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Prima parte delle lettere spedite da Luzi a Ercole Ugo D’Andrea.
Primo documento epistolare del luglio 1966. Non è dato sapere
se ci fossero stati precedenti contatti. Sta di fatto che per dieci
anni, fino al 1975, i due poeti corrispondono in terza persona.
Quando passano al “tu”, gli argomenti trattati non riguardano
più soltanto la poesia, ma anche vicende più strettamente
personali, confessioni sulle proprie (di D’Andrea) condizioni
psicologiche, sullo stato di salute, sugli alti e bassi che caratterizzavano
l’alternarsi di momenti gioiosi o depressivi, richieste di
consigli, di giudizi e anche di aiuto per la pubblicazione dei versi.
Luzi è affettuosamente disponibile e sinceramente vicino
alla sensibilità (e fragilità) del poeta. Ne scaturisce
un sodalizio intellettuale e umano di grande caratura, un rapporto
che non conosce interruzioni di sorta, al quale D’Andrea resta
legato per tutta la vita come a un sicuro e prezioso punto di riferimento.
a.b.

Roma/Lucca
31.7.66
Caro D’Andrea,
grazie della sua cara lettera e dei suoi versi con tanto di dedica
a me, versi arguti e seri, molto felici. Come gli altri del “Rosario”,
nitidi nella precisione del momento e delle sue implicazioni possibili.
Mi piacciono i poeti che partono da qualcosa di definibile, si fondano
sul concreto per la loro esplorazione. Lei è di quelli. Peccato
che qui dove sono non ho sotto mano il suo libro più recente
che ora m’è venuta la mania di leggere.
Glie ne scriverò al mio ritorno a Firenze. Intanto abbia
la mia amicizia e la simpatia che mi ha ispirato lei de visu e de
scripto. Con i più cari saluti.
La ringrazio anche del ricordo vivo, animato, che ha pubblicato.
Non mi dispiaccio davvero se sono come lei mi ha veduto.
Purtroppo la collana vallecchiosa è sospesa = soppressa.
“Nel magma” è stato ripubblicato con aggiunte
da Garzanti. Scusi se da qui non posso provvedere a mandarglielo.
10
dic. 1969
Caro D’Andrea,
ecco il topolino partorito dalla montagna, dalla montagna del silenzio
e del ritardo. Lei non immagina la quantità di cose che si
sono affastellate sul mio tavolo in questo periodo. Mentre lei ansiosamente
aspettava e io lo sapevo e ne soffrivo.
Ho rivisto il suo libro attentamente, e mi è sembrato fitto,
senza smagliature. Vecchio e nuovo, così, vanno d’accordo…
Non interpolerei altro, e non vedo la necessità di togliere
niente.
L’ipoteca posta da Betocchi è indubbiamente forte;
ma la scelta del modello – del resto tutt’altro che
ovvio – dovrebbe essere significativa e non casuale. In questa
convinzione ho steso la mia nota che non scende in particolari e
non fa questioni letterarie, cerca piuttosto di indicare il senso
del suo vivere e fare. Approssimativamente, d’accordo. Ma
è, appunto, un invito al lettore, e non una definizione.
Mi dica sinceramente se ne è soddisfatto.
Intanto abbia i più cari saluti e auguri.
LA NOTA CRITICA
L’endiadi umanistica “ozi e negozi” rimanda alla
classica condizione d’isolamento che l’intellettuale
di provincia ha talvolta subito, talaltra accettato con compiacenza.
Il giovane poeta Ercole Ugo D’Andrea l’ha fatta maliziosamente
prevalere su ogni altra neutrale dicitura che sarebbe possibile
applicare al suo lavoro poetico. Forse, dentro di sé, egli
crede e non crede che quella condizione di provinciale gli competa,
il suo microcosmo domestico perduto nel Salento può dargli
o rifiutargli tale convincimento. In ogni caso egli l’ha assunta
come propria con arguzia e amarezza come dimostrano alcuni indirizzi
a poeti cittadini che battono appunto sul sentimento della propria
differenza.
E’ qualcosa di più che una mite schermaglia, per così
dire, sociale con i suoi bravi riflessi psicologici. D’Andrea
è ben consapevole d’aver tradotto quella sua condizione
di “a parte” in un positivo, e cioè in un dimesso
ma fervido modo di essere e di stare al mondo, a cui non manca,
beninteso, il raccordo amareggiato con la tumultuaria contemporaneità.
