E un vero e proprio ritorno al passato,
ai tempi tragici della regressione meridionale, che non si seppe
o non si volle bloccare.
|
|
«Le potenzialità di sviluppo del Mezzogiorno sono
più elevate di quelle del Centro-Nord». E da un innalzamento
del ritmo di sviluppo del Sud «può trarre vantaggio
anche leconomia del Nord, caratterizzata da un forte invecchiamento
demografico e da un divario ampio e crescente tra capacità
di risparmio e possibilità di investimento». Ne è
convinto più che mai Antonio Fazio. Il quale ammonisce: «Il
decentramento e il federalismo fiscale non possono prescindere dagli
intensi legami civili, sociali, economici tra le grandi aree del
Paese» e «devono mirare allo sviluppo delleconomia
nazionale nel suo complesso».
Il Governatore, insomma, mette in guardia da operazioni federaliste
troppo «accentuate», eufemismo che sottende legoismo
di alcune regioni privilegiate. E, facendo notare che negli ultimi
anni il dualismo Nord-Sud è cresciuto, torna a indicare la
via del Mezzogiorno come la corsia obbligata da percorrere per dare
più velocità alla ripresa di tutto il Paese.

Del resto, «proprio per il più basso livello di partenza,
per la vitalità demografica, per unabbondanza di forza-lavoro
giovanile più aperta allapprendimento di nuove tecniche
e delle professionalità richieste da uneconomia moderna»,
il Sud nel medio termine può diventare il vero motore della
crescita dellItalia.
A questo proposito, il Governatore evidenzia che quella del Mezzogiorno
è una strada da troppo tempo dimenticata: «Il carattere
dualistico del sistema economico italiano», che era stato
ridimensionato fino agli anni Settanta grazie allintervento
straordinario in infrastrutture e servizi di base, «si è
di nuovo accentuato negli ultimi decenni», sicché il
Sud è tornato ad essere ancora una volta terra di emigrazione.
Un Mezzogiorno che continua a scontare una cronica carenza infrastrutturale
associata «a livelli di produttività, di occupazione,
di reddito nettamente più bassi» rispetto al Nord.
I dati di Bankitalia non lasciano dubbi: al Centro-Nord è
localizzato l85 per cento della capacità industriale;
al Sud le importazioni, «che provengono in misura preponderante
dalle altre regioni italiane, eccedono le esportazioni per oltre
50 miliardi di euro», con uno sbilancio (pari al 18 per cento
del prodotto dellarea) solo «in minima parte»
compensato dal saldo del turismo. E ancora: il tasso di disoccupazione
allinizio dellanno era pari al 18,6 per cento, in lieve
diminuzione rispetto al passato, ma sempre molto superiore rispetto
al resto del Paese.
Si cerca di nobilitare il dato di fatto facendo ricorso allespressione
mobilità interna, mentre sempre di espulsione demografica,
cioè di emigrazione alla ricerca di un salario, si tratta.
Ebbene: la mobilità interna si predica può
essere anche unoccasione di sviluppo. Così, almeno,
per gli esperti di Confindustria per il Mezzogiorno, i quali non
vedono il rafforzamento delle migrazioni del Sud al Nord come un
fattore di pericolo per lavanzamento delle regioni meridionali.
«Perché sostengono in uneconomia
che si globalizza, con una situazione di forte domanda di lavoro
nelle regioni settentrionali e di altrettanto forte offerta di manodopera
al Sud, il fenomeno va considerato del tutto normale».
E vero. E normale dai giorni immediatamente
successivi allUnità dItalia, anche se oggi si
manifesta in misura e in termini molto diversi dalla fine del XIX
secolo. Tantè che Confindustria non scorge alcun rischio
di depauperamento, anzi vede in questo «una lettura che non
si può assolutamente condividere. Si tratta di uninterpretazione
datata che delinea il fenomeno della mobilità contemporanea
alla stessa stregua delle grandi migrazioni di un tempo».
Dunque, un problema di quantità, cui sfugge quello della
qualità: allora emigravano torme di analfabeti, contadini,
pastori, artigiani spinti dalla fame; oggi, si tratta di giovani
con laurea, stages, specializzazioni. E materia grigia, non
più materia muscolare, come sembra sfuggire ai commentatori
non del tutto disinteressati alla condizione permanente di sottosviluppo
controllato delle regioni meridionali.
Di emigranti che rammentino le immagini degli anni Sessanta è
sicuramente improprio parlare. Ma si stima che questanno saranno
175 mila le persone che abbandoneranno il Sud per stabilirsi in
una regione del Nord. Il calcolo emerge partendo dal censimento
Istat e analizzando gli ultimi dati disponibili sulle cancellazioni
anagrafiche: nel 1999 i meridionali che hanno trasferito la propria
residenza nel Centro-Nord sono stati circa 137 mila, con un incremento
del 6 per cento rispetto al 1998 e del 14 per cento rispetto al
1997. Ecco dunque, come chiarisce il primo Rapporto sulla mobilità,
che «se per il periodo 1999-2003 si considera prudentemente
un trend di crescita pari alla metà di quello osservato nel
biennio 1997-1999 (+13 per cento allanno) si ottiene una stima
di almeno 165 mila spostamenti per il 2002 e di circa 175 mila per
il 2003».
Ma il numero di trasferimenti anagrafici, per quanto centrale per
inquadrare la mobilità Sud-Nord, dà del fenomeno un
quadro in parte parziale, perché viene valutato il flusso
di uscita dal Sud, ma non quello di entrata. Dal confronto viene
fuori il dato del saldo migratorio che, pur essendo
comunque negativo, sembra essere meno penalizzante per le regioni
meridionali. In questo contesto, lanalisi più aggiornata
è quella redatta nel Rapporto Svimez 2002, che indica tanto
per il 2000 quanto per il 2001 un saldo in perdita di circa 67 mila
unità.
Quanto invece alle perdite secche, che considerano
anche le differenze tra nati e morti, dal 1997 al 2001 il Mezzogiorno
ha perso quasi 117 mila persone. Parallelamente, il Centro-Nord,
grazie soltanto agli immigrati, italiani ed extracomunitari, ha
visto crescere la propria popolazione, nel 2001 rispetto al 2000,
di oltre 189 mila unità.
Al di là delle cifre, si delinea un duplice scenario. Da
un anno allaltro è solitamente difficile che ci siano
spostamenti molto forti. Il fatto poi che nel 2002 la crescita del
Prodotto interno lordo sia stata dello 0,4 per cento lascia ipotizzare
una situazione di sostanziale stabilità anche sul piano della
mobilità. Può però accadere che laspettativa
sul futuro spinga la mobilità, facendo leva sulla percezione
ottimistica di una ripresa più forte in alcune aree del Paese
rispetto ad altre. E così, per capire quanto il fenomeno
peserà sulla crescita e sullo sviluppo del Sud sarà
necessario attendere i dati definitivi del 2003. Infatti, se i dati
del 2002 hanno indicato una ripresa della mobilità vuol dire
che cè una tale sfiducia nei confronti del Mezzogiorno
e della sua crescita da render disposta la gente ad andar via, anche
in un contesto di generale rallentamento economico, pur di cercare
altrove nuove opportunità.
Meno drammatica, ma non meno problematica, la concretizzazione del
secondo scenario: una situazione di immobilità renderebbe
prioritaria la responsabilizzazione delle istituzioni, affinché
attuino interventi per dare prospettive reali a quanti scelgono
di rimanere. Anche perché, analizzando la mobilità
sul piano della composizione anagrafica, emerge in modo netto che
a lasciare il Sud sono i giovani, i trentenni in particolare, mentre
i flussi di ritorno sono costituiti soprattutto dagli over 60.
Si assottiglia quindi la capacità umana, il ricambio generazionale,
condizione fondamentale per attrarre investimenti e per creare un
circolo virtuoso di sviluppo, e al tempo stesso si aggrava linvecchiamento
dellarea, acuendo i problemi sul piano della sostenibilità
del Welfare. Che una parte della popolazione decida di muoversi
può essere considerato un fatto consueto e fisiologico. Se
però se ne va la popolazione attiva, vuol dire che la società
del Mezzogiorno è una società debole e non in grado
di bastare a se stessa. E, nello stesso tempo, è una società
che, per quanto ne abbia la voglia e le potenzialità, non
riesce a contribuire in modo determinante alla crescita complessiva
del Paese. Il che significa un vero e proprio ritorno al passato,
ai tempi tragici della regressione meridionale, che non si seppe
o non si volle bloccare. Una storia destinata a ripetersi?
|