Altri ancora, mezzo secolo prima di lui, avevano
descritto la geografia, i popoli,
i costumi,
le religioni, il clima, le produzioni
dellAsia centrale.
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«Allinizio ci furono le spezie»: con questo incipit
Stefan Zweig apre la biografia di Magellano. Cannella, pepe, noce
moscata valgono più delloro e delle gemme. Sono beni
preziosi in Europa e i mercanti olandesi le pesano su bilancini
da farmacista, contano i grani uno ad uno, e portano alla cintura
un borsellino in cui custodiscono una riserva privata di spezie,
«in caso di necessità». Dopo una catastrofe,
o in una fuga improvvisa, serviranno a sopravvivere, ovunque nel
mondo.
Sulle spezie lOlanda ha costruito la sua fortuna, e il loro
commercio è alla base del capitalismo e, se vogliamo, della
globalizzazione. La nascita della Compagnia delle Indie Orientali,
poco più di quattro secoli fa, nel 1602, ne fa fede.
I portoghesi e gli inglesi sono spietati concorrenti nei commerci
marittimi, ma i commercianti di Amsterdam, di Rotterdam e di Utrecht
hanno unidea geniale: quella di consociarsi, per fronteggiare
i più forti avversari. La VOC (Vereinigte Ostindische Companie)
è di fatto la prima Società per Azioni al mondo. Prima,
un naufragio, un assalto dei pirati, un carico andato a male, portavano
alla rovina larmatore e la sua famiglia. Bastava una disgrazia
per distruggere una fortuna accumulata con grande fatica, generazione
dopo generazione. Ora invece il rischio viene diviso tra tutti i
soci della Compagnia. E anche i guadagni, naturalmente. Ma non ci
si può lamentare. Negli anni migliori, le azioni della VOC
arrivano a dare un utile, oggi semplicemente impensabile, del 75
per cento. Non sempre viene distribuito denaro: gli azionisti sono
compensati in natura, in spezie appunto, oppure in lana, lino, sale,
o in altri prodotti che possono commerciare, facendo aumentare quindi
i guadagni. In alcuni anni non ci saranno dividendi, ma nella sua
storia di quasi due secoli, fino allo scioglimento nel 1799, la
Compagnia distribuisce in media utili del 20 per cento.
Il capitale iniziale ammonta a 6,6 milioni di fiorini, suddivisi
in 1.100 quote. Già una settimana dopo la sua emissione,
il titolo della Compagnia vale il 125 per cento in più, e
nel 1720 è salito del 1.250 per cento. Ma nel 1781 si scende
al 215 per cento. Non bastava aver soldi per poter comprare i titoli:
è necessario lassenso di uno dei 17 direttori della
società, come per entrare in un club esclusivo. Landamento
delle azioni segna anche lascesa dellOlanda, un piccolo
Paese che incuterà timore, oltre che a Londra e a Lisbona,
anche ad altre grandi nazioni, come la Francia e la Spagna.
La Compagnia diventa così ricca e prestigiosa da influire
direttamente sulla politica internazionale. Monarchi e Primi ministri
devono ascoltare i capi della VOC prima di stilare trattati o di
dichiarare guerra, esattamente come oggi le grandi multinazionali
vantano bilanci superiori a quelli di molti Stati. Nel 1648, i rappresentanti
della Compagnia renderanno ancora più complicate le trattative
a Münster per la cosiddetta Pace di Westfalia,
lintesa che stabilisce i rapporti di forze sul nostro continente
fino al Congresso di Vienna.

Il 30 gennaio di quellanno, allaccordo tra Olanda e
Spagna manca una sola firma, quella dellinviato Godard van
Reede van Nederhorst di Utrecht, un personaggio oscuro dai forti
interessi personali, che vanta relazioni in tutte quante le capitali
dEuropa. Di fatto, a Münster si trovano di fronte non
Amsterdam e Madrid, ma la VOC e la WIC (Vestindische Companie, la
Compagnia delle Indie Occidentali, nata nel 1621) contro spagnoli
e portoghesi. Si sancì di fatto la fine del Sacro Romano
Impero germanico. E si crearono le basi per le future guerre civili
europee. Oggi si fa la guerra per il petrolio mediorientale, per
le gemme estremo-orientali, per i minerali del Ruanda, o per luranio
africano. Ieri la si faceva per una partita di pepe o per un pugno
di chiodi di garofano.