Difatti nei suoi ozi non meno che nei suoi negozi la poesia di D’Andrea
ha i movimenti affrettati e la buona lena di un’ape faccendiera
al servizio della sua anima, e non a prepararle il miele dell’idillio
ma a fornirle l’alimento giornaliero della giustificazione.
Una parola grossa che conviene poco, lo ammetto, alla betocchiana
modestia del suo discorrere, ma la sostanza è quella: di
una quotidiana messa a punto, intendo, della pretesa di essere uomo
e poeta. Giustificarsi davanti a che cosa? Non so molto della metafisica
di D’Andrea; poco più di ciò che lascia supporre
questo esercizio di auto-demistificazione. Più sicuro sono
invece del senso di dissipazione che egli deve continuamente scontare
di fronte alla semplicità fondamentale della madre –
umile e toccante presenza oltre che archetipo di questo affabile
breviario.
E’, tra i tanti oggi in corso, un modo abbastanza poco comune
di rimettere in discussione la poesia e la sua legittimità:
dalla parte della coscienza, del sottinteso rimorso: e nella persuasione
della povertà che la può riscattare con tristezza
e allegria. Così essa vince, parlandone, le sue inibizioni
e diventa un elemento quotidiano di vita prima di finire nelle secche
di un problema insolubile.

1970
Caro D’Andrea,
grazie della sua lettera, affettuosa come sempre. L’ho ricevuta
a Urbino dove sono rimasto fino alla fine di luglio: ci tornerò,
credo, nella seconda metà di agosto. Spero frattanto che
la sua vacanza alpina le dia serenità e forza. Ne occorrono,
ne occorrono in questo tempo logorante e mortificante.
Ho pensato anch’io al destino dei suoi “ozi e negozi”.
Cappini non si occupa più dei “Segni” (d’altronde
esili quaderni) ma ha in mente un’altra iniziativa più
autonoma. Se prende consistenza, gli farò la proposta. Vedrà,
in ogni caso, che da qualche parte si aprirà uno spiraglio:
non si tormenti per questo. Cerchi invece di riflettere e di lavorare
in semplicità, in verità – quel tanto che la
parola ci si addice.
L’opium chrétien è uno scritto molto giovanile.
Non l’ha stampato Garzanti, ma Guanda. Lo ripresi una dozzina
di anni or sono per un volume dello stesso Guanda dal titolo “La
Generazione Napoleonica”. Non credo si trovi più. Ma
io ne ho alcune copie. Quando passerà da Firenze glie la
darò. Buon lavoro, buon riposo, buona estate, insomma, caro
D’Andrea.
Firenze,
4 feb. 72
Caro D’Andrea,
grazie della lettera, ancora una volta così premurosa. Non
dia troppa importanza alla “improprietà” della
serata leccese. Del resto non ci fu. Mi sono abituato a pensare
al dialogo anche come scontro – credo di averlo dimostrato.
Non ero dunque troppo fuori dal mio elemento.
Ho letto il suo poemetto. C’è una evidente evoluzione,
il tentativo di captare altri modi possibili di esistenza e di giudizio,
l’alternativa insomma. Affiorano cose e tensioni non dette
prima. Interessante. Per il mio gusto manca forse una adeguata messa
a fuoco su situazioni o figure o tempi riconoscibili e determinanti.
Comunque è un nuovo avvio.
Quanto al suo libro, beh mi pare che la cosa più sensata
sia eliminare il disaccordo con Macrì e legittimarlo pubblicamente
così com’è. E’ ridicolo impuntarsi su
questioni di forma in un momento come questo in cui tutto è
difficile. Aspetti un po’ e vedrà che ho ragione. Mi
saluti sua madre e abbia un caro ricordo.
3
marzo 1973
Caro D’Andrea,
mi pareva di averle detto che il mese di febbraio lo avrei passato
quasi tutto in viaggio tra Amburgo, Nimega, Amsterdam, Copenaghen,
Stoccolma. Così infatti è stato: sono partito il 12
e rientrato il 28: un bel viaggio, abbastanza vivace, con qualche
incontro piacevole. Questo le spiega le mie mancate risposte.
E le sue lettere erano così trivellate nella sua realtà-mito…
Belle davvero, specialmente l’ultima ricevuta stamani.
