Tutto era
allinsegna
delleccezionale
abbondanza,
perfino le lucerne dovevano essere traboccanti di olio e il fuoco
si
alimentava con
insoliti grossi ceppi perché te Natale puru lu fuecu
sha binchiare.
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Tra i luoghi comuni con i quali intercaliamo il parlare quotidiano,
almeno due ricorrono con frequenza e si riferiscono alle stagioni
intermedie, che si sono irrimediabilmente cancellate, e alle feste
del calendario liturgico, che non si vivono più come una
volta.
Per queste ultime, probabilmente, vogliamo intendere che si è
del tutto rarefatta quellimpalpabile atmosfera fiabesca, quel
senso di stupore che ci pervadeva, più in età infantile
che adolescenziale, allapprossimarsi del tanto atteso Natale,
quando, non sapendo ancora di dover riporre nella nascita del Bambino
il significato religioso della speranza, vivevamo la festa con estrema
semplicità, come vedevamo fare agli adulti.
Le feste che ci appaiono trasformate seguono nientaltro che
la naturale evoluzione dei costumi sociali; della ritualità
di un tempo, conservano tracce labilissime, a volte riproposte con
ben altro spirito. Forse pochi sanno che i regali che ci scambiamo
sotto lalbero di Natale mantengono intatto lintrinseco
messaggio beneaugurante che aveva, per esempio, per i nostri nonni,
la strina rappresentata da una modesta, apprezzatissima arancia
o lo scambio del pane appena sfornato o alcune parti del maiale
ammazzato e perfino il lievito. E il gesto faceva sentire più
vicini nei momenti del bisogno.

Da qualche anno, in sempre più numerosi centri del Salento,
vengono allestiti presepi viventi animati da personaggi che ripropongono
attività della vita quotidiana ormai passata e che usano
antichi oggetti da collezionismo etnografico, spesso sono unesposizione
di materiale tradizionale troppo edulcorata e romantica. Lultima
tappa del percorso presepiale quasi sempre si conclude con la degustazione
di prodotti tipici locali che registra laffollamento dei visitatori.
Ci si chiede come mai si verifichi una così vasta partecipazione
di pubblico: evidentemente non gioca un ruolo decisivo soltanto
la semplicità dellambientazione o la riproposta della
quotidianità del passato, ma la consapevolezza di possedere
uneredità di valori da salvare.
Vedere un presepe, vivente o con figure statiche, può diventare
uninteressante occasione per capire lambiente economico
in cui si svolgevano le attività artigianali e agricole delle
generazioni precedenti nonché i comportamenti sociali; per
conoscere i linguaggi usati nei mestieri per indicare strumenti,
attrezzi, contenitori per il trasporto, costruiti con adattamenti
locali; i rapporti con gli animali e le esigenze del loro allevamento,
in un rapporto di mutua integrazione con luomo; le abitazioni
rurali, coi materiali impiegati e le suppellettili darredo,
strutturate per le già dette esigenze, per quelle della famiglia
e per la conservazione dei prodotti agricoli; gli usi e le consuetudini
col loro risvolto storico-culturale originario.
Tra questi usi, un posto di rilievo è occupato dal cibo,
quotidiano, devozionale e quello che si preparava eccezionalmente
per le feste; dalle condizioni e dai disagi alimentari vissuti,
dal cibo visto come miraggio e dai surrogati che, fino agli ultimi
anni Cinquanta del Novecento, sostituivano i cereali maggiori per
fare, per esempio, il pane, alimento a cui si ricorreva per sfamarsi
e che spesso e volentieri letteralmente mancava.
In proposito diventa estremamente interessante sapere che proprio
il consumo del pane ma anche del pesce rivelava sostanziali
differenze sociali tra i mangiatori di pane bianco,
i ceti benestanti, e i mangiatori di pane nero, i ceti
popolari; i ricchi erano consumatori di pesce fresco e i poveri
di pesce conservato, salato o essiccato, tra cui il comunissimo
ed economicissimo baccalà che, comunque, si cucinava soltanto
per le feste.

