Quel che occorre
a tutto il Sud sono interventi per la competitività,
a partire
dal recupero del gap
infrastrutturale.
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La notizia è questa: nel 2002 le esportazioni italiane hanno
registrato una diminuzione del 2,8% rispetto al 2001. Nel generale
panorama negativo, tuttavia, alcune regioni hanno registrato performances
positive: Lazio, Molise, Abruzzo. La prima ha registrato un +5%,
la seconda +1,8%, la terza +1,4%. Il primato, comunque, spetta alla
Basilicata, che ha segnato un +24,9%, grazie alle prime esportazioni
di petrolio della Val dAgri.
Il valore assoluto delle esportazioni lo scorso anno si è
attestato a 265,2 miliardi di euro. Nel periodo ottobre-dicembre,
precisa lIstat, lexport delle regioni italiane ha avuto
un incremento rispetto al trimestre precedente. In particolare,
cè stata una crescita del 3% nellItalia meridionale
e insulare, del 2,3% in quella del Nord-Est, dello 0,3% in quella
del Nord-Ovest. LItalia centrale ha registrato invece un calo
dello 0,2%. Il viceministro delle Attività Produttive, Adolfo
Urso, ha affermato che «esistono segnali di ottimismo che
vanno evidenziati».
Altri commentatori hanno poi osservato che nel Sud ormai agiscono
imprenditori di qualità, in grado di affrontare il mercato
con la sola arma della loro capacità, i quali hanno trasformato
una vecchia economia agricola in vera industria alimentare, edile,
metalmeccanica, tecnologica, del legno, del cuoio, dellabbigliamento
Se arriva la ripresa in Europa e in Italia, si azzarda, si possono
mettere da parte i tamburi di guerra, per aprire una magnifica stagione.
Completano il quadro i dati negativi. Le peggiori performances fra
le regioni del Nord-Ovest sono state realizzate dalla Liguria, con
un -10,3% causato dalla flessione delle vendite allestero
di apparecchi meccanici, elettrici e di precisione. Male anche la
Val dAosta (-6,1%), la Lombardia (-4,5%) e il Piemonte (-4%).
La flessione della Lombardia, le cui esportazioni rappresentano
ben il 28,2% del totale nazionale, è dovuta a una riduzione
delle vendite in tutti i principali settori di attività economica,
ad eccezione del comparto agroalimentare e dei prodotti chimici
e fibre sintetiche e artificiali.
Nel Nord-Est la riduzione delle esportazioni si è concentrata
in Friuli Venezia Giulia (-3,1%) e in Veneto (-2%), mentre nelle
altre regioni non si sono registrate variazioni di rilievo. Il risultato
negativo del Friuli è imputabile alla riduzione delle vendite
di apparecchiature elettriche e di precisione e dei metalli e prodotti
in metallo, mentre quello del Veneto è dovuto al calo dei
prodotti metalmeccanici (esclusi i mezzi di trasporto), del cuoio
e dei prodotti in cuoio.
NellItalia centrale, le performances delle regioni sono risultate
alternanti: mentre lUmbria ha registrato un buon +5%, Toscana
e Marche hanno rispettivamente perso il 4,5% e lo 0,9%. Sul dato
della Toscana ha pesato la marcata riduzione nei settori dellindustria
tessile, dellabbigliamento, del cuoio e dei prodotti in cuoio.
Per quel che riguarda il Mezzogiorno, le esportazioni sono scese
in Campania con un -6,6%, in Puglia con un -6,4% e in Calabria con
un -3,7%.

Segnali che vanno presi in considerazione, dunque, per quei versanti
positivi che vanno emergendo e che potrebbero registrare cifre più
consistenti nel futuro. E questo che ha fatto dire ad alcuni
osservatori che a far da traino alle direttrici dellesportazione
a fine anno è stato il Sud, e non il Centro-Nord, anche se
le distanze del Mezzogiorno con il resto dellItalia e soprattutto
con lEuropa restano ancora pressoché siderali. Immagine,
questa, che sembra essere del tutto uguale a quella degli anni passati,
ma che questa volta ha almeno unimportante novità:
sono cambiati i protagonisti. Laspetto nuovo è il ruolo
delle Regioni, che hanno un impatto sempre più visibile e
una presenza operativa decisiva. Gli incentivi, ad esempio, a cominciare
dalla legge 488, si stanno spostando rapidamente sulle priorità
territoriali o settoriali manifestate proprio dagli enti regionali.
Altrettanto si verifica sul fronte infrastrutturale, su cui le competenze
delle Regioni, fortemente sostenute dallUnione europea, sono
diventate determinanti. Basti pensare che, diversamente da quel
che avveniva in passato, il nuovo Quadro comunitario di sostegno
per il Sud 2000-2006 (circa 51 miliardi di euro tra risorse nazionali
e comunitarie) assegna alle Regioni oltre il 70% dei fondi complessivi.
Sotto questo profilo, cè da chiedersi se le Regioni
meridionali siano allaltezza del compito loro affidato. Da
quanto sta emergendo, sembra evidente che parlare del Sud come di
una realtà unica, uniforme, è ormai fuorviante. Puglia,
Basilicata e Campania stanno dando ampia dimostrazione di saper
utilizzare proficuamente le nuove competenze. Il Quadro comunitario
di sostegno è senza alcun dubbio unutile cartina di
tornasole, perché, al di là della celerità
di spesa dimostrata, il nuovo programma cofinanziato da Bruxelles
impone anche una capacità di programmazione degli obiettivi.
Programmazione che, soprattutto per le grandi opere, richiede necessariamente
un coordinamento e una coerenza tra interventi regionali e nazionali.
E evidente, pertanto, che la maggiore efficienza (ed efficacia)
delle Regioni e della stessa amministrazione centrale rappresenta
una delle condizioni necessarie al rilancio del Sud. Più
volte, e da più fonti istituzionali, abbiamo sentito dire
che il Mezzogiorno rappresenta la priorità. A
questa affermazione devono corrispondere ora scelte coerenti, risposte
legittimamente attese per superare lemergenza di quei territori
in ritardo storico sia sotto il profilo economico che sociale.
Con una premessa fondamentale da tener presente: lattuale
politica di agevolazioni per il Mezzogiorno ha soltanto un carattere
compensativo. Quel che occorre a tutto il Sud sono interventi per
la competitività, a partire dal recupero del gap infrastrutturale.
In caso contrario, continueremo ad assistere allattribuzione
di incentivi che una volta esauriti determineranno fughe e perdita
di posti di lavoro, peraltro pagati a caro prezzo dallo Stato.
Gli ultimi dati sulla crescita confermano che, sia pure debolmente,
diminuisce il divario Nord-Sud. Nel 2002 il Prodotto interno lordo
è cresciuto in Italia dello 0,4%, ma il dato disaggregato
ci conferma che al Centro-Nord laumento è stato solo
dello 0,2%, mentre il Mezzogiorno ha raggiunto lo 0,8%. E
più che mai evidente che lattuale congiuntura negativa
rende questo risultato poco significativo in valori assoluti, ma
è pur sempre un segnale da non sottovalutare, in attesa che
parta la ripresa dellintera economia. E questa ripresa può
rimettersi in moto puntando sulla competitività dei territori,
spinta anche dai fondi strutturali. Il che significa che il problema
non sono le risorse (le disponibilità per il Mezzogiorno
sono ingenti), ma luso che ne sarà complessivamente
fatto perché esse, da medicina compensativa, si trasformino
in medicina risolutiva. La parola spetta alle Regioni.
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