma per segnalarLe una dimenticanza che, a mio avviso,
è stata commessa nel n. 2 della rivista di giugno 2002 e
precisamente in un articolo a firma di Rosario Scrimieri in cui
si parla della bellissima Chiesa di S. Antonio a Fulgenzio a Lecce.

Comprendo e giustifico la dimenticanza dellarticolista il
quale, da architetto, ha badato principalmente alla descrizione
delle opere architettoniche, delle sculture, delle pitture e degli
arredi delledificio di culto e dellannesso convento
dei frati francescani.
Vorrei far notare però che, nella seconda cappella a sinistra
della chiesa, vicino al pulpito ligneo, vi è un sepolcro
in cui sono conservate le spoglie del Venerabile Fra Giuseppe Michele
Ghezzi, conte di Poggio Aquilone (Perugia), il quale, spogliatosi
dei beni terreni, indossa labito di terziario francescano,
dedicandosi per oltre 50 anni al servizio dei poveri e vivendo di
carità e di catechesi.
A seguito del Processo Cognizionale sulla vita, le virtù,
nonché sui miracoli in genere del servo di Dio Fra Giuseppe
Michele Ghezzi, laico professo dei frati minori, è in corso
la causa di Beatificazione e Canonizzazione curata dalla Postulazione
Generale dellOrdine. Al Venerabile Fra Giuseppe Ghezzi vengono
tributate ogni anno solenni onoranze nella Chiesa di S. Antonio
a Fulgenzio, in ricorrenza dellanniversario della nascita
e della morte (1865- 1955).
Ho voluto ricordare queste cose per onorare la memoria di un figlio
della terra di Puglia che ha dedicato tutta la sua vita al servizio
dei poveri e dei bisognosi e che speriamo possa salire presto allonore
degli altari.
E infine vorrei ricordare che il Venerabile Fra Giuseppe era cugino
del Dott. Alberto Ghezzi, primo direttore della Banca Popolare di
Parabita sin dal lontano 1920 e per circa trenta anni, il quale,
a giudizio dei tanti che lhanno conosciuto, ha tracciato la
strada sulla quale sono passati tanti successi della Banca.
Gentile direttore, mi scuso per lardire che mi ha spinto a
scrivere queste cose, ma ho sentito di farlo, e per questo La ringrazio
se avrà la compiacenza di leggermi.
Franco Ghezzi
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