Sono contento che Lisi abbia potuto parlare con Enrico Vallecchi
e l’abbia trovato ben disposto. Ben volentieri ci metterò
anche io la mia parola. La maggiore difficoltà è di
rintracciare l’uomo – ma cercherò di superarla.
Non ho ancora visto Oreste, ma non credo si sottragga al dovere…
Si goda ora la primavera salentina che dovrebbe essere imminente
o già esplosa… E arrivederci presto, a Pasqua, se il
suo programma regge, come mi auguro. Affettuosamente.
11
aprile ’73
Caro D’Andrea,
sì, parlai con Enrico Vallecchi il quale non sembrò
opporre difficoltà. A questo punto il meglio sarebbe che
Macrì presentasse senz’altro il libro.
Sarei proprio contento che la cosa si risolvesse presto. Per il
resto nessuna bella novità: e il quotidiano è quello
che è, tutto da vivere e mai da giudicare.
Le auguro buon lavoro, buoni negozi e buoni ozi, in attesa di rivederla
presto.
16
maggio 73
Caro D’Andrea,
sì, ho ricevuto le sue cartoline e la sua lettera. Stia
tranquillo. Ho parlato con Oreste e anche lui aveva parlato con
Enrico Vallecchi ricevendo la stessa assicurazione che il libro
si farà.
Le auguro una stagione distesa, concreta: non ne sono date molte.
Si offra al bene che ha, qualunque esso sia, senza retropensieri:
le sue crisi passeranno. Con i più cari saluti anche per
la sua famiglia.
Grazie per la correzione delle bozze.
18
dic. 73
Caro D’Andrea,
grazie della lunga lettera che mi ha doppiamente allietato: per
l’affetto che conserva per me e per la sveglia serenità,
l’equilibrio dall’apparenza sornione ma in realtà
conscio e saggio che rivela.
Il suo libro l’ho visto in casa di Renzo Ricchi. Sarei contento
di averlo dalle sue mani, ma temo che nelle vacanze natalizie non
ci vedremo perché martedì 27 partirò e non
tornerò che il 3 o il 4 gennaio.
In questa prospettiva allontanata spero che E. Vallecchi me lo mandi
direttamente. E intanto vorrei arrivare in tempo a farle i più
cari auguri anche per sua madre e suo padre. Affettuosamente.
28.1.74
Caro D’Andrea,
grazie del suo costante ricordo, grazie delle parole di suo fratello
(simpaticissimo), grazie della buona lettera dei suoi alunni ai
quali ieri ho risposto.
La sua vita che li ascolta stillare goccia dopo goccia mi piace,
mi sembra persino invidiabile viste le consonanze che riesce a creare.
Non posso scriverle più a lungo come vorrei perché
ho una massa di faccende prima della partenza per l’America
(che sarà il 4). Lo farò al ritorno.
Intanto sì, mandi il libro a Bo e a Pampaloni ma non si aspetti
molto… sono distratti e oberati. Piuttosto mandi ad Alberico
Sala (Corriere della Sera e a qualcuno della “Fiera Letteraria”…
a meno che per questo giornale non provveda Ramat). Mandi anche
a Sergio Sulci direttore del Bimestre. Se mi verrà in mente
qualche altro destinatario attendibile glie lo segnalerò
(ah, Aldo Rossi presso l’Approdo).
E cari saluti a lei, a suo fratello e a tutti i suoi. Un abbraccio.
Firenze
27 genn. 74
Cari amici della 1 D,
è molto bello, è la cosa più bella di tutte,
per uno che scrive poesie o anche prose sapere che qualcuno ha ricevuto
e accolto le sue parole. Ancora più bello quando questo qualcuno
prende i connotati vivi di un ragazzo o di una scolaresca.
I ragazzi sono pietre di paragone incomparabili, pulite, integre:
hanno dalla loro la forza della vita e dell’intelligenza crescenti
e nient’altro. Anche i poeti sono forniti di quelle sole doti:
lo stare al mondo con forza e l’ansia di capirlo sempre meglio,
più a fondo. Per questo i poeti guardano con amore ai ragazzi
e vorrebbero esserne amati e compresi. La forma, la costruzione
di una poesia sono qualche volta difficili, ma non importa. I ragazzi
ricevono la sostanza, la vita che c’è dentro. Se non
si oppongono (come fanno gli adulti spesso per loro superbia e presunzione)
quella sostanza e quella vita continuano a fermentare dentro di
essi.
Vedo, dalle parole di Maurizio Colazzo, che avete capito perfettamente
in quello che c’era da capire la poesia che avete studiato.
Il merito, certo, è in gran parte del vostro professore che
è un poeta anche lui ed è quindi molto vicino a voi.
E’ bravo, mi vuole bene e forse travede sulla mia bravura,
ponendomi più in alto di quanto io meriti. Ma anche questo
non importa. Importa solo che circoli qualcosa di vero e di puro
tra voi, ragazzi, e tra voi e lui, e tra voi lui e me e gli altri
poeti che vi insegna a leggere.
Grazie dunque a tutti dal primo all’ultimo (in ordine alfabetico)
che siete nella simpatica 1 D. Mi piacerebbe, certo, venire a trovarvi.
E chi sa? Per adesso devo andare in America. Al ritorno per prima
cosa vi manderò un libro e, se la trovo, una foto, come desiderate.
A presto.
19
aprile 74
Caro D’Andrea,
ho ricevuto le sue lettere romane e non so dove si trovi adesso.
Ancora a Roma, già rientrato a casa – e con che animo?
Lei parla della malattia di suo padre come di un evento sospeso
sul capo che vivete ciascuno a modo proprio e tutti insieme. Sì,
accade così fino a un punto che ingorga tutti simultaneamente.
Ma spero che questo non sia detto né scritto. Mi sono affezionato
a suo padre e a sua madre senza conoscerli, per trasmissione di
carità filiale. Quindi ti sono molto vicino.
Non ricordo se ci siamo più sentiti dopo il mio ritorno dall’America.
Sono poi stato travolto da lavori e impegni rimasti indietro. Fino
alla fine di maggio sarà una danza del ventre. Speriamo poi
in un’estate di ozi con pochi negozi. Ma…
Venire in Puglia per questa stagione è impossibile. Ma la
prossima, lo prometto. Non ho dimenticato la sua simpatica classe
a cui devo intanto il libro e la foto. E non ho dimenticato il piacere
che mi potrebbe venire dallo stare qualche giorno con lei e gli
altri amici, una volta che anche le sue cose familiari si siano
messe al meglio, come le auguro fraternamente. Un abbraccio.
10
giugno 74
Caro D’Andrea,
sono lieto delle sue ultime notizie. La prego di dare a suo padre
il ben tornato anche da parte mia. La prego anche di scusarmi per
i miei silenzi che non sono dimenticanza o indifferenza ma impossibilità
pura e semplice di sbrogliarmela fra tanti impegni cretini e prevaricatori.
Veramente tutto in questo tempo diventa sopruso. Che cosa rimane
se non una misera opacità dell’animo, un’ottusità
risentita?… Caro Ercole Ugo: j’ai honte de me connaitre
en l’état où je suis, come dice Racine.
Ma i suoi “ozi” come li invidio; e, sì, anche
i “negozi” condotti in quel bulinare del pensiero su
materiali costanti, non ingannevoli, senza surrogato, prodotti dalla
casa, dal paese com’è, dall’invincibile rus.
Tra l’altro, mentre la terrazza fioriva e non potevo neppure
riceverne l’occhiata solare, ero lì al chiuso a correggere
bozze di versi, bozze di una antologia di me stesso fatta per i
pockets di Garzanti, bozze di una ristampa di Ipazia, provvedendo
frattanto ad altre richieste con la testa risuonante di parole mie,
già dette, usate… Orrore!
Così ho anche tralasciato di mandare alla I D il libro e
la foto. Glie la spedirò domani, anche se è tardi.
Forse lei saprà rimediare. Grazie e mi voglia bene lo stesso.

26
8 74
Caro D’Andrea,
chi sa se questa la troverà ancora a Civitella. Il fatto
è che trovo la sua cartolina a un mio passaggio da Firenze
mentre sto spostandomi da Castagneto Carducci a Urbino. Vi resterò
fino alla fine del mese o ai primi.
Spero abbia passato buoni mesi estivi, meglio di me che per la stanchezza
accumulata non ho né lavorato né riposato.
Mi saluti i suoi (tutti) e abbia un caro saluto in previsione di
rivederla presto.
11
luglio 75
Caro D’Andrea,
le sue ricadute mi addolorano e mi comunicano una certa inquietudine,
tanto più che non mi hai mai bene spiegato se hanno un corrispettivo
clinico o neurologico obbiettivo. Ma anche se dovesse esserci (e
mi auguro di nessuna gravità, perfettamente curabile) propendo
a credere che esista uno squilibrio, una disarmonia o asfissia vitale
in lei. Ritorni, forse impietosamente, su quanto le scrissi l’anno
scorso. Deve fare pur qualcosa per attuarsi come uomo che vive perché
in lei, è evidente, non c’è solo isolamento
e magari ascesi e introspezione di essi, c’è anche
vitalità e appetito sfibrati e sfibranti per mancanza-rinunzia
(reciprocamente). Parlo naturalmente di cose fondamentali e semplici
che immettono davvero nel vivente, lei mi capisce.
Anche le sue ultime lettere mi fanno vedere che lei chiede troppo
alla letteratura e pure alla vita. E anche la letteratura è
un universo in cui bisogna entrare con il respiro affrettato per
le cose fatte e da fare perché possa rispondere non astrattamente.
Anche lì c’è un confronto, un urto.
Questo che le dico potrà apparire grossolano, ma sento che
è questo che devo dirle, more ingrato.
Non ho ricevuto l’Albero ma ho visto in casa Bilenchi le sue
poesie, e specialmente il colloquio che riesce a tenere con me.
Glie ne sono grato.
Io sono in partenza per Urbino dove resterò fino al 29-30.
Non sarò qui il 20, dunque: e temo non troverà nessuno.
Non le converrebbe spostare ad autunno? Mi dispiacerebbe che lei
venisse e non ci potessimo incontrare.
Riprenda animo e terra e mi scriva ancora. Mi ricordi al simpaticissimo
fratello e ai genitori.
1
nov. 75
Caro Ugo Ercole,
chi sa che cosa dirai di me, del mio silenzio, di cui mi vergogno
e arrossisco. Il fatto è che sono stato preso in un vortice
dissennato di lavori da fare. Tra l’altro, una difficile conferenza
sul Boccaccio, autore mal noto e poco congeniale, ha comportato
letture, fatica, e in più un viaggio in Olanda, che è
però sempre una bella divagazione. Eccomi di ritorno oggi
1 nov. Alle ore 19.
Rientro nei miei pensieri ordinari: e, come vedi, tra questi ci
sei tu, lasciato a Urbino ma mai perduto di “forza”.
Spero che il beneficio di quella sortita perduri ancora e ti sia
rafforzato nel tuo equilibrio, tra lavoro, affetti, memorie e speranze.
Ricevetti il fascicolo delle tue poesie che nell’insieme rappresentano
bene il tuo stato attuale, il punto, voglio dire, della tua evoluzione:
un discorso che si allarga su un epicentro che resta fedele. Ne
scrissi a Forti aspettando a mandargliele che mi desse il suo assenso
perché non volevo rimanessero in una generica “riserva”.
Per ora non ho avuto risposta. Se tarda, tornerò alla carica.
Intanto tu non fissarti su quell’aspettativa ma pensa a cose
nuove da fare, e a quelle insostituibili da dire. E sii ben disposto
verso lo stillicidio quotidiano, le alternanze écoeurantes
che sono un gran nutrimento. Ricordami ai tuoi. A te un abbraccio.
24
nov. 75
Caro Ercole Ugo,
mi scrive Forti che ha già completi i due prossimi numeri
dell’Almanacco. Dovresti quindi aspettare in ogni caso un
paio d’anni. Dimmi se è opportuno inoltrare le tue
poesie in queste circostanze o se è meglio trovare nel frattempo
altra collocazione.
Ti sento sereno e intimamente fortificato anche di fronte alle nuove
preoccupazioni familiari. Ti sento disposto a nutrirti di tutto
ciò che ci viene sia o non sia il giusto della vita. E così,
caro Ugo, così va bene.
Abbiamo perso il nostro Nicola Lisi, dileguatosi molto lisianamente,
nella solarità, credo.
A Natale credo che sarò qui sebbene mia sorella mi reclami
a Torino. Ti dirò più precisamente in seguito. Frattanto
abbi fraterni auguri per il tuo babbo e ricordami vicino anche a
tuo fratello. Ti abbraccio.

7
dic. 75
Caro Ugo,
ti abbraccio fraternamente insieme ai tuoi. Sono eventi grandi
e necessari; dolori, ma santi. Tu hai il bene di viverli in tutta
la loro portata, in tutto il loro integro significato nel vivo di
un grumo di sentimenti familiari, più ancora, creaturali.
Sono certo che sei all’altezza di ciò che si compie.
Ero in debito di una lettera con te, per dirti quanto (di più)
mi sono piaciute le tue ultime poesie, quella nuova maturità.
Presentimento tuo e mio?
Parleremo di ogni altro problema quando verrai. Sarò quasi
sicuramente a Firenze, salvo forse qualche giorno.Di’ a tua
madre e a tuo fratello che sono dei vostri.
2
luglio 76
Caro Ercole Ugo,
ho parlato di persona con Marco Forti chiedendogli attenzione
per le tue poesie che dovrebbero nell’insieme spiccare come
un bel grappolo. Mi ha assicurato che le leggerà con cura
particolare quando, insieme con altri, procederà all’allestimento
del nuovo numero – ma non so bene che cosa intendesse per
“nuovo” dal momento che aveva detto, alcuni mesi or
sono, che ne aveva due già pronti: e uno è forse quello
che hai già visto e mi hai regalato. Aspettiamo dunque e
speriamo.
Io non ho ancora fatto un programma per l’estate. Ma verso
il 15 andrò da qualche parte, forse in Maremma. A Urbino
sarò dopo ferragosto per circa due settimane. Ho voglia di
vita elementare, di semplicità, di analfabetismo vero.
Sta’ bene e svagati un po’ anche tu. Ricordami a tua
madre e a tuo fratello. Un abbraccio.
19
sett, 76
Caro Ercole Ugo,
ho avuto pochissimi ozi e moltissimi inutili negozi una volta uscito
da Urbino, ma ho pensato continuamente a te mentre le tue lettere
e cartoline mi rassicuravano. Del resto non ero, a dire il vero,
molto preoccupato, se mai dispiaciuto. La tua vulnerabilità
è superficiale, non incide a fondo nella tua salute psichica;
ora te ne sei reso conto anche tu: e ho visto con piacere con quanta
calma sopportavi il breve incidente. Rimango dell’opinione
che, stabilitasi la tua esistenza in un assetto diverso o permanendo,
ma consciamente e per convinzione, in quello che hai adesso, il
tuo equilibrio si rafforzerà e queste turbe scompariranno
o non avranno più importanza dei tics che, più o meno
manifesti, tutti ci portiamo. Pensa per contro a un’esistenza
che non avesse di quando in quando la crisi della sua riprova…
che orrore e squallore! Il bene della vita, se lo è e perché
non dovrebbe?, si esalta dalle sue eclissi. Immagino sia un bellissimo
settembre lì nel Salento. Qui si è un po’ rimesso
al bello e ieri ho visitato il Mugello con grande piacere. Salutami
tua madre e Aurelio. A te un abbraccio.
12
dic. 76
Caro Ercole,
aspettavo la tua seconda lettera. La prima, anche se immaginavo
le condizioni in cui l’avevi scritta, la rifiutavo. Non voglio
darti troppa corda su questo argomento, non voglio concorrere al
piccolo presepe di morbidezze che rischia di ergersi intorno a te
fino ad averne tu seminconsciamente bisogno. Le tue faccende non
sono trascurabili, sono anzi serie, ma non gravi. Grave è
la tua dolce-afflitta deriva verso la culla – preziosa, certo
– in cui sarai vegliato, non rinunziando neppure ai più
banali e distruttivi degli “otia” del borgo e del cul
de sac della provincia.
Devi fare qualcosa. Ora te l’ha detto anche il medico. Intraprendere
un lavoro vero e proprio, imprimere un corso alla tua esistenza.
La tua sensibilità e la tua salute, così intrecciate
del resto, ti faranno soffrire forse per sempre. Ma la tua energia
sarà reclamata da altro che dalla tua sofferenza, non andrà
a rifluirvi moltiplicandola. E poi c’è un problema
di giustificazione, mistificazione di te, spero tu mi capisca, a
cui non puoi essere sordo. Coraggio! Muoviti. Con molto affetto.
(1
– continua)
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