E si potrebbe continuare parlando ancora della disponibilità
alimentare nei periodi dellanno: soddisfacente o maggiore
in estate, quasi nulla in inverno, prevalentemente per i ceti disagiati;
della gioia dellattesa di poter gustare i dolci... quando
si avvicinava il Natale e qualsiasi gesto o piatto assumeva una
rispettosa sacralità. Come sacrale era il mangiare insieme,
dividendo con gli altri la stessa pietanza, per poca che fosse,
perché così si rinsaldava il vincolo tra parenti e
amici.
Probabilmente attraverso questa lente dosservazione (non lunica)
lannuale allestimento dei presepi non apparirà un recupero
a volte nostalgico, certamente impossibile della società
passata, ma una rivisitazione delle testimonianze di lavoro, di
cultura, di tradizioni, ben sapendo che la comprensione sarà
difficile a chi ha disponibilità e sensibilità completamente
diverse.
Calendario rituale
La società rurale non ha mai avuto familiarità e
dimestichezza con le date del calendario ufficiale, ritenendole
astratte e non funzionali ai ritmi e ai cicli stagionali. Non ricorrendo
alle cifre, si è costruito un proprio calendario (diverso
da quello della città), fondato sui santi e le celebrazioni
liturgiche, meglio memorizzati perché connessi al ritmo degli
eventi agricoli, e connaturato alla mentalità contadina.
Dicembre è il mese più ricco di santi e di riti sacri
che culminano il 25, non soltanto giorno di Natale, ma data significativa
dal punto di vista meteorologico-agricolo.
Dalla quarta domenica precedente il 25 dicembre, lAvvento
dal latino adventus, venuta dà inizio allanno
liturgico, al periodo di preparazione allevento che ha cambiato
il corso dellumanità ovvero al tempo che precede la
rinascita del sole solstiziale, del sole bambino, del Sole Invitto
(la nascita di Cristo), annunciato dai profeti nellAntico
Testamento.
Linizio dellAvvento coincidente con lautunno inoltrato
prossimo al rigido inverno, non rappresentava soltanto il periodo
di penitenza da rispettare, ma era associato ai lavori da effettuare
in campagna.
Non è casuale che nel periodo dellAvvento si festeggino
santi cristiani legati al Natale e al suo sincretismo culturale,
la cui e vocazione è contenuta in detti, proverbi, modi di
dire che racchiudono prevalentemente previsioni atmosferiche legate
al tempo lavorativo.
Apre lelenco S. Nicola di Myra, benevolo protettore delle
più svariate categorie di persone, nonché dei bambini,
ricordato solennemente il 6 dicembre a Bari di cui è
patrono principale e dove i suoi resti furono trafugati nel 1087
, festeggiato in altri tredici centri in Puglia e in provincia
di Lecce, dovè invocato dalle fanciulle in età
da marito, ma ancora zitelle in affannosa ricerca dellaltra
metà. In seguito ad una radicale metamorfosi è popolarmente
conosciuto come Santa Claus, ossia Babbo Natale.
Il periodo natalizio che oggi trascorriamo tra banchetti e giochi
dazzardo rinvia ai Saturnali (celebrati fra il 13 e il 23
dicembre), quando erano permessi tali giochi (prevalentemente coi
dadi) perché considerati rituali e divinatori, riscontrabili
nellintramontabile gioco della tombola e nellormai dimenticato
gioco con laliosso o astragalo, cuntrice o pallice nel dialetto
leccese, che è losso del tallone delle zampe posteriori
degli agnelli.
Ogni famiglia aveva le proprie regole che applicava quando giocava
con gli aliossi con i quali si intrattenevano chiassosamente
non soltanto bambini, ma pure adulti , e usava ormai memorabili
espressioni per commentare landamento del gioco; per esempio,
quando lastragalo cadeva di vincita, ma non reggeva in tale
posizione, si sentiva dire: inta stuccata, persa chiamata: vincita
soffiata, perdita assicurata.
Nei confronti dellImmacolata Concezione lintera comunità
salentina tuttora tributa una particolare devozione, oltre che con
i rituali religiosi (novena e processione), nel rispettare il digiuno
il giorno di vigilia, il 7 dicembre.
La pratica del digiuno, inteso dalla Chiesa quale forma rituale
di sacrificio e di purificazione del corpo e dellanima, originariamente
iniziava il mattino e durava fino allAvemaria (attuali ore
19); in tempi recenti, mitigando la regola al riguardo, il digiuno
termina a mezzogiorno quando si usa mangiare la puccia, un piccolo
pane molto soffice, preparato con lo stesso impasto del pane, ma
più diluito con acqua, cotto al forno di pietra soltanto
qualche minuto, tantè che si definisce puccia alla
vampa, puccia (cotta) appena alla fiamma.
La semplicità degli ingredienti e il simbolo della purezza
e della verginità (che rimanda a quella dellImmacolata),
cioè labbondante fior di farina che si spolvera sulla
puccia appena sfornata, si addicono al rito del digiuno.
In alcuni paesi a vocazione agricola, nellimpasto si aggiungono
olive nere da poco raccolte e che, a dicembre, non ancora mature,
sono alquanto aspre; proprio questo gusto conferisce alla puccia
lallusivo carattere penitenziale. Questo pane devozionale
si gusta tuttora imbottendolo con ingredienti rigorosamente di magro
che si sposano mirabilmente con la soffice mollica: tonno e capperi
o pesciolini sottaceto, formaggio svizzero e pezzetti
di capetune, anguilla marinata.
Era ed è rigorosamente vietato mangiare carne perché
non si doveva ncammerare, ossia interrompere il digiuno prescritto
dalla Chiesa e consumare cibi a base di carne il giorno consacrato
al digiuno e allastinenza.
Il giorno del digiuno era rispettata (in alcuni casi lo è
ancora) una simpatica consuetudine: i datori di lavoro provvedevano
ad offrire le tradizionali pucce ai propri dipendenti, che se le
marendavano, le consumavano nella pausa della merenda.
Uningenua credenza interessava, invece, i bambini e la possibilità
di ricevere un dente doro: per indurli a non mangiare fino
a mezzogiorno, erano adescati col premio del dente doro che
la Madonna faceva uscire a chi avesse osservato strettamente il
digiuno e, sicuri di aver digiunato a modo loro, al passaggio della
processione aprivano la bocca perché la Madonna ve lo lasciasse
cadere quale premio della penitenza eseguita. Naturalmente la loro
speranza veniva sempre delusa!
Secondo il detto: sule trasutu, desciunu furnutu, sole tramontato,
digiuno finito (assolto, osservato), oltre alla puccia si mangiavano
le tradizionali pittule (con le diverse ortografie dialettali: pèttula,
pèttola, pèttule, piccola pezza ed anche focaccia,
dal latino pitta), che cominciavano a farsi proprio il 7 dicembre,
come decretava il detto: Te la Mmaculata, la prima pittulata, dellImmacolata
(si preparano) le prime pittule. A Galatone, in concomitanza con
la preparazione delle gustose frittelle, la Madonna Immacolata era
confidenzialmente chiamata dal popolo Madonna delle Pettole.
Le pittule sono ottenute con pasta lievitata a lungo, che si lascia
cadere nellolio bollente dalla mano chiusa a pugno; la crosticina
croccante che si forma deve racchiudere un impasto particolarmente
morbido, quasi spugnoso, e per ottenerlo è importante rispettare
il tempo della lievitazione che, altrimenti, può pregiudicare
la bontà della frittella. Per gustarle al meglio, le pittule
vanno mangiate calde, appena tolte dallolio di frittura; il
breve tempo che intercorre tra la cottura e la degustazione sta
alla base del detto: e ce be... pittula, volendo alludere
a questa particolarità di tempi brevissimi che, tuttavia,
concludono un preliminare per niente breve, appropriatamente espresso
dal verbo temperare, ossia lavorare molto e a lungo;
anzi, nel vecchio linguaggio vernacolare si diceva ttrimpare, dal
latino temperare, mescolare in proporzione, mitigare, dare la tempra
ai metalli e indurirli.
Alla variante rustica delle pittule, ottenute friggendo
la semplice pasta lievitata o aggiungendovi pezzetti di cavolfiore
o di baccalà lessi o filetti di acciughe o di pomodoro, capperi,
olive nere snocciolate, si affianca la versione dolce: dopo averle
fritte, le pittule vengono cosparse di miele o inzuppate nel vincotto,
che si ottiene facendo bollire il mosto fino a farlo diventare denso
come uno sciroppo.
Al giorno della festa che ricorda Santa Lucia, vergine siracusana
martirizzata il 13 dicembre del 304 sotto Diocleziano ,
promessa e segno di luce materiale, di future giornate luminose
ormai lontane dal buio inverno, si lega il gruppo più numeroso
di proverbi tra quelli dellintero ciclo annuale, collegabili
a fenomeni astronomici e principalmente alle date dei solstizi e
degli equinozi.
Il fenomeno certamente di più immediato interesse per luomo
è stato lalternarsi del giorno e della notte in quanto
ad esso si legavano aspetti ed episodi della vita pratica. Oggi
su questi legami non ci soffermiamo più di tanto, ma in passato,
quando le attività lavorative erano in gran parte regolate
dagli eventi naturali, tali legami erano strettissimi e rispettati;
uneco è rimasta nei proverbi, efficaci ed espressivi
quanto mai.
Quello che recita: Te Santa Lucia llunghisce la tia quantallecchi
te laddhrina mia (Di Santa Lucia si allunga il giorno quanto
gli occhi della gallina mia) si riferisce allallungamento
del giorno in attesa del solstizio dinverno e contiene una
tacita invocazione al ritorno della luce.
Una variante del proverbio racchiude la versione più vera
del fenomeno astronomico: Te Santa Lucia ncurtisce la tia..., a
Santa Lucia si accorcia il giorno..., perché, in verità,
le giornate dal 13 al 20 dicembre diminuiscono sia pure di pochi
minuti, aumentando più sensibilmente soltanto verso il 25.
Bisogna attendere lEpifania (6 gennaio) per vedere il sole
un po più alto nel cielo, o addirittura il 2 febbraio
(della Candelora), quando è evidente che la luce del giorno
è cresciuta di unora e si può avere la certezza
che la buona stagione non tarderà a venire.
Indubbiamente la tradizione di offrire doni ai bambini nel giorno
di S. Lucia (e di S. Nicola a Bari e dintorni), in vigore tuttora
in alcune regioni dellItalia settentrionale, si richiama alluso
pagano di portare offerte al Sole appena nato, al Sole bambino,
nel giorno del solstizio invernale. Questo uso, di riflesso, lo
possiamo riscontrare nei doni che i pastori di terracotta, i caratteristici
pupi del presepe, recano a Gesù Bambino.
A Lecce il giorno di S. Lucia si dà inizio alla tradizionale
antichissima fiera dei pastori e del presepe, già semplicemente
fiera di S. Lucia, che annuncia ufficialmente linizio del
periodo natalizio. Protagoniste assolute sono quelle graziose figurine
di creta prodotte per popolare il presepe tradizionale e che riproducono
momenti di lavoro (il pascolo, la vendita di uova, la tessitura,
ecc.), di svago (lalbero della cuccagna), di commercio (ambulanti,
ortolani, pizzicagnoli), assieme a taglialegna, ciabattini, arrotini.
Tra gli esemplari non manca il gruppo della Natività o Sacra
Famiglia, alcuni personaggi da situare nei pressi della grotta come
lu santu Sciuliesciu, San Silvestro, il primo pastore a raggiungerla
nella notte di Natale; lu uarda stelle, il guarda stelle, vestito
solitamente di una pelle di pecora (il primo ad accorgersi della
cometa e ad avvisare gli altri del lieto evento); i tre Re Magi
(Gaspare, Melchiorre e Baldassarre), in groppa ad un dromedario,
affiancati dai rispettivi palafrenieri o valletti, li vulanti de
li re Magi, simili per età e origine ai rispettivi cavalieri
che sono raffigurati da uno di età avanzata, uno di carnagione
scura e un altro di età giovanile.

Da Santa Lucia a Natale... corrono appena dodici giorni tra il
13 dicembre e il Natale, che volano in un baleno tra i preparativi
per la festa. A questo periodo il popolo faceva corrispondere i
dodici mesi dellanno seguente, le cosiddette Calen-nule, Calendule,
traendo auspici sul carattere meteorico di ognuno di essi, osservando
quello di ciascun giorno successivo a Santa Lucia e fino a Natale.
Nel senso che se il giorno 14 che corrisponde a gennaio, sarà
bello, gennaio sarà anche bello; se il 15, che è febbraio,
sarà piovoso, piovoso sarà quel mese; se il 16 è
ventoso, tale pure sarà il mese che gli corrisponde, e così
via.
Un secondo pronostico dei singoli mesi dellanno di riprova,
che deve confermare o modificare in parte il primo, va dal 26 dicembre
al 6 gennaio e il 25 dicembre viene considerato il baricentro fra
le due sezioni simmetriche. Volendo sapere, per esempio, il tempo
del mese di marzo, si osserva il tempo del 15 dicembre e poi si
attende la conferma del 28 dicembre: se questa viene, il pronostico
è sicurissimo; se la seconda predizione contraddice la prima,
vuol dire che il mese sarà incostante.
Con la ricorrenza di Santa Lucia si entra nel clima natalizio e
lacquisto dei pupi ricorda a tutti che è tempo di preparare
il presepe; quello salentino è mosso da un paesaggio roccioso
caratterizzato da valli e strapiombi ottenuti manipolando in modo
molto approssimativo carta di giornale che, una volta indurita,
si riveste con altra carta non stampata dipingendola con tonalità
di verde e marrone, su cui successivamente si collocano modelli
di abitazioni popolari e costruzioni turrite. Stagni e rigagnoli
pieni di immaginaria acqua danno lidea della frescura e permettono
al pescatore di pescare o al gruppo di paperelle di abbeverarsi;
luso di collocare rametti di mortella, lentisco, ginepro veniva
dalla credenza che queste piante scacciassero le streghe e gli influssi
maligni.
Sulle alture si collocano i Magi coi palafrenieri che si fanno avanzare
lentamente dal 24 dicembre in poi, fino a collocarli dinanzi alla
grotta il 6 gennaio, mentre sul piano si collocano le figurine raffiguranti
il popolo minuto, intento alle attività e ai mestieri della
vita quotidiana, in una mescolanza pullulante di lavori e di personaggi
sacri, confondendosi in questo specchio dei tempi.

Qualcuno si diverte ad incastonare conchiglie marine (particolarmente
cuzzìuli) sulle casette e sulla grotta; tra i più
belli di questo genere si ricordano i presepi realizzati dallartista
Stanislao Sidoti (1873-1922), che utilizzò esclusivamente
conchiglie di sorprendente luminosità, dando agli stessi
presepi una struttura spiraliforme.
A molti apparirà strana la collocazione nel presepe di mura
merlate, di porte che circondano vecchie città, di castelli
e fortificazioni distribuiti su di un terreno sassoso e arido: sono
particolari verosimili, riscontrabili a Gerusalemme, situata su
di un disteso altopiano leggermente ondulato, alto 700 metri sul
livello del mare, dove la vegetazione spontanea è costituita
prevalentemente da cespugli e arbusti su di un terreno sassoso e
arido per la gran parte.
Solitamente al centro della scena si colloca, come si è già
detto, la grotta che ospita la Matonna, la Madonna, San Giseppu,
San Giuseppe, la mangiatoia dove si deporrà lu Mmamminu,
Gesù Bambino e, sul retro di questa, le statuine del bue
e dellasinello, lu bue e lasinellu, così tradotti
eccezionalmente perché nel linguaggio dialettale corrente
il bue è detto oi e lasinello ciucciarieddhru.
«La grotta, nel simbolismo precristiano cui si ispiravano
anche gli autori dei Vangeli apocrifi, era il simbolo del cosmo,
limago mundi e anche il luogo di nascita di molti dèi:
Dioniso, ad esempio, vi nasce, e la sua nascita è avvolta
di luce; anche Hermes nasce in una grotta, sul monte Cilene, e Zeus
in un antro sul monte Diktos, mentre Mitra sorge da una roccia»
(CATTABIANI).
Usanze gastronomiche
Già dal giorno di Santa Lucia le cucine del Salento cominciano
ad animarsi di unattività febbrile che vede riunite
le componenti femminili della famiglia, interpreti magistrali di
un antico copione che si rinnova nei ruoli di chi impasta, ritaglia,
frigge, decora, compone.
La preparazione dei dolci natalizi è parte integrante di
una liturgia domestica fortunatamente conservatasi immutata nei
gesti da cui scaturiscono purceddhruzzi, ncarteddhrate e pasta di
mandorla, un tempo doni di scambio tra familiari e i vicini di casa.
Del tutto scomparsa la consuetudine di preparare un pane speciale
chiamato natale, un ciambellone ripieno di uva passa, fichi, noci,
mandorle e miele, che si gustava accompagnandolo con un bicchierino
te rosoliu, un liquore fatto in casa.
La vigilia di Natale
Era un giorno di rigoroso digiuno perché, recita un antico
proverbio, ci nu fasce lu degiunu te Natale, o ca è turchiu
o ca è cane... o nu ttene mancu pane, chi non fa il digiuno
a Natale o è turco (ateo, non credente) o è cane...
o non ha nemmeno pane, che terminava col cenone, così detto
per il numero di pietanze contemplate, nove o tredici, tra cui le
immancabili pittule, le rape caule (dal latino rapae caules) lesse
e nfucate, affogate, gli spaghetti alla pizzaiola, la spicanarda,
spiganarda col sugo di baccalà, le verdure fresche, la frutta
secca, languilla o il capitone arrostito o fritto, i purceddhruzzi
e le ncarteddhrate.
Tutto era allinsegna delleccezionale abbondanza, perfino
le lucerne dovevano essere traboccanti di olio e il fuoco nel camino
o, meglio, nel focolare posizionato nella cucina o stanza
del fuoco, si alimentava con insoliti grossi ceppi perché
te Natale puru lu fuecu sha binchiare, a Natale anche il fuoco
si deve saziare di legna.
Ai pasti festivi devono partecipare tutti i componenti della famiglia,
intanto perché ci mangia sulu scatta, chi mangia da solo
scoppia, poi per rinsaldare i vincoli di parentela e per rinnovare
credenze radicate nella società tradizionale, tra cui quella
che mangiare insieme aveva valore sacrale, come ricordano i proverbi
locali (comuni in moltissimi dialetti regionali): Natale cu lli
toi, Pasca cu cci uei o a ddu uei o a ddu te ttrei, Natale con i
tuoi, Pasqua con chi vuoi o dove vuoi o dove ti trovi, e se cè
qualcuno che non ha potuto raggiungere la propria famiglia lontana,
per la circostanza lo si invita considerandolo come un parente.
Le pietanze si dovevano consumare prima della mezzanotte per permettere
ai commensali di assistere alla messa nella più vicina chiesa,
annunziata dai rintocchi della campana; la tavola imbandita non
si disfaceva per consentire ai defunti, che si credeva ritornassero
sulla terra il giorno di Natale, di poter assaggiare ciò
che si lasciava appositamente. Prima di recarsi in chiesa si controllava
che il ceppo, generalmente di quercia, precedentemente posto nel
camino dal capofamiglia dopo averlo spruzzato con acqua benedetta,
ardesse con vivacità. Una volta consumatosi, le sue ceneri,
ritenute apotropaiche, si conservavano gelosamente perché
si credeva che guarissero da alcune malattie e allontanassero gravi
calamità naturali.
Terminato il cenone (o prima, a seconda delle abitudini di ciascuna
famiglia), si usava mintere lu Mamminu, mettere il Bambino, e questo
incarico era devoluto al più piccolo dei presenti, mentre
gli altri, reggendo in mano candeline accese cantavano Tu
scendi dalle stelle (composto nel periodo natalizio del 1754
da S. Alfonso Maria de Liguori (1696-1787), ospite a Nola
della famiglia Zamparelli.
Al mettere, ma anche quando se llea lu Mmamminu, si toglie il Bambino,
si facevano bruciare alcuni profumi: grani dincenso, bucce
darancia, zucchero, per profumare laria e, mentre in
strada si sentiva il fracasso di tricchi-tracchi, mortaretti, di
trunetti, piccoli fuochi dartificio, fatti scoppiare in segno
di giubilo, i più piccoli recitavano i sunetti, componimenti
in prosa contenenti un elogio a Gesù Bambino, dal carattere
popolare e, quasi sempre, conditi con un pizzico di umorismo.
E nato un bel bambino
biancu e russu comu nu milu
I Vangeli non dicono nulla sul giorno della nascita di Gesù
e anche la Chiesa paleocristiana non la celebrava, benché
il soggetto della Natività compaia in affreschi catacombali
del II-IV secolo a.C. e in bassorilievi di sarcofaghi del IV secolo
a.C.; daltronde, nessuno allora sapeva in quale anno fosse
nato Gesù, come del resto tuttora si ignora. Alcuni antichi
Padri della Chiesa dissero che nacque il 20 marzo, altri il 20 aprile
e la Chiesa Orientale il 6 gennaio. Col tempo, tuttavia, i Cristiani
dEgitto, non si sa bene in base a quali deduzioni, cominciarono
a considerare proprio il 6 gennaio come la data più probabile
della Natività, e lusanza di celebrarla in quel giorno
si diffuse gradualmente fino a che, nel IV secolo, fu universalmente
stabilita in Oriente.
Attraverso quali considerazioni i Padri della Chiesa, sempre nel
IV secolo, stabilirono di fissare al 25 dicembre la data della nascita
di Gesù? Certamente mutuando diversi usi pagani. In Siria
e in Egitto al solstizio dinverno i celebranti si ritiravano
in certi santuari da cui uscivano a mezzanotte gridando: «La
vergine ha partorito! La luce cresce», riferendosi alla grande
dea orientale, una forma di Astante, chiamata la Dea Celeste. Gli
Egiziani, inoltre, rappresentavano il sole appena nato con limmagine
di un bambino che mostravano agli adoratori presenti.
La religione mitraica (che contese la supremazia al cristianesimo
durante i primi quattro secoli dellèra cristiana),
nata in Persia verso il 60 a.C., collegata al dio della luce
Mitra che fecondava la terra e dava origine alla vita, celebrava
il 25 dicembre una festa solenne, il dies natalis solis invicti,
la nascita del sole vincente (sulle tenebre invernali).
Ragioni di opportunità portarono a scegliere la data del
25 dicembre (data simbolica, sintende, non storica), per celebrare
ladorazione di Colui che era chiamato il Sole
della Giustizia e che del sole era il creatore, ossia la nascita
di Gesù, e quella del 6 gennaio per la ricorrenza dellEpifania.
Cristo, nato in un mondo di tenebre per portarvi la luce, è
stato fatto nascere nel giorno del solstizio dinverno che
segna la massima declinazione del sole; è il giorno in cui
la morte apparente della natura invernale e delle giornate che si
abbreviano raggiunge il suo apice, ma è anche il giorno a
partire dal quale la luce del sole si allunga, ricomincia a rubare
tempo alle tenebre. Moltissimi i proverbi che ribadiscono questa
peculiarità.
«Ma e non sembri un paradosso più che
alla terra il contadino guarda il cielo, là dove è
possibile scorgere gli indizi e i presagi del nuovo che, misteriosamente,
sarà simile al vecchio, perché niente nel mondo sublunare
si configura come lassoluta novità» (CAMPORESI).
Nel mondo contadino, il Natale rimaneva una data solstiziale, vissuta,
nella notte di vigilia, come momento intriso di magia, dedicato
ai presagi; come gli antichi cercavano nella posizione degli astri
un indizio per ricavarne auspici, così i contadini scrutavano
il cielo e il tramonto nella notte di Natale per decifrare possibili
andamenti dellannata agricola: la luna calante non promette
nulla di buono, la luna crescente fa ben sperare; il tramonto in
un cielo limpido è buon auspicio.
Il Natale rappresentava la data di passaggio tra unannata
agricola e laltra, il periodo di tregua tra le operazioni
dellautunno e quelle dellinverno e della primavera successiva,
originando una proficua serie di proverbi meteorologici.
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