A nord-est dellEuropa, i Cavalieri dellOrdine Teutonico
guerreggiavano al fianco del duca di Polonia per imporre la fede
ai Prussiani, ancora idolatri. A sud-ovest, i castigliani continuavano
a respingere verso lAfrica gli invasori musulmani. Infine,
il fior fiore della cavalleria europea era impegnato nelle crociate
per la conquista dei Luoghi Santi di Palestina, e lungo la strada
aveva installato una dinastia franca sul trono di Costantinopoli.
Di tutti questi contrasti, Giovanni da Pian del Carpine parlerà
nel suo libro, dopo essersi guardato bene dal rivelarli al Khan
mongolo, «per tema che non si rendesse troppo conto della
nostra debolezza». Su questEuropa sfinita da guerre
e da lotte fratricide, infatti, si era abbattuta la più tremenda
marea barbara da essa conosciuta dopo le invasioni degli Unni e
dei Vandali, quella dei Mongoli (Moali o Mongali), i famosi Tartari
di Gengis Khan, che in realtà si chiamava Chinggis Khan.
Costui aveva conquistato la Cina del Nord e i territori russi meridionali,
fino al Mar dAzov e al Mar Nero. Alla sua morte, il terzo
dei suoi figli, conquistati il resto della Cina e la Persia, si
era rivolto contro lEuropa. Era il 1236 quando un esercito
di 600.000 uomini distrusse sistematicamente tutte le città
della Russia centro-settentrionale, saccheggiò da cima a
fondo la Polonia, schiacciò le forze polacche e teutoniche,
e mise a ferro e a fuoco lUngheria, facendo giungere le sue
avanguardie fino in Dalmazia.

A questo punto, Innocenzo IV decise di inviare ambascerie presso
il Khan. Una, formata esclusivamente di domenicani, giunta in Persia,
formulò proposte di pace, con labbandono dellidolatria
e con la conversione alla fede cristiana; si ebbe, in risposta,
lingiunzione al papa di recarsi dal Khan, di prostrarsi di
fronte a lui, e di fare atto di sottomissione. Laltra, formata
da francescani, percorse la Grecia, lAsia Minore, lArmenia
e la Babilonia o Persia del Nord, senza andare oltre, e senza ottenere
alcun risultato positivo. Il terzo gruppo era composto da soli tre
francescani: Giovanni da Pian del Carpine, che li comandava, Stefano
di Boemia, che per lo stato di salute dovette poi rinunciare al
viaggio, e Benedetto di Polonia, che fungeva da interprete nei diversi
contatti con i Tartari.
Giovanni aveva 63 anni, era fisicamente robusto, addirittura pesante,
tantè che era costretto a spostarsi a dorso di un asino.
Tuttavia, affrontò con coraggio stanchezza, freddo, fame,
sete, vessazioni dogni genere; traversò steppe, oltrepassò
montagne, guadò fiumi giganteschi. Ma condusse a termine
la missione, portando fino in fondo alla Mongolia, attraverso il
deserto del Gobi, la parola evangelica, nello stesso tempo raccogliendo
una massa enorme di informazioni sullorigine e la genealogia
dei Gengiskhanidi, sullorganizzazione dellImpero, sulla
costituzione dellesercito, sul suo armamento e le sue tattiche
belliche, e simultaneamente sui costumi, sugli usi, sulle religioni,
sullabbigliamento, sul nutrimento, ecc., delle innumerevoli
tribù nomadi mongole. Questa massa di notizie sullAsia
Centrale avrebbe contribuito a rinnovare completamente la geografia
del continente, se gli specialisti si fossero dati pena di leggere
la sua relazione e di coglierne limportanza.
La lettera di risposta del capo dei Tartari, Guyuk Khan, al papa
è riferita da Benedetto di Polonia. Vi si legge, fra laltro:
«Se desiderate avere la pace con noi, bisogna che tu, Papa,
i vostri imperatori, tutti i vostri re, tutti i potentati delle
città e i governatori dei paesi, non differiate in alcun
modo di venire da me per espormi la vostra pace e udire al tempo
stesso la nostra risposta e la nostra volontà
Ti stupisci
del massacro degli uomini, e soprattutto dei cristiani ungheresi,
polacchi e moravi
E accaduto perché non hanno
obbedito agli ordini del nostro Dio e di Gengis Khan. Noi adoriamo
Dio, e grazie alla sua potenza distruggeremo tutta la terra, dallOriente
allOccidente. Se luomo non fosse la forza di Dio, che
cosa potrebbero fare gli uomini?».
Tutta concreta, la relazione di Giovanni da Pian del Carpine non
si lascia andare a fantasticherie. E non sono frutto di inventiva
neanche le informazioni che ci dà su una figura ritenuta,
a torto, leggendaria: quella del Prete Gianni, un principe di religione
nestoriana, la cui dinastia regnò per circa un secolo in
quella che si chiamava, in maniera piuttosto imprecisa, lIndia
Maggiore e Superiore, verso lAlto Indo.
Lattività diplomatica del mondo cristiano, di fronte
alla minaccia che veniva dallEst, non conobbe tregue. Una
missione partì e raggiunse la corte dei Tartari alla fine
del 1247. Non se ne conosce lesito. Lanno successivo,
mentre era a Cipro, in attesa di raggiungere la Siria, Luigi IX
re di Francia San Luigi fu raggiunto da un gruppo
di ambasciatori mongoli, guidati da un tal Sabaldin Mufat David,
del quale ci sono ignote nazionalità e razza. Costui portava
una missiva del re tartaro, nella quale si affermava che questi
si era fatto battezzare da tre anni, si stava battendo per la cristianizzazione
di tutte le genti del suo impero, e voleva stringere alleanza con
il monarca santo, al fine di portare a termine questopera
missionaria.
Luigi inviò una missione franco-tartara, guidata dal David
e dal poliglotta frate André, ben fornita di denaro e di
ricchissimi doni e reliquie. Era il 1250 o il 1251, quando la missione
mosse, non è dato sapere attraverso quali terre. Si appurò
solo che il David scomparve dalla circolazione, insieme con i soldi
e i regali, e si ipotizzò che padre André si fosse
perduto nelle steppe dellAsia centrale care a Borodin, oppure,
senzaltro ingannato anche lui, si fosse pudicamente rinchiuso
fino alla morte in un qualche convento dellarea cristiana.
A meno che non fosse rimasto vittima del tradimento perpetrato dal
compagno di viaggio.
Questa disavventura non distolse dal progetto di riprendere i contatti
con il nuovo Khan tartaro. Compito cui venne destinato frate Guglielmo,
nativo di Rubruk, personaggio che sembrava essere il rovescio della
medaglia di Giovanni da Pian del Carpine. Non sappiamo nulla della
sua attività precedente e seguente, né delle sue origini,
e neanche della sua nazionalità. Forse si trattava di un
fiammingo con forti ascendenze sassoni, vissuto a Parigi e forse
anche altrove, in Francia, Paese di cui era fieramente innamorato.
Sappiamo che era spirito polemico, affabulatore torrentizio, ben
disposto alla buona tavola, gran bevitore. Fisicamente imponente,
doveva avere trenta o quarantanni quando partì da San
Giovanni dAcri e, forse dopo alcune tappe intermedie, giunse
a Costantinopoli, metropoli dalla quale ebbe inizio il suo viaggio
verso la Cina.
La relazione di Guglielmo è anchessa specchio capovolto
di quella di Giovanni da Pian: quanto questi si cela in unumiltà
che procede dallesempio di San Francesco, tanto laltro
si produce al centro della scena, col brio e la facondia di un grande
attore. Giovanni compie la sua inchiesta con discrezione, presentandoci
molte notizie sui Tartari. Guglielmo ci informa soprattutto sui
suoi confronti con i potenti, sui suoi diverbi con la pretaglia
locale, e ci rende edotti, alla fine, su poche cose riguardanti
luniverso mongolo. In compenso, è grandissimo descrittore
di paesaggi e terre, con un gusto narrativo eccellente, da autentico
globe trotter, che ci offre un affresco vivo e intrigante dei suoi
itinerari. Sicché la sua relazione rimane ancora oggi uno
dei più bei libri di viaggio che ci siano stati dati dalla
cultura medioevale. Vi sono poche pagine del genere che ci offrano
capitoli paragonabili a quelli che Guglielmo dedica al suo lungo
soggiorno alla corte del Khan Mangu. La sua descrizione della reggia,
e delle migliaia di tende e di carri che la circondavano, i suoi
colloqui con limperatore al tempo stesso scettico e superstizioso,
ma di incontestabile levatura filosofica era già per
metà cinese , le sue liti con il monaco Sergio, una
sorta di Rasputin furbo e anchesso beone, la sua controversia
in una specie di gara teologica, certo organizzata dal Khan per
il proprio piacere, sono pagine indimenticabili. Una disputa di
quel genere, tra preti e bonzi di quattro o cinque religioni, produce
nello spettatore una sana e benefica ilarità. Non si argomenta
sulla fede: attori protagonisti di una commedia dellarte ante
litteram, parlano ciascuno del proprio credo e di
sé, dinanzi alla totale sordità degli altri. Finché
il dibattito si conclude ragionevolmente: «Essendo tutto terminato,
i nestoriani e i saraceni cantarono insieme a voce alta, e dopo
di ciò tutti bevvero copiosamente». Il Rabelais di
Gargantua e Pantagruel è anticipato di un bel po di
secoli.
Leggendo le opere dei geografi occidentali del Medioevo e studiando
le carte e i mappamondi che ci hanno lasciato, possiamo osservare
che la più gran parte dellIndia e la quasi totalità
della Cina e dellAsia del Nord erano a costoro del tutto sconosciute:
formavano una sorta di immensa regione inesplorata, per gli uni
deserta, per gli altri abitata da enormi leoni e da cannibali allultimo
stadio della civiltà. Nessuno dei mappamondi, dal VII al
XIII secolo, dà la minima idea di ciò che potevano
essere le immense regioni che si stendono, verso oriente, al di
là del Gange, dellHimalaya, del Pamir e degli Urali.
Al loro posto, se per caso il tracciato giungeva fin lì,
figurano spesso le indicazioni Terra incognita, Terra
deserta, Terra arenosa, o anche la comoda formula
Barbari. Il paese leggendario di Gog e Magog si sposta
invece da un capo allaltro del continente asiatico, ed è
ipotizzato nel suo estremo limite orientale come una penisola o
persino come unisola rotonda, circondata da raggi e da stelle,
il Paradiso terrestre noster olim, come indica malinconicamente
la carta di Lambertus, del XII secolo. In realtà, nessuno
dei disegnatori del globo terrestre, nel corso di sette lunghi secoli,
poteva immaginare ciò che contenevano i tre quarti dellAsia,
e ancor meno che uno di quei tre quarti fosse occupato dalla più
alta civiltà del tempo, quella delle dinastie cinesi dei
Tang e dei Song.
Il Milione di Marco Polo, dunque, apparve ai lettori del principio
del XIV secolo come la sensazionale scoperta di quel continente
misterioso. Fu rivelata bruscamente, così, lesistenza
di una grandissima nazione, la Cina degli Yuan mongoli, o tartari,
eredi, per conquiste, dei diciotto imperatori Song. Il mercante
veneziano e Rustichello da Pisa trassero dalle brume lontane un
Paese potentemente organizzato, i cui innumerevoli eserciti erano
gli stessi che, durante il XIII secolo, erano giunti fino alle rive
del Danubio e dellAdriatico.
Non è dunque vero che Polo sia stato il primo a percorrere
Asia centrale e Cina, anche se ciò nulla toglie alle sue
qualità di osservatore e di narratore. Altri, molto prima
di lui, e sin dal IX secolo, ci avevano informato sul Catai; e altri
ancora, mezzo secolo prima di lui, avevano descritto la geografia,
i popoli, i costumi, le religioni, il clima, le produzioni dellAsia
centrale, come abbiamo sinteticamente documentato. E prima di Polo
e di tutti i suoi precursori, le piste erano state calpestate da
migliaia di carovane greche, romane, bizantine, e poi genovesi,
veneziane, da migliaia di sacerdoti cristiani, nestoriani ed ebrei,
(e in senso inverso da monaci buddisti). Marco Polo ha avuto il
pregio di ricordare di più e meglio, di affidarsi alla penna
smagliante di Rustichello: e ciò lo ha differenziato dalla
stragrande maggioranza di coloro i quali lo precedettero. Restando,
al tempo stesso, come mercante vocato allavventura in terre
remote, nel novero di quella forte specie che ci ha dato i veri
scopritori del mondo.
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