E allora si apre un’asta, una
competizione tra più contendenti, solo che la posta in gioco,
in questo caso, non è un quadro, ma un bambino.
|
|
Una strada piena di ostacoli. Interminabili iter burocratici, che
si protraggono anni. Continui colloqui, controlli spesso estenuanti,
sotto l’occhio vigile di psicologi e magistrati. Senza dimenticare
i costi che le coppie sono costrette ad affrontare. I versamenti
agli enti autorizzati, i lunghi viaggi nei Paesi di origine dei
piccoli, che non sempre si concludono con l’adozione. Venti
giorni in Sud America – addirittura 40, se si tratta del Brasile
– e migliaia di euro in fumo per un bimbo affidato, poi, magari
a un’altra coppia più facoltosa. E’ il business
delle adozioni internazionali: un giro d’affari che fa leva
sui sentimenti, sul desiderio delle coppie di diventare genitori,
senza considerare invece prioritario l’interesse del minore.
Non esistono, al momento, nel nostro Paese stime certe sul numero
di bambini che si possono adottare, né tanto meno cifre esatte
sulle famiglie che alla fine ottengono l’idoneità.
Alle coppie che ogni anno fanno domanda – si calcola circa
ottomila – si devono, infatti, aggiungere quelle che non sono
riuscite a portare a termine la pratica l’anno precedente
e quindi si mettono in fila. Mentre il numero di bambini adottabili
resta sempre lo stesso: 2.700, riferisce il Tribunale dei minori.
Troppi sono i buchi neri di una normativa in vigore dal 1998: un
passo avanti, è vero, rispetto alla legge della giungla che
c’era prima, ma per molti aspetti oggi già superata.
Soprattutto di fronte alla crescita senza paragoni del numero di
famiglie che chiedono l’adozione, facilitata anche dalla possibilità
di far salire di cinque anni – da 40 a 45 – l’età
del coniuge più giovane o, «ma è la stessa cosa,
la differenza di età tra l’adottante e l’adottato»,
come racconta Alessandro Maria Fucili, responsabile del portale
Loreto Bambino che, ormai da più di un anno, si occupa di
infanzia abbandonata, bambini in affido e in adozione. Un punto
di riferimento importante per molte famiglie italiane in difficoltà
che decidono di intraprendere la lunga via dell’adozione.
Risale proprio agli ultimi mesi la campagna lanciata da Loreto Bambino
sulle adozioni gratis e in tempi brevi per tutte le coppie che hanno
già ottenuto l’idoneità. «Gratis non significa
che non verranno pagati gli enti autorizzati – precisa però
Fucili – Anzi. Gli enti, quelli seri, continueranno a lavorare.
Ma non saranno le famiglie a pagare tutto, bensì lo Stato,
attraverso gli uffici regionali».

Una battaglia che Fucili sta portando avanti da mesi, anche con
la presentazione in Parlamento di cinque emendamenti alla legge
attuale. «Chiediamo – continua Fucili – che vengano
ridotti i tempi di attesa, così come le aree geografiche
di competenza per ogni ente». Tempi che dai sei mesi previsti,
ma quasi mai rispettati, vanno a finire a un anno solo per avere
l’idoneità all’adozione, a cui poi si devono
sommare altri 18, o più spesso 24 mesi di attesa prima di
riuscire effettivamente a portare a casa il bambino. Tempi, inoltre,
che cambiano da regione a regione. E se nella prima fase molto dipende
da quante persone costituiscono l’équipe che deve valutare
i futuri genitori, nella seconda, invece, può essere l’arretrato
che si accumula nei diversi tribunali a insabbiare per mesi una
procedura. «Né bisogna dimenticare che non esistono
criteri oggettivi o largamente condivisi alla base delle valutazioni
date dalle diverse équipe». Persino la composizione
delle équipe non è codificata e molto incide la distribuzione
dei ruoli tra psicologi e assistenti sociali. Senza considerare
che un giudizio sulla vita privata, la sfera intima, affettiva,
relazionale di una coppia è già, di per sé,
un terreno delicato. «Ma qui non si tratta di valutare l’attitudine
ad essere genitori, bensì la disponibilità ad accogliere
in casa un bambino. Alle famiglie naturali nessuno chiede nulla»,
si lamentano molte coppie, costrette a passare sotto la lente di
ingrandimento di enti pronti subito a dare i voti: promossi o bocciati,
senza possibilità di appello.
«Un altro punto su cui battiamo molto – prosegue Fucili
– riguarda proprio questo delirio della valutazione. Perché
un ente deve giudicare una famiglia che ha già ottenuto l’idoneità?
I corsi di formazione che le coppie, quando si iscrivono a un ente,
sono costrette a pagare non servono a nulla, infatti, così
come sono strutturati ora. Al contrario, sarebbe utile per due persone
che si accingono a prendere in casa un bambino di un altro Paese
conoscere la realtà in cui il piccolo è nato. E, poi,
questi corsi dovrebbero essere gratuiti». Invece, non fanno
che alimentare il business economico che ruota attorno al fenomeno
delle adozioni. Business che comprende anche i salati affitti degli
appartamenti messi a disposizione delle coppie che si recano più
volte nel Paese d’origine del bambino e vi restano giorni
prima di riuscire ad adottarlo.
Ma quali sono i Paesi a cui le coppie italiane che non riescono
a soddisfare il desiderio di divenire genitori si rivolgono con
più frequenza? Certo, ci sono bacini privilegiati, dall’Est
Europa al Sud America, in primo luogo il Brasile. Ma anche una serie
di Stati con cui, più di recente, si sono aperti accordi
bilaterali. Aree in via di sviluppo, come Vietnam e Cambogia, mentre
si sta avvicinando pure la Cina. Gli Stati che adottano, invece,
sono sempre gli stessi, quelli più ricchi: europei soprattutto.
In particolare, Spagna, Francia, e poi Stati Uniti e Canada. Ora,
poi, con l’ingresso dei dieci nuovi Paesi dell’Est all’interno
dell’Unione Europea convivono, fianco a fianco, Paesi che
adottano e altri da cui invece si adotta. «Anche per questo
abbiamo presentato all’Europarlamento più di un’interrogazione
per stabilire un protocollo da rispettare». E’ importante,
infatti, che i flussi non si sovrappongano: capita, a volte, che
per un minore arrivino più famiglie da diversi Paesi. E allora
si apre un’asta, una competizione tra più contendenti,
solo che la posta in gioco, in questo caso, non è un quadro,
ma un bambino.
«Per ridurre le attese si potrebbe pretendere dagli enti autorizzati,
al momento circa 70 nel nostro Paese, una maggiore specializzazione
– propone inoltre Fucili – ciascun ente dovrebbe, cioè,
concentrare la propria attività su un solo continente e,
all’interno di questo, solo su tre nazioni. In questo modo
si avrebbe a che fare con un interlocutore di sicuro più
serio e preparato».
Un altro dei misteri che avvolgono il dramma delle adozioni internazionali
è, infatti, l’impossibilità di distinguere tra
le associazioni serie e quelle che invece operano solo a fini di
lucro. Alcuni enti sono stati recentemente sospesi, ha fatto sapere
il ministro per le Pari Opportunità, Stefania Prestigiacomo.
Ma tanto ancora deve essere fatto. Certo, bloccare le iscrizioni
delle famiglie in esubero, se prima non vengono risolti i casi delle
coppie in lista d’attesa da tempo, è già un
primo passo, e alcune associazioni più serie si stanno muovendo
in questa direzione. Servono, però, maggiori controlli anche
sulle controparti estere degli enti: chi sono, quanto ci si può
fidare e perché, in alcuni casi, come ad esempio in Russia
o in America Latina, prima di assegnare i bambini pretendono sino
a tre viaggi dei futuri genitori in loco, con tanto di spese extra
e regalini. «L’unico modo per controllarli – ne
è convinto Fucili – è mettere in pratica la
famosa banca dati elettronica». La prevede anche il decreto
firmato dal ministro della Giustizia Roberto Castelli, appena qualche
mese fa. «Ma un conto è dire per l’ennesima volta
che si farà, un conto vederla partire sul serio», commenta
scettico Fucili.
Intanto, lo stesso presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi,
su richiesta di Loreto Bambino, ha provveduto a sollecitare l’intervento
della Commissione adozioni internazionali, sorta nel 1999, dopo
l’entrata a regime della legge. Fino ad allora il 50 per cento
delle adozioni erano clandestine: vigeva in Italia la pratica del
fai da te. «La Commissione si deve fare interprete delle esigenze
delle famiglie e, nello stesso tempo, queste devono imparare a ricorrere
alle istituzioni, segnalando alle autorità se c’è
qualcosa che non va. Solo così si possono correggere le storture
del sistema». L’Italia è il terzo Paese nel mondo,
dopo Stati Uniti e Spagna, per domande di adozione. Ma le famiglie
non vanno lasciate sole. Anche per questo serve una modifica alla
legge attuale. «E serve adesso», conclude Fucili. Per
mettere, una volta per tutte, la parola fine a quest’agonia.
|