In un meccanismo
dove i soggetti
attivi finanziano
chi non lavora più e
leconomia ristagna,
lallungamento degli anni al lavoro non risolve tutto.
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Cresce la vita media? Automaticamente alziamo anche la scadenza
per il ritiro: ogni anno di più può corrispondere
a sei mesi supplementari al lavoro. Si deve fare di più,
perché i sistemi a ripartizione diffusi in Europa (dove i
contributi dei lavoratori attivi pagano gli assegni di quelli a
riposo) sono più vulnerabili di quelli a capitalizzazione,
nei quali si riceve in proporzione ai versamenti effettivi. Siamo
in unepoca in cui calano le nascite, la vita media si allunga
per decenni dopo il ritiro, la produttività non cresce come
una volta, il ritmo generale dello sviluppo è basso. E i
contributi non bastano più a coprire le pensioni correnti:
è un fenomeno meccanico, linefficienza dello Stato
non centra. Semplicemente, sono state fatte promesse sulla
base di previsioni di crescita che non si sono avverate.
Lallungamento delletà lavorativa è inevitabile,
sia nei sistemi a capitalizzazione che a ripartizione. Per questo
sarebbe ragionevole organizzarlo con un meccanismo di adeguamento
che allunghi il periodo lavorativo di quanto serve a tenere fissi
contributi e benefici. Del resto, la crisi è universale:
cè in Italia, in Francia, in Germania, ma in misura
diversa anche in Gran Bretagna, negli Stati Uniti o in America Latina.
Il problema specifico degli europei continentali è che in
un meccanismo dove i soggetti attivi finanziano chi non lavora più
e leconomia ristagna, lallungamento degli anni al lavoro
non risolve tutto. Non è una ricetta definitiva. Con le tendenze
demografiche in atto, il problema dellinsolvenza è
destinato a riproporsi.
Lalternativa è passare a un sistema di capitalizzazione:
ciascuno ottiene il ritiro in proporzione a quanto ha versato, e,
intanto, i suoi contributi vengono investiti in azioni o in obbligazioni.
Che producono nuova ricchezza. E una soluzione meno costosa
e più efficiente quando la crescita nelleconomia reale
è inferiore al rendimento del capitale. E nel dopoguerra,
a parte lesplosione delle bolle finanziarie, negli Stati Uniti
e in Europa i rendimenti azionari sono stati attorno al 5-6 per
cento in media annua. Invece, è difficile che la crescita
nellUnione europea sia superiore al 2-3 per cento in pianta
stabile.
In America molti fondi pensione privati a capitalizzazione sono
finanziati esclusivamente dai contributi del datore di lavoro. Non
ci sono quelli del dipendente. Limpresa dovrebbe dunque mantenere
riserve proporzionate agli obblighi previdenziali assunti; ma ultimamente
ha inciso la riduzione generalizzata del valore delle azioni. Così
si è creato il buco, per esempio con i 19 miliardi di dollari
di pensioni presenti o future da pagare ai dipendenti che hanno
rischiato di schiacciare la General Motors. In Eurolandia si dovrebbe
abbandonare la ripartizione (che mira a garantire la solidarietà
fra generazioni, anche a costo di abbracciare questo tipo di incertezze.
E un metodo più efficiente nella media. Naturalmente,
cè il pericolo che, mentre il sistema a ripartizione
dipende dalla crescita del reddito (che in Europa è bassa),
laltro dipende dal rendimento del capitale. Che a volte è
buono e altre volte no. Per questo, propongo che ci si possa assicurare
contro i rischi anche ricorrendo allaiuto dello Stato.
Cioè: i governi possono compensare i limiti del mercato.
Possono farlo. Lo Stato può proporre di assumere su di sé
tutti i guadagni del capitale dei fondi previdenziali investiti,
promettendo in cambio a chi vi ha contribuito un tasso fisso, per
esempio del 5 per cento. Se il rendimento alla fine sarà
superiore, lo Stato guadagnerà il surplus; se invece si verifica
una crisi di Borsa e il capitale non rende oppure ha un rendimento
negativo, svolgerà la funzione sociale di garantire chi lavora
dal rischio che la sua pensione vada in fumo. Ma come assicurarsi?
Lunico modo è che i cittadini accettino di restare
più a lungo al lavoro o di aggiustare i contributi se i fondi
non rendono. Ma lo stesso problema, in forma più grave, si
ripresenterebbe comunque anche in un sistema vecchio modello.
Politicamente capisco le difficoltà che insorgono non solo
in Italia, ma in diversi Paesi europei. Ma da economista ho moltissimo
da dire a favore di un comune approccio europeo. Per almeno due
buone ragioni. Quando si passa almeno in parte a un sistema a capitalizzazione,
in cui si investono i contributi in titoli, i problemi sorgono appunto
dallincertezza dei rendimenti. Ma più ampio è
il mercato, maggiore la diversificazione degli investimenti possibile,
minore è il rischio. Un mercato europeo dei capitali sarebbe
un polmone prezioso. LItalia potrebbe mettere i suoi fondi
in un portafoglio con lOlanda, la Gran Bretagna, la Germania,
in un sistema molto più liquido e con maggiori opportunità.
Che dovrebbe essere aperto a tutti i quattrocento milioni di cittadini
dellUnione europea allargata.

Se lUnione fosse più integrata, il nodo pensioni sarebbe
più facile da sciogliere, anche per il secondo aspetto: un
sistema comune a capitalizzazione ha il vantaggio della portabilità,
vale a dire dellopzione aperta per i lavoratori di trasferire
i diritti pensionistici anche spostandosi a vivere in un altro Paese
dellUnione europea: ovunque avrà lo stesso trattamento
e potrà contare su quel che ha già pagato. Ciò
incoraggia anche la mobilità professionale, di cui lEuropa
ha disperatamente bisogno. Ci si chiede: ma passare alla capitalizzazione
in Italia non significa partire da zero, compromettendo la previdenza
della generazione di transizione? Ebbene: a regime, il sistema richiede
almeno contributi perché il capitale cumulato produce interessi.
Allinizio, invece, si può creare un problema serio.
Ma che in Italia è risolvibile: si può usare il Trattamento
di fine rapporto trasferendolo a un fondo comune che formerebbe
la base necessaria per passare alla capitalizzazione. A mano a mano
che i guadagni da quegli investimenti maturano, quel surplus può
essere usato per ridurre il peso già elevato dei contributi.
Io obietto fortemente il progetto italiano di trasformare il Trattamento
di fine rapporto da prestito alle imprese in investimenti in portafogli
individuali. Prendere quei soldi e farci unaltra pensione
significa rinunciare allunica possibilità che si ha
in Italia di passare alla capitalizzazione senza alzare i contributi,
che sono già fra i più alti del mondo. Fra laltro,
i fondi individuali sono molto rischiosi, in modo particolare per
chi non è abituato a investire